Capitolo 1
Nella
metro di Londra qualsiasi
passante sembrava un fantasma, nessuno calcolava minimamente l'altro.
Sembrava
un luogo freddo, ostile nonostante le centinaia di persone che c'erano.
Stava tornando a casa, era stanca e oltre questo nella sua mente si
proiettava
sempre il volto del ragazzo che aveva visto in foto.
Le sembrava vagamente di conoscerlo, ma era sicuramente solo
un'impressione.
Non sapeva nemmeno della sua esistenza fino a quando lui le aveva
mandato la
richiesta d'amicizia su Facebook.
Non ci aveva mai parlato, lo aveva visto da qualche parte, questo forse
sì, ma
nient'altro.
Lui le aveva scritto dopo nemmeno mezz'ora, e ad ogni messaggio lei si
sentiva
le farfalle nello stomaco. Sì.. avrebbe descritto la
sensazione così.
Era una cosa nuova per lei, non le era mai successo con nessuno, si
sentiva
strana.
Una tipica persona che crede nell'amore avrebbe detto probabilmente che
si era innamorata
follemente, ma lei non credeva in queste cose.
Anita
entrò nell'appartamento che
aveva comprato due mesi prima e si gettò a peso morto sul
divano.
Le piaceva quell'abitazione, l'aveva trovata ad un prezzo bassissimo
anche se
valeva molto di più.
Sua madre le aveva dato una mano a comprarlo, aiutandola anche con i
traslochi.
Anita non ricordava l'esatto motivo per il quale aveva fatto
quell'acquisto, ma
non le dispiaceva affatto vivere da sola.
Accese il televisore e guardò MasterChef, consapevole che
lei non sarebbe mai
arrivata a cucinare ai livelli dei concorrenti che partecipavano a quel
programma.
Sapeva cucinare, sì, ma non era nulla di speciale, giusto le
basi per chi vive
solo e non vuole passare la vita a mangiare cibi d'asporto.
Passata nemmeno mezz'ora calò in un sonno profondo.
Ultimamente le capitava di sognare sempre un ragazzo che
però giurava di non
conoscere, ma questa volta seppe chi era.
Kevin Pearson.
Ma perché lo sognava sempre?
Si
risvegliò che fuori pioveva a
dirotto, e la mattinata soleggiata che l'aveva portata ad andare a
correre
sembrava solo un lontano ricordo.
Ma quello era il tempo di Londra, e in una stagione invernale le volte
in cui
c'era il sole si potevano contare sulle dita di una mano.
Nonostante il brutto tempo decise di uscire lo stesso, aveva letto per
caso su
un giornale che quel pomeriggio ci sarebbe stata una fiera al coperto,
e lei
non aveva alcun motivo di restare chiusa in casa.
Indossò un vestito che le arrivava leggermente sopra il
ginocchio ed un
cappotto, ormai il freddo non le faceva effetto, ci era abituata a quel
clima.
Prese la Jubilee Line, la fiera distava giusto una centinaia di metri
da quella
fermata.
Quando
arrivò rimase sorpresa nel
vedere che c'erano poche persone, solitamente le fiere erano stracolme
di
visitatori curiosi, ma non se ne fece un problema.
La tranquillità era parte del suo essere, come poteva non
apprezzarla?
Si fermò ad alcune bancarelle, c'erano souvenir per turisti,
prodotti tipici ed
anche una bancarella dedicata interamente al Fish&Chips.
«Ehi, ciao» si sentì da dietro di lei,
si voltò immediatamente e rimase quasi
paralizzata.
Era proprio lui.
Capelli corti e neri, occhi marroni, alto e magro.
«Anita DeVitto?» le domandò insicuro.
«S..Sì, ma tu.. Tu sei il ragazzo dei miei
sogni»
Si accorse troppo tardi di ciò che aveva detto, che Kevin
adesso l'avesse presa
per una pazza?
Invece sorrise beffardo «Abbiamo solo chattato per mezz'ora e
già sei pazza di
me?»
Anita si fece rossa in volto.
