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Autore: Heihei    30/11/2016    1 recensioni
TRADUZIONE
La storia è stata scritta da Alfsigesey e pubblicata su fanfiction.net in lingua inglese.
Bethyl post-finale della 4 stagione
"Nulla sarà più facile di nuovo. Scappare da Terminus, sconfiggere una mandria di vaganti, cercare provviste. Ma niente di tutto ciò sarà difficile come innamorarsi e provare a costruire una vita insieme in mezzo a tutto questo."
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Carol Peletier, Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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BENVENUTI A TERMINUS




Il perdono, Carol lo sapeva bene, non ripristinava automaticamente anche la fiducia.
Tyreese l'aveva perdonata, ma si fidava di lei? Ci riusciva?
Lo vedeva nei suoi occhi qualche volta. Non era ancora lì, ma, un passo alla volta, stava scalando quella montagna, stava provando a capirla e voleva che lei lo sapesse, perché alla fine, inconsciamente, sapeva che capirla poteva portarlo a recuperare la fiducia che aveva in lei. Carol aveva conosciuto tanti uomini diversi; pochi di loro avrebbero fatto un tale sforzo, ma mai nessuno come Tyreese.
"Ho capito perché hai fatto quello che hai fatto", mugugnò mentre percorrevano la strada verso Terminus, la loro possibile salvezza.
"Che hai capito?"
Mantenevano sempre lo sguardo su ciò che li circondava, senza mai guardarsi, a meno che uno dei due non fosse di guardia. Tra tutti alla prigione, Tyreese sarebbe stata l'ultima persona che avrebbe scelto come compagno, ma evidentemente l'universo sapeva qualcosa che nessuno dei due aveva mai afferrato: quei due avevano un ritmo simile. Alcune persone non potevano funzionare insieme. Loro si erano semplicemente adattati l'uno all'altra. Se lei guardava a destra, lui dava un'occhiata a sinistra, non avevano bisogno di discutere più di tanto e si muovevano l'uno a fianco all'altra tranquillamente. Non era un compromesso, non era nulla che avesse richiesto uno sforzo da parte loro. Semplicemente riuscivano a lavorare insieme.
"Non posso immaginare di poter capire tutto quello che hai passato. La fine del mondo è stata diversa per tutti, credo."
Dopo aver esternato quel pensiero, si fermò ad ascoltare qualche minaccia che si stava avvicinando o la stessa Carol, ma lei non lo interruppe.
"Ho saputo alcune cose su tuo marito, su tua figlia. So che hai visto l'inferno. Tu non hai più paura, e penso che sia per questo che tu riesca a fare ciò che va fatto, anche se è orribile. Anche quando ti dovrebbe spaventare non lo fa comunque, perché hai già visto le tue più terribili paure prendere vita, non è così?"
Carol si permise di rivolgergli un'occhiata veloce, per poi tornare a guardare la strada. Tyreese non era un tipo da chiacchiere. Erano tutti grandi discorsi, quelli con lui. Non che le dispiacesse.
"Non c'è... più nient'altro che il mondo può scagliarti contro, vero? Hai già fatto a pugni con tutto questo."
Mentre cercava nel suo zaino una bottiglia d'acqua, Carol smise di camminare. Fece un sorso e gliela offrì, guardando finalmente i suoi grandi occhi marroni privi di giudizio. Aveva imparato che anche quando era arrabbiato non era capace di mantenere uno sguardo inquisitorio. Poi rivide nella sua testa la scena di quando ritrovò i corpi di David e Karen. Era stata lei, ma lui non lo sapeva ancora. La sua ira era incontrollabile, era sicura che se gli avesse detto in quel momento che era stata lei ad ucciderli, l'avrebbe pestata a morte in dieci secondi, senza darle il tempo di spiegare. Ma da quando l'aveva capito, le era sembrato più lucido di quanto si aspettasse. Non aveva intenzione di riversare la sua rabbia su di lei, non importava quanto fosse ferito. Era come se ci fosse stata una vocina dentro di lui a suggerirgli che forse c'era qualcosa di quella storia che lui non sapeva. Lui rispettava le persone, le loro pene e i loro voleri, ma riusciva comunque a ucciderle. Anche lei provava a capirlo, ma era un tipo di persona con cui non aveva familiarità. Poche persone genuine e mansuete riuscivano a diventare anche assassini.
Era arrivato il suo turno per parlare, lui la guardava in attesa. Si chinò a baciare Judith, che era fasciata al torace di lui e dormiva con addosso un piccolo cappuccio per proteggerla dal sole.
