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Autore: nikita82roma    01/12/2016    1 recensioni
Rick ha detto a Kate che non sarebbe stato a guardarla mentre buttava via la sua vita. È tornato a casa dopo la consegna del diploma di Alexis quando sente bussare alla porta del loft. Ma non è Kate, è Esposito che lo avvisa che Beckett è in ospedale gravemente ferita. Si parte da "Always" ma il percorso poi è completamente diverso.
FF nata da un'idea cristalskies e con il suo contributo.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rick Castle, William Bracken | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Era notte fonda.
Al buio, in un ufficio del quinto distretto illuminato solo dalla luce blu di un monitor, un uomo stava parlando al cellulare, guardando distrattamente le luci dei fari delle auto che scorrevano sotto di lui fuori dalla finestra.
- Va bene capo. Faremo tutto il possibile per accelerare i tempi. Il mio uomo sa come muoversi, ma quei due detective e lo scrittore si stanno mettendo in mezzo. Povero illuso, ha messo degli uomini di guardia davanti alla camera della detective, come se questo potesse bastare per fermarci.
- Ti ricordo che lei dirà come sono andate le cose, riuscirà a gestire la cosa, il tuo uomo?
- Lui ha i suoi mezzi, li userà.
- Fate attenzione. Lo scrittore è più pericoloso dei detective, perché si muoverà su campi diversi e non è uno stupido.


 

Castle aveva perso una discreta somma di denaro la sera precedente. Si era guadagnato gli sberleffi dei suoi compagni di poker su come la sua fortuna sfacciata per una volta lo avesse abbandonato, ma non aveva avuto nemmeno troppa voglia di riderci su.
Aveva aspettato la mattina successiva girandosi e rigirandosi nel letto, dormendo poco e male, fino a quando non si era alzato per andare a studiare di nuovo gli appunti sulla lavagna. Dove era quel particolare che sfuggiva a tutti loro?

Attraversò i corridoi dell’ospedale che ormai aveva imparato a memoria, salutò i due uomini di guardia fuori dalla porta e, senza bussare, entrò in camera di Kate. Rimase imbambolato quando vide che seduto sulla sedia vicino al suo letto c’era Josh.
Nel suo posto.
La sua mente tornò ad un anno prima. Perché lui era lì? Perché era vicino a lei e le teneva la mano? Si stava illudendo ancora?
Stava per andarsene, quando sentì il rumore della sedia e la voce di Josh.

- Devo tornare a lavoro. Ci vediamo, Kate. - Le diede un bacio sulla fronte ed uscì passandogli accanto senza dire nulla.

Kate sembrava avere uno sguardo colpevole mentre allungava una mano come a chiedergli di raggiungerla. Ricacciò indietro l’amaro che aveva in bocca, assieme ad un pezzetto della sua dignità, avvicinandosi a lei. 

- Castle… - Solo quando lei pronunciò con voce rauca il suo nome realizzò che non era più intubata.

La sua bocca era libera e poteva vedere le labbra screpolate e secche sulle quali, nonostante tutto, si sarebbe perso molto volentieri. Scacciò quei pensieri dalla mente.
Stava meglio, quindi. Era quello l’importante.

- Ciao, Beckett. - Le rispose in tono asciutto. 

Non riuscì nemmeno a prenderle la mano. Sembrava che ora che potevano parlarsi, quell’intimità raggiunta nel silenzio comunicando solo con il tatto fosse svanita.
Kate sospirò guardandolo, voleva fortemente parlargli, dirgli tante cose.
Aveva pensato ad un lungo discorso da fargli ma non riusciva ancora a parlare bene e ogni volta che si sforzava di farlo sentiva come una manciata di aghi trafiggerle la gola.
Non voleva creare fraintendimenti non riuscendo poi a spiegarsi per poter chiarire.

- Grazie - Gli disse alla fine, sforzandosi.

- E di cosa? - Rick provò a sorridere, ma gli venne fuori solo uno di quei sorrisi forzati che odiava anche lui.

- Sei qui. - Sussurrò con un filo di voce.

- Sì, Beckett. Sono qui. - Non poté resistere, però, dal toglierle quella ciocca di capelli davanti agli occhi e lei gli fermò la mano mentre stava per ritrarsi. Kate provò a schiarirsi nuovamente la voce ma riuscì solo a provocarsi altro dolore, in aggiunta a quello che sentiva già un po’ ovunque e fece un sospiro carico di frustrazione.

- Non ti affaticare. Avremo tempo per parlare, ok? Non me ne vado. - Sollevò la sua mano per darle un bacio, rendendosi conto dopo che forse aveva osato troppo per il punto in cui erano. Ma in effetti qual era di preciso la loro situazione? Come si potevano considerare due persone che si erano dette “ti amo” in tempi diversi, urlando, piangendo, senza sapere se l’altro l’avrebbe mai saputo? 

- Questo era esattamente quello che non volevo, Beckett. Lo capisci?