«Credo tu abbia frainteso, non intendevo in quel senso,
cioè sì, ma.. Oddio, è
imbarazzante» si coprì il volto con le mani
ridendo nervosamente.
«Sì, lo è decisamente ahahah»
«Vedi, il punto è che.. ecco, ogni volta che mi
addormento tu appari nei miei
sogni.»
Il ragazzo si fece serio, per poi farle l'occhiolino.
«Beh, allora sarà destino, non credi?»
«Niente affatto, ti avrò visto da qualche parte e
mi sarai rimasto in mente»
«E quindi è destino.»
Anita sbuffò. Era testardo, molto testardo. E si capiva
anche che era abituato
che le ragazze gli andassero dietro.
Si vede che non mi conosce, si disse.
«Ora.. Che ne dici di dare ascolto al nostro destino ed
andare a prenderci
qualcosa alla bancarella dei caldi?» le propose Kevin.
Effettivamente non l'aveva considerata una pazza, e probabilmente
avrebbe
voluto saperne un po' di più di lei.
«Posso prendermi un thè English Breakfast o poi
sembrerà un po' troppo alla
Cinquanta Sfumature di Grigio?»
«Bhe direi di no, visto che io non sono nemmeno lontanamente
un Cristian Grey»
le sorrise.
«Ma
non mi dire.. E poi che è
successo?» chiese curiosa sorseggiando il thè.
«Sono stato espulso anche da lì, ed una volta
uscito fuori c'era uno del
gruppetto che ha cercato di menarmi, l'ho sbattuto contro al muro della
scuola
stessa e da lì ho capito che fare arti marziali e cose del
genere non faceva
per me» concluse ridendo.
Rideva anche Anita, quel ragazzo non le sembrava tanto male infondo.
Era
abbastanza interessante, aveva di cosa parlare senza dire sempre "Io
sono,
io faccio, io ho", ne parlava come se fosse una cosa del passato di cui
ridere, ma non si vantava affatto.
«Immagino che anche tu abbia fatto qualche bravata da
giovane, racconta» la
incitò bevendo il suo caffè.
«Beh sì.. In terza media facevo danza
classica» si fermò perché Kevin aveva
iniziato a ridere «Cosa c'è di tanto
divertente?»
«Niente, è solo che.. Tu, danza classica. Non mi
sembrano due cose che possano
andare d'accordo»
«E invece sì, ascolta. I miei mi impedirono di
andarci, e sai perchè? C'era una
ragazza, che oltre tutto mi era compagna di classe, che non faceva
altro che
cercare di deridermi davanti a tutti, così un giorno eravamo
rimaste solo io e
lei negli spogliatoi e lei aveva iniziato a prendermi in giro,
così mi sono
incazzata e l'ho picchiata con le scarpette con la punta in gesso, ha
avuto dei
lividi che sono durati per settimane, la madre mi voleva denunciare, e
così la
maestra di danza mi aveva detto che per poco non rischiava un'emorragia
a
livello celebrale, visto che poi l'ho sbattuta contro un muro, ero un
po'
vivace diciamo.»
«Sì, decisamente, ma diciamo che se dobbiamo
paragonare i tuoi racconti ai
miei, o sono sullo stesso piano oppure i miei sono leggermente
più terribili
dei tuoi»
Anita concordò «Ma c'è anche da
riconoscere che io sono una ragazza, sono
decisamente molto più delicata, è ovvio che non
potrei mai fare quello che hai
fatto tu»
Il ragazzo guardò l'orologio, per poi dirle «Beh,
il tempo è volato, ora
purtroppo ho degli impegni, ci possiamo vedere un'altra
volta?»
La ragazza rimase stupita. Le stava dicendo che voleva uscire insieme a
lei?
«Sì, certo, fammi sapere quando così
vedo se ho impegni o meno.»
Sapeva di mentire, ma non voleva mostrarsi disponibile sin da subito.
«Tieni pure il mio numero»
Le porse un biglietto da visita.
«Sei un architetto?» domandò Anita, sul
biglietto c'era scritto "Kevin
Pearson, specializzato in design di interni ed esterni".
Aveva fatto l'affare della sua vita.
