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Autore: Layla    16/05/2009    8 recensioni
"Detesto questo posto e detesto mia madre che mi ha trascinato qui, capisco che non poteva agire in modo diverso, ma questo non cambia la sostanza delle cose, io qui non riesco a viverci.
Trascinata in un paese straniero contro la mia volontà, non che in Italia stessimo bene ma almeno ero a casa, tra le cose che conoscevo da una vita e in cui la lingua non mi era totalmente estranea.
Tedesco…
Non l’ho mai capito ne mai lo capirò fino in fondo,nemmeno ora che le circostanze mi hanno obbligata a farlo con il trasferimento in Germania."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei componenti Tokio Hotel, nè offendere il gruppo o i suoi componenti singoli in alcun modo'

1))SU COME L’IMPRESA ECCEZIONALE SIA ESSERE NORMALE

 

Francesca ha gli anni che ha
capisce quello che capisce
capisce che qui non va
e a me mi basta.


Ho sempre odiato la sveglia, faccio parte di quella categoria di persone che la prenderebbero volentieri a martellate e poi salterebbero sopra i pezzi con la gioia primitiva che segue all’annientamento di un nemico, ma tra le tante sfortune che costellano la mia vita c’è anche quella di doverla sopportare ogni santa mattina.

Un gallo smette di cantare se minacci di tirargli una ciabatta, una sveglia..no…

Spero sempre che sparisca durante la notte ma c.v.d inizia un altro giorno ed è scandito dal suono dell’aggeggio infernale.

È un  suono che odio se non lo si fosse capito, ma è sempre meglio della scossa poco amichevole di mia madre se non darò segni di vita nei prossimi cinque minuti.

Tyson è un gentiluomo al suo confronto

Mi alzo di malavoglia, apro la finestra nella speranza che il paesaggio sia cambiato durante la notte, ma come la sveglia ha continuato ad esistere qui non è cambiato nulla, come cantava il Liga “anche se il mondo cambia
qualche mondo non cambia mai”.

Ieri sera ho lasciato un cortile anonimo e lo ritrovo esattamente uguale questa mattina, forse ha solo qualche sacchetto di spazzatura in più.

Detesto questo posto e detesto mia madre che mi ha trascinato qui, capisco che non poteva agire in modo diverso, ma questo non cambia la sostanza delle cose, io qui non riesco a viverci.

Trascinata in un paese straniero contro la mia volontà, non che in Italia stessimo bene  ma almeno ero a casa, tra le cose che conoscevo da una vita e in cui la  lingua non mi era totalmente estranea.

Tedesco…non l’ho mai capito ne mai lo capirò fino in fondo, nemmeno ora che le circostanze mi hanno obbligata a farlo con il trasferimento in Germania.

Sento la porta aprirsi, mia madre entra come una furia pronta a sbrandarmi.

“Sei sveglia! Muoviti Francesca, la scuola non aspetta te che guardi dalla finestra!”

Esce come è entrata, io sbuffo appena la porta si chiude dietro di lei.

Non è mai stato facile avere a che fare con mia madre, fin dove arrivano i miei ricordi l’ho sempre vista scontenta, frustrata, nervosa, scattava sempre per un nonnulla.

Da piccola non capivo perché, ma poi ci sono arrivata.

Non era questa la vita che avrebbe voluto e mio padre non era l’uomo che avrebbe sposato se non fossi arrivata io, ma io  ero nata  e lei non aveva più potuto tirarsi indietro.

Da qui la sua rabbia e…quella di mio padre.

Per anni si sono urlati di tutto, incuranti di me e dei miei due fratelli più piccoli, in litigi che scoppiavano come bombe per motivi assurdi e finivano con porte sbattute e piatti rotti.

A volte li sogno ancora la notte, sogno quella fottuta paura che provavo, una paura da fine del mondo, un senso di instabilità che mi faceva letteralmente mancare l’aria e che mi lasciava in lacrime stordita in un angolo con le mani sulle orecchie per non sentirli.

