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Autore: Cyanide_Camelia    18/05/2009    2 recensioni
Irlanda, in un liceo privato si incontrano e si intrecciano le vite di alcune personalità eterogenee, quali Shelly, una diciassettenne americana con un passato burrascoso, tutta mascolinità e vitalità; Mia, una dolcissima ragazza vittima degli errori degli altri; ed a seguire Daphne, Ginger, Weed, Emerien, Kurt e molti altri personaggi emblematici, a raccontare quanto dolore si possa sopportare, quali sono le ferite nascoste di ognuno e le singole aspirazioni, la difficoltà nel rapportarsi, fino a dipingere un quadro complessivo, cantato dalle voci di Mia e Shelly, di una generazione che balla sul precipizio.[Ripubblicata a seguito di un'accorta revisione della precedente "Memories of a Toxicdoll and of a Broken Dream" ed arricchita]
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un metro e quaranta di guai

Un metro e quaranta di guai!

 

Oggi è mercoledì. E il mercoledì è un giorno da scoglionamento. Perché sei a metà, a metà esatta della settimana, troppo lontano dall’inizio e ancor più lontano dalla fine. Sei in balia della matematica e della frustrazione del professore che non scopa, e che brama il weekend per sdrumare la moglie.

Mentre i miei molari seviziano la matita come un riflesso, il prof. Stanford spiega le somme vettoriali e mi scappa uno sbadiglio sonoramente colossale.

 

“Thucker, la matematica ti affligge?”domanda sarcastico.

 

“…pff! Fosse solo quella sarei a cavallo…il vero problema è l’impotenza di chi me la insegna.”

 

“Thucker, in presidenza.”

 

“Visto che è impotente? Se non lo fosse stato, non se la sarebbe presa così tanto e ci avrebbe riso su.”

 

Nel frattempo, tutti scoppiano a  ridere. La situazione si fa critica per il buono Stanford, che mi prende per il braccio e, tirandomi con una forza insospettabile, mi sbatte fuori.

Lo guardo dal vetro della porta, gesticolando contro questo grandissimo pezzo di idiota.

Alla fine, invece che andare in presidenza,  me ne vado direttamente nell’aula delle punizioni, a tamburellare con le dita sul display del cellulare.

Tanto per vedere, apro l’applicazione di MSN, e trovo in linea sia Daphne che Weed.

 

Joshua-Weed ragazzi alle 8:40 al bagno per chi vuole dell’orange.

 

Sorrido sotto i baffi e guardo l’ora: 8:38. Meno male che manca poco. Solo che non so come metterla con i soldi…insomma, il Dio denaro è nel Dio portafoglio, e il Dio portafoglio è prigioniero del prof. Stanford.

Che dramma interiore. Beh, io provo ad andare, tutt’al più me ne ritorno nell’aula delle punizioni.

 

“Ciao Weed.” Lo saluto.

 

Oggi Joshua ha una sciarpa grigia e rossa al collo, l’uniforme della scuola ben sistemata, i pantaloni con la piega. È davvero raffinato, penso tra me, elegante anche con questa divisa monotona, che gli sta benissimo, a differenza di come sta a tutti gli altri. I ragazzi sembrano o piccoli lord anni ’20, oppure i Ramones nel video di “Rock ‘n Roll High School”. Ma lui no. Lui, col suo silenzio intelligente, ricorda uno studente di Cambridge.

 

“Ciao, Toxicdoll. Sei venuta alla fine, eh?”

 

“Si…l’alternativa era andare in presidenza, quindi puoi renderti conto. Però c’è un problema: io non ho i soldi qui con me, il portafoglio sta in classe…lo Stanford mi ha sbattuta fuori a pedate.” Lo guardo dal basso, sperando in un’indulgenza.

 

“Come mai ha fatto sbroccare lo Stanford?” chiede lui, invece.

 

“Gli ho detto che non è la matematica il mio problema, ma la sua frustrazione da impotenza.” Faccio spallucce.

 

Weed si lascia andare in una risata di gusto, alla quale finisco per partecipare anche io, riconoscendo di aver esagerato.

Dal fondo del corridoio si dirige verso di noi una ragazzina con i capelli biondo varechina a passo di carica.

 

“Ciao Josh! Andiamo, non perdiamo tempo.- mi guarda dal basso all’alto – Ciao. Ginger. Non fare domande.”

Mi tende una manina piccola, le unghie mordicchiate rivelano la remota presenza di uno smalto arancione.

 

Entrati nel bagno, la suddetta Ginger si siede a gambe incrociate, come un minuscolo Buddha, sulla mensola, spalancando la finestra dietro di lei. Porgendomi un biglietto dell’autobus, mi intima: “Te fa’ il filtro!”. Io, obbediente, quasi intimorita dall’angelica faccetta piena di piercing della tipa, mi metto ad arrotolare un pezzo di cartoncino strappato dal biglietto intero.

