RACCONTO
SECONDO (slegato dagli altri due)
Alzò
lo sguardo e si rese conto di essere disteso su
di un pavimento, vicino a tanti cadaveri insanguinati.
Era
forse lui la causa di tutto questo?
No,
non era lui. Non poteva essere lui. Impossibile.
Il ragazzo cercò di eliminare ogni filo di consapevolezza
dalla sua mente.
Ma
quello davanti a lui – lo riconosceva – era il
cadavere del suo stesso padre.
Del
suo padre. Del suo stesso padre.
Perché
era morto?
Chi
aveva potuto permettere cio?
Il
ragazzo lo sapeva.
Era
stato lui.
Lui.
Voleva solo sperimentare la sua libertà, ecco
tutto. Suo padre era così severo e noioso – come
aveva potuto pensare ciò per
davvero? non gli avrebbe mai permesso di diventare allenatore di
Pokèmon. Come
si può distruggere così il sogno di un bambino?
Appena cresciuto abbastanza, il
ragazzo scappò di casa e cercò di inseguire il
suo sogno. Come fare per
diventare un esperto allenatore di Pokèmon? si chiedeva.
Si
era unito al Team Rocket. Non aveva altra scelta.
Era davvero così? No. Il ragazzo mentiva a sé
stesso.
Era
salito di rango rapidamente ed era diventato
un’autorità
assoluta, competendo perfino con Giovanni.
Un
giorno gli venne affidata come missione quella di
reperire un antichissimo e preziosissimo reperto archeologico. Appena
il
ragazzo lesse la missione gli venne un colpo al cuore: il proprietario
del
reperto era suo padre! Se la ricordava quella pietra che tenevano
sempre su un
cassetto. Doveva partire per la spedizione?
Lo
fece.
Suo
padre si spaventò quando lo vide lì. Era
dimagrito. Dimagrito per la perdita di un figlio. Gli disse parole.
Parole dure
e difficili da sopportare. Suo figlio era tornato.
Rifiutò
di consegnare il reperto. Sapeva che
importanza avrebbe avuto e che pericolosità conteneva. I
Rocket lo
circondavano.
Uno
lo minacciò. Fu allora che il ragazzo corse a
difendere il padre. Lo protesse dalla furia scannatrice dei soldati del
Team
Rocket. Il padre sorrise, commosso. Il figlio era davvero tornato.
Uno
di quei bastardi del Team osò sparare al
ragazzo. Il padre si interpose (aiutato dal suo Xatu) ed fece da scudo
al
figlio prima che questi venisse colpito dal proiettile. Il ragazzo
sopravvisse.
Lui no. Xatu no. I Rocket vennero colpiti dal proiettile deviato e
morirono
tutti.
Prima
di esalare l’ultimo respiro, il padre disse le
ultime parole al ragazzo: “Sai perché non ho mai
voluto che tu allenassi i
Pokèmon?” “No” “Tua
madre è morta uccisa da un Pokèmon furioso. Avevi
due anni”.
E
morì.
Il
ragazzo ora era solo, ma sapeva che altri soldati
del Team Rocket, capeggiati da Giovanni, sarebbero venuti presto ad
ucciderlo.
Chi
poteva permettero tutto questo?
RINGRAZIAMENTI
PER IL PRIMO CAPITOLO:
@
angel92: spero ti piaccia questo nuovo capitolo,
ho cercato di renderlo triste, non so se ci sono riuscito, fammi
sapere. A fra
poco il 3!