Kate fece cenno di sì con la testa, stringendo la sua mano di più. Rick avrebbe voluto dirle altro, ma non sarebbe stato giusto non poter ascoltare la sua risposta. Le sorrise quindi, di nuovo, questa volta in modo più sincero.
Quando arrivarono i medici per la visita di routine, Castle lasciò la stanza dirigendosi verso i distributori automatici per prendere uno di quegli schifosi caffè, il meglio che quel luogo avesse da offrire. Si ripropose di parlare con Corwin, facendogli presente che per quello che costava quella struttura, si aspettava un caffè decisamente migliore.
Sentì una mano stringerlo sulla spalla bloccando i suoi passi. Quando si voltò si trovò faccia a faccia con Josh.

- È colpa tua anche questa volta, Castle?

- Non credo sia più affar tuo, Josh. 

- Lei non è mai stata affar tuo, eppure sei sempre in mezzo ai piedi.

I due si guardarono con aria di sfida, poi Castle continuò sui suoi passi per andare a prendere quel maledetto caffè e lasciò il dottore là con la sua rabbia.


Seduto sulle sedie metalliche dell’ennesima sala d’attesa, si rigirava la tazza calda tra le mani, facendo attenzione che il via vai di gente che andava alle macchinette automatiche non lo urtasse facendogli cadere il contenuto del bicchiere. Poco male, se anche gli fosse caduto il caffè: non ne aveva bevuto nemmeno un sorso, il solo odore lo nauseava, solo voleva evitare di sporcarsi.
Avrebbe voluto uno di quei caffè che prendeva alla caffetteria vicino al dodicesimo. Uno di quelli che da quattro anni portava ogni mattina a Kate e che bevevano insieme alla sua scrivania, quando lei si raccomandava di non sporcare nulla e non fare disordine.
Quello era il miglior caffè della giornata e l’unico ingrediente speciale era la sua compagnia. Ripensò alla parole di Josh. Lei non era mai stata affar suo, aveva ragione lui. Loro erano stati cosa? Partner? Amici? E cosa sarebbero stati adesso? Ora sapevano entrambi e come avrebbero potuto fare finta di nulla? Eppure, per lui, Kate Beckett era dannatamente affar suo.
Talmente tanto da non poter fare a meno di essere lì.
Aveva ragione Martha, da quando era diventato così pavido da non affrontare direttamente i suoi sentimenti? Da quando aveva cominciato a tergiversare nei confronti di una donna?
Facile, da quando si trattava di Kate Beckett. Lei era l’unica che riusciva a fargli mettere in dubbio tutte le sue certezze, rendendolo al pari di un ragazzino alla sua prima cotta che non sa come chiedere alla più carina della scuola di andare al ballo con lui.
Prima di conoscerla lui non sapeva nemmeno cosa volessero dire, quei timori. Non aveva mai avuto di questi problemi, si era sempre buttato senza paracadute con chiunque, senza paura di farsi male.
Ecco la differenza.
Con lei aveva sempre avuto una paura fottuta di farsi male, di farle male, di rompere quel precario equilibrio che avevano. Ora però avevano perso quella stabilità, stavano fluttuando sospesi nel vuoto quasi come se fossero in assenza di gravità.
Ma appena fossero tornati in uno stato atmosferico normale cosa sarebbe accaduto? Sarebbero caduti rovinosamente a terra o avrebbero aperto quel paracadute che tenevano nascosto dietro le loro paure? Lui voleva che Kate Beckett fosse affar suo. Lo voleva tremendamente.
Si alzò di scatto, urtando una donna di una certa età che non aveva proprio visto e scusandosi frettolosamente mentre scappava via. Si era quasi rovesciato addosso quell’imbevibile caffè.
Raggiunse il primo bagno disponibile, dove svuotò nel lavandino il contenuto della tazza, buttando il tutto nel cestino prima di darsi una sciacquata al viso. Si guardò attentamente allo specchio, quasi a volersi auto-convincere. Era giusto. Era quello che voleva. Ce la poteva fare. Ce la doveva fare.
Tornando verso la stanza di Kate non fece spiacevoli incontri di dottori motociclisti, incrociò solo Cerbero che, avendo ultimamente ritrovato un minimo di umanità ed empatia, lo informò sullo stato di saluto di Kate.
Ebbe la tentazione di ordinare agli uomini della security di non far più entrare Josh nella stanza di Kate, ma si trattenne sforzandosi.
Quando entrò vide che Kate aveva la testa voltata verso il muro e gli occhi chiusi. Dal volto sembrava molto sofferente ma notò che le avevano tolto qualche altro tubicino.
Doveva essere un buon segno, si ripeté.
Nel mentre, tutto il coraggio che aveva trovato pochi momenti prima era svanito. Lei riusciva a paralizzare la sua spavalderia. 


Kate sentì il suo profumo, prima ancora di sentire i suoi passi. Quel profumo che, negli ultimi anni, aveva cercato negli uomini con cui era uscita, prima di arrendersi all’evidenza. Non era un profumo, ma il suo odore. Era lui.
Aprì gli occhi cercando di dissimulare il dolore.
- Ho sete - sospirò a fatica.

- Non puoi bere, lo sai! - La riprese. - Me lo ha detto Cerbero, l’infermiera. Ora è un po’ più buona con me, da quando l’ho sedotta con il mio rude fascino. Sai, Beckett... Di solito le donne le conquisto molto velocemente, la maggior parte almeno…- Riuscì a farla sorridere almeno un po’. Prese uno dei fazzoletti sul comodino, lo bagnò con l’acqua della bottiglietta e, avvicinandosi piano a Kate, come per chiederle l’autorizzazione, le passò la stoffa bagnata sulle labbra con la massima delicatezza.
Kate sembrò apprezzare quel gesto, rubando qualche gocciolina d’acqua con la lingua. Così Rick ripeté il gesto più volte, sempre con la stessa attenzione. Si sarebbe preso cura di lei per sempre, se solo glielo avesse permesso. L’avrebbe portata via da lì, appena sarebbe potuta uscire. Desiderava solo tenerla al sicuro, in qualsiasi modo, fino a che quella storia non si fosse conclusa in qualche modo. Qualunque cosa, pur di non vederla più lì così.
Bussarono di nuovo alla porta, stavolta però non era nessun medico o infermiera ma Rick si alzò ugualmente, come se così avesse potuto proteggere Kate dall’estraneo appena entrato.

- Signor Castle, credo che lei saprà sicuramente spiegarmi la presenza di quei due energumeni qui fuori? 

Price, seguito da due dei suoi, era entrato senza presentarsi e senza troppi convenevoli. Kate spostava lo sguardo dall’uomo sconosciuto a Rick, che le dava le spalle e non poteva vederla

- Detective Price, in realtà non le devo spiegare proprio nulla. Non c’è niente che lei debba sapere. - Rispose calmo Castle

- No? - Chiese stupito il detective

- No.

- Quindi per lei è normale che ci sia della sicurezza che chiede le generalità a chi vuole entrare in una stanza di ospedale?

- Viste le circostanze e visto che voi non fate niente, sì. - Sottolineò la parola “voi” con molta enfasi. Castle non avrebbe voluto far sapere a Kate degli uomini di sicurezza, ma l’intervento di Price aveva mandato al diavolo i suoi piani di riservatezza. Sperò che in fondo riuscisse a capirlo.

- Devo interrogare la detective Beckett, può lasciarci soli?

- Direi di no. La detective non può parlare, ancora. - Castle gli bloccò letteralmente la strada mentre si avvicinava a Kate.

- Adesso, signor Castle, è anche medico? Vedo che non è più intubata, quindi… - Price lo scostò con forza, aiutato da uno dei suoi che lo prese. Rick fu così faccia a faccia con Kate che lo guardava perplessa mentre ascoltava distrattamente Price presentarsi.

- Allora, detective Beckett, come sono andate le cose? È stata una rapina? - Alle parole del detective Kate sbarrò gli occhi e cercò aiuto nello sguardo di Castle, che si avvicinò.

- No… no… no… - la sua voce rauca era appena un sussurro graffiante. Si stava agitando e uno dei macchinari a cui era collegata cominciò a suonare. Immediatamente entrò il personale dell’ospedale invitando tutti ad uscire.

- Complimenti, detective! Non è necessario essere medici per capire che una persona nello stato di Kate non può subire un interrogatorio! - Castle era furioso. Furioso e preoccupato.

- Quindi, vediamo... Oltre che medico è anche poliziotto signor Castle? Forse stare tutti questi anni al 12° le ha confuso le idee. Mi pare di ricordare che lei sia solo uno scrittore e non capisco a che titolo lei sia ancora qui con il detective Beckett ad occuparsi di questioni che non la riguardano.

- Questo non credo sia affar suo, detective.

Un medico, appena uscito dalla camera di Kate, raggiunse Price dicendogli che la paziente non era ancora in grado nè di poter parlare nè di sostenere un interrogatorio. Poi si rivolse a Castle, spiegando che aveva chiesto di lui.
Non si congedò nemmeno dai due, ma si precipitò da lei che, anche se era sdraiata, era visibilmente affaticata.
Appena lo vide lo fulminò con una delle sue occhiate. Rick sorrise, non si aspettava nulla di diverso, forse addirittura sperava in quella reazione un tempo così normale.

- Ok, Beckett… Ti devo spiegare un po’ di cose, però tu non ti arrabbiare e non ti agitare, ok?

Lei sospirò rassegnata. Sapeva che non avrebbe potuto fargli una delle sue solite ramanzine, così lasciò che le prendesse la mano e cominciasse a raccontarle tutto quello che non sapeva di quei giorni.

   
 
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