La nostra era una casa piena di macerie, in un certo senso, le macerie della nostra famiglia e io ero quella  a cui toccava consolare i più piccoli, la mamma non l’ha mai fatto.

Ci ha sempre lasciato soli a vagare come superstiti  della loro guerra personale.

Inizio a vestirmi con gesti lenti, i ricordi fanno male, mi intorpidiscono.

È finito tutto qualche mese fa con mio padre che ha fatto il botto, arrestato per rapina a mano armata.

La mamma aveva vinto.

Forse.

Aveva ottenuto il divorzio e se ne era andata da quella cittadina in riva al mare che odiava e che diceva la soffocasse,  ma nessuno di noi era felice, ne io, ne i miei fratelli, ne tantomeno lei.

Pesco qualcosa dall’armadio e controllo cosa il fato ha deciso che indossi stamattina:Jeans strappati, un foulard come cintura, una maglia colorata e un maglione.

Accettabile.

Mi lavo, mi pettino i capelli neri e ondulati, mi trucco pesantemente di nero i miei occhi scuri.

Sono i soliti gesti meccanici che finiscono solo quando lo specchio mi comunica che la mia personale armatura,  la mia maschera è pronta e non necessita di altro.

Sono Francesca quella sempre strana, l’italiana che  non parla una mazza della lingua del posto e che non la vuole imparare, sono diventata quello che gli altri credono che io sia.

Dimenticavo, sono anche complicata e formulo spesso pensieri e teorie comprensibili solo a me, questo è uno di questi ovviamente.

Esco dal bagno, sorrido ai miei fratelli seduti al tavolo a fare colazione.

 “Ciao Fra!”

Questo è Luca ha dieci anni, sei meno di me.

“Ciao Francyyy!”

Questo invece è Andrea che mi salta in braccio con la spensieratezza dei suoi sei anni, gli scompiglio i capelli.

“Fai colazione?”

“No piccolo, sono in ritardo!”

Lo metto a terra, lui fa il broncio, poi mi porta una brioche, non la posso rifiutare anche se non ho fame.

“Grazie ometto, non so cosa farei senza di te!”

Sorride con’aria di importanza, gli do un buffetto.

“Vado.”

Il tono freddo è per mia madre, lei annuisce senza ascoltarmi davvero.

Non mi perdona per la guerra che le sto facendo , anche a scuola dove faccio di tutto per non inserirmi, forse in fondo non mi perdona per essere nata.

Scuoto la testa, questa mattina i brutti pensieri non mi danno tregua.

Prendo la cartella e la giacca, finalmente sono fuori, alleluia!

Alì mi aspetta in cortile con la sua solita aria placida, invidio la sua calma, la sua accettazione zen degli avvenimenti, io non sarò mai così.

Per sempre condannata a essere consumata da una rabbia che non mi lascia in pace.

Melodramma allo stato puro, ripigliati Fra!

“Ciao Frankie!”

Mi fa dono di uno dei suoi sorrisoni migliori, mentre io bofonchio un “Ciao”appena udibile mentre cerco le sigarette.

“Non possiamo saltare oggi?”

“C’è l‘interrogazione di tedesco!”

“Appunto!”

“Non potrai scappare in eterno!”

“Mi accontento di andarmene da questo posto di merda!”

Fa una faccia perplessa, credo non abbia capito l’ultima parola.

“Lascia perdere…

Gli sorrido per non offenderlo, non voglio giocarmi l’unico amico che ho qui, nonché l’unico che parli la mia lingua.

Alì è turco, ma è stato in italia per un po’, quindi mi capisce…almeno lui.

“Non ti capisco.”

“Tu hai una bella famiglia, è per questo che non capisci…

Il tono è amaro, lo fa zittire per tutto il tragitto.

Mi tirerei una manata in faccia, perché rovino sempre tutto?

“Scusa.”

Accettate…ma non potrai essere in guerra con il mondo per sempre…

Sospiro, vorrei che fosse così ma al momento non vedo spiragli nel buio che mi avvolge, vorrei solo andarmene, ma purtroppo devo rimanere fino alla fine del liceo.

Se mai lo finirò, non è così scontato.

