'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei componenti Tokio Hotel, nè offendere il gruppo o i suoi componenti singoli in alcun modo'
1))SU COME L’’IMPRESA ECCEZIONALE SIA ESSERE NORMALE
Francesca ha gli anni che ha
capisce quello che capisce
capisce che qui non va
e a me mi basta.
Ho sempre odiato la sveglia, faccio parte di
quella categoria di persone che la prenderebbero volentieri a martellate e poi
salterebbero sopra i pezzi con la gioia primitiva che segue all’annientamento
di un nemico, ma tra le tante sfortune che costellano la mia vita c’è anche
quella di doverla sopportare ogni santa mattina.
Un gallo smette di cantare se minacci di
tirargli una ciabatta, una sveglia..no…
Spero sempre che sparisca durante la notte
ma c.v.d inizia un altro giorno ed è scandito dal
suono dell’aggeggio infernale.
È un
suono che odio se non lo si fosse capito, ma è sempre meglio della
scossa poco amichevole di mia madre se non darò segni di vita nei prossimi
cinque minuti.
Tyson è un gentiluomo al suo confronto
Mi alzo di malavoglia, apro la finestra
nella speranza che il paesaggio sia cambiato durante la notte, ma come la
sveglia ha continuato ad esistere qui non è cambiato nulla, come cantava il
Liga “anche se il mondo cambia
qualche mondo non cambia mai”.
Ieri sera ho lasciato un cortile anonimo e
lo ritrovo esattamente uguale questa mattina, forse ha solo qualche sacchetto
di spazzatura in più.
Detesto questo posto e detesto mia madre
che mi ha trascinato qui, capisco che non poteva agire in modo diverso, ma
questo non cambia la sostanza delle cose, io qui non riesco a viverci.
Trascinata in un paese straniero contro la
mia volontà, non che in Italia stessimo bene
ma almeno ero a casa, tra le cose che conoscevo da una vita e in cui
la lingua non mi era totalmente
estranea.
Tedesco…non l’ho mai capito ne mai lo capirò fino in fondo, nemmeno ora che le
circostanze mi hanno obbligata a farlo con il trasferimento in Germania.
Sento la porta aprirsi, mia madre entra
come una furia pronta a sbrandarmi.
“Sei sveglia! Muoviti Francesca, la scuola
non aspetta te che guardi dalla finestra!”
Esce come è entrata, io sbuffo appena la
porta si chiude dietro di lei.
Non è mai stato facile avere a che fare
con mia madre, fin dove arrivano i miei ricordi l’ho sempre vista scontenta,
frustrata, nervosa, scattava sempre per un nonnulla.
Da piccola non capivo perché, ma poi ci
sono arrivata.
Non era questa la vita che avrebbe voluto
e mio padre non era l’uomo che avrebbe sposato se non fossi arrivata io, ma
io ero nata e lei non aveva più potuto tirarsi indietro.
Da qui la sua rabbia e…quella
di mio padre.
Per anni si sono urlati di tutto,
incuranti di me e dei miei due fratelli più piccoli, in litigi che scoppiavano
come bombe per motivi assurdi e finivano con porte sbattute e piatti rotti.
A volte li sogno ancora la notte, sogno
quella fottuta paura che provavo, una paura da fine del mondo, un senso di
instabilità che mi faceva letteralmente mancare l’aria e che mi lasciava in
lacrime stordita in un angolo con le mani sulle orecchie per non sentirli.
La nostra era una casa piena di macerie,
in un certo senso, le macerie della nostra famiglia e io ero quella a cui toccava consolare i più piccoli, la
mamma non l’ha mai fatto.
Ci ha sempre lasciato soli a vagare come
superstiti della loro guerra personale.
Inizio a vestirmi con gesti lenti, i
ricordi fanno male, mi intorpidiscono.
È finito tutto qualche mese fa con mio
padre che ha fatto il botto, arrestato per rapina a mano armata.
La mamma aveva vinto.
Forse.
