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Autore: Sandwich_1412    28/11/2016    0 recensioni
Tutti hanno scheletri nell'armadio, ma non tutti sono pronti a rivelarli. Cosa accadrà quando Drew Parker, ragazza timida e solare, vedrà il suo segreto in bella vista nelle mani di qualcun altro?
Un ballo in maschera, un incontro che le cambierà la vita, una ricerca disperata, una chitarra e, a far da sfondo alla quotidianità, le stelle.
-Chi sei in realtà? – gli chiesi di punto in bianco – Ho la sensazione di conoscerti. Dove ci siamo conosciuti?
-Esattamente qui – rispose, con semplicità nella voce
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO 1          LO SCONOSCIUTO IN MASCHERA
 
Pioveva quella sera; indossavo un vestito nero corto e tenevo stretta nella mano una maschera, d’altro canto ero diretta a una festa! Se fosse stato per me non ci sarei mai andata, ma come succede spesso in queste situazioni ero stata costretta, o meglio dire ricattata. Eh già, ricordatevi di non mandare mai un messaggio compromettente nella segreteria di qualcuno quando siete ubriachi. VI si ritorcerà sicuramente contro.
L’auto che mi aveva dato un passaggio non poteva accompagnarmi fin sotto il locale, perciò dovetti farmela a piedi per un bel tratto di strada, così quando arrivai ero bagnata fracida da capo a piedi.
Ace, un mio amico, o meglio il mio compagno di banco, mi aspettava sotto il portone, e quando mi vide correre verso di lui, mi venne in contro con un ombrello
- Da quanto sei qui? – gli chiesi una volta riparatici sotto il portico
- Da quando è iniziato il diluvio universale – rispose alzando una busta – Ho pensato ti sarebbe servito qualcuno che avesse controllato le previsioni del tempo prima di arrivare, e che guarda caso ti ha portato un vestito asciutto
Sorrisi mentre mi strizzavo i capelli per far gocciolare l’acqua
- Mi hai letteralmente salvata Ace, grazie. Attese fuori dalla porta del bagno che mi cambiassi.
- Ace, solo per curiosità, dove hai preso questo vestito?
- E’ di mia sorella, mi ha assicurato che ti sarebbe andato – ci fu una pausa – Mi ha mentito vero? Lo sapevo, non posso mai fidarmi di quella…
- No, no – lo interruppi – La taglia è giusta, ma…
Uscii dalla porta, gli occhi nocciola del mio amico si spalancarono e percorsero le curve del mio corpo da cima a fondo. La sorella di Ace, Nora, era più grande di me, ma portavamo la stessa taglia di vestiti, scarpe e altro, tanto che ci scambiavamo spesso le cose. La conoscevo da così tanto tempo che era ormai come la sorella maggiore che non avevo mai avuto…giusto, dovrei dirvi che forse ho una sorella maggiore, ma non credo di averla mai veramente conosciuta, se ne andò di casa circa 7 anni prima, quando avevo solo 10 anni, e fino ad allora non era stata un granché come sorella, perciò decisi di eliminarla completamente dalla mia vita, come se non fosse mai esistita.
Dicevo… il vestito, giusto. Nora si diverte con poco, in tutto il tempo in cui avevo imparato a conoscerla aveva fatto gli scherzi più impensabili, beh quello era il caso di dire che non avrei mai pensato Nora potesse fare mai una cosa del genere: il vestito era bellissimo, per carità, lei ha dei gusti impeccabili, ma era troppo…scollato, se vogliamo dirla tutta. Era di un bellissimo colore scarlatto, e metteva bene in evidenza tutte le curve, non era molto corto, ma abbastanza perché ci si facesse un’idea.
A parte ciò, però, era davvero comodo, e nonostante fossi appena stata bagnata da litri di pioggia, non sentivo il minimo brivido di freddo.
- Questa volta la uccido. Tu così non ti fai vedere Lo guardai di sbieco; potevo capire il perché lo diceva, ma non mi andava giù che me lo imponesse
- E chi sarà ad impedirmelo?