Io e Alì siamo in una classe speciale dove si occupano di inserirci nella scuola, attraverso corsi di lingua e lezioni che ci mettano a pari con gli altri, ma di fatto siamo nel ghetto.

No, la frase giusta è:”Io sono nel ghetto”.

L’unica lezione che frequento con la classe “normale” è quella di inglese, ovviamente nella solitudine più totale a cui  mi sono autocondannata.

Alì tra poco se ne andrà tra i normali, il mio tedesco invece non fa progressi, io non socializzo,i professori sono scontenti, il che mi fa temere che ci rimarrò a lungo e che mi bocceranno a fine anno.

Fantastico.

Com’è il detto? Le disgrazie sono come le ciliegie, arrivano sempre a due a due.

Arriviamo ai cancelli della scuola, c’è una massa insolita che non lascia passare nessuno.

Cosa diavolo sta succedendo? Una rivolta?

Naaa… sarebbe troppo bello, sono sicura che c’è una spiegazione più razionale e che forse Alì ne è a conoscenza, forza Francè chiediglielo!

Alì…

“Si?”

“Perché c’è così casino?”

“In che mondo vivi? Oh già…è vero, non vuoi sapere nulla di quello che succede in questo posto…

Comunque oggi tornano a scuola degli alunni famosi..”

Inarco un sopracciglio perplessa, questa scuola ha ospitato dei personaggi famosi?

“Sono un gruppo di ragazzi che hanno all’incirca la nostra età…bhe solo due, a essere sinceri.

Hanno una band abbastanza famosa qui…””

Il mio silenzio perplesso lo scoraggia, se Alì non fosse il santo che è si schiafferebbe una mano in faccia e mi manderebbe a fanculo e io non potrei biasimarlo visto che me lo merito, invece continua paziente.

Ti voglio bene, socio.

“Si chiamano Tokio Hotel.”

Il nome mi evoca il vuoto più assoluto.

“Fra, sei senza speranza!”

“Già, ma intanto per colpa di ‘sti illustri sconosciuti mi tocca fare a botte per entrare!

EHI! FATEMI PASSARE!”

Alì sgrana gli occhi, ho urlato come un muratore incazzato, ma in tedesco.

Sorpresa! Ho assorbito  più di quello che voglio far credere! Ah Ah!

La folla, composta per la maggior parte da ragazze, mi gela , io sorrido spavalda, mentre i ragazzi ridacchiano divertiti per un motivo ignoto.

“Zitta tu!”mi urla un’assatanata.

“Zitta tu e fammi passare, poi potrai riprendere a sbavare e urlare senza me tra i piedi!”

Mi manda al diavolo, stringo i pugni pronta a passare alle mani, ma sbuffando si sposta e fa spostare le sue degne compari.

Con le buone maniere si ottiene sempre tutto, almeno con certa gente regredita allo stato di branco.

Il mio amico è senza parole,così parlo io, qualcuno dovrà  pur  tenere viva la conversazione!

“Perché i ragazzi ridacchiavano?”

“Perché è raro trovare una ragazza capace di affrontarle così…

“Sono solo ragazzine.”

“Ma tu come fai?”

“Io? Io non ho nulla da perdere, quindi posso fare la pazza finché voglio.”

Scuote la testa pensieroso, non credo mi capisca fino in fondo nemmeno lui, ma neanche io a volte ci riesco.

“Io voglio una vita mia.

Non voglio che siano altre persone a decidere per me, persone a cui non importa nulla di me, ma che fingono che io gli interessi.

Lo so che è complicato, ma io non mi fido di nessuno.

Non più”

Il discorso è vecchio, frutto di un altro pensiero contorto a cui lui non replica nemmeno più, mi lascia andare verso l’angolo dei fumatori ad affumicarmi i polmoni, scuotendo la testa sconsolato,buon vecchio socio.

I ragazzi continuano a guardarmi con un misto di rispetto e ammirazione, spero di non diventare una celebrità, ma non posso negare che questo sentirmi per un attimo parte di un posto  mi faccia stare bene.