Aveva ottenuto il divorzio e se ne era
andata da quella cittadina in riva al mare che odiava e che diceva la
soffocasse, ma nessuno di noi era
felice, ne io, ne i miei fratelli, ne tantomeno lei.
Pesco qualcosa dall’armadio e controllo
cosa il fato ha deciso che indossi stamattina:Jeans strappati, un foulard come
cintura, una maglia colorata e un maglione.
Accettabile.
Mi lavo, mi pettino i capelli neri e
ondulati, mi trucco pesantemente di nero i miei occhi scuri.
Sono i soliti gesti meccanici che
finiscono solo quando lo specchio mi comunica che la mia personale
armatura, la mia maschera è pronta e non
necessita di altro.
Sono Francesca quella sempre strana,
l’italiana che non parla una mazza della
lingua del posto e che non la vuole imparare, sono diventata quello che gli
altri credono che io sia.
Dimenticavo, sono anche complicata e
formulo spesso pensieri e teorie comprensibili solo a me, questo è uno di
questi ovviamente.
Esco dal bagno, sorrido ai miei fratelli
seduti al tavolo a fare colazione.
“Ciao Fra!”
Questo è Luca ha dieci anni, sei meno di
me.
“Ciao Francyyy!”
Questo invece è Andrea che mi salta in
braccio con la spensieratezza dei suoi sei anni, gli scompiglio i capelli.
“Fai colazione?”
“No piccolo, sono in ritardo!”
Lo metto a terra, lui fa il broncio, poi
mi porta una brioche, non la posso rifiutare anche se non ho fame.
“Grazie ometto, non so cosa farei senza di
te!”
Sorride con’aria di importanza, gli do un
buffetto.
“Vado.”
Il tono freddo è per mia madre, lei
annuisce senza ascoltarmi davvero.
Non mi perdona per la guerra che le sto
facendo , anche a scuola dove faccio di tutto per non inserirmi, forse in fondo
non mi perdona per essere nata.
Scuoto la testa, questa mattina i brutti
pensieri non mi danno tregua.
Prendo la cartella e la giacca, finalmente
sono fuori, alleluia!
Alì mi aspetta in cortile con la sua
solita aria placida, invidio la sua calma, la sua accettazione zen degli
avvenimenti, io non sarò mai così.
Per sempre condannata a essere consumata
da una rabbia che non mi lascia in pace.
Melodramma allo stato puro, ripigliati
Fra!
“Ciao Frankie!”
Mi fa dono di uno dei suoi sorrisoni migliori, mentre io bofonchio un “Ciao”appena
udibile mentre cerco le sigarette.
“Non possiamo saltare oggi?”
“C’è l‘interrogazione di tedesco!”
“Appunto!”
“Non potrai scappare in eterno!”
“Mi accontento di andarmene da questo
posto di merda!”
Fa una faccia perplessa, credo non abbia
capito l’ultima parola.
“Lascia perdere…”
Gli sorrido per non offenderlo, non voglio
giocarmi l’unico amico che ho qui, nonché l’unico che parli la mia lingua.
Alì è turco, ma è stato in italia per un po’, quindi mi capisce…almeno
lui.
“Non ti capisco.”
“Tu hai una bella famiglia, è per questo
che non capisci…”
Il tono è amaro, lo fa zittire per tutto
il tragitto.
Mi tirerei una manata in faccia, perché
rovino sempre tutto?
“Scusa.”
“Accettate…ma
non potrai essere in guerra con il mondo per sempre…”
Sospiro, vorrei che fosse così ma al
momento non vedo spiragli nel buio che mi avvolge, vorrei solo andarmene, ma
purtroppo devo rimanere fino alla fine del liceo.
Se mai lo finirò, non è così scontato.
Io e Alì siamo in una classe speciale dove
si occupano di inserirci nella scuola, attraverso corsi di lingua e lezioni che
ci mettano a pari con gli altri, ma di fatto siamo nel ghetto.
No, la frase giusta è:”Io sono nel
ghetto”.
L’unica lezione che frequento con la
classe “normale” è quella di inglese, ovviamente nella solitudine più totale a
cui mi sono autocondannata.
