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Autore: revin    04/12/2016    1 recensioni
La vita da reclusa è molto più dura di quella che Gwen avrebbe potuto immaginare, soprattutto in un penitenziario di massima sicurezza interamente dominato da uomini. Fox River è un inferno al quale sembra impossibile poter sopravvivere. Ma Gwen ha una missione da compiere... la vendetta.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ero molto curiosa di scoprire come sarebbe stato accolto il ritorno dell’infido mafioso da Michael e dagli altri. Da voci di corridoio avevamo scoperto che qualcuno avesse cercato di fare fuori Abruzzi, tagliandogli la gola con una lametta, ma nessuno aveva ancora scoperto chi fosse stato a lasciare il pover’ uomo più morto che vivo, né per quale motivo l’avesse fatto. Dopo quel violento episodio, John era stato trasportato d’urgenza al più vicino ospedale e tutti noi avevamo dato per scontato di non rivederlo mai più, invece avevamo dovuto ricrederci. John Abruzzi era un osso molto più duro di quanto ci fossimo aspettati.
-    Non ti dà fastidio che sia di nuovo a Fox River e che, oltretutto, sappia del piano?  -  avevo chiesto a Michael, entrando a mensa al suo fianco.
Il ragazzo aveva recuperato due vassoi prima di passarne uno a me, aspettando che mi accodassi alla fila per iniziare a riempirlo di cibo.
-    Ti riferisci a John? Beh no, lo avevamo incluso nel piano fin dall’inizio e il fatto che sia tornato va solo a nostro vantaggio.  -  rispose sottovoce, facendo attenzione che potessi sentirlo soltanto io.
-    A vantaggio di cosa?
-    Della riuscita del piano. Vedi, io posso anche organizzare un’evasione e portare Lincoln e gli altri fuori da queste mura, ma là fuori è tutto diverso. John è l’unico che possa aiutarci a lasciare il paese prima di diventare dei facili bersagli. Hai mai sentito parlare della Top FlySouthers?  -  Scossi piano la testa.  -  E’ una compagnia che effettua voli da piccoli aeroporti del Midwest, come quello a dieci miglia da qui. Li gestisce una società di facciata di Abruzzi. In cambio della sua partecipazione all’evasione, John ha promesso che metterà a disposizione uno dei suoi aerei per portarci fuori dagli Stati Uniti.
Certo, adesso capivo l’importanza che Abruzzi avesse per la riuscita del piano e per le speranze di ognuno di loro, ma proprio non riuscivo ad accettare che un pluriomicida e un mafioso tornasse in libertà. Era una cosa indegna, sbagliata.
Dopo aver terminato di riempire i vassoi, sia io che Michael ci dirigemmo verso il solito tavolo in fondo alla sala dove già precedentemente avevo notato Sucre, in compagnia del cugino e nuovo acquisto del gruppo, Manche. A sorpresa però, il ragazzo scelse di occupare uno dei tavoli liberi sulla seconda fila invece che unirsi a quello del suo compagno di cella, il che mi spiazzò, ma mi fece anche piacere. Non avevamo mai pranzato da soli fino a quel giorno.
I miei neuroni innamorati mi inducevano a pensare che anche lui volesse trascorrere gli ultimi momenti a Fox River in mia compagnia, ma la razionalità sopravvissuta a quello scempio suggeriva che le sue intenzioni fossero altre, per esempio la voglia di stare almeno a pranzo lontano dai suoi compagni di evasione con i quali trascorreva gran parte della giornata.

-    Credi che John sia ancora interessato a prendere parte alla fuga?  -  continuai, prendendo posto accanto a lui.
-    Non lo so, forse dovremmo chiederglielo.  -  rispose, indicando con un cenno della testa il miracolato Abruzzi, diretto proprio al nostro tavolo solitario.
-    Salve ragazzi. -  esordì quest’ultimo, offrendo un sorriso cortese sia nella mia direzione che in quella di Michael.

Si era avvicinato discreto, puntando dritto all’obiettivo, ma non aveva appoggiato il vassoio sul tavolo,  -  buon segno  -  né aveva dato segnale di volersi accomodare, nonostante la presenza di una sedia libera alla mia destra.
Dovevo ammetterlo, adesso che lo guardavo da vicino, notavo una gran bella differenza rispetto a quando lo avevo conosciuto. John era visibilmente dimagrito, aveva tagliato i capelli, non più pettinati all’indietro e lasciati sciolti, ma adesso molto più ordinati, rasati ai lati e lasciati più lunghi sopra. Sulla gola era ben visibile una lunga cicatrice che dal centro arrivava quasi a sfiorare l’orecchio destro. Chiunque gliel’avesse lasciata, aveva avuto proprio l’intenzione di farlo secco.