Peccato che questo non sia il mio posto…

Mi appoggio al muro con aria indifferente e mi accendo una sigaretta.

Il fumo sale lento, mi perdo incantata a guardarlo, vorrei sparire anch’io.

Disperdermi nel cielo, non avere un corpo, essere effimera, senza peso e preoccupazioni.

Sogni.

Fottuti sogni.

La realtà è questa però, io ho un corpo e devo tirare avanti qui dove sono.

Fanculo.

Un’ombra mi sovrasta, togliendomi la luce del sole, torno bruscamente alla realtà strappata alle mie farneticazioni

da un ignoto osservatore.

Alzo gli occhi, un tizio dai lunghi rasta biondo scuro e dal sorriso sbilenco mi guarda come se fossi un pezzo di carne succulento.

Lo trucido con un’occhiata, sperando che capisca che non ho voglia di playboy scocciatori attorno, ma lui non se ne va e attacca a parlare.

Non capisco una sola parola, accidenti!

Alì dove sei quando ho bisogno di te?

Provo a mugugnare qualcosa, ma lui appoggia le mani al muro dietro di me e prova a baciarmi.

Questo è troppo!

“Sei un barabba!”urlo in italiano un insulto assurdo che rimarrà incomprensibile per lui nei secoli a venire, ma non basta ovviamente.

Gli mollo un cinquino sulla guancia che lo lascia stordito, il rumore risuona come una fucilata nel angolo di cortile.

Sento delle risate e dei commenti su di lui , mi accorgo che dietro il Don Giovanni crucco ci sono altri due ragazzi che hanno seguito con interesse la scena.

Bella li! La mia prima figuraccia del giorno!

Lui mi lancia un occhiata di fuoco e se ne va, sibilando con ogni probabilità degli insulti.

Credo si chiami Tom, almeno tra il groviglio di parole mi è parso di sentire questo nome, a essere sinceri un pochino mi dispiace per lo smacco cha ha subito davanti agli amici, ma io non sono una persona facile, a cui bastano quattro stronzate per capitolare soprattutto se dette in una lingua che per me è quasi aliena.

Osservo i suoi amici, un ragazzo biondo non molto alto che mi guarda interessato, forse si chiede chi è la pazza che ha osato dare un ceffone al suo amico Casanova e uno con i capelli maniacalmente piastrati piegato in due dalle risate.

Il piastrato, che sembra il più grande della combriccola se ne va dopo avermi fatto presumibilmente un complimento e un “ciao”con la mano con delle lacrime grandi come olive che gli solcano le guance , lo seguo stranita con lo sguardo.

È un pazzo, non c’è altra spiegazione e questa mattina sta prendendo una piega strana senza ombra di dubbio.

Rimaniamo io e il biondino che mi scruta in silenzio mettendomi a disagio, non mi piace essere fissata a lungo,di solito mando al diavolo la gente che fa così ma con lui non ci riesco.

“Perché?” Chiede una vocina dentro di me.

Bho!”risponde un’altra.

Ho le idee chiare, molto chiare.

In ogni caso mi chiede qualcosa che io non capisco, sospiro, maledicendo per la prima volta la mia testardaggine che mi ha portato a ignorare la possibilità che  un giorno avrei voluto parlare con qualcuno che reputavo interessante.

È tardi per i rimpianti ormai ,con il mio miglior tedesco e sperando di non sembrare una ritardata gli chiedo di ripetere più piano.

“Sei straniera?”

“Italiana.”

“Ok, come ti chiami?”

“Francesca. Tu?”

Si gratta perplesso la testa.

“tu non sai come mi chiamo?”

Lo conosco da nemmeno cinque minuti, come faccio a  saperlo?

La domanda mi si legge in faccia, inspiegabilmente lui ne è sollevato e mi fa un sorrisone luminoso che mi ricorda quelli di Alì per gli eventi speciali o particolarmente felici.

Anche lui deve avere qualche rotellina fuoriposto, gli scombinati li attiro tutti io.

“Gustav.”

“Ok, ciao Gustav.

Perché parli con me?”