Alì tra poco se ne andrà tra i normali, il
mio tedesco invece non fa progressi, io non socializzo,i professori sono
scontenti, il che mi fa temere che ci rimarrò a lungo e che mi bocceranno a
fine anno.
Fantastico.
Com’è il detto? Le disgrazie sono come le
ciliegie, arrivano sempre a due a due.
Arriviamo ai cancelli della scuola, c’è
una massa insolita che non lascia passare nessuno.
Cosa diavolo sta succedendo? Una rivolta?
Naaa… sarebbe troppo bello, sono sicura che c’è una spiegazione più razionale e
che forse Alì ne è a conoscenza, forza Francè
chiediglielo!
“Alì…”
“Si?”
“Perché c’è così casino?”
“In che mondo vivi? Oh già…è
vero, non vuoi sapere nulla di quello che succede in questo posto…
Comunque oggi tornano a scuola degli
alunni famosi..”
Inarco un sopracciglio perplessa, questa
scuola ha ospitato dei personaggi famosi?
“Sono un gruppo di ragazzi che hanno
all’incirca la nostra età…bhe solo due, a essere
sinceri.
Hanno una band abbastanza famosa qui…””
Il mio silenzio perplesso lo scoraggia, se
Alì non fosse il santo che è si schiafferebbe una mano in faccia e mi
manderebbe a fanculo e io non potrei biasimarlo visto
che me lo merito, invece continua paziente.
Ti voglio bene, socio.
“Si chiamano Tokio Hotel.”
Il nome mi evoca il vuoto più assoluto.
“Fra, sei senza speranza!”
“Già, ma intanto per colpa di ‘sti illustri sconosciuti mi tocca fare a botte per entrare!
EHI! FATEMI PASSARE!”
Alì sgrana gli occhi, ho urlato come un
muratore incazzato, ma in tedesco.
Sorpresa! Ho assorbito più di quello che voglio far credere! Ah Ah!
La folla, composta per la maggior parte da
ragazze, mi gela , io sorrido spavalda, mentre i ragazzi ridacchiano divertiti
per un motivo ignoto.
“Zitta tu!”mi urla un’assatanata.
“Zitta tu e fammi passare, poi potrai
riprendere a sbavare e urlare senza me tra i piedi!”
Mi manda al diavolo, stringo i pugni
pronta a passare alle mani, ma sbuffando si sposta e fa spostare le sue degne
compari.
Con le buone maniere si ottiene sempre
tutto, almeno con certa gente regredita allo stato di branco.
Il mio amico è senza parole,così parlo io,
qualcuno dovrà pur tenere viva la conversazione!
“Perché i ragazzi ridacchiavano?”
“Perché è raro trovare una ragazza capace
di affrontarle così…”
“Sono solo ragazzine.”
“Ma tu come fai?”
“Io? Io non ho nulla da perdere, quindi
posso fare la pazza finché voglio.”
Scuote la testa pensieroso, non credo mi
capisca fino in fondo nemmeno lui, ma neanche io a volte ci riesco.
“Io voglio una vita mia.
Non voglio che siano altre persone a
decidere per me, persone a cui non importa nulla di me, ma che fingono che io
gli interessi.
Lo so che è complicato, ma io non mi fido
di nessuno.
Non più”
Il discorso è vecchio, frutto di un altro
pensiero contorto a cui lui non replica nemmeno più, mi lascia andare verso
l’angolo dei fumatori ad affumicarmi i polmoni, scuotendo la testa
sconsolato,buon vecchio socio.
I ragazzi continuano a guardarmi con un
misto di rispetto e ammirazione, spero di non diventare una celebrità, ma non
posso negare che questo sentirmi per un attimo parte di un posto mi faccia stare bene.
Peccato che questo non sia il mio posto…
Mi appoggio al muro con aria indifferente
e mi accendo una sigaretta.
Il fumo sale lento, mi perdo incantata a
guardarlo, vorrei sparire anch’io.
Disperdermi nel cielo, non avere un corpo,
essere effimera, senza peso e preoccupazioni.
Sogni.