Nel frattempo Weed tira fuori dalla tasca l’orange ed una cartina lunga, che dà a Ginger.

Lei prepara il tutto con naturalezza e maestria, completando l’opera col mio filtro ed una lunga leccata alla parte adesiva della cartina, atto che rivela la presenza di un allegro piercing alla lingua, una sbarretta con due palline di plastica rossa e brillantini.

Il Bic di Weed accende l’opera d’arte.

Non parliamo.

Ci guardiamo in attesa di qualcosa, di una nuvola che ci porti via e ci salvi da questa gabbia di paperini perfettini, eppure non succede.

Ci guardiamo, e ridiamo sottovoce, per non destare l’attenzione delle bidelle o di qualche professore.

 

“Speriamo che quello stronzo di educazione fisica non ci becchi.” Mormora Ginger.

 

“Perché, sentiamo, da quanto ti importa di quello che dice lui?” domanda sarcastico Joshua.

 

“Da quando, porco il clero, mi ha fatto sette multe in quindici giorni. Io non è che c’ho gli alberi da 200 euro in giardino.” Lo fulmina con lo sguardo da sotto un boccolo biondo.

 

“Tua madre sarà contenta!” butto lì io.

 

“Mia madre non è in grado di intendere e di volere,  è proprio l’ultimo problema scucirle i soldi di tasca. Io sto qui dentro perché l’avvocato di mia madre ha preteso che mio padre scucisse un botto di soldi al mese per gli alimenti. Per mia madre non fa differenza se vado a un cazzo di liceo privato o faccio la battona.” Storce la bocca, succhiando internamente il piercing al labbro superiore.

 

“Per me sì!” ridacchia Weed. Ginger gli tira un colpo in testa con una forza strepitosa.

 

“Scusami, non volevo. Io sono Shelly, l’amica di Daphne.” Mi presento sorridendole.

 

Improvvisamente, cambia espressione: gli occhi elettrici si sbarrano e un sorrisone esaltato le allarga gli angoli della bocca.

 

“La Toxicdoll? Sei proprio tu?”

 

“Sì.” Tiro una calda boccata di fumo ed espiro sentendomi come un grande capo indiano.

 

“Senti, siccome voglio unirmi a voi, vediamoci tutte e tre oggi pomeriggio, Daphne mi ha detto che c’è una specie di rito di iniziazione ma che è tutto segretissimo – si porta l’indice davanti alla bocca e sgrana gli occhi ad indicare circospezione – Comunque, ci vediamo a ricreazione nel nostro nascondiglio. Sai dov’è? Non importa, ti aspettiamo fuori dalla tua classe e andiamo insieme. Oddio, dobbiamo parlare di troppe cose, sono eccitatissima! Che bello!” Si lascia sfuggire un gridolino emozionato e stringe i pugni sotto il mento, goduriosa, emettendo pigolii caramellati.

 

“Vedremo.” Mantengo il tono da capo indiano, adorno da una magnifica poker face.

 

 

 

Dopo due, lunghissime ore di letteratura suona la campanella della ricreazione.

Oggi che Mia non c’è mi sto accorgendo di quanto mi manchi la sua presenza.

Perché Mia è come un biscotto a colazione.

Intanto, ha lo stesso identico profumo di vaniglia, latte e miele.

Ha i capelli color biscotto. Dorati, a metà esatta tra il castano chiaro e il biondo, belli e genuini. Come un biscotto.

E poi è insostituibile.

Uno può tollerare una, massimo due colazioni senza biscotti.

Il cornetto può attirarti per il gusto della novità.

Ma alla fine torni sempre al biscotto.

Il biscotto è un emblema: vuol dire calore materno, latte schiumoso, la piacevole sensazione del pancino caldo, e soprattutto coccole e bacetti.

Il biscotto è l’emblema della tenerezza. Sillogisticamente, Mia è come un biscotto.

Ergo, Mia è l’emblema della tenerezza.

Mia è puccipucci.

Mi piace sentirla puccipucciare con me, mi piace farle pensare che io la trovi noiosa mentre non è affatto così, mi piace andare da lei tutti i giovedì pomeriggio e chiacchierare.

Mi piace guardarmi allo specchio, cercando nell’armadio qualcosa di decente da mettere per presentarmi a casa sua senza far venire un infarto ai suoi genitori.

Mi piace che i nostri incontri inizino e finiscano con due baci sulle guance che sanno di amicizia puccipucciosa.

 

All’uscita dalla classe, trovo Daphne e Ginger ad aspettarmi, una con l’uniforme perfettamente indossata ed i capelli raccolti in uno chignon e due orecchini di perle, l’altra con il suo improbabile taglio di capelli anni ’80 –copiato da Madonna spudoratamente-, la camicia aperta con sotto una canottiera giallo fluorescente e un paio di leggins leopardata sotto la gonna. Magnum ai piedi e un tubo di gomma trasparente come collana.