- Vuoi dire che ti faresti vedere senza niente addosso?
- Non sono nuda, Ace, ho questo…semi vestito Mi guardò storto per qualche secondo, per poi allungare le mani verso di me
- Dammelo
- Non mi spoglierò davanti a te - protestai
- Cosa? No, che hai capito, il tuo vestito, vedo se riesco ad asciugarlo
- Non ho intenzione di perdere tutta la serata ad asciugare un vestito – lo presi per mano sorridendo – Hai voluto che ti accompagnassi a questa festa? Bene, allora divertiamoci
- Aspetta…
Mi girai a guardarlo, aspettando una motivazione valida perché non dovessi muovermi.
Sbuffò e mi porse la maschera gli avevo dato perché me la tenesse mentre mi cambiavo
- Mettila. È una festa in maschera, nessuno deve vederti in volto
Detto ciò indossò anche la sua, era bianca con striature nere, mentre la mia era color oro con disegnate sopra delle note musicali. Sorrisi, la indossai e mi avviai verso il centro della festa.
Era un sollievo, dopotutto, avere il volto coperto da una maschera, trovavo elettrizzante il fatto che nessuno potesse sapere chi fossi. Eccetto, ovviamente, Ace. Tutte le persone che avevo davanti a me erano dei completi sconosciuti, e la cosa non mi dispiaceva, non ero brava con i rapporti interpersonali, parlare con qualcuno col volto nascosto era molto più semplice.
Dovete sapere una cosa di me: odio le feste. Di qualunque tipo, non sono per niente il mio genere. Per quella sera quindi mi ero preposta di essere diversa dal solito, non sarei stata la ragazza introversa e timida che ero di solito. Per una sera volevo essere una persona completamente diversa.
Le ore passarono alquanto velocemente, per la maggior parte ballai con Ace, e parlai con lui; diversi ragazzi, attratti dal mio vestito, si avvicinarono per farmi i complimenti e per avere un ballo con loro, per i più accettavo, ma spesso riemergeva la vera me, che si faceva sentire, e sembrava urlare “Questa non se tu, svegliati!”.
Stanca, ad un certo punto mi allontanai dalla pista da ballo, seguita da Ace, che non si sarebbe fermato con così poco. Mi sedetti su una delle poltrone libere
- Non capisco perché ti sia fermato – gli dissi
- Sei stanca, devi riposare, non posso mica ballare da solo – si giustificò
- Ah si? – sorrisi e mi guardai intorno Una volta adocchiata la mia preda mi alzai
- Tienimi il posto
Mi avvicinai a una ragazza dai capelli biondo scuro, o erano neri? Quelle luci psichedeliche iniziavano a darmi alla testa!
Le toccai una spalla, facendola girare
- Scusa – urlai per sovrastare il volume a dir poco alto della musica – Il mio amico vorrebbe ballare con te.  
Glielo indicai, lei sorrise e si avvicinò a Ace, prendendolo per mano e trascinandolo sulla pista da ballo mentre lui mi guardava leggermente confuso. Sparirono presto tra la folla, e io potei allontanarmi da quel frastuono senza essere seguita. Uscii dalla porta sul retro e camminai per un po’, finché non fui abbastanza lontana da non sentire più la musica riprodotta alla festa.
Tutto quel silenzio era surreale dopo essere stata bombardata di musica per 2 ore e mezza, senza sosta. Mi sembrava ancora di sentire la musica nelle mie orecchie, pur essendo ormai lontana. Forse era davvero così, la riproducevano a volume talmente alto che non mi avrebbe sorpresa.
Mi sedetti su una delle sedie di un’altalena e mi guardai intorno. Ero in un parco per bambini, incredibile che fosse tanto vicino a un locale. Mi chiesi se i vicini non si lamentassero mai di tutto quel frastuono.