"C'è una sorta di... pace, credo." Scosse la testa, sapeva che quella parola non era adatta ma non riusciva a trovarne una migliore. "C'è una sorta di pace che arriva dopo che si è stati pesantemente abbattuti. L'ho sempre pensata come una scuola di sopravvivenza. Quando affronti il momento in cui pensi che tutto stia per finire, in cui sei assolutamente sicuro che morirai, e poi quel momento passa e sei ancora vivo, a volte provi quella sensazione. Sollievo. L'ho provato in vari momenti, fino a sentirlo costantemente."
Non l'aveva mai detto ad alta voce prima di allora. In pochi erano riusciti nel cercare di tirare fuori qualcosa da Carol, ma lei non aveva mai detto nulla.
Tyreese la osservava pensieroso, cercando i suoi occhi, come se potesse vedere gli altri segreti che nascondevano.
Un urlo trafisse l'aria, e a rimbombare con esso vi erano i soliti grugniti dei vaganti.
Prima che potesse fare qualsiasi cosa per fermarlo, Tyreese scattò. Carol lo seguì, impugnando la sua pistola e reprimendo qualsiasi segno di dissenso. Lui era un brav'uomo, e gli uomini buoni ogni tanto avevano bisogno di fare gli eroi; non poteva fermarlo.
Dopo una trentina di metri percorsi nel bosco, si trovarono davanti alla scena. Era troppo tardi per quel ragazzo che ancora si agitava nonostante tre vaganti gli avessero strappato via le interiora con poche manate. Il quarto cercava di afferrare una ragazza. Tutto ciò che Carol riuscì a vedere di lei era il suo piede appoggiato a un ramo dell'albero. La ragazza gridò quando vide i vaganti lacerare il corpo del suo compagno morto.
Tyreese uccise subito i tre vaganti che stavano divorando il ragazzo col suo martello, distruggendo, già che c'era, anche il cranio di quest'ultimo. Carol tirò a sé quello che tentava di raggiungere la ragazza. Era particolarmente alto, con le braccia lunghe, tanto che dovette saltare per darsi lo slancio necessario per poter affondare il coltello nella sua testa.
Anche se tutti i vaganti erano morti, lei continuava a gridare.
"Zitta, o ne attirerai altri!"
Carol si scostò dal vagante ed estrasse il suo coltello. Le urla della ragazza si trasformarono in singhiozzi, ma tuttavia cercò di mantenere la calma. Con un sospiro, Carol si ricompose e alzò lo sguardo. Non sapeva cosa avesse di strano, ma le si spezzò il cuore alla vista di quella ragazza. Era un'adolescente minuta, con le gambe lunghe e i piedi piccoli, i capelli castani lunghi fino alle spalle e degli occhi color sabbia che sembravano fatti apposta per piangere. Sembrava Carol a quindici anni. Era come sua figlia Sophia sarebbe diventata se fosse stata ancora viva.
"Vieni, tesoro, ti aiuto a scendere."
Tyreese prese il suo posto sotto di lei, diede Judith a Carol e allungò le braccia verso la ragazza sull'albero.
Scuotendosi, con una rara fiducia nei suoi salvatori, si lasciò cadere tra le braccia dell'uomo e, affondando sbito il viso nel suo petto muscoloso, iniziò a piangere.
Carol si girò e li lasciò lì.
Non posso farlo di nuovo.
Avvolse Judith nelle sue braccia, che era perfettamente sveglia, i suoi piccoli vestiti si erano macchiati con qualche schizzo del sangue di quei vaganti. Erano fortunati che non fosse molto rumorosa, era come se capisse che il silenzio era essenziale per la sua sopravvivenza. Si avvicinò al ragazzo per guardarlo meglio. La sua faccia si era mantenuta abbastanza bene nonostante il martello di Tyreese, aveva gli stessi occhi tristi della ragazza. Era il fratello più grande, anche se non di troppo.
Mentre Tyreese cercava di lenire la ragazza, Carol si occupò dei corpi. Già prima che tornassero in strada aveva intuito la loro situazione abbastanza bene, ma sulla via del ritorno Tyreese le fece un riassunto.
"Lei e la sua famiglia avevano un rifugio, ma non abbastanza cibo. Entrambi i genitori erano malati di cancro, sono morti e si sono trasformati. E' stato il fratello ad abbatterli. Stavano seguendo la strada per Terminus e hanno deciso di passare la notte nel bosco."
Scrollò le spalle, il resto l'avevano potuto vedere con i loro occhi. Ma aveva tralasciato la parte più importante.
"Come si chiama?"
"Sophie."
Non posso farlo di nuovo.