Scoppia a ridere, non sapevo di avere doti da clown, da psicotica lo sospettavo ma da clown no.

Non appena si riprende, inizia a scandire lentamente la risposta.

“Perché non capita tutti i giorni che qualcuna non cada ai piedi di Tom.

Volevo sapere perché.”

Do un tiro alla sigaretta per schiarirmi le idee, il mio tedesco traballa più di un castello di carte esposto alla bora ne sono acutamente consapevole purtroppo.

Prendo fiato come se dovessi fare una confessione dolorosa e comincio a parlare, sperando che non mi giudichi una cretina per come parlo,

Questo è il secondo pensiero che mi stupisce non poco in nemmeno cinque minuti, scuoto la testa sotto il suo sguardo perplesso,

Ok, mi avrà scambiato per una mattoide.

Come sempre quando sono nervosa gesticolo e in un misto allucinante di tedesco, italiano ed inglese, gli spiego che non mi piace la gente che ci prova così spudoratamente nemmeno se sono bei ragazzi come il suo amico.

Lui annuisce sorridendo, comprensivo.

Chissà cosa pensa del mio atroce patois di lingue?

Non voglio saperlo, è meglio per la mia autostima che non lo sappia…

Il suono della campanella mi salva dal continuare la mia prima disastrosa conversazione con un abitante della Tedeschia da due mesi a questa parte.

“Devo andare.”

“Ok, ciao!”

Butto la cicca e corro verso il ghetto.

Sta per iniziare un altro noioso giorno di scuola o almeno cerco di convincermene.

 

A memoria d’uomo non ho mai vissuto una mattinata così lunga e stressante, non me ne è andata bene una e manca ancora un’ora alla fine delle lezioni.

Non oso pensare a cosa potrebbe succedere d’altro, forse solo l’apocalisse ormai.

Sono arrivata in ritardo alla prima ora per colpa di quel Gustav e della  mia sfortuna nera che mi porta a fare la mia prima conversazione con un indigeno a cavallo dell’inizio della lezione.

Sfiga number one.

Quello di tedesco mi ha letteralmente martellata in un interrogazione distruggi neuroni che mi lasciata talmente sconvolta da non sapere articolare più nemmeno una frase in italiano.

Sfiga number two.

Last but not least, all’intervallo non ho fumato e questo mi rende nervosa il doppio, visto che è successo a causa della band ignota e delle loro seguaci oche che presidiavano i corridoi come gendarmi.

Non li conosco nemmeno e già mi stanno appesi per i casini che mi hanno creato….

No..

Non è vero, non li odio, odio quelle dementi  che mi hanno impedito di raggiungere il mio agognato e adorato cortile e di fumare la sigaretta antistress di metà mattina.

Maledette!Le strozzerei!

Sospiro a bassa voce, il professore di matematica non ama chi si distrae e ovviamente non ama me che guardo più volentieri fuori dalla finestra che la lavagna piena di formule incomprensibili.

Girardi!!”

Come non detto la iena mi ha sgamato in pieno, arrossisco, per poi mi riconcentrarmi sul quaderno.

Sono stanca di stare qui!

Che Qualcuno mi salvi!

Che Gli alieni mi rapiscano!

Che arrivi la fine del mondo….Questo forse è eccessivo…

 La campanella mi salva dal continuare a fingere che la lezione mi interessi, raccatto le mie cose, la prossima lezione è quella di inglese e ho l’onore di seguirla con i normali.

Saluto Alì, sfreccio nei corridoi ancora insolitamente animati e mi fiondo nella classe al mio posto in prima fila vista lavagna.

Incredibilmente il posto accanto al mio è occupato, non è mai successo in due mesi ed è una faccia nuova, chissà chi è?

Lo guardo meglio, ha i capelli neri, corti, dietro sono irti e davanti ha un lungo ciuffo a coprirgli un occhio, ha anche un piercing al sopracciglio.

Tossicchio imbarazzata.

Lui mi nota, perplesso, non ha idea di chi sia io e sembra a metà tra il preoccupato e lo scocciato.

“Chi sei?”

“Sono Francesca….Sto al banco accanto al tuo.”

Inarca un sopracciglio ed attacca un monologo di cui non  capisco nulla, come faccio a fermarlo?

Sberla o sbraito?

Sbraito.

 “ASPEEETTAA!”

L’urlo mi esce spontaneo, in italiano, forse per questo si zittisce e mi guarda sconvolto.

“sei italiana…””

Annuisco e gli spiego nel mio tedesco zoppicante che vengo dalla classe speciale per seguire la lezione di inglese, solo allora si calma e mi fa passare.

Decido di iniziare una conversazione, giusto per sapere con chi ho l’onore di dividere la fila.

“come ti chiami?”

“Non lo sai?”

Ma sono tutti pazzi oggi? Mi hanno preso per una veggente?.

“Ti vedo oggi per la prima volta.”rispondo piccata.

Sgrana gli occhi, sembra davvero un bambino….Un bambino con gli occhioni truccati di nero.

“Sono Bill.”

“Piacere Bill, Francesca!”

Mi siedo sorridendo, con me attaccano bottone solo gli strani, ma come il biondino di stamattina questo Bill mi sta simpatico a pelle.

La lezione si snoda lenta, ma sono di buon umore, per uno strano scherzo del destino io l’inglese lo parlo e lo capisco benissimo, non posso dire lo stesso del mio compagno di banco.

Ogni tanto lo sbircio, non ha l’aria di capire molto, ha un repertorio di smorfie buffe e strane , probabilmente su di  lui l’inglese ha lo stesso effetto del tedesco su di me.

Ha tutta la mia solidarietà.

Kaulitz!”

Sobbalza, la professoressa l’ha puntato con una domanda abbastanza facile, ma lui inizia a sudare copiosamente, come se gli avessero chiesto una traduzione en passant dal inglese antico.

Sbarra gli occhi, boccheggia, deglutisce, tra poco gli colerà il trucco, praticamente è annientato dalla megera davanti a lui e dall’oscurità dell’inglese.

Non posso lasciarlo così, so benissimo cosa si provi e quanto sia gratificante avere un’anima pia che ti suggerisce la frase giusta, così gli suggerisco la risposta che balbetta incerto.

La professoressa alza un sopracciglio dubbiosa, ma decide di lasciare perdere e continua a spiegare

Salvato in corner.

“Grazie.”Sussurra”MI hai salvato la vita.”

“Esagerato.”

“No, davvero!”

Mi fa un sorriso splendente, degno della pubblicità di un dentifricio suggerisce la parte da ragazzina smielata che c’è in me e che mi fa sorridere di rimando.

È la giornata dei miracoli e delle cose impossibili, prossimamente questa cittadina si ritroverà alle prese con un metro di neve verde, ne sono certa.

La lezione continua normalmente, deliri miei a parte, fino al suono della campana che accolgo sorridendo come una scema, ignara che il peggio stia per arrivare.

Mai abbassare la guardia Girardi, ormai dovresti saperlo.

Tornando a bomba la scena è all’incirca questa:io  me ne sto per andare scialla  scialla , moderatamente felice per la fine di un’altra giornata in questo postaccio insieme al mio nuovo compagno di banco, strano ma all’apparenza simpatico quando la professoressa Mayer ci richiama.

Iniziano i sintomi da ansia precolloquio, è una fenomenologia diffusa e conosciuta.

Panico che sale dalle viscere che inizia a farmi sudare di nuovo e mi fa sgranare gli occhi come fari.

Imprecazione di rito, il classico “merda”che va bene un po’ per tutte le situazioni,.

E la domanda retorica che si pone ogni studente alle prese con i professori:”Perché?”.

 Girardi…Vorrei affidarle un incarico.”

“Si professoressa. Di che genere?”

E cosa c’entra il tizio accanto a me?

“Darà ripetizioni a Kaulitz, non creda che non mi sia accorta che è stata lei a suggerirgli la risposta.”

La mascella rischia di staccarsi dalla mia faccia allucinata.

  “Lui forse imparerà un po’ di inglese e lei forse un po’ di tedesco e socializzerà.”

Ma…

“non discuta signorina, il mio è un ordine!”

Lancio un’occhiata disperata alla pertica muta che è alla mia destra, ma lui sembra contento della situazione.

Traditore!

Sono furente ed indignata, credevo di avere un alleato, accidenti!

Dov’è finita la solidarietà tra gli esseri umani?

ok…

“Iniziate oggi!”

Spero che adesso non si metta a dettarmi anche gli orari perché potrei mettermi a urlare.

“Va bene.”

“ora potete andare!”

Ci allontaniamo, io incavolata come una biscia, lui serafico.

Perché non sono stata zitta?

Sono talmente immersa nelle mie elucubrazioni su come scantonare questa scocciatura che non mi accorgo che per un pelo non siamo finiti tra  la massa furente delle invasate.

Lui si pietrifica.

Biiill!!”

“Le conosci?”

Mi afferra per un braccio e mi trascina verso l’uscita di sicurezza, senza dire una parola.

Cosa diavolo sta succedendo?

Cosa mi sono persa?

“Ehi! Mollami!”

“Sta zitta! Ti spiego dopo!”

Siamo nel cortile, poi in una strada laterale accanto alla scuola dove c’è parcheggiata una macchina con i vetri scuri su cui mi fa segno di salire.

È troppo, non ho intenzione di assecondare la follia di uno che per quanto ne so potrebbe essere un maniaco!

“io lì non ci salgo!”

“ti spiego dentro!”

Mi fa salire senza complimenti, sono al limite dell’esplosione.

“Siamo dentro. Parla.”

“Sono Bill Kaulitz.”

“Questo lo so!”

“Sono il cantante dei Tokio Hotel.”

Sgrano gli occhi come una demente, tutti i tasselli stanno andando al loro posto, lui è quello che cercavano le invasate, è per colpa sua non ho fumato!!

Sto per dirgliene quattro, quando la portiera si apre e fa capolino l’ultima persona che mi aspetto di vedere:il casanova con i dreadlock di stamattina.

“Cosa cazzo ci fai qui?”

Gentile.

“Lui è Tom, il mio gemello.

Temo dovrai aiutare anche lui.”

Il colpo shocca e ammutolisce tutti e due, non ci scorderemo facilmente il 28 ottobre del 2005.

Ne io ne lui.

 

ANGOLO DI LAYLA

 

Salve, eccomi di ritorno con una nuova storia, non ho molto da dire a parte questo…

1)     Mi scuso infinitamente con chi seguiva “Un fantasma per amico”, la fiction è stata tolta perché non avevo idea di come continuarla ed ero disperata, così per il momento ho lasciato perdere.

Non è detto che in futuro non ci ritorni sopra e la finisca, ma futuro è una parola ampia e fumosa e non è affatto detto che lo faccia: in parole povere?

Non sperateci troppo potreste rimanerne delusi (MI dispiace Lady Cassandra e Broken 93 ^^’’)

2)    Detto questo, ho bisogno di pareri e critiche.
Ditemi qualsiasi cosa ne pensiate, soprattutto se qualcuno ha suggerimenti sul titolo della fiction migliore
del mio mi fa un favore grande come un grattacielo e verrà ricompensato XD

Soprattutto commentate, qualsiasi cosa è meglio del silenzio, anche sentirmi dire che farei meglio a darmi alla coltivazione di patate nel mio orticello o che se si vedrà ancora una mia storia pubblicata verrete a casa mia e mi prenderete a randellate XD.

Ok?

        3) Le frasi in corsivo all'inizio sono l'attacco di "Francesca ha gli anni che ha" dei Tre Allegri Ragazzi Morti che è un po’ il filo conduttore di tutta la storia.
            La Frase di Liga che cita Fra fa parte della canzone "Walter il mago".
            Il titolo del primo capitolo cita un verso di "L'impresa eccezionale"degli Articolo 31.

Non credo di avere altro da dire.

Al prossimo capitolo . . . Se troverò commenti ^^.

 

   
 
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