-    E così sei tornato.  -  esclamò Michael amichevole come sempre, rivolgendosi all’uomo.
-    Già, il Signore ha voluto concedermi questa seconda possibilità.

La sua risposta riuscì a lasciarmi piuttosto incredula. Da quando in qua John era religioso?

-    Sono felice che tu sia qui.  -  proseguì Michael.
-    Grazie. Credo che Dio mi abbia permesso di sopravvivere perché rimediassi ai miei peccati e a questo proposito, volevo chiedervi scusa per quello che vi ho fatto in passato. Voglio scusarmi soprattutto con te, Gwyneth.  -  L’iniziativa mi prese totalmente alla sprovvista, tanto che più di una volta dovetti trattenermi dal voltarmi per assicurarmi che non stesse parlando con qualcun altro alle mie spalle.  -  Sono stato un tantino prevenuto nei tuoi confronti… e scortese, e un uomo scortese con una donna non è degno di meritare un posto nel paradiso dei cieli dopo la morte.

“Ok, stavo decisamente sognando”.

-    Spero tanto che tu voglia accettare le mie scuse.

Non sapevo assolutamente cosa rispondere. Mi stava prendendo in giro? Gli era scattata via qualche rotella? Quello non poteva essere il John Abruzzi che avevo conosciuto al mio arrivo.

-    Ahm… certo… grazie.  -  balbettai a disagio.

Al mio fianco, Michael sembrava incredulo quanto me.

-    Voglio che da adesso in avanti le cose cambino.  -  riprese l’irriconoscibile Abruzzi.  -  A proposito, che ci fate ancora qui? Ero convinto che ormai aveste già varcato il confine.
-    Abbiamo avuto qualche piccolo intoppo.  -  si giustificò Michael, scrollando le spalle.

Negli occhi di John comparve un improvviso lampo di interesse.

-    Stai ancora organizzando?
-    Beh, questo dipende da come l’idea dell’evasione verrà accolta dal nuovo Abruzzi.
Il mafioso ci lanciò uno sguardo deciso.  -  L’anima del vecchio peccatore è destinata a rimanere reclusa tra queste 4 mura. E’ morta. L’anima nuova ha bisogno di essere libera!
-    L’anima del vecchio peccatore aveva un aereo pronto ad attenderci. L’anima nuova potrà fare lo stesso?
Questa volta John sorrise beato.  -  Noè aveva la sua arca, dico bene?  -  e senza attendere la risposta, lo guardammo voltarsi e tornare sui suoi passi per dirigersi ad un tavolo poco più avanti, insieme ai suoi fedelissimi.

Era fuor di dubbio che quello strano uomo avesse subìto un qualche tipo di trasformazione mistica durante la sua assenza. Forse dipendeva dal fatto che fosse sopravvissuto ad un’esperienza molto vicina alla morte. O forse era solo fuori di testa. Ciononostante continuavo a percepire del marcio in lui. Nonostante la sua improvvisa conversione, le scuse e tutto il resto, un mafioso non poteva trasformarsi improvvisamente in un santo. Continuavo a non fidarmi di lui.

-    Ho appena avuto una quasi conversazione con John Abruzzi durante la quale non sono stata né denigrata, né minacciata di morte. Non posso crederci.  -  esclamai con una punta di sarcasmo, dedicandomi finalmente al mio pranzo.
-    Sono sorpreso anch’io. John sembra molto cambiato.
-    Le sue intenzioni di evadere però sono sempre le stesse. Adesso che puoi nuovamente contare sul tatuaggio e seguire le condutture sotto il reparto psichiatrico, quanto pensi che manchi alla fuga?

Fino a quel momento avevo deciso di non sapere nulla sui tempi e sulla durata dei lavori, ma negli ultimi giorni mi ero chiesta spesso quanto tempo ancora avessi a disposizione da passare con Michael. Non volevo trovarmi dal dovergli dire addio dall’oggi al domani. 

-    Non lo so,  -  rispose il ragazzo pensieroso.  -  mancano ancora gli ultimi dettagli. Innanzitutto non ho ancora la più pallida idea di come far arrivare Lincoln in infermeria dall’isolamento. E non ho ancora la chiave. Nel piano originario, il condotto arrivava fino all’interno dell’infermeria, ma se percorreremo i condotti sotto il reparto psichiatrico sbucheremo nell’ala sud, a circa una ventina di metri dalla nostra via di fuga. Questo significa che per entrare in quella stanza ci servirà la chiave. 
-    Il vecchio trucchetto di urtare una delle guardie, sottrargli la chiave e farne una copia, è passato di moda?
-    Purtroppo solo il personale medico ha quelle chiavi.
-    Insomma, quando hai detto ai ragazzi che ormai era tutto pronto, volevi dire che sei ancora in alto mare.  -  Sorrisi un po’ compiaciuta al pensiero di avere ancora un po’ di tempo.  -  Non credo di avertelo mai detto ma io ti ammiro molto per quello che stai facendo per tuo fratello.
Michael mandò giù un boccone di insalata e scrollò le spalle.  -  Non è poi questo gran che.
Avrei voluto farmi una risata.  -  No certo. Anch’io da piccola sognavo di farmi tatuare addosso un’intera planimetria, farmi rinchiudere in un penitenziario di massima sicurezza e progettare un’evasione, nell’eventualità che mia sorella venisse condannata a morte. Era già nei piani!

Il ragazzo apprezzò il sarcasmo e sorrise, ma subito dopo il suo sguardo tornò a farsi serio.

-    Che altro avrei dovuto fare? Non potevo restarmene con le mani in mano a vederlo morire. E’ mio fratello. 
-    Siete sempre stati così uniti?  -  gli domandai, spinta dalla curiosità.

A dire il vero, conoscevo già la risposta. Avevo letto i loro fascicoli e conoscevo a memoria la storia dei due fratelli abbandonati dai genitori, cresciuti insieme fin da piccoli e separatisi in età adulta per incompatibilità di caratteri. Eppure, tutte le informazioni che avevo letto non spiegavano come e perché Michael fosse arrivato a tanto pur di salvare la vita al fratello.
All’improvviso nei suoi occhi mi parve di scorgere un’ombra e quando il suo sguardo s’incatenò al mio, vi percepii un accenno di rimpianto e compresi che c’era molto dietro quel suo strano atteggiamento e dietro quelle scelte apparentemente irrazionali. Prima di dirgli addio, avrei voluto saperne di più di quel ragazzo tanto misterioso. Volevo conoscerlo. 

-    Non proprio, no. Prima che Lincoln venisse incolpato per l’omicidio di TerrenceSteadman, i nostri rapporti erano… piuttosto tesi.  -  rispose, appoggiando la forchetta sul vassoio.
-    Sul serio?
-    Praticamente è stato Lincoln a crescermi. Nostra madre morì quando avevo 11 anni e Lincoln 15, e nostro padre se n’era già andato da tempo. Lincoln dovette rimboccarsi le maniche molto presto per prendersi cura di entrambi. Poi un giorno, anche lui decise di andarsene perché era stanco di passare da una famiglia affidataria all’altra. Da quel giorno le cose tra noi sono cambiate.

Le mie fonti coincidevano perfettamente. Michael fino a quel momento aveva confermato esattamente tutto ciò che avevo letto nei loro fascicoli: la morte della madre, l’allontanamento del padre, la decisione di Lincoln di prendersi cura del fratello minore, diventandone il tutore una volta maggiorenne e poi il successivo allontanamento da Michael a causa dei primi problemi con la legge. 

-    Col tempo venni a sapere che mia madre aveva avuto un’assicurazione sulla vita e che il denaro sarebbe stato spartito tra me e Lincoln.  -  continuò assorto nei suoi ricordi.  -  Diventato maggiorenne ottenni la mia parte e me ne andai per la mia strada anch’io. Finii la scuola, mi iscrissi al college…
-    E Lincoln?
-    Non ne seppi più niente per anni e, a dire il vero…  -  abbassò gli occhi turbato.  -  … smisi di preoccuparmene. Le uniche volte che mi cercava erano scuse per chiedermi puntualmente dei favori. Una volta mi chiese addirittura dei soldi per pagare dei vecchi debiti. Poi qualche tempo dopo seppi che aveva trovato un lavoro come magazziniere nella società di Steadman, ma era spesso nei guai e io sempre più stanco di stargli dietro. 

Sospirò amareggiato, bloccandosi di colpo. Io lo stavo ancora fissando con il cuore in gola.

-    E dopo?  -  Ero in attesa di sentire il resto della storia. 
Scosse la testa, riprendendo in mano la forchetta.  -  Lasciamo perdere. E’ deprimente.
-    No, ti prego, voglio conoscere il resto.

“Resto che, tra l’altro, non conoscevo”.

All’inizio sembrò vacillare, tormentato da un qualche dilemma interiore, ma poi all’improvviso il suo sguardo si fece furbo e sul suo viso comparve l’ombra di un sorriso.

-    Facciamo come l’ultima volta.  -  propose.  -  Io rispondo alle tue domande se tu rispondi alle mie.
-    Questo stupido gioco non mi piace.  -  mi lamentai, sporgendo il labbro inferiore come una bambina.
-    Anch’io voglio sapere qualcosa di te, anzi, a pensarci bene io non so praticamente nulla che ti riguardi. Allora, ci stai? E questa volta la prima domanda spetta a me.

Non riuscivo ad immaginare cosa potesse volermi chiedere sulla mia stupida vita. La storia della mia famiglia era banale, così come la storia della mia vita. Non avevo addosso nessun tatuaggio che nascondesse o meno planimetrie o roba simile, non avevo fratelli o sorelle nel braccio della morte e la parte più folle della mia vita l’avevo vissuta lì a Fox River insieme a loro. 

-    D’accordo, fa questa dannata domanda!  -  sbuffai.

Probabilmente sarebbe rimasto deluso, ma perlomeno io avrei avuto la mia storia.
Dal canto suo, Michael sembrava piuttosto soddisfatto per quella concessione.

-    Ricordo di aver letto qualcuno dei tuoi articoli quando lavoravo a Chicago. Se non sbaglio, una volta sei stata persino intervistata per un giornale universitario nel quale hai dichiarato di non essere americana, è così?
-    Hai un’ottima memoria, non c’è che dire. In effetti io sono arrivata negli Stati Uniti soltanto un anno fa. Ho vissuto quasi tutta la vita in Italia.
-    Italiana come Abruzzi.  -  scherzò.  -  Allora avete molto in comune.
-    Spiritoso!
-    Perché sei venuta qui in America?  -  Feci una smorfia e Michael ovviamente fraintese.  -  Si può sapere perché sei così restia a parlare di te?
-    Ci tengo molto alla mia privacy.
-    Non sarà invece perché sono solo un detenuto e non ti fidi di me?

“No, decisamente non era questo il motivo”.

-    Mia madre si è risposata per la seconda volta con un americano conosciuto durante il viaggio post-divorzio con mio padre. -  cominciai, sforzandomi di essere sincera.  -  Era nel New Jersey solo da qualche giorno quando conobbe Keith Sawyer. Si innamorarono a prima vista e naturalmente mia madre decise di trasferirsi in fretta dalla sua nuova conquista. L’anno scorso si sono sposati con rito civile, così ho deciso di lasciare anch’io l’Italia per poter assistere al matrimonio e poter studiare in uno dei tanto declamati college americani. Purtroppo dopo 91 giorni esatti, mia madre si è resa conto che odiava la mentalità americana, e Keith, che non avrebbe potuto sopportare l’irruenza e la superficialità di mia madre un altro giorno di più, così hanno deciso di lasciarsi e sono attualmente in attesa della legale separazione firmata dal giudice. 

Ero certa che a Michael non fosse sfuggita la vena polemica che aveva accompagnato il mio stringato resoconto in risposta alla sua domanda. Non amavo molto raccontare agli sconosciuti gli irrimediabili fallimenti della mia famiglia. Non avevo accettato la separazione dei miei genitori e tutt’ora non riuscivo a perdonare a mia madre la decisione di lasciare Keith, il secondo miglior uomo al mondo, dopo mio padre. 
Avevo sempre criticato mia madre per le sue scelte stupide e impulsive, finché non mi ero resa conto di essere esattamente come lei. La mia presenza a Fox River ne era la prova concreta.

-    Quando mia madre decise di tornare in Italia per dare un colpo di spugna alla sua “scappatella americana”, io scelsi di restare insieme a Keith e sua figlia Meredith. -  continuai.  -  Il nostro rapporto si è raffreddato da allora e quando ci penso mi dispiace, ma qui ormai ho trovato la mia strada… si insomma, l’avevo trovata prima di finire qui dentro.
-    E non ti sei mai pentita della tua scelta di restare piuttosto che di tornare a casa?
Scossi la testa.  -  Non mi pento mai delle scelte che faccio, per quanto assurde, sbagliate, rischiose possano essere.
Sorrise.  -  Come farsi rinchiudere volontariamente a Fox River?
-    Si beh, questa è un’altra scelta folle che a volte mi fa dubitare delle mie facoltà mentali.
-    A volte, eh?

Socchiuse gli occhi e all’improvviso l’intensità del suo sguardo mi bloccò il respiro. 
C’era da perdersi in quei meravigliosi occhi color del cielo. L’infinità di messaggi che vi si potevano leggere era incalcolabile. Ogni sua espressione poteva essere tradotta in mille modi diversi.

-    … e torniamo a te.  -  balbettai, dopo aver ripreso ossigeno.  -  Allora, com’è che ti sei ritrovato a farti tatuare in metà del corpo la planimetria di un penitenziario se tu e Lincoln non eravate più in buoni rapporti e conducevate due vite completamente diverse?

La nuova domanda lo rese nuovamente cupo e pensieroso. Per quanto l’argomento fosse delicato e probabilmente difficile da trattare, Michael faceva molte meno storie di me ad aprirsi. 

-    All’inizio credevo come tutti che Lincoln fosse colpevole. Tutte le prove erano contro di lui. Poi, qualche giorno prima dell’ultima udienza mi raccontarono una cosa che non avevo mai saputo. L’assicurazione sulla vita di mia madre, quella che credevo fosse stata divisa tra me e Lincoln, quella che mi aveva permesso di studiare, laurearmi e comprare un bell’appartamento, in realtà non era mai esistita. Lincoln mi diede quei soldi, raccontandomi della storia dell’assicurazione perché non scoprissi che provenissero da lui, ma se li era fatti prestare da uno strozzino. Quando l’ho scoperto, Lincoln era già stato accusato della morte di Steadman e subito dopo è stato condannato a morte.Mio fratello si era indebitato fino al collo per garantirmi una vita migliore e io invece gli avevo voltato le spalle, non credendogli quando si era professato innocente. E’ tutta colpa mia se Lincoln è finito in carcere.

Ero ufficialmente incredula. Non potevo credere a quello che avevo appena sentito. Quella storia era totalmente nuova per me. Era uno scoop!

-    Aspetta… mi stai dicendo che la grossa somma di denaro che è stata imputata a Lincoln come movente dell’omicidio, è la stessa somma che tuo fratello si è fatto prestare per darla a te?  -  Il ragazzo annuì amareggiato.  -  Cavolo che casino!
-    Da quel giorno ho cercato in tutti i modi di scoprire la verità e di dimostrare l’innocenza di Lincoln, ma non ci sono mai riuscito. Tutto quello che facevo era inutile, continuavo a girare in tondo come un gatto che si morde la coda e nel frattempo la data dell’esecuzione si avvicinava inesorabile. Così, dopo un anno di ricerche e di indagini prive di risultati, ho capito che dovevo intervenire direttamente se volevo salvare mio fratello, così sono finito a Fox River… il resto lo sai.

Mi resi conto di essermi immobilizzata con la forchetta ancora in mano, solo quando Michael terminò la fine del racconto. Quindi, infilai forchetta e verdure in bocca, sforzandomi di ingoiare il boccone. 

-    Non sarà una vita facile là fuori, questo lo sai. Varcare quel muro significherà condannare la tua vita e quella di Lincoln a un continuo guardarsi le spalle. Fuggirete per sempre senza mai potervi fidare di nessuno. 

Era una constatazione cinica e piuttosto cruda, ma era reale ed ero certa che Michael avesse già considerato da tempo i rischi ai quali lui e il fratello sarebbero andati incontro dopo la fuga. 

“Ma guarda di chi dovevo innamorarmi! Un tipo un po’ menoincasinato no, eh?”

-    Dimmi di te.  -  riprese dopo una breve pausa alzando lo sguardo in cerca del mio, deciso a ricominciare con le domande.  -  Che cosa farai una volta fuori da qui? Ricomincerai a diffamare i politici? Scriverai una querela sul Chicago Tribune contro il Presidente?
Sorrisi triste.  -  Non credo che me lo permetterebbero. Sono stata espulsa dall’Albo e questo significa che la mia carriera di giornalista è finita.

Quella era certamente una delle sconfitte più grandi che la vita mi aveva inflitto. Amavo ancora il mondo del giornalismo e non ero riuscita ad accettare di dovermene allontanare. Era stata la mia passione più grande e il mio intero mondo da quando ero arrivata in America. Senza mi sentivo vuota, una parte di me mi era stata portata via ed era solo colpa mia.
Michael dovette intuire il mio turbamento perché di colpo percepii la punta delle sue dita toccare il dorso della mia mano, e quando sollevai lo sguardo per guardarlo negli occhi, restai sorpresa dall’intensità che trasmettevano. 
Cercai di ignorare l’improvviso sussulto nel mio stomaco, ma non accennai a spostare la mano nemmeno di un centimetro. Non volevo perdermi neanche un secondo di quell’intensa scarica elettrica emanata da quel semplice tocco.

-    Sai, stavo pensando a quello che mi hai raccontato l’altra volta. Il periodo in cui ti sei occupata del caso delle intercettazioni a Chicago, corrisponde pressappoco al periodo precedente alla mia incarcerazione.  -  disse, senza schiodare gli occhi dai miei.
Mi costrinsi a parlare senza balbettare come un’emerita idiota. -  Già… che strano, tutti e due a Chicago nello stesso periodo. Chissà, magari ci siamo scontrati distrattamente per strada o incontrati casualmente in un bar senza sapere nulla l’uno dell’altra.
-    No, questo è impossibile.  -  rispose sicuro.
-    Come fai a dirlo?
-    Perché se ti avessi incontrata in un bar, non credo mi sarei dimenticato tanto facilmente del tuo viso.

Per una manciata di secondi che parvero un’eternità, il mio battito cardiaco andò letteralmente in tilt e non ci capii più niente. Dimenticai che quella era la mensa di un carcere e che eravamo circondati da pericolosi detenuti. Vedevo solo i suoi occhi, così intensi da darmi quasi le vertigini, sentivo solo le sue dita, adesso incrociate alle mie quasi si fossero accavallate per caso.
E quello che aveva appena detto? Me l’ero sognata o il tono malizioso che aveva usato era stato intenzionale? Meglio non pensarci. Che diavolo stavo facendo? Flirtavo con il detenuto che voleva evadere, ecco cosa. Dovevo essere impazzita. Quell’uomo a breve sarebbe scomparso dalla mia vita, era una cosa assolutamente stupida e insensata affezionarsi a lui. 
Quasi avessi ricevuto un ordine, distolsi lo sguardo dal suo e contemporaneamente districai le dita per allontanare la mano e nasconderla sotto il tavolo, insieme all’altra. Questa volta non controllai che il ragazzo potesse fraintendere il mio gesto o meno. 
Per un po’ nessuno dei due parlò, però riuscivo ancora a sentirmi i suoi occhi addosso.

-    Credi che… sarebbe stato diverso se non ci fossimo conosciuti in carcere ma in un posto qualunque là fuori?  -  mi chiese serio.
Continuai a tenere gli occhi bassi.  -  Che vuoi dire?
-    Ci saremmo conosciuti scontrandoci casualmente per strada o incontrandoci in un bar e avremmo fatto amicizia?
-    Non lo so.

Quando sollevai lo sguardo, vidi che Michael stava serrando le labbra per soffocare una risata. Avrei voluto sprofondare con tutta la sedia.

-    Che cos’è che trovi tanto divertente?  -  gli chiesi piccata.
-    Niente scusa, è solo che ieri pensavi che fossi io a sentirmi in soggezione nei tuoi confronti.
-    Quindi stai cercando di dimostrare il contrario?

Scosse la testa e sorrise, increspando agli angoli gli occhi chiari. Non ebbi più scampo. 
Non c’era modo di sottrarsi al forte magnetismo che mi attirava a quel ragazzo. Non avevo né la forza, né tantomeno la volontà di oppormi. 
Che cosa c’era di così speciale in lui da rendere completamente inermi le mie difese? Michael era carino, senza dubbio, ma non era certo più carino di tanti altri ragazzi conosciuti prima di lui. Era intelligente, gentile, sensibile, ma tutte le sue buone qualità non spiegavano perché fossi così inspiegabilmente attratta da un ragazzo che aveva molti più problemi di me. 

-    Sawyer, Scofield, sempre insieme come due piccioncini!  -  sentii esclamare all’improvviso al capitano Bellick, avvicinatosi al nostro tavolo per richiamare la nostra attenzione. -  Quante volte ancora devo fischiare questo dannato fischietto, prima che vi decidiate ad alzare il culo da quelle sedie e recarvi ai rispettivi posti di lavoro?

Quell’insulso energumeno era l’unico che potesse mettere fine a quel momento idilliaco con così poca finezza. 

-    La sala non si è ancora svuotata del tutto.  -  gli feci notare, sbuffando senza farmene accorgere. 
-    Non me ne importa un fico secco!  -  ribatté tagliente il secondino, sfoderando la sua tipica espressione da cane da guardia.  -  Scofield, tu hai il controllo in infermeria fra mezz’ora, quindi sparisci. Sawyer, noi due dobbiamo fare due chiacchiere nel mio ufficio. Seguimi.

Sapevo perfettamente a cosa si riferisse parlando di fare “due chiacchiere”. Avrei dovuto sorbirmi l’ennesima strigliata. 
Mentre mi alzavo pronta a seguirlo, notai lo sguardo preoccupato di Michael, ma non potei spiegargli. Riuscii a ricambiare brevemente il suo sguardo, prima di recuperare il vassoio vuoto dal tavolo e incamminarmi insieme a Bellick verso l’uscita.

Come avevo supposto che accadesse, appena entrati nel suo disordinatissimo ufficio, “occhi da lucertola” non perse tempo a mettermi a mio agio, invitandomi a sedermi o a prendere un caffè. Attese esattamente il tempo che entrassi e incrociassi le braccia al petto prima di sistemarsi di fronte a me e attaccare con le domande.

-    Allora dolcezza, che notizie porti?
-    Che notizie vuole sapere?
Bellick non era un uomo che spiccasse per pazienza.  -  Non fare la furba con me, ragazzina. Dimmi cos’hai scoperto su Scofield e sul suo gruppetto di tirapiedi. -  sbottò, diventando subito minaccioso. 
-    Non ho scoperto niente e non so davvero come farle capire che non c’è niente di rilevante nelle nostre conversazioni. Con Scofield parlo solo di sciocchezze e del fratello che sta per essere giustiziato, e i suoi amici mi rivolgono a stento la parola. 
-    Stai mentendo! Ti ho vista l’altro giorno discutere con Westmoreland, C-Note e quel frocetto di T-Bag. Che cosa vi siete detti?

Inevitabile che ci avesse notati. Negli ultimi giorni avevo passato così tanto tempo con loro per progettare il ritorno di Michael dal reparto psichiatrico che mi sarei sorpresa del contrario. 

-    Quello è stato un caso. C-Note mi aveva chiesto dei soldi per prendersi la cella di Scofield e Sucre che Geary aveva messo all’asta. Charles gli doveva dei soldi, per questo c’era anche lui, e poi si è avvicinato anche T-Bag perché credo fosse interessato all’acquisto tanto quanto l’afroamericano. Non so altro.

Per quanto brava potessi essere a recitare la parte dell’ignara ragazzina, dovevo ammettere che Bellick era un osso duro da convincere.
L’uomo prese la lattina di birra appoggiata sul tavolo e ne bevve un lungo sorso, prima di puntare nuovamente i suoi occhi viscidi su di me.  

-    Dimmi chi è stato ad incastrare Geary. Come hanno fatto quei farabutti a far credere che fosse stato lui ad aggredire Scofield?

Espressione da “Casco dalle nuvole” che avrebbe meritato un Oscar. Pronta.

-    Incastrarlo?
-    Si, incastrarlo!!  -  mi sbraitò in faccia, facendo esplodere la lattina che aveva in mano con uno scoppio sonoro. La bibita volò dappertutto, inzuppando a me la divisa e a lui la manica della giacca.  -  Credi davvero che io sia stupido? Cos’è, tu e i tuoi amichetti avete fatto comunella? Non crederti nella posizione di poterti cucire la bocca solo perché la prossima settimana uscirai da qui. Se solo volessi, potrei allungare la tua permanenza di altri 30 giorni per cattiva condotta.

“Ah, brutta mossa il ricatto”.

-    Si, lo so che potrebbe farlo, ma a quel punto il mio avvocato interverrebbe con una notifica e io denuncerei tutto al Tribunale di Stato.  -  Cominciavo davvero ad averne abbastanza di tutti quegli uomini che credevano di potermi infinocchiare con qualche strampalata minaccia campata in aria. Conoscevo i miei diritti.  -  Mi dispiace capitano Bellick, ma ho persone molto competenti a coprirmi le spalle. La mia attuale condanna è stata accorciata di ben 30 giorni e lei non può fare proprio niente per costringermi a restare oltre gli effettivi 9 giorni che mi restano da scontare. Perciò, a meno che il direttore Pope non confermi un mio improbabile atteggiamento insubordinante che mi riconfermi la condanna originale, non penso che possa fare gran che per trattenermi, e conoscendo l’innato senso della giustizia del caro direttore, non penso proprio che abbia la possibilità di spuntarla.

L’uomo ricambiò il mio sguardo facendo stridere i denti. Si era trasformato in pochi secondi in una pentola a pressione pronta ad esplodere, non solo perché ero risultata indifferente alle sue minacce, ma perché ritorcergli la sua stessa arma contro aveva rappresentato una grave mancanza di rispetto.

-    Hai la protezione del direttore, per questo fai tanto la saputella. Bene, visto che ti senti così sicura, ho un’idea su come rendere indimenticabile la tua ultima settimana qui a Fox River… GUARDIA!  -  Tre secondi dopo l’agente Patterson era già nell’ufficio del capitano, pronto a ricevere ordini.  -  Louis, conducila al secondo livello. Oggi Sawyer comincerà un nuovo lavoro.

Sapevo che Bellick avrebbe risposto alla mia sfida e trovato un modo per farmela pagare, ma mai avrei immaginato che sarebbe arrivato a tanto pur di vendicarsi.
Quando, poco dopo, Patterson mi accompagnò al secondo livello consegnandomi camice, guanti e attrezzi da lavoro, lo fissai aspettando di sentirmi dire che era tutto uno scherzo, ma la smentita a quella triste previsione non arrivò. Ero stata ufficialmente sollevata da ogni altro incarico, compreso il turno a mensa, per venir declassata come addetta alla pulizia bagni. Questa volta ero davvero sprofondata sul gradino più basso. Avrei dovuto trascorrere entrambi i turni di lavoro a pulire i bagni dell’intero penitenziario, cominciando il primo turno dopo che tutti i detenuti avevano finito di lavarsi, e occupandomi dei servizi del secondo livello, quelli riservati al personale e alle guardie, durante il turno pomeridiano. 
Quelle decisamente furono le due ore più orribili e umilianti della mia vita. Finii per stirarmi un muscolo a furia di starmene inginocchiata a strofinare le docce intasate e maleodoranti, e quando arrivai ai gabinetti, in più di un’occasione temetti di ritrovarmi a svuotare lo stomaco di ogni residuo di cibo sopravvissuto al pranzo di quel giorno.  
Avrei odiato a vita quella sottospecie di secondino con la faccia da porcellino d’india che mi aveva costretta a tanto.
Alle 5 Patterson venne a prelevarmi per accompagnarmi in infermeria, grazie a Dio. Non ero mai stata così entusiasta di rivedere la bella dottoressa.
Appena arrivati, io e la guardia ci rendemmo conto in fretta che il numero di attentati della giornata doveva essere aumentato. Per i corridoi si era creata una calca di gente e un continuo via vai di persone che entravano e uscivano da una stanza all’altra. Oltre alla dottoressa Tancredi, che non vedevo ancora da nessuna parte, erano stati richiamati altri due medici. Il via vai di detenuti in attesa di essere visitati continuava ad aumentare. Per evitare inutili e noiose attese decisi quindi di chiedere informazioni. Avevo già sprecato abbastanza tempo a far risplendere i servizi igienici di quella fogna e l’ultima cosa di cui avevo bisogno era restarmene in piedi  dietro una porta, aspettando che arrivasse il mio turno.

-    Ciao Katie  -  esclamai ad un’indaffarata infermiera, prima che mi superasse per chiudersi dentro ad una di quelle porte a me sconosciute.
-    Oh ciao Gwyneth, aspetti la dottoressa?
-    Veramente si. Stamattina non era di turno e così ho atteso che tornasse, ma credo di aver scelto un pessimo momento…  -  osservai il corridoio pieno di gente in attesa.  -  … ma che cos’è successo?
La donna sospirò stravolta.  -  Intossicazione da cibo. Oggi la mensa ha fatto una carneficina.
-    Allora sarà meglio che torni domattina.
-    Perché non provi a chiedere alla dottoressa se ha finito. Dieci minuti fa ho visto entrare Scofield, immagino che ormai abbia finito con lui.
-    Bene, grazie.

Che ci faceva Michael in infermeria? Le sue visite erano fissate per il giovedì ed era piuttosto improbabile che anche a lui fosse venuta un’intossicazione da cibo. Quel giorno a pranzo avevamo preso più o meno le stesse cose e io stavo benissimo. Probabilmente si trovava lì per farsi medicare l’ustione alla spalla e farsi sostituire il bendaggio. 
Autorizzata dall’infermiera Katie, feci l’enorme sbaglio di dirigermi verso la stanza dell’infermeria e aprire la porta, nonostante questa fosse chiusa e buona norma confermasse che fosse ancora ritenuto un atto maleducato aprire senza bussare.
Fu come un fulmine a ciel sereno. Nulla avrebbe potuto prepararmi alla visione di quei due, Michael Scofield e Sara Tancredi, impegnati a baciarsi. Il mio ingresso improvviso aveva fatto scattare entrambi come molle nel tentativo di allontanarsi l’uno dall’altra, ma ormai era tardi. Impossibile fraintendere, impossibile non vedere. Li avevo visti baciarsi e quell’immagine difficilmente sarei riuscita a cancellarla dalla mia memoria.
Per una manciata di secondi rimasi impalata a fissarli come un manichino, mano ferma sul pomello della porta e occhi fissi dritti davanti a me. Nessuno dei tre riuscì a spiccicare una sillaba. Poi finalmente riuscii a distogliere lo sguardo e trovare il coraggio di richiudere la porta per tornare dall’agente Patterson. 
   
 
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