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Dentro al bagagliaio, Beth cercava di mettere su più indizi possibili per capire dove stessero andando. Ad un certo punto tornarono indietro. Lei cercò di memorizzare la strada che stavano percorrendo, ma, paranoica, cominciò a chiedersi se aveva fatto marcia indietro solo per confonderla. Poi arrivarono alla fine della strada, sentì l'auto parcheggiarsi e una voce proveniente da fuori.
"Non mi piace che torni a mani vuote, Brady."
Era una donna a parlare.
"Infatti ho trovato qualcosa."
Bussò con forza sul cofano, tanto che l'auto si muoveva. Beth si portò le mani sulle orecchie, ma il rumore risuonava ancora indisturbato nella sua testa. Un attimo dopo, Brady aprì il bagagliaio. La luce del sole era accecante, la sua vista si schiarì pian piano.
"Non potevi farle la cortesia dei sedili posteriori?"
La donna era più grande di lui, aveva i capelli grigi che le ricadevano sulle spalle e le braccia scheletriche incrociate al petto. Le rivolse a malapena un'occhiata, poi spostò lo sguardo sul ragazzo.
"Merda, è messa male."
"Ha provato a fare la furba strada facendo."
"Sì, beh, portatela in ospedale."
Con un sorriso gelido, Brady la salutò con un cenno del capo e tornò al posto del guidatore, aspettando. Notò che la donna era accompagnata da due giovani uomini. Lei appoggiò la testa a una delle pareti del cofano; a quel punto ribellarsi avrebbe solo peggiorato la situazione. Permise loro di tirarla fuori e gettò il primo sguardo a Terminus con grandi occhi insonni.
Brady rimise la macchina in moto e si diresse all'interno della struttura.
Non somigliava più a una stazione ferroviaria, le dava più l'idea di un campo di concentramento. Mentre marciavano in silenzio, cercava con lo sguardo i luoghi di riferimento. C'erano vagoni, retrofit e pochi elementi che testimoniavano un soggiorno a lungo termine, come le fioriere e tele dipinte con messaggi che non riusciva a leggere. Ma non c'era nulla che spiccasse, come ad esempio un'armeria, un garage, delle abitazioni. Non c'era nessuno lì fuori a parte Beth, la donna dai capelli grigi e i due uomini armati.
L'edificio che la donna aveva indicato come "ospedale" sembrava un centro di smistamento tipico dei vecchi film sulla guerra. C'erano circa dodici lettini con a fianco qualche retina per la privacy, avevano anche un po' di medicinali e attrezzature mediche, rubate probabilmente a qualche vero ospedale.
Sembrava che Beth fosse la loro unica paziente: tutti i lettini erano vuoti e privi di lenzuola. L'avevano portata a quello più vicino, facendola sedere. Dato che il dolore alla caviglia era peggiorato e le costole pulsavano, non credeva di riuscire a stendersi.
I due uomini armati indietreggiarono per consentire a lei e alla donna dai capelli grigi un po' di spazio. Non le aveva neanche detto il suo nome. Aveva le mani tozze e fredde. Senza preavviso, si chinò sulla sua caviglia ispezionandola grossolanamente con le mani e gli occhi strabici.
"Zoppichi, che hai fatto?"
"E' solo una distorsione, neanche troppo grave. La stavo già curando."
"Vedremo."
La donna ancora non la guardava negli occhi. Le girò la caviglia.
"E questi lividi?"
"Ti ho detto, è solo una distorsione."
Con una smorfia, il medico finalmente la guardò.
"Nient'altro?"
"Le mie costole, penso che siano rotte."
"Vediamo."
Si mosse verso il torso di Beth. Guardando le due guardie, sentì le sue guance bruciare. Non l'avrebbero lasciata sola se poco prima aveva cercato di scappare.
"Hai davvero tutto questo pudore?!", disse la dottoressa alzando le sopracciglia.
"Sì, davvero", rispose sottovoce. Ma lei già aveva iniziato a sbottonarle la maglietta e a tirarla su, per ispezionare i segni blu e neri.
"Sono incrinate, non c'è molto che io possa fare."
Non appena finì di dirlo, si riabbassò la maglietta all'altezza dei jeans.
"La tua caviglia guarirà presto da sola, invece per quanto riguarda le costole hanno bisogno di un po' più di tempo e riposo. Non fare attività fisica per le prossime due settimane e saranno come nuove. Il vero problema è che se farai qualcosa per rialzarle rischi che si incrinino ancora di più e potrebbero perforarti un polmone.
"Rialzarle? ...Sei davvero un medico?"
Il suo sguardo divenne ancora più duro e le sue guance meno rosee.
"So di cosa sto parlando. Ti darò antidolorifici, lenzuola, un bidet e un paio di manette a tenerti compagnia. Non possiamo perdere tempo a sorvegliarti ventiquattro ore su ventiquattro." 

   
 
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