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Autore: benzodiazepunk    01/12/2016    1 recensioni
Frank e Gerard, due ragazzi dalle vite completamente opposte che si incontreranno, o meglio scontreranno all'improvviso, negli anni '40 del XX secolo.
Il primo in cerca di indipendenza e di un posto nel mondo, il secondo scontento della sua vita e plagiato da un padre autoritario.
Quando poi la forte stratificazione sociale, i pregiudizi e una guerra imminente si aggiungeranno ai loro problemi, il loro incontro migliorerà o meno le loro vite?
---Aggiornamento ogni mercoledì---
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QUESTA STORIA NON MI APPARTIENE MA E' STATA SCRITTA DA MCRmichi UTENTE DI WATTPAD DA CUI HO AVUTO IL CONSENSO DI PUBBLICARLA SU EFP. TUTTE LE IDEE APPARTENGONO A LEI.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'SCAR'
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CAPITOLO SETTIMO
 

 

Frank aveva passato gli ultimi giorni cercando qualcuno disposto a farlo dormire in casa propria per qualche tempo, ma non era stato affatto facile. Aveva girato per tutta la città, e anche nei dintorni ma nessuno lo aveva voluto ospitare per più di una notte. Aveva chiesto a chiunque conoscesse, anche solo di vista: era stato dai compagni del college, dai suoi ex colleghi del cantiere, perfino dal Signor Blake una volta. La maggior parte dei suoi vecchi amici lo aveva a stento riconosciuto, figuriamoci se lo avrebbero fatto entrare in casa loro. I suoi ex colleghi invece lo ospitarono, Tommy lo fece dormire sul suo divano addirittura per quattro giorni, mentre il Signor Blake non era nemmeno in casa. Frank aveva immaginato che non ci fosse più tornato dopo il processo, forse era stato arrestato.

In ogni caso, se era riuscito a far passare una settimana dormendo un po' qua e un po' là, ora le sue conoscenze erano finite. Gli rimaneva un' unica possibilità prima di mettersi a dormire sotto un ponte: ritornare a casa.

Quella opzione non gli piaceva affatto, ma dal momento che non aveva altre alternative si decise a tentare. Chissà mai che nel frattempo non avesse trovato un nuovo lavoro.

Così Frank camminò a lungo sotto il sole caldo, e appena dopo l'ora di pranzo arrivò finalmente alla casa paterna. Esitò un momento davanti alla porta sgangherata. Voleva davvero fare questo passo indietro? Già, perché si trattava di un passo indietro per la sua vita.

Ma non aveva davvero altra scelta, quindi bussò alla porta. Appena ebbe dato il primo colpo, la porta si spalancò, dentro era buio e dei vecchi mobili non c'era più traccia.

Non ci poteva credere, se ne erano andati! Andati dove? Doveva trovarli, doveva trovarli assolutamente.

Frank bussò alla porta affianco, dove viveva una vecchia impicciona che era sempre al corrente degli affari degli altri. Dopo pochi istanti la donna aprì una fessura, ma quando lo riconobbe, uscì dalla porta e gli si piazzò davanti.

"Ti sei deciso a ritornare eh? Be, ormai come vedi è troppo tardi per aiutarli" gli disse in tono accusatorio.

"Dove sono andati? Lei lo sa, non è vero?"

La donna sbuffò, pensando se rispondere o meno a quel ragazzo che lei riteneva la causa della sfortuna di quella famiglia.

"Quando il Signor Iero è morto, tua madre ha deciso di andarsene con 
tutta quella sfilza di bambini"

Il ragazzo sgranò gli occhi.

"Morto?" Il cuore di Frank perse un colpo. Non aveva idea che suo padre fosse morto, ma come avrebbe potuto saperlo?

"Sì, mi dispiace. Non hanno nemmeno fatto il funerale, troppo costoso. Lo hanno infilato in cassa di legno e lo hanno sepolto al limitare del cimitero"

"E-e mia madre? Dove sono andati gli altri?" Balbettó Frank.

"E chi lo sa? Lei diceva di avere degli amici a nord, su, al confine col Canada. Forse dopo la morte di tuo padre ha deciso di tentare di cambiare vita. Ora ho da fare, scusami" e la donna richiuse la porta alle sue spalle.

Frank non se lo aspettava proprio. La morte di suo padre era imminente, su questo non c'erano dubbi, ma non poteva immaginare che sua madre avrebbe deciso di cambiare città. 
Ora non c'era davvero più nessuno che lo potesse aiutare e Frank si sentiva terribilmente solo.

Quella sera non aveva un posto dove andare. Per fortuna era estate, pensò, e almeno non faceva freddo la notte. 
Tutti i suoi sforzi per trovarsi un lavoro erano stati assolutamente vani poiché come aveva previsto, nessuno voleva assumere nuovo personale all'inizio dell'estate. Oltretutto con quel braccio fasciato non aveva molte possibilità di fare una buona impressione.

A proposito del braccio, Frank si ricordò dei punti che sarebbe dovuto andare a farsi togliere, ma non aveva i soldi per farlo, quindi si recò in un parco, si sedette su una panchina e iniziò a sfasciare la ferita.

Non aveva un nell'aspetto, pensò. Era davvero lunga, e tutta arrossata sui bordi. Frugò un po' nella sua sacca e ne estrasse un coltellino e dopo un attimo di esitazione, cominciò.

Prima sollevava un po' il nodo di ogni punto, quindi tagliava il filo alla base col coltellino, e infine tirava la porzione di sutura staccata, facendola scorrere attraverso la pelle finché non usciva completamente.

"MMH DANNAZIONE!" Imprecó Frank togliendosi il primo punto e lanciandolo violentemente a terra. Non era piacevole, anzi, faceva un male cane. Probabilmente non era un buon segno, solitamente togliere i punti non faceva male, almeno così tutti gli avevano sempre detto.

Comunque strinse i denti, e continuò a estrarre il filo fino alla fine della ferita, continuando a imprecare e a scagliare fili nell'erba. Quando ebbe finito era tutto sudato, poi richiuse il coltellino, lo ripose nella sacca e rimase per qualche minuto seduto sulla panchina ad ascoltare il cinguettio degli uccelli. Infine si rifasciò il braccio e si alzò, incamminandosi verso l'uscita del parco.

Ormai il sole stava calando e Frank non aveva nessuna idea di dove andare. Se fosse stato inverno si sarebbe seduto su una panchina in stazione, per stare al caldo, ma era estate e non faceva affatto freddo, nemmeno la notte.

Camminava per le vie della città, osservando tutte quelle persone fortunate che non solo avevano una casa in cui tornare, ma probabilmente anche una famiglia che le aspettava. Quando si avvicinò l'ora di cena Frank non aveva ancora mangiato, e nemmeno lo fece, ma lui era ormai abituato a saltare i pasti.

Alla fine si arrese e decise che per quella notte, e soltanto per quella notte, avrebbe dormito su una panchina e poi il mattino dopo avrebbe certamente trovato una soluzione.

Così sviò in una strada più appartata rispetto a quelle strafrequentate del centro, avvistò un posto che poteva fare al caso suo, posò la sua roba sotto alla panchina e usò il cappotto come cuscino. Certo, non era affatto comodo, il legno bitorzoluto si faceva sentire sulla schiena, ma pensò che per una volta se la sarebbe fatta andare bene. Fece molta fatica ad addormentarsi e durante la notte si svegliò diverse volte per via dei rumori della strada.

Alle sei del mattino seguente il sole svegliò Frank, che non si sentiva affatto riposato. Era come se avesse dormito sulle pietre: la schiena era completamente bloccata, il collo indolenzito e gli stava venendo un gran mal di testa. Si massaggiò le tempie per qualche minuto nel tentativo di far sparire quelle fitte, ma non servì a molto. Inoltre quella mattina la soluzione che il giorno prima si era ripromesso di trovare, non arrivó. E nemmeno quel pomeriggio, o i giorni successivi. 

L'umore di Frank era completamente a terra e sentiva di non avere più nessuna speranza di riuscire a togliersi da quella situazione. Ormai erano tre giorni che dormiva su quella panchina. Di giorno vagava per la città, in cerca di qualche volto familiare a cui poter chiedere una mano, e di notte tornava alla panchina per dormire.

Fu solo il quinto giorno di residenza in quel posto che Frank si accorse che la fasciatura al suo braccio aveva qualcosa che non andava. Quando si svegliò al mattino, si stiracchiò e si mise seduto guardandosi le scarpe. D'un tratto scorse una macchia rossa sulla benda, quindi girò il braccio per darci un' altra occhiata, e con orrore vide che l'intera fasciatura si era inzuppata di sangue.

"Cazzo! Ma perché devono succedere tutte a me?" Per poco Frank non si metteva a piangere. Allora si sfasciò la ferita e vide che un rivolo di sangue continuava a scorrere dal mezzo del taglio. Si rifasciò in fretta, prese tutta la sua roba e andò a cercare una fontana in cui lavarsi.

Dovette arrivare in un viale vicino alla via maestra, per trovare una diavolo di fontanella. Gettò la sua roba su una panchina vicina e si sciacquò il braccio che bruciava da morire.

"Se non stai attento ti viene un' infezione" sentì dire Frank alle sue spalle. Si girò e sulla panchina dietro a lui c'era un uomo dalla lunga barba disordinata, un accattone evidentemente. 

"Sì be, spero che non succeda" rispose Frank seccamente.

"Non basta sperarlo, ragazzo. Se non la curi ti andrà in cancrena"

"Io non ce li ho i soldi per farmi curare. Però se me li vuole dare lei, visto che sembra tanto interessato alla mia salute..." Frank non era in vena di chiacchiere.

"Come vuoi allora. Se vuoi, quella panchina è libera.. come hai detto che ti chiami?"

"Non l'ho detto"

"Come sei scontroso figliolo, hai una lunga vita davanti a te, non puoi già essere così burbero alla tua età"

"Evidentemente sì" gli rispose col tono più acido che riuscì a tirar fuori. Poi chiuse la fontanella, vi si appoggiò con l'altro braccio e tirò un lungo sospiro, rendendosi conto del trattamento troppo duro che aveva riservato a quell'uomo.

"Libera per cosa?" Chiese Frank.

"Come?"

"La panchina. Libera per cosa?" Frank stava cercando di sembrare un po' più amichevole.

"Be, ma per occuparla ovviamente. Vedo che ti porti tutta la tua roba dietro, quindi non devi aver ancora trovato un posto fisso"

"Già.. ma io non sono un senzatetto" affermò Frank un po' in imbarazzo.

"Tu dici? Si vede che hai dormito almeno per quattro giorni all'aperto, ragazzo. E la regola dice che fino a tre notti, puoi ancora non essere chiamato 'barbone' ma superate le quattro notti... sei ufficialmente uno di noi"

"Che stronzata" borbottó Frank.

"Tutti si vergognano all'inizio Matt, ma poi ci si abitua"

"Non mi chiamo Matt"

"Be, tu non vuoi dirmi come ti chiami, e io in qualche modo dovrò pur chiamarti, non credi?"

Frank alzò gli occhi al cielo.

"Mi chiamo Frank, signore"

"Bene Frank! Io mi chiamo George, piacere di conoscerti"

"Già, sì. Allora mi metto qui George" e si sedette sulla sua panchina mentre sciacquava la benda insanguinata. Per fortuna era riuscito a fermare l'emorragia, e ora la ferita sembrava chiusa.

Come aveva detto George, a Frank non andava di considerarsi un senzatetto, ma alla fine era quello che era. Si rese conto che la sua situazione non era diversa da quella degli altri barboni che occupavano le panchine di quel viale, e alla fine si rassegnò alla sua condizione. La sua forza di volontà si era esaurita, aveva perso la voglia di vivere. Di giorno non andava nemmeno più in giro per la città, ma se ne stava seduto sulla sua panchina, circondato dalle sue poche cose ad osservare la gente che passava. Non aveva più una motivazione per vivere, non capiva il senso della sua esistenza in quelle condizioni.

Intanto la sua ferita peggiorava. Non usciva più sangue, e dopo un po' Frank aveva smesso di tenerla fasciata, ma aveva un brutto colore rossastro tendente al viola. Ma quella era l'ultima delle sue preoccupazioni. Non gli interessava dell'infezione, in qualche modo bisognava pur morire, e Frank stava prendendo sul serio quella possibilità.

La morte.

Qualche volta Frank si era ritrovato a pensare a come sarebbe morto, e in un paio di casi, arrivó a pensare di togliersi la vita.

  
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