Fottuti sogni.
La realtà è questa però, io ho un corpo e
devo tirare avanti qui dove sono.
Fanculo.
Un’ombra mi sovrasta, togliendomi la luce
del sole, torno bruscamente alla realtà strappata alle mie farneticazioni
da un ignoto osservatore.
Alzo gli occhi, un tizio dai lunghi rasta
biondo scuro e dal sorriso sbilenco mi guarda come se fossi un pezzo di carne
succulento.
Lo trucido con un’occhiata, sperando che
capisca che non ho voglia di playboy scocciatori attorno, ma lui non se ne va e
attacca a parlare.
Non capisco una sola parola, accidenti!
Alì dove sei quando ho bisogno di te?
Provo a mugugnare qualcosa, ma lui
appoggia le mani al muro dietro di me e prova a baciarmi.
Questo è troppo!
“Sei un barabba!”urlo in italiano un
insulto assurdo che rimarrà incomprensibile per lui nei secoli a venire, ma non
basta ovviamente.
Gli mollo un cinquino sulla guancia che lo
lascia stordito, il rumore risuona come una fucilata nel angolo di cortile.
Sento delle risate e dei commenti su di
lui , mi accorgo che dietro il Don Giovanni crucco ci sono altri due ragazzi
che hanno seguito con interesse la scena.
Bella li! La mia prima figuraccia del
giorno!
Lui mi lancia un occhiata di fuoco e se ne
va, sibilando con ogni probabilità degli insulti.
Credo si chiami Tom, almeno tra il groviglio
di parole mi è parso di sentire questo nome, a essere sinceri un pochino mi
dispiace per lo smacco cha ha subito davanti agli amici, ma io non sono una
persona facile, a cui bastano quattro stronzate per capitolare soprattutto se
dette in una lingua che per me è quasi aliena.
Osservo i suoi amici, un ragazzo biondo
non molto alto che mi guarda interessato, forse si chiede chi è la pazza che ha
osato dare un ceffone al suo amico Casanova e uno con i capelli maniacalmente piastrati piegato
in due dalle risate.
Il piastrato,
che sembra il più grande della combriccola se ne va dopo avermi fatto
presumibilmente un complimento e un “ciao”con la mano con delle lacrime grandi
come olive che gli solcano le guance , lo seguo stranita con lo sguardo.
È un pazzo, non c’è altra spiegazione e
questa mattina sta prendendo una piega strana senza ombra di dubbio.
Rimaniamo io e il biondino che mi scruta
in silenzio mettendomi a disagio, non mi piace essere fissata a lungo,di solito
mando al diavolo la gente che fa così ma con lui non ci riesco.
“Perché?” Chiede una vocina dentro di me.
“Bho!”risponde
un’altra.
Ho le idee chiare, molto chiare.
In ogni caso mi chiede qualcosa che io non
capisco, sospiro, maledicendo per la prima volta la mia testardaggine che mi ha
portato a ignorare la possibilità che un
giorno avrei voluto parlare con qualcuno che reputavo interessante.
È tardi per i rimpianti ormai ,con il mio
miglior tedesco e sperando di non sembrare una ritardata gli chiedo di ripetere
più piano.
“Sei straniera?”
“Italiana.”
“Ok, come ti chiami?”
“Francesca. Tu?”
Si gratta perplesso la testa.
“tu non sai come mi chiamo?”
Lo conosco da nemmeno cinque minuti, come
faccio a saperlo?
La domanda mi si legge in faccia,
inspiegabilmente lui ne è sollevato e mi fa un sorrisone luminoso che mi
ricorda quelli di Alì per gli eventi speciali o particolarmente felici.
Anche lui deve avere qualche rotellina
fuoriposto, gli scombinati li attiro tutti io.
“Gustav.”
“Ok, ciao Gustav.
Perché parli con me?”
Scoppia a ridere, non sapevo di avere doti
da clown, da psicotica lo sospettavo ma da clown no.
Non appena si riprende, inizia a scandire
lentamente la risposta.
“Perché non capita tutti i giorni che
qualcuna non cada ai piedi di Tom.
