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Autore: bimbarossa    05/12/2016    4 recensioni
Istantanee di un'esistenza, quella di Rin, viste, e vissute, dal suo Sesshomaru-sama nel corso degli anni e di una vita intera passata insieme. (raccolta inserita nella serie "Inuyasha- Beyond The Final Act")
Capitolo Primo: Sesshomaru si innamora (ambientato dopo "Nel Domani")
Capitolo Secondo: desideri inesauditi
Capitolo Terzo: sorrisi tra le margherite (ambientato tra Capitolo 1 e Capitolo 2 di La Guerra dei Cani)
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Inuyasha-Beyond The Final Act'
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Anno Sesto dalla Sconfitta di Naraku

 

 

Ancora prima di vederla sentì il suo odore.

Un profumo di fragole e muschio che lo mandava in estasi. Si, recentemente l'odore di Rin lo mandava in pura estasi.

Negli ultimi tempi questo era divenuto penetrante e sottile come una lama, assolutamente impossibile da ignorare, tanto che il suo naso ne veniva solleticato insieme a tutta la sua persona, in un modo talmente intenso che se lui non fosse stato Sesshōmaru e lei non fosse stata Rin, ovvero il Glaciale Principe dei Demoni e la sua protetta, si sarebbe messo ad annusarla uggiolando per tutto il giorno.

Mai si era sentito così coinvolto da un semplice odore. Mai si era eccitato davanti al sentore di un altro essere vivente in maniera così eclatante.

Frenati Sesshōmaru. Oggi Rin compie solo quattordici anni, e non è il caso di indugiare in simili fantasie.

Se lo impresse nel cervello quel monito, anche se suddette fantasie che nutriva nei suoi confronti da qualche mese a questa parte erano ancora nebulose e stentanti a prendere forma, un po' per senso di colpa e un po' per senso di pudore.

Per il grande Inugami, era pur sempre il figlio primogenito del grande Inu No Taisho e uno tra i più alti esponenti del Clan dei Cani, non un semplice yōkai che si accoppiava con chiunque in qualunque posto, seguendo solo il suo istinto.

A proposito dell'istinto, quello di Sesshōmaru in quel momento urlava. Dov'era Rin? Perché non la vedeva ancora? Era nascosta dietro quei cespugli?

Il suo odore era intenso, ma pur tuttavia quella nota di sangue non se l'era immaginata.

Si era spaventato, Sesshōmaru; subito aveva sfoderato gli artigli luminescenti e velenosi, tuttavia, dopo una prima analisi delle circostanze, aveva stabilito che non c'erano presenze demoniache né puzza di umani pericolosi nelle vicinanze.

Solo lei, che lo attirava come il fondo di un pozzo pieno di luce.

Magari è caduta. Si è fatta male. O peggio.

Accelerò il passo, sorpreso però di non essere poi tanto agitato. Da qualche parte nel suo essere, nel suo essere legato a Rin, era sicuro che non fosse in pericolo di vita.

La stessa consapevolezza gli diceva, anche, che era meglio che le si avvicinasse cautamente, che la ragazzina, per un motivo a lui ancora sconosciuto, non avrebbe apprezzato una sua entrata trionfale da grande eroe della situazione; quindi agilmente si mosse tra i cespugli fino ad arrivare al grande albero dove le aveva detto le parole più importanti che avesse mai proferito in tutti i suoi trecentoundici anni di vita, lui che le parole le lesinava come se fossero inutili. Come se fossero preziosissime.

L'energia spirituale di quell'albero era innegabile, intangibile, avvolgente come un bel ricordo.

Ed era lì -proprio come se la ricordava, bellissima e concreta, misteriosa e onirica- che si trovava il baricentro di Sesshōmaru, l'umana che gli aveva stravolto l'esistenza centenaria in un battito di ciglia.

Il demone si fermò.

Era tutta intera, eppure aveva la netta impressione che stesse soffrendo molto. E fu questo a farlo muovere, il bisogno di consolarla, di rassicurarla, di farsi spiegare perché se ne stesse accucciata ai piedi del dio-albero con le mani strette tra le cosce e l'aria affranta come non mai.

“Sesshōmaru-sama!”

Fu sollevato di vedere la felicità inondarle gli occhi scuri- e anche un po' compiaciuto- ma subito dopo un violento rossore si propagò sull'intero volto, e la fanciulla abbassò lo sguardo piena di vergogna.

Che sta succedendo? Il daiyōkai la osservò con occhi di falco in cerca di una ferita che spiegasse quell'afrore di sangue che la avvolgeva come uno muro, un muro che in quel momento Sesshōmaru vide ergersi in tutta la sua pericolosità.

Niente e nessuno.

Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di mettersi tra lui e quella ragazzina. Nemmeno a una ferita che non si vedeva.

La raggiunse e si sedette vicino a lei, mentre con orrore si accorgeva che Rin si ritraeva spaurita, le mani pallide sotto le ginocchia e lo yukata bianco con mezzelune blu che la rendeva ancora più smunta, ancora più bella, ancora più spigolosa. Proprio come una luna a metà. Proprio come il suo shirushi demoniaco sulla fronte.

“Rin.”

Disse solo quella semplice parola, che nascondeva e mostrava assieme un mondo di altre parole. Sono qui. Puoi parlarmi. Ti ascolto.

Rin rimase in silenzio ma la postura divenne meno rigida, meno lontana.

L'inu-yōkai si appoggiò al dio-albero e subitamente un calore lo invase, un languore molto simile a quello che provava quando pensava alla sua ragazzina, e di cui non avrebbe mai più potuto fare a meno.

Aspettò Sesshōmaru.

Aspettò per un tempo lunghissimo, godendosi il sole che lentamente tramontava su quella giornata di festa, pensando a come un altro anno fosse volato e a quanto Rin fosse cambiata velocemente, inesorabilmente.

La luminosità di quei capelli così scuri, la fossetta sul mento, le ossa leggere, e le labbra poi! Oh grande e potente Inugami, quelle labbra erano turgide, rosee e piene, tant'è che quando Rin, in uno dei suoi rari movimenti gli rivolgeva il profilo di sbieco, quella striscia arricciata del colore delle fragole sotto il suo grazioso nasino lo costringeva a passarsi la lingua sulle sue di labbra, come a pregustare qualcosa della stessa consistenza pastosa del burro, della stessa dolcezza instancabile del miele.

Uno stormo di rondini volò sopra di loro, pronto per tornare ai propri nidi per prepararsi alla notte.

Il suono delle loro grida riscosse la fanciulla che si volse verso di lui- finalmente! Ora poteva vederle intere quelle morbidezze incurvate all'ingiù in un sorriso triste- e sussurrò piano:

“Vi ho trattenuto Sesshōmaru-sama. Perdonatemi. Oggi non sto particolarmente bene.” Pareva contrita, prossima al pianto.

“Si prepara un'eclissi. Stasera vedremo una luna di sangue.” Non sapeva il perché le avesse risposto così, con un tale volo pindarico, tuttavia lei sbiancò e Sesshōmaru quasi si rammaricò di quello stratagemma usato per farla parlare.

“Allora lo sapete. Ve ne sarete certamente accorto. Devo puzzare molto.”

Cosa? Il demone bianco quasi trasecolò internamente, sorprendendosi lui stesso dello sforzo che dovette fare per non far trasparire nemmeno un'oncia della sua costernazione. Del suo timore.

Il problema doveva essere grave, oppure...oppure vuoi vedere che?!...Una conversazione avuta tanto tempo prima in una giornata come quella, con lo stesso cielo terso e lo stesso sapore di estate rimbalzò dentro di lui, incastrandosi alla perfezione nella trama di ipotesi che si era costruito.

Rin sanguinerà molto presto.

La voce di quel dannato di suo fratello gli percosse le orecchie, ammonitrice e subdola come il peggiore- o il migliore?- dei consiglieri.

“Rin, hai avuto il tuo primo mestruo per caso?”

La buttò lì quella parola, e vide che aveva colpito nel segno.

Poiché Sesshōmaru era Sesshōmaru, dopo ciò che suo fratello gli aveva riferito un anno prima, aveva fatto delle ricerche- conosci il tuo nemico!- su quello strano fenomeno che affliggeva le donne umane quando diventavano fertili.

Ma proprio perché era Sesshōmaru, in lui che era un demone non esisteva quella pudicizia sull'argomento caratteristica degli uomini comuni. Non era un tabù per lui. Era solo un fenomeno come tanti, uno di quei processi dell'organismo ningen da studiare, da capire, da osservare distaccatamente, preso da lui in considerazione solo in virtù del fatto che Rin ne sarebbe stata coinvolta. E di conseguenza anche lui.

Ma Rin non era un demone, anzi nella società umana, per volontà di Sesshōmaru medesimo, ci era tornata a vivere eccome, e in quel momento, al sentire quella parola, singhiozzò annuendo:

“La Somma Kaede mi ha rivelato tutto al riguardo. Mi ha spiegato che da oggi sono diventata adulta. Kurashi-chan e le altre donne vogliono addirittura farmi una festa. Mi hanno detto che è una cosa che fa parte della natura. Mi hanno detto che potrei sentire dolore. Mi hanno detto anche come mantenere la mia persona in questi giorni e che da adesso in poi devo stare attenta a come mi comporto con gli uomini. Ma non mi hanno detto che mi sarei sentita così sporca al vostro cospetto.

Finì la frase quasi gridando.

Il demone bianco restò in silenzio. Il dolore che percepiva in lei adesso era chiaro, così come la sua provenienza.

Poteva quasi sentire i crampi che la facevano fremere e raggomitolare su se stessa, e quel sangue poi non era normale. Era pungente, pieno di altre sostanze che gli facevano pensare ai baci, alle carezze, agli abbracci, cose che lui conosceva pochissimo ma che ora si era scoperto di desiderare. Desiderare da quella femmina. Rin. Da lei e da lei soltanto.

Un movimento spontaneo dettato dalla voglia profonda di consolarla fece muovere il suo ginocchio destro fino a entrare in contatto con il fianco sinistro di Rin -che sensazione deliziosa!- e sembrò che la ragazzina gradisse quella vicinanza perché il pianto divenne gradualmente più indistinto e basso.

Proprio come il sole che oramai era quasi del tutto tramontato dietro la collina, e la luna già era sorta in tutto il suo alone color ruggine.

Sesshōmaru non aveva parole per farla sentire meglio, per dirle che non doveva temere il suo disgusto, il disgusto di un demone dall'olfatto portentoso. Non era una ragazzina umana, quindi non poteva immaginare il disagio delle sue condizioni, ma proprio perché gli odori erano la sua specialità – e Rin ne era ampiamente consapevole- poteva capire il perché si sentisse vulnerabile, esposta, non pulita vicino a lui. E qualsiasi gesto tranne quello che aveva appena compiuto non era sicuro che Rin lo avrebbe gradito, né era sicuro di essere pronto egli stesso a compiere un simile passo. Eppure lo spettro di baci, carezze ed abbracci aleggiava ancora dentro di lui, in modo simile all'idea folle che gli era venuta sentendo la sofferenza di quell'umana così spaventata, così fragile.

Diversi uccelli notturni si alzarono in volo e bucarono la luna di macchie nere mentre i loro canti si diffondevano nella pianura di Musashino.

“Sono sicura che loro non si sentono mai così.” La voce della ragazza era poco più che un sussurro. “Vorrei che mi crescessero le ali per volare alla stessa stregua, per sentirmi leggera e mondata da ogni cosa.”

Il cuore di Sesshōmaru sobbalzò per un sentimento rarissimo in lui. Stupore.

Che le loro menti, le loro anime e i loro desideri fossero in tale sintonia?

“Alzati Rin.” Le ordinò quasi, facendolo a sua volta ed ergendosi in piedi davanti a lei. “Vuoi venire con me?” proseguì poi più accomodante.

“Certo.” Non gli chiese dove, perché o cosa avesse intenzione di fare. Si fidava di lui e lo avrebbe seguito sempre e dovunque.

Si, è la cosa giusta. Concretizzerò questa idea folle che ho partorito dalla tristezza di questa umana. Ovunque mi porti.

 

Rin teneva gli occhi serrati.

Ogni cosa intorno a lei che aveva dato per scontata era sparita. La terra sotto i suoi piedi, la piacevole brezza di quelle giornate estive, la tranquillità di un villaggio come Musashi.

Sotto di lei sentiva solo il vuoto, mentre il vento, lì ad alta quota, non era più tenue e rassicurante, ma un boato continuo, che divorava ogni rumore.

Ma nulla poteva tutto questo farla pentire di aver accettato quell'abbraccio.

Si, perché la cosa più scontata di tutte, ovvero il distacco emotivo a cui era tanto abituata quando si rapportava con lui, si era sbriciolata nel momento in cui Sesshōmaru-sama le aveva avvolto le braccia attorno al corