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Autore: Slevin97    01/12/2016    0 recensioni
Ultima scala dell'universo, convinta di esserne la prima; sottomessi ad un sistema di comodità, ma talmente comodi che si permettono di devastarlo, sviliti dalla fondamentale figura ideologica che loro stessi rappresentano. Potrebbero apparire come buffi animali questi uomini, ma rappresentano
iconicamente la gelosia nell'essere uguali, la brama di invidia che acceca affinché non si posseggano le stesse opportunità.
Genere: Comico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Antichità
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Tra le caratteristiche peculiari del genere umano la volontà di autodistruzione è certamente la più curiosa ed affascinante, nonché alla base della loro stessa storia.
Abbiamo infatti avuto l'opportunità di notare già nelle vite dei primi uomini tale tendenza.
Completato un primo ciclo evolutivo quale quello dell'essere scimmia, la prima coppia di mortale gene si ritrovò in una condizione di beatitudine, grazie alla affascinante facoltà di credersi fine ultimo della natura, ma anche per merito di una effettiva abbondanza di qualsivoglia genere di prima necessità.
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L'habitat terrestre era infatti connotato da una elevatissima presenza di flora; in particolare la prima coppia umana si ritrovò collocata dal caso all'interno di un affascinante avvallamento. Pendeva dalle labbra del monte la lingua serpentina d'un fiume che andava separandosi in due piccoli torrenti. Alberi e cespugli parevano essere argini del fiume, tanto il fogliame e le sponde erano simbioticamente confuse, ed una radura fertile sorgeva tra i giganti di legno.
Non che la radura non fosse generosa nel suo banchetto, ma gli uomini si spinsero spesso al di là dell'acqua, ove trovarono rifugi altrettanto sicuri, cibi altrettanto succulenti, vegetazione altrettanto folta. Le deboli menti dei primi uomini – specie dalle menti fioche per natura – non avrebbero certo immaginato che quei monti che circondavano la valle fossero non i limiti del mondo, ma anzi soglia per un mondo tutto da scoprire; perciò pareva tanto oscuro e misterioso il crinale roccioso che si ergeva sul monte più alto.
I giorni trascorrevano riposanti, privi di fatiche: si suppone che in tal tempi siano state pronunciate le prime parole per identificare pericoli o piaceri; incapace tentativo di espressione nonché illusione di comprensione. Secondo alcune tradizioni mistiche che accompagnarono la stirpe umana per millenni furono anzi dei nomi ad essere pronunciati per primi: Adamo ed Eva.


Si manifestò dopo non molto tempo quella peculiare caratteristica umana di cui si parlava: per un mistero inesplicabile l'uomo non era in grado di comprendere la propria fortuna, e concentrava la sua mente non su quanto fosse in suo possesso, ma su quanto non fosse in grado di ottenere. Focalizzando di giorno in giorno la propria attenzione sulle proprie mancanze arrivò a provar tedio e rabbia per la sua gioia quotidiana, mentre era sempre più affascinato dal crinale oscuro, sul quale si ergeva un arbusto convulso che vorticava con i suoi rami su sé stesso; attorcigliandosi in un abbraccio egoista sembrava fossero due gli alberi a sorreggere le foglie, e forse era effettivamente così. In ogni caso, la prima donna iniziò a provare un forte desiderio per i frutti rossi e verdi, traslucidi e perfettamente tondeggianti, di quell'albero che, proprio quando il tempo si faceva più caldo, sembrava offrire refrigerio porgendo nella loro direzione frutta penzoloni.
Ed allora la donna spinse l'uomo a cogliere quei frutti, nonostante il sentiero fosse impervio, nonostante v'era un terreno friabile sulla cima del crinale: l'uomo non ebbe comunque bisogno di motivazioni; era qualcosa di nuovo, era qualcosa che l'amata desiderava.

Era l'alba dell'umanità quando Adamo percorse la biforcazione della lingua gelida della limpida acqua, l'alba del suo ultimo giorno quando finì di percorrere la lingua del fiume ed entrò nella bocca del monte per percorrere il sentiero verso il crinale. Il buio circondava la figura solitaria che non temeva l'oscurità; perché nessuna paura lo aveva mai afflitto; perché un occhio di fuoco puntava proprio l'albero da raggiungere, rendendolo ancora più attraente.
Dopo ore di cammino il terreno pendente appariva come una commistione di rocce e radici, corde che tendevano tutto il monte, reti che catturavano i duri sassi intorpiditi. Appigli per le mani sporche dell'uomo, le radici si ammorbidirono; pavimento per i suoi piedi, le rocce si risvegliarono; la scossa del tronco per la caduta dei frutti, il monte crollò su sé stesso, portando nella risacca l'albero e l'uomo.

Una mela cadde ai piedi della donna, rotolata dalla mano semiaperta dell'uomo che spuntava tra le macerie.
Un morso.
Rinfrescante.
Un po' insapore.
I figli non ebbero più un padre,
le rocce ed i detriti avevano bloccato il fiume,
l fango divorava il terreno.

La terra aveva cacciato gli uomini dal loro paradiso terrestre; ci sarebbero voluti molti anni per trovare un luogo altrettanto accogliente.

   
 
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