A terra c’erano anche parecchie bottiglie di birra…chissà se ce li portavano davvero i bambini a giocare lì.
Mente mi dondolavo avanti e indietro vidi un’ombra avvicinarsi
- Pensavo stessi ballando con quella ragazza – dissi
- Ragazza? Quale ragazza? – rispose una voce
Un volto nuovo comparve davanti ai miei occhi, appena la figura fu abbastanza vicina perché riuscissi a vederla.
Era un ragazzo dai capelli scuri, indossava una maschera rossa che gli copriva i tratti del viso, ma i suoi occhi erano palesemente azzurri, di un azzurro glaciale.
- Oh, scusa. Pensavo fossi un’altra persona
- È evidente – i suoi denti bianchi splendettero nel buio quando sorrise – Posso? – chiese indicando l’altra sedia dell’altalena Feci un gesto noncurante della testa come assenso. Quando si sedette potei sentire il suo profumo. Era inebriante. Non saprei dire tutt’ora cosa fosse, di preciso, ma mi ricordava vagamente qualcosa di familiare.
- Come mai sei fuggita?
- Non sono fuggita – protestai – è che…non sono un’amante del caos
- È un peccato. Dal caos nascono sempre cose stupende
- Si beh, è un modo di vedere la cosa – risposi – Ma come fai a dire che sono fuggita?
- Forse perché sono fuggito anche io
- Credevo ti piacesse il caos Scosse la testa
- Mai detto! Ma devi ammettere che è interessante
Lo fissai per qualche secondo, poi ricominciai a dondolarmi e porsi lo sguardo in cielo. Le stelle quella sera sembravano più luminose del solito.
Notai che quel ragazzo mi stava dicendo qualcosa, ma non colsi le parole.
- Cosa? – chiesi distratta
- Ho detto che sono bellissime, le stelle – ripeté paziente
- Si è vero. Quando ero piccola ne ero affascinata, tanto che convinsi mia madre di comprarmi un telescopio. Lo mise vicino alla finestra e mi disse: “Ora potrai far parte delle stelle. Quando guarderai in cielo pensa sempre a me, e ricordati che finché potrai vedere quelle costellazioni, sarai sempre nel mio cuore” Mi risvegliai dal mio stato di trans e scossi la testa, notando lo sguardo assorto dello sconosciuto.
- Scusa, non so perché te l’ho detto – dissi imbarazzata – Direi che mi fanno uno strano effetto
Non rispose, ma dopo qualche secondo si alzò e si inchinò davanti a me, porgendomi una mano. Risi
- Che stai facendo?
- Vuole concedermi questo ballo? Ancora ridendo presi la sua mano tra la mia e mi alzai a mia volta.
Intrecciò la sua mano nella mia e con l’altra mi avvicinò a sé. Rimasi a fissare i suoi occhi per quelli che mi sembrarono secondi, poi mi risvegliai
- Manca la musica – dissi
- No, invece. Senti…
Lo fissai confusa, non sentendo altro che il suo respiro
- Ho la musica sul telefono – disse sorridendo beffardo e tirando fuori il cellulare
- Ma quanto sei spiritoso
Iniziammo a ballare, o meglio, a dondolarci. Più che un ballo vero e proprio, sembrava il ballo del mattone
- Sono negata, non so ballare – confessai
- Hey, stai andando benissimo – mi rassicurò – Voglio dire, ancora non mi hai pestato i piedi, è un grande traguardo
- Ah davvero?
Gli pestai un piede, e lui emise un verso strozzato
- Ok, rimangio tutto. Sei pessima
Risi di gusto, e la sua risata mi seguì a ruota. Era calda, e sentita, e mi riscaldò il cuore
- Cosa ti ha portato qui stasera? – chiese
- Un mio amico – risposi - Non poteva mancare, è la festa di una sua amica, e mi ha trascinata con sé
- A dir poco egoistico, non mi sembra che ti sia divertita molto
- Mi hai osservata? – chiesi a disagio
- Certo che no, non essere assurda – rispose ridendo – Non sono uno stalker, ma non saresti venuta qui fuori se ti fossi divertita lì dentro
- Beh… - ci pensai su – forse non mi divertivo prima – dissi – ma la serata ha preso una svolta piacevole, Sherlock
La musica cambiò ritmo, ma noi continuammo a dondolarci come se fosse sempre lo stesso. A dire il vero, non prestavo neanche più tanta attenzione alla musica.
