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Autore: Friliver    29/11/2016    6 recensioni
Bella la sua moto, mi veniva a prendere tutti i giorni a scuola. Odiava la neve e aspettava con ansia la primavera.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maledetta primavera


 
E’ Una mattina come tante altre. Svegliarsi, prepararsi e uscire per andare a scuola. Guardo distrattamente fuori dalla finestra: nevica.

Esco senza ombrello: in fondo un po’ di neve mette allegria… agli altri. Sento che sto scivolando nella abulia del ricordo.

Alla fermata dell’autobus vedo i giardini meravigliosamente brillanti sotto la neve, stillano gocce pulite e prismatiche. L’autobus si ferma, salgo meccanicamente. Già non mi accorgo più degli altri: solo lui.
Oggi sembra la ripetizione di quel giorno. Nevicava anche allora e anche allora ero a quella fermata per prendere quello stesso autobus. Nella fretta di entrare nel mezzo già pieno di corpi e ombrelli, ci siamo urtati e i miei capelli si sono impigliati in un bottone del suo giubbotto grigio, a quei tempi li portavo lunghi. Abbiamo fatto amicizia.

Franco: capelli corti da “bravo ragazzo”, sempre pallido e un po’ assente, occhi scuri che non ho mai capito di che colore fossero, neri o nocciola, mani da pianista, curatissime: era una sua mania. Vedendoci tutti i giorni era quasi scontato che ci saremmo innamorati, infatti…

Io sedicenne timidissimo e un po’ imbranato lui ventenne chiuso e sognatore.  Una sera andammo al cinema insieme per gentile concessione dei genitori, miei naturalmente. Per loro lui era una persona troppo grande per me da frequentare. Quella sera mi sono accorto che io e lui ormai non potevamo più identificarci nella solita “barca”: era diventata una cosa seria.

Dopo un po’ di tempo Franco smise di frequentare l’università. Uscivamo  sempre molto spesso assieme, ma mai per andare al cinema o a feste troppo affollate. Lui comunque non pareva molto preoccupato per questo, anzi sembrava contento di passare interi pomeriggi con me soli. Era allegrissimo, lui che di solito riusciva a “sgelarsi” a malapena con me, e nel giro di poche settimane diventò amico di tutti i gestori di bar o latterie dove ci fermavamo. Spiegava il suo comportamento dicendo che ci volevano delle novità, delle svolte nella vita.

Una mattina venne a prendermi con una moto. Era orgogliosissimo della sua creatura. Infatti l’aveva verniciata di un solare arancione tipo mandarino maturo e un delicatissimo verde pisello. Nel narrare la tecnica di riverniciatura, ci mise tanto amore ed entusiasmo che non ebbi il coraggio di confessargli che a salire sopra a “quello” mi sentivo molto “Composizione astratta” e così mi ha accompagnato a scuola.
Mi aspettavo che alla fine delle lezioni mi venisse a prendere, anche se il vedere quella specie di coso con sopra il mio ragazzo non è che mi riempisse di orgoglio.

All'uscita da scuola nevicava e lui non c’era.

Il giorno dopo nevicava ancora e quella volta me lo sono trovato davanti con la faccia scura. Siamo stati in silenzio per tutto il tragitto da scuola a casa. Solo davanti al mio portone mi ha abbracciato e baciato in modo stranissimo, poi ha voltato la moto ed è partito a tutto gas.

Non so è fatto vedere per due settimane e io non ce l’ho più fatta e gli ho telefonato. Mi ha risposto lui e mi ha detto di non richiamarlo perché voleva riprendere a studiare. Sono rimasto di ghiaccio. Non l’ho più chiamato.

In tutto questo tempo speravo che lui si facesse vivo, ma sue notizie  ne ho avuto solo parecchi  giorni dopo, quando Guido, un amico comune. Mi piombò in casa agitatissimo, dicendomi che Franco era all'ospedale gravissimo. Non so come arrivai all'ospedale e nella sala d’aspetto trovai la madre di Franco che mi prese da parte e mi spiegò tutto. Il ricovero di Franco non era dovuto come io avevo creduto, a un incidente di moto.

Era malato da tempo. Con me, la penultima volta che ci siamo visti, aveva detto che il suo più ambito progetto era riuscire a vedere la primavera. Allora ho pensato che fosse uno dei soliti suoi discorsi un po’ persi nei suoi pensieri, come faceva spesso.

Adesso capisco tutto, quei discorsi a metà, quella vita a metà che la leucemia non ha voluto prolungare almeno fino a progetto realizzato: vedere la primavera dopo tanta neve.

Franco è morto: La neve ha segnato il nascere di un amore, ha segnato la morte la morte di un amore, ha segnato anche me, profondamente, e oggi la neve mi ha portato a quel giorno.

Mi scuoto da quel torpore e mi accorgo che ho già passato la mia fermata e sento che anche nella mia esperienza di vita ho passato una fermata e non mi resta che tornare al capolinea.

Addio Franco ti penso sempre.

   
 
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