 

“Andiamo. Se racconti a qualcuno di questo posto puoi dire addio a noi e ai tuoi arti inferiori.” Minaccia la piccoletta.

 

“Scusa, ma Theresa è un po’ brusca…” si giustifica Daphne.

 

“Theresa? Credevo ti chiamassi Ginger!” i miei occhi fanno avanti e indietro tra le due.

 

“Beh, diciamo che il nome per intero sarebbe Theresa Cassidy. Di cognome, Bell. Capisci bene che Ginger è più pratico e sbrigativo.”spiega la bionda.

 

“Uhm…e non sei passata per i vari Tessy, Terry, ecc.?” chiedo io.

 

“Ginger è il soprannome che mi aveva dato mia mamma. È quello che preferisco.”

 

Scendiamo le scale, nel groviglio di corridoi, ed arriviamo sul retro della scuola, in un’area incolta. Arrivate davanti ad un recinto di metallo, dipinto di verde, Daphne è la prima ad arrampicarsi e a lasciarsi cadere dall’altro lato. Poi  è il turno di Ginger, che si tira su con le mani nervose e prensili, come una scimmietta, e che si butta giù con un muggito.

L’ultima sono io.

Avanti, per prima cosa bisogna che mi faccia forza con le braccia.

A gambe larghe, infilando le dita tra i fili di metallo, mi sollevo ed incastro i piedi nei fori. A questo punto mi spingo con le gambe e tutto sembra più facile.

Con un ultimo sospiro ed una bella spinta arrivo in cima. Guardo in basso. Devo chiudere gli occhi e saltare. Mi metto in massima raccolta sulla cima della recinzione e mi slancio in massima estensione.

Come per gli esercizi di atletica.

 

Sento l’aria sollevarmi la gonna e il maglione, stringo gli occhi per prepararmi all’impatto.

 

Come per gli esercizi di atletica, Shelly.

 

Punto i piedi, ed appena la pianta sfiora il suolo fletto le ginocchia e allungo le braccia davanti al volto, tornando in massima raccolta.

Tocco l’erba con le mani, ed apro gli occhi. Ce l’ho fatta. Non mi sono fracassata nulla.

Mi alzo con nonchalanche e sorrido a quelli che mi stanno davanti.

 Weed, Daphne, Ginger e due tizi, uno mingherlino con degli occhialoni neri e uno grande e grosso che mi squadra.

 

“Benvenuta fra noi, Shelly. Questo è l’angolo dei derelitti, l’unico posto dove c’è spazio anche per noi al mondo.” Dice Ginger.

 

“Benvenuti a voi nel mio mondo – ribatto io – dove non c’è bisogno di rifugiarsi per trovare spazio per noi. Nonostante sembriate tanto organizzati, mi sa che dovrò proprio insegnarvi a vivere.”

 

“Perché, secondo te come siamo andati avanti finora?” domanda acida la bionda.

 

“Nascondendovi. E a te deve riuscire bene, vista la tua statura, eh? Io non voglio stare con gente che ha bisogno di rifugiarsi per farsi rispettare. Io voglio che voi usciate allo scoperto e che facciate vedere ai paperini perfettini che non siete voi a dover temere il loro giudizio. Sono loro che devono temere il nostro. E lo devono temere come la peste. Perché non so voi, ma dei miei nemici non ne è mai rimasto granché che ricordasse un essere umano.”

Li osservo, compiaciuta, con un sorriso gustoso.

“Allora, siete dei miei? Chi vota per me?” cinque braccia si alzano, incluso quello di Ginger, che ora mi guarda entusiasta.

 

“Sapevo che non eri solo un metro e quaranta di guai.” Le dico, con sguardo d’intesa.

 

“Sapevo che non eri solo una dei nostri. Sei più in alto, devo ammetterlo. Almeno, posso imparare da te.”

 

Ci studiamo prima di stringerci la mano  e sorriderci l’un l’altra.

 

“Affare fatto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.:Spazio Cos:.

 

Con questo nuovo capitolo si entra nel vivo della storia.

Shelly è arrivata, ha fatto una solida base di amicizie ed ora comincia la sua ascesa.

Spero che le sue peripezie con i professori vi possano divertire e che i personaggi nuovi vi piacciano.

In questo capitolo avete conosciuto Ginger.

Che non è solo un metro e quaranta di guai, ma è molto di più.

Lo scoprirete nella sua scheda.

 

E ora, al mio solito, ecco i ringraziamenti:

 

Talpina Pensierosa: cara, spero che vorrai curare con me il personaggio di Weed e che Ginger ti piaccia ugualmente…lei è la donna dei suoi sogni :P Un bacio, a presto!!!

 

Black Lolita: grazie dei complimenti. Grazie di essere entrata in contatto con me. Spero di poterti parlare di nuovo presto e di avere tuoi commenti riguardo al nuovo capitolo.

“ti voglio bene”-“non ho paura del tempo.”

  
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