- Più che altro, come mai anche tu sei qua fuori? Il ragazzo fece una smorfia e ciondolò la testa
- Diciamo solo che non è la mia serata…- si interruppe e mi fissò – o almeno non lo era
Mi staccai da lui e mi allontanai di qualche passo, poi mi girai nuovamente verso di lui.
Cosa stai facendo? Mi diceva la mia voce interiore.
Tutto di lui urlava SCONOSCIUTO, NON TI FIDARE. Quando si è piccoli ci viene insegnato a non accettare le caramelle dagli sconosciuti, ma nessuno ha mai detto che lo sconosciuto in questione fosse così sexy e interessante! Vedendolo così da lontano, sembrava ancora più alto. Mi superava sicuramente di almeno una decina di centimetri. I suoi capelli scuri si confondevano con l’oscurità che lo avvolgeva.
In quel momento un’immagine mi balenò davanti agli occhi, troppo in fretta perché potessi comprenderne il significato, o anche solo ricordarla.
Scossi la testa e mi distesi sull’erba ai miei piedi.
- Si dice che quando una persona guarda le stelle è come se volesse ritrovare la propria dimensione dispersa nell’universo.
Sentii i suoi passi avvicinarsi, poi il suo corpo stendersi di fianco al mio.
Guardando il suo volto mi chiesi se si sarebbe mai tolto la maschera. Forse…speravo non l’avrebbe mai fatto.
- Shakespeare? – chiese sorridendo sotto i baffi
- Salvador Dalì – risposi. Avevo come la sensazione che avesse sbagliato apposta.
Rimanemmo stesi sull’erba bagnata a parlare per delle ore, ma per quelli che sembrarono pochi minuti.
Non parlammo mai, però, di cose troppo personali. Rimanevamo nel vago, come se non volessimo conoscerci del tutto, ma c’era qualcosa, in lui, che sentivo comunque di conoscere.
- Chi sei in realtà? – gli chiesi di punto in bianco – Ho la sensazione di conoscerti. Dove ci siamo conosciuti?
- Esattamente qui – rispose, con semplicità nella voce
- No, non oggi – sbuffai – Intendo prima di stas…ah sai che ti dico? Non importa.
Mi poggiai su un fianco per poterlo guardare negli occhi. Celavano qualcosa, ed erano velati di ironia e forse…tristezza?
- Ti toglierai la maschera? – chiesi
- E tu lo farai?
No, non lo avrei fatto. E lo sapeva, me lo si poteva leggere negli occhi: sono sempre stata un libro aperto.
Mi stesi nuovamente.
Una goccia d’acqua mi cadde sulla guancia, poi un’altra sulla fronte, poi un’altra ancora. Stava ricominciando a piovere. Il ragazzo ora era davanti a me, e mi porgeva una mano per alzarmi. Accolsi l’aiuto e non appena fui nuovamente in piedi un brivido mi scorse sotto la pelle.
Dovetti rabbrividire, perché lui si tolse la giacca e me la mise sulle spalle.
- Una volta scappai di casa – disse mentre gli davo le spalle, inducendomi a girarmi– Avevo 7 anni. Avevo litigato con mio padre, e mi sembrò una bella idea prendere il mio pupazzo preferito, Mr Berry, qualche barretta e scappare. Mi rifugiai in un parco abbandonato. Ci rimasi per due giorni, la polizia mi trovò disidratato e affamato, a quanto pare per una fuga le barrette energetiche non bastano! Mio padre me le diede di santa ragione, e la sera stessa mi disse “Ti ho punito, ma non pensare che l’ho fatto perché non ti voglio bene”
- Perché me lo dici? – chiesi, confusa.