Volevo sapere perché.”
Do un tiro alla sigaretta per schiarirmi
le idee, il mio tedesco traballa più di un castello di carte esposto alla bora
ne sono acutamente consapevole purtroppo.
Prendo fiato come se dovessi fare una
confessione dolorosa e comincio a parlare, sperando che non mi giudichi una
cretina per come parlo,
Questo è il secondo pensiero che mi
stupisce non poco in nemmeno cinque minuti, scuoto la testa sotto il suo
sguardo perplesso,
Ok, mi avrà scambiato per una mattoide.
Come sempre quando sono nervosa gesticolo
e in un misto allucinante di tedesco, italiano ed inglese, gli spiego che non
mi piace la gente che ci prova così spudoratamente nemmeno se sono bei ragazzi
come il suo amico.
Lui annuisce sorridendo, comprensivo.
Chissà cosa pensa del mio atroce patois di
lingue?
Non voglio saperlo, è meglio per la mia
autostima che non lo sappia…
Il suono della campanella mi salva dal
continuare la mia prima disastrosa conversazione con un abitante della Tedeschia da due mesi a questa parte.
“Devo andare.”
“Ok, ciao!”
Butto la cicca e corro verso il ghetto.
Sta per iniziare un altro noioso giorno di
scuola o almeno cerco di convincermene.
A memoria d’uomo non ho mai vissuto una
mattinata così lunga e stressante, non me ne è andata bene una e manca ancora
un’ora alla fine delle lezioni.
Non oso pensare a cosa potrebbe succedere
d’altro, forse solo l’apocalisse ormai.
Sono arrivata in ritardo alla prima ora
per colpa di quel Gustav e della mia
sfortuna nera che mi porta a fare la mia prima conversazione con un indigeno a
cavallo dell’inizio della lezione.
Sfiga number one.
Quello di tedesco mi ha letteralmente
martellata in un interrogazione distruggi neuroni che mi lasciata talmente
sconvolta da non sapere articolare più nemmeno una frase in italiano.
Sfiga number two.
Last but not least, all’intervallo non ho
fumato e questo mi rende nervosa il doppio, visto che è successo a causa della
band ignota e delle loro seguaci oche che presidiavano i corridoi come
gendarmi.
Non li conosco nemmeno e già mi stanno
appesi per i casini che mi hanno creato….
No..
Non è vero, non li odio, odio quelle
dementi che mi hanno impedito di
raggiungere il mio agognato e adorato cortile e di fumare la sigaretta
antistress di metà mattina.
Maledette!Le strozzerei!
Sospiro a bassa voce, il professore di
matematica non ama chi si distrae e ovviamente non ama me che guardo più
volentieri fuori dalla finestra che la lavagna piena di formule
incomprensibili.
“Girardi!!”
Come non detto la iena mi ha sgamato in
pieno, arrossisco, per poi mi riconcentrarmi sul quaderno.
Sono stanca di stare qui!
Che Qualcuno mi salvi!
Che Gli alieni mi rapiscano!
Che arrivi la fine del mondo….Questo
forse è eccessivo…
La
campanella mi salva dal continuare a fingere che la lezione mi interessi,
raccatto le mie cose, la prossima lezione è quella di inglese e ho l’onore di
seguirla con i normali.
Saluto Alì, sfreccio nei corridoi ancora
insolitamente animati e mi fiondo nella classe al mio posto in prima fila vista
lavagna.
Incredibilmente il posto accanto al mio è
occupato, non è mai successo in due mesi ed è una faccia nuova, chissà chi è?
Lo guardo meglio, ha i capelli neri,
corti, dietro sono irti e davanti ha un lungo ciuffo a coprirgli un occhio, ha
anche un piercing al sopracciglio.
Tossicchio imbarazzata.
Lui mi nota, perplesso, non ha idea di chi
sia io e sembra a metà tra il preoccupato e lo scocciato.
“Chi sei?”
“Sono Francesca….Sto
al banco accanto al tuo.”
Inarca un sopracciglio ed attacca un
monologo di cui non capisco nulla, come
faccio a fermarlo?
Sberla o sbraito?
Sbraito.
“ASPEEETTAA!”
L’urlo mi esce spontaneo, in italiano,
forse per questo si zittisce e mi guarda sconvolto.
“sei italiana…””
Annuisco e gli spiego nel mio tedesco
zoppicante che vengo dalla classe speciale per seguire la lezione di inglese,
solo allora si calma e mi fa passare.
Decido di iniziare una conversazione,
giusto per sapere con chi ho l’onore di dividere la fila.
“come ti chiami?”
“Non lo sai?”
Ma sono tutti pazzi oggi? Mi hanno preso
per una veggente?.
“Ti vedo oggi per la prima volta.”rispondo
piccata.
Sgrana gli occhi, sembra davvero un bambino….Un bambino con gli occhioni
truccati di nero.
“Sono Bill.”
“Piacere Bill, Francesca!”
Mi siedo sorridendo, con me attaccano
bottone solo gli strani, ma come il biondino di stamattina questo Bill mi sta
simpatico a pelle.
La lezione si snoda lenta, ma sono di buon
umore, per uno strano scherzo del destino io l’inglese lo parlo e lo capisco
benissimo, non posso dire lo stesso del mio compagno di banco.
Ogni tanto lo sbircio, non ha l’aria di
capire molto, ha un repertorio di smorfie buffe e strane , probabilmente su
di lui l’inglese ha lo stesso effetto
del tedesco su di me.
Ha tutta la mia solidarietà.
“Kaulitz!”
Sobbalza, la professoressa l’ha puntato
con una domanda abbastanza facile, ma lui inizia a sudare copiosamente, come se
gli avessero chiesto una traduzione en passant dal inglese antico.
Sbarra gli occhi, boccheggia, deglutisce,
tra poco gli colerà il trucco, praticamente è annientato dalla megera davanti a
lui e dall’oscurità dell’inglese.
Non posso lasciarlo così, so benissimo
cosa si provi e quanto sia gratificante avere un’anima pia che ti suggerisce la
frase giusta, così gli suggerisco la risposta che balbetta incerto.
La professoressa alza un sopracciglio
dubbiosa, ma decide di lasciare perdere e continua a spiegare
Salvato in corner.
“Grazie.”Sussurra”MI
hai salvato la vita.”
“Esagerato.”
“No, davvero!”
Mi fa un sorriso splendente, degno della
pubblicità di un dentifricio suggerisce la parte da ragazzina smielata che c’è
in me e che mi fa sorridere di rimando.
È la giornata dei miracoli e delle cose
impossibili, prossimamente questa cittadina si ritroverà alle prese con un
metro di neve verde, ne sono certa.
La lezione continua normalmente, deliri miei
a parte, fino al suono della campana che accolgo sorridendo come una scema,
ignara che il peggio stia per arrivare.
Mai abbassare la guardia Girardi, ormai dovresti saperlo.
Tornando a bomba la scena è all’incirca
questa:io me ne sto per andare scialla scialla , moderatamente felice per la fine di un’altra
giornata in questo postaccio insieme al mio nuovo compagno di banco, strano ma
all’apparenza simpatico quando la professoressa Mayer ci richiama.
Iniziano i sintomi da ansia precolloquio, è una fenomenologia diffusa e conosciuta.
Panico che sale dalle viscere che inizia a
farmi sudare di nuovo e mi fa sgranare gli occhi come fari.
Imprecazione di rito, il classico
“merda”che va bene un po’ per tutte le situazioni,.
E la domanda retorica che si pone ogni
studente alle prese con i professori:”Perché?”.
“Girardi…Vorrei affidarle un incarico.”
“Si professoressa. Di che genere?”
E cosa c’entra il tizio accanto a me?
“Darà ripetizioni a Kaulitz,
non creda che non mi sia accorta che è stata lei a suggerirgli la risposta.”
La mascella rischia di staccarsi dalla mia
faccia allucinata.
“Lui forse imparerà un po’ di inglese e lei forse un po’ di tedesco e
socializzerà.”
“Ma…”
“non discuta signorina, il mio è un
ordine!”
Lancio un’occhiata disperata alla pertica
muta che è alla mia destra, ma lui sembra contento della situazione.
Traditore!
Sono furente ed indignata, credevo di
avere un alleato, accidenti!
Dov’è finita la solidarietà tra gli esseri
umani?
“ok…”
“Iniziate oggi!”
Spero che adesso non si metta a dettarmi
anche gli orari perché potrei mettermi a urlare.
“Va bene.”
“ora potete andare!”
Ci allontaniamo, io incavolata come una
biscia, lui serafico.
Perché non sono stata zitta?
Sono talmente immersa nelle mie
elucubrazioni su come scantonare questa scocciatura che non mi accorgo che per
un pelo non siamo finiti tra la massa
furente delle invasate.
Lui si pietrifica.
“Biiill!!”
“Le conosci?”
Mi afferra per un braccio e mi trascina
verso l’uscita di sicurezza, senza dire una parola.
Cosa diavolo sta succedendo?
Cosa mi sono persa?
“Ehi! Mollami!”
“Sta zitta! Ti spiego dopo!”
Siamo nel cortile, poi in una strada
laterale accanto alla scuola dove c’è parcheggiata una macchina con i vetri
scuri su cui mi fa segno di salire.
È troppo, non ho intenzione di assecondare
la follia di uno che per quanto ne so potrebbe essere un maniaco!
“io lì non ci salgo!”
“ti spiego dentro!”
Mi fa salire senza complimenti, sono al
limite dell’esplosione.
“Siamo dentro. Parla.”
“Sono Bill Kaulitz.”
“Questo lo so!”
“Sono il cantante dei Tokio Hotel.”
Sgrano gli occhi come una demente, tutti i
tasselli stanno andando al loro posto, lui è quello che cercavano le invasate,
è per colpa sua non ho fumato!!
Sto per dirgliene quattro, quando la
portiera si apre e fa capolino l’ultima persona che mi aspetto di vedere:il
casanova con i dreadlock di stamattina.
“Cosa cazzo ci fai qui?”
Gentile.
“Lui è Tom, il mio gemello.
Temo dovrai aiutare anche lui.”
Il colpo shocca e ammutolisce tutti e due,
non ci scorderemo facilmente il 28 ottobre del 2005.
Ne io ne lui.
ANGOLO DI LAYLA
Salve, eccomi di ritorno con una nuova
storia, non ho molto da dire a parte questo…
1)
Mi scuso infinitamente con chi
seguiva “Un fantasma per amico”, la fiction è stata tolta perché non avevo idea
di come continuarla ed ero disperata, così per il momento ho lasciato perdere.
Non è detto che in futuro non ci ritorni
sopra e la finisca, ma futuro è una parola ampia e fumosa e non è affatto detto
che lo faccia: in parole povere?
Non sperateci troppo potreste rimanerne
delusi (MI dispiace Lady Cassandra e Broken 93 ^^’’)
2)
Detto questo, ho bisogno di pareri e critiche.
Ditemi qualsiasi cosa ne pensiate, soprattutto se qualcuno ha suggerimenti sul
titolo della fiction migliore del mio mi fa un favore grande come
un grattacielo e verrà ricompensato XD
Soprattutto commentate,
qualsiasi cosa è meglio del silenzio, anche sentirmi dire che farei meglio a
darmi alla coltivazione di patate nel mio orticello o che se si vedrà ancora una
mia storia pubblicata verrete a casa mia e mi prenderete a randellate XD.
Ok?
3) Le frasi in corsivo all'inizio sono
l'attacco di "Francesca ha gli anni che ha" dei Tre Allegri Ragazzi
Morti che è un po’ il filo conduttore di tutta la storia.
La Frase di Liga che cita Fra fa
parte della canzone "Walter il mago".
Il titolo del primo capitolo
cita un verso di "L'impresa eccezionale"degli Articolo 31.
Non credo di avere altro da dire.
Al prossimo capitolo . . . Se troverò commenti
^^.