«Più o meno, mi occupo solo di arredare e dare
sistemate ai locali, chiamami
quando decidi se vuoi uscire con me o meno, anche se, da come ti vedo,
non
vorrai sembrarti troppo disponibile, sbaglio? Alla prossima»
la salutò con un
bacio sulla guancia, lasciandola lì immobile.
Come aveva fatto a capirla? Giravano già voci su come lei si
comportava con gli
individui di sesso maschile?
Prese la sua borsa e tornò a casa, non prima di andare alla
bancarella e
comprare un involucro di giornale con Fish&Chips, non aveva
affatto voglia
di cucinare.
Mentre
era sul divano intenta a
mangiare la sua cena sentì girare la serratura della porta.
Si spaventò, il suo primo pensiero fu "Oddio i ladri", visto
che
nemmeno sua madre aveva la chiave dell'appartamento.
Subito dopo prese un vaso da sopra il tavolino e si avvicinò
alla porta.
Fu questione di attimi.
La porta si aprì, entrò una figura alta e lei, da
dietro le spalle, gli
scaraventò il vaso in testa.
L'uomo, sì, era decisamente un uomo, si accasciò
a terra, con un forte dolore
alla testa, poi si voltò verso il suo aggressore.
«Tu? Oh, altro che non sei Cristian Grey, tu non sei
MINIMAMENTE Cristian Grey,
sei solo un maniaco! Uno stalker! Che ci fai qui? Chi ti ha dato le
chiavi di
casa mia?» gli urlò contro Anita.
Il ragazzo le fece segno di abbassare la voce, la testa gli faceva
male, e
tanto. Era un miracolo che non fosse svenuto.
La guardò stralunato.
«Tu cosa ci fai in questo appartamento?» le
domandò a bassa voce.
«Cosa ci faccio? Io qui ci abito, non hai visto il cognome
sul campanello? È il
mio, vieni a vedere» lo prese da un braccio e lo
strattonò fuori alla porta e
gli indicò la scritta sul campanello, poi rimase stupita.
Su quel campanello c'era il suo cognome, sì.. Ma accanto
c'era anche quello del
ragazzo.
Kevin la guardò serio. Non capiva se quello fosse solo uno
stupido scherzo o se
magari si fosse confuso, sì, si era sicuramente confuso.
Magari aveva fatto un piano in più o uno in meno e aveva
sbagliato
appartamento, magari la ragazza che aveva di fronte viveva con qualcuno
col suo
stesso cognome.
Ma risultava anche impossibile.
La chiave di Kevin aveva aperto quella porta, lui viveva lì
da due mesi circa.
E sapeva che il suo appartamento era il numero 6, e quello che aveva di
fronte
era proprio l'appartamento numero 6.
Ma allora perchè Anita DeVitto era lì dentro e
gli aveva rotto un vaso in
testa? Ci era entrata di nascosto?
«Ed
anche tu dici che vivi qui da
due mesi, perciò o vivevamo senza vederci mai, che quando
c'eri tu ero fuori io
e viceversa, oppure non lo so. Magari tu sei solo ubriaca o fatta e qui
ci sei
capitata per caso.»
Anita lo
guardò male. Come si permetteva a dirle quelle cose?
Certo, aveva fumato e
bevuto qualche volta, ma di certo non era una cosa di
dominio pubblico.
Uno schiaffo
arrivò sulla faccia del ragazzo, che la guardò
come se fosse
pazza.
«Io non sono
fatta, ubriaca, o chissà cosa, mi hai capito? Magari lo
sarai tu,
ma non io!» detto questo riprese il cartoccio che conteneva
la sua cena «Anzi,
facciamo così se ti va bene. Io ti ospito qui, a casa mia,
fin quando non
capiremo cos'è successo, magari ci sarà stata una
frode con quelli dell'agenzia
delle vendite, o fino a quando non troverai un altro posto in cui
stare»
propose infine.
Certo, l'idea di avere
uno sconosciuto in casa non la convinceva molto, ma in
un certo senso lei lo conosceva.
In fin dei
conti lui era il ragazzo dei suoi sogni.