Mi sorrise e mise le dita tra i miei capelli, togliendomi dei fili d’erba incastrati.
- Perché tu mi hai detto del telescopio? Non c’è una vera ragione Mentre ancora stavo metabolizzando ciò che mi aveva detto sentii da lontano la voce di Ace. Mi stava cercando
- Io…io devo andare
- Dimmi il tuo nome – mi disse prima che potessi girarmi. Non stetti neanche a pensarci su molto.
Guardai i suoi occhi azzurri e sorrisi
- Scoprilo, Sherlock
Corsi in direzione di Ace che vedendomi arrivare da lontano si tranquillizzò
- Ma dov’eri finita? Hai idea di quello che mi farebbe tuo padre se non ti riportassi a casa?
- Calmati, Ace. Stavo solo… - mi girai. Quel ragazzo se ne stava andando dalla parte opposta, quando si girò verso di me, per poi sparire nell’ombra – guardando le stelle
- Le stelle? E quella giacca?  - chiese con sguardo indagatore indicandomi
Oh no, mi ero dimenticata di restituirgliela! Ormai se n’era andato, non avrei comunque potuto ridargliela. Beh, vuol dire che gliela darai la prossima volta che lo vedrai; la prossima volta? Ci sarebbe veramente stata una prossima volta? Molto probabilmente no, certi incontri sono sporadici e si fanno una volta nella vita.
E poi, non avevo idea di chi fosse, e lo stesso lui di me. No, sicuramente non ci incontreremo più.
Devo ammetterlo, ero un po’ dispiaciuta; non chiedetemi perché, chi lo conosceva quel tipo! Eppure…
 
Per tutta la strada di ritorno Ace non fece altro che dirmi quanto fosse simpatica la ragazza con cui lo avevo fatto ballare, e intelligente e carina. Aveva scoperto si chiamava Sara, o…Lara, per quanto mi riguardava poteva anche essere Mara. Ero certa fosse una delle tre, ma ero un po’ distratta devo ammetterlo.
Quando mi chiese se mi ero divertita non sapevo che rispondere, ma lui sapeva il mio disamore per le feste, quindi non si stupì quando non risposi. Però insistette perché gli dicessi di chi fosse quella giacca. Quando gli dissi del ragazzo in maschera mi fece letteralmente il terzo grado, ma non c’era molto che gli avrei potuto dire.
Una volta a casa notai senza sorpresa che mio padre si era addormentato sul divano. Probabilmente mi aveva aspettata alzato fin quanto aveva potuto, finendo per crollare all’ultimo. Presi un plaid dall’armadio e glielo misi addosso, per evitare che sentisse freddo.
Quanto a me, non ne sentii per tutta la serata. Pur non essendo stata una grande conversazione, quel ragazzo mi aveva colpita.
Aveva qualcosa di così familiare… e poi, era negato quanto me a ballare, decisamente un punto a suo favore!
Affacciata alla finestra vedevo le gocce di pioggia ricominciare a cadere, e mi addormentai rapita dal rumore dell’acqua che scrosciava.



Holaa!
Prima di tutto vorrei dire che questa è la prima storia che scrivo dopo non giorni, non mesi, ma addirittura anni. Quanti saranno? Due? Tre? Non ricordo. Eh si, la scuola mi ha tenuta impegnata per un bel po', ma ho deciso di rimettermi in carreggiata, mi mancava troppo scrivere. Perciò siate clementi v.v è come se ricominciassi da capo haha 
Ah, un ultima cosa: chiedo scusa per la formattazione, nel caso facesse capire poco, è che su word me lo fa vedere diverso, e se dovessi correggere ogni minima cosa anche da qui non finirei più. Detto questo sparisco ;) al prossimo capitolo!

- Zanna 

 
  
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