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Autore: endif    16/05/2009    10 recensioni
"Il buio si fece più buio. Una voragine si spalancò nel mio petto. All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa. «Non c’è più…» mormorai. Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione."
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change'
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CAP. 24

APPUNTAMENTO SPECIALE

NOTA DELL’AUTRICE: Mie adorate e miei adorati, sono davvero lusingata dalle ben nove recensioni che avete deciso di donarmi, molte delle quali sono di nuovi commentatori. Grazie davvero, la storia procede ed è sempre bello sapere che l’interesse si mantiene vivo. Vorrei rispondervi singolarmente, ma ho impiegato il poco tempo a disposizione per completare un nuovo cap. Non me ne vogliate, vi prego, ma non posso proprio trattenermi, mi sono collegata solo per postare. Approfitto dell’aggiornamento per una piccola comunicazione: Cara Rita, ti ho inviato la mail che ti avevo promesso.

Vi bacio e vi abbraccio tutti: i 31 seguiti, gli 85 preferiti e tutti quelli che leggono.

Endif

 

 

EDWARD

Seduto sullo sgabello del mio pianoforte nel salotto di casa Cullen stavo intonando la melodia preferita da Esme in attesa che le ombre della sera si allungassero abbastanza da permettermi di rispettare quello che ormai era diventato il mio appuntamento serale fisso.

Fremetti di impazienza notando gli ultimi raggi del sole perdersi in lontananza tra gli alberi e creare dei giochi di colore strani e affascinanti sui mobili del salotto esposti alla luce dalla grande portafinestra spalancata. Le mie dita scorrevano rapide e sicure sui tasti del lucido pianoforte a coda, gli occhi chiusi a godere appieno di un raro momento di pace mentale. Carlisle era in ospedale, Esme in giardino a curare il suo adorato roseto, con la mente rivolta unicamente ai boccioli nascenti, Rosalie ed Alice a fare spese, Emmet e Jasper a caccia.

Ed io ero solo. Sorrisi tra me e me. Ancora per poco naturalmente.

Dopo gli eventi un po’ movimentati occorsi negli ultimi tempi, il ritorno alla “normalità” non era stato affatto semplice.

Durante tutta la convalescenza di Bella in casa nostra mi ero sforzato di mantenermi a distanza, rimanendo, però, sempre disponibile e facendole sentire costantemente la mia presenza. Ora che sapevo che la parola fine non era stata ancora scritta per noi due, avevo cominciato a pensare a come sistemare le cose per il meglio. Innanzitutto dovevo riapparire nella vita di Bella agli occhi di un padre che aveva visto la figlia soffrire per mesi. Non volevo aggravare il peso che il nostro rapporto aveva sulle spalle di lei che, ovviamente, stava male a dover mentire di continuo anche per cose banali come una passeggiata, uno scambio di parole in classe, o sedersi vicini a mensa.

Iniziai a corteggiarla come un innamorato folle e la cosa non mi dispiaceva affatto. Bella doveva ricominciare a sentirsi amata e desiderata con ardore dopo aver creduto per mesi che non l’amassi più e che l’avessi lasciata per questo motivo. Pur sapendo adesso razionalmente che non era la verità, il mio comportamento aveva minato la sua fiducia in se stessa e, inconsapevolmente tendeva a sottovalutarsi più di quanto non facesse già prima. Paradossalmente questo suo atteggiamento aveva attirato su di lei le attenzioni di un nugolo di ragazzetti col moccio che frequentavano la stessa nostra scuola.

Anche a questo andava posto rimedio. Non mi piaceva l’idea che Bella dovesse scorazzare sola su quel vecchio macinino che si ostinava a chiamare “la mia auto”, e volevo che fosse ben chiaro a tutti che non potevano osare troppo su quella che era la MIA donna.

Tempestavo la sua casa di telefonate nelle ore più assurde, le inviavo fiori rari, lettere d’amore … Bella era di una ritrosia affascinante. Sapevo che si compiaceva di essere trattata come una persona speciale, ma mi stupivo ancora di vederla meravigliarsi di fronte ai miei gesti, a volte anche un po’ troppo plateali, come amava ricordarmi Alice e sbeffeggiarmi Rosalie.

Come l’ultimo che avevo fatto.

“Due giorni prima le avevo ricoperto il pick-up di petali di rosa rossi e le avevo lasciato una poesia sul volante il cui foglio era trattenuto dal gambo di una rosa bianca piccola e delicata come lei. Mi ero appostato sul ramo dell’albero opposto al vialetto, da cui potevo avere un’ottima visuale senza rischiare di venire scoperto. Quando l’ispettore capo Swan era uscito per recarsi a lavoro era rimasto cinque minuti buoni con la bocca spalancata, immobile a fissare la distesa di fiori. Nei suoi pensieri c’erano fastidio, irritazione, incredulità, ma avevo letto anche compiacenza e ammirazione. Poi, scuotendo la testa si era infilato nella volante e si era avviato al lavoro.

Ma l’espressione di Bella quando era uscita rimaneva davvero impagabile. La sua deliziosa sbadataggine l’aveva portata persino ad aprire la portiera di quel vecchio macinino prima di notare la distesa di petali che le cadeva innanzi e che stava calpestando. Il suo sguardo aveva seguito la scia dall’asfalto, alle ruote, al copri motore e al parabrezza. Come suo padre la bocca le era rimasta spalancata per qualche minuto, l’aria imbambolata. Con una mano aveva sfiorato un piccolo petalo in bilico sullo specchietto laterale. Poi, notata la rosa ed il biglietto all’interno dell’abitacolo, aveva aperto un po’ di più lo sportello. Vi si era infilata a mezzo busto e preso entrambi con la mano che le tremava leggermente. Si era appoggiata al sediolino con le gambe ancora di fuori. Da dove mi trovavo potevo notare ogni dettaglio: il soffuso rossore alle guance che si andava man mano intensificandosi, il respiro un po’ più accelerato, gli occhi luccicanti …

Era emozionata, e nel notarlo avevo sorriso anch’io del suo stesso fremito.

Nello stesso momento in cui aveva aperto il biglietto l’avevo sentita inspirare profondamente.

Cercava il mio odore. Ma il suo olfatto umano non avrebbe potuto distinguerlo nel mezzo dell’intensità del profumo delle rose, al contrario di me che avvertivo il suo dolorosamente chiaro.

Quasi la sentivo sussurrare mentre leggeva piano le righe che poche ore prima avevo trascritto e che le avevo dedicato:

Alle nozze sincere di due anime

impedimenti non so. Non è amore

l’amor che muta se in mutare imbatte

o, rimovendosi altri, si rimuove,

oh no: è faro che per sempre è fisso

e guarda alle bufere e non dà crollo,

amore, è stella ai vaganti navigli,

nota in altezza, nel valore ignota.

Non è zimbello al tempo, s’anche a teneri

labbri s’incurva quella falce e chiude,

non tramuta con l’ore e i giorni brevi

ma inoltra sino all’estrema sventura

Se errore è questo, e su di me provato,

io mai non scrissi, e mai nessuno ha amato.

E.

L’avevo vista e sentita sospirare. Poi, come improvvisamente riscossasi da un sogno, si era raddrizzata e aveva cominciato a scrutare con occhi attenti il bosco proprio dalla mia parte. Non sapeva che ero lì, ma lo sentiva. Dopo pochi minuti, scuotendo un po’ il capo era salita in macchina ed era partita per la scuola.”

Sentii in lontananza il rumore della nuova auto di Alice avvicinarsi a casa. La sua mente era tanto gioiosa da sovrastare persino il turbo di un motore così potente quale poteva essere quello di una Porsche. E, il colore, poi …

“Mi era balenata in mente, solo la vaga idea di comprarle quell’auto e valutavo indeciso l’eventuale  colore, che lei si era fiondata sulle mie spalle con leggiadria. Con quelle due piccole e affusolate morse d’acciaio che aveva al posto delle braccia mi aveva arpionato il collo e, scoccandomi un bacio sonoro sulla guancia, aveva sussurrato solo una parola: «Gialla» ed era fuggita via come una saetta.” Questo accadeva dieci giorni prima.

Adesso mi trovavo ad osservare, attraverso la mente di Esme, il loro arrivo al garage. Sorrisi vedendo mia madre scuotere impercettibilmente il capo all’esaltazione di questa figlia un po’ scapestrata che cantava a squarciagola le parole di una canzone pop le cui note si diffondevano già alte nell’aria.

Mi alzai e mi diressi velocemente verso l’uscita opposta, ossia la porta d’ingresso. Se ero abbastanza fortunato …

Di partenza eh fratellino? Continuai a correre senza degnarmi di rispondere ai suoi pensieri.

Si, decisamente giallo era il colore che si addiceva ad un mostriciattolo come Alice …

 

BELLA

La mia ossessione, il mio tormento, il mio punto debole.

Tutte queste cose insieme erano per me la trigonometria, una materia che per quanto tempo e sforzi le dedicassi, sfuggiva inesorabilmente ed inevitabilmente alla mia comprensione.

La finestra spalancata per fare entrare la freschezza della sera, me ne stavo rinchiusa dal primo pomeriggio in camera mia, con una matita che mi infilzava i capelli tirati su in una specie di chignon da cui ricadevano ciocche ribelli, e un’altra che rosicchiavo disperatamente tenendola tra i denti.

La mia tenuta di battaglia consisteva in un corto pantaloncino grigio da ginnastica e un vecchio ma comodissimo toppino azzurro. Era la mise dei momenti difficili, una di quelle in cui mi ci trovavo veramente a mio agio. Alice sarebbe impazzita se mi avesse sbirciato in una delle sue visioni. Sorrisi maligna. Almeno in camera mia non aveva potere decisionale.

Mi agitai nervosa sulla sedia dinnanzi alla scrivania ed appoggiai la testa di lato, sul palmo di una mano. Il movimento creò ombra nel cono di luce proiettato dalla mia lampada da studio, e per un breve attimo il problema di trigo su cui rischiavo di bruciarmi gli ultimi neuroni sani, si oscurò anch’esso nella mia mente che prese a battere destinazioni più piacevoli.

Decisamente più piacevoli.

Aprii il cassettino laterale della scrivania e da sotto una pila di quaderni di scuola, estrassi l’ultima poesia che Edward mi aveva mandato il giorno prima. L’avvicinai al naso aspirando il profumo di carta pergamena ed un vago sentore di miele …

Che dolce che era stato a dedicarmi uno dei miei sonetti preferiti, quello che viene citato anche in Ragione e Sentimento, uno dei miei libri prediletti. E lui, non tralasciava niente, nemmeno il più piccolo dettaglio. L’auto ricoperta di delicati petali di rosa poi, un vero tocco di classe …

Gettai uno sguardo alla rosa bianca che aveva posto come fermo al foglio sul cruscotto e che avevo posizionato in un bicchiere sulla scrivania di fronte a me.

Candore, purezza, innocenza ... Forse era così che lui mi vedeva, ma io mi sentivo ardere di desiderio. Dopo che eravamo stati “interrotti” nel pieno delle nostre confessioni, gli eventi erano precipitati vertiginosamente. Il mio ritorno a casa era avvenuto non appena mi ero rimessa in salute, ma troppo rapidamente per i miei gusti. Per tutto il tempo Edward era stato presente, ma non quanto avrei desiderato. Era sempre attento ad ogni dettaglio, ad ogni mia necessità, ma era come se rimanesse in disparte in un certo senso. Non accennò neanche di sfuggita a ciò che era accaduto, a quello che ci eravamo detti, anzi che avevo detto, agli strani lupi … I miei ricordi del seguito erano sfocati, sbiaditi, avvolti in una nuvoletta di nebbia fitta e, tecnicamente, non eravamo più rimasti soli.

Sapevo da Charlie che Jacob aveva deciso di prendersi un po’ di tempo da trascorrere via. Non chiesi dove e lui non si domandò come mai Billy fosse stato così evasivo.

Chiusi gli occhi. Ripensare a Jake mi faceva male al cuore, ciò che gli avevo detto, la sua reazione alle mie parole … In effetti avevo sulla punta della lingua un milione giusto di domande, ma ero  anche molto presa dai nuovi eventi che si sovrapponevano ai vecchi interrogativi. Non avevo tanto tempo per riflettere e giravo per casa in ogni momento libero con un libro o degli appunti tra le mani. Tuttavia, Edward non permetteva che mi sentissi mai sola. C’era sempre un biglietto, un fiore, una poesia da qualche parte che mi aspettava: in cucina, nell’auto, in camera mia.

Mi sentivo lusingata. Era come un farmi partecipe, con il massimo della delicatezza e della grazia, che ero sempre nei suoi pensieri in ogni istante della giornata. Lui aveva un terrore maniacale di essere troppo pressante, ed io non avevo il coraggio di rivelargli che, invece, volevo proprio questo. Anelavo ogni minuto del tempo che potevamo trascorrere insieme, ogni respiro che potevo fare in sua presenza, ogni sguardo che avevo la fortuna di potergli lanciare. Ero io che avevo paura di svelare una natura eccessivamente ossessiva nei suoi confronti.

Ecco cos’era per me. Un’ossessione allo stato più primitivo. E adesso che ero sotto pressione lo era diventato ancora di più.

Guardai distrattamente l’orologio sul comodino. Le nove e ventisette. Già così tardi e non avevo combinato granchè … Sobbalzai mentre mi rigiravo verso la scrivania, perché nel farlo la finestra era entrata nel mio raggio visivo e mi ero accorta che non era l’unica cosa che vedevo in quella direzione.

Appoggiato al davanzale della finestra con una grazia ed un’indolenza tipiche dei più affascinanti ed eleganti felini mai esistiti, Edward Cullen mi guardava con un’espressione assorta, negli occhi un fuoco ed un calore che avrebbero potuto bruciarmi già da lontano, tanto erano intensi.

 

PS: Ovviamente la poesia è un sonetto di Shakespeare…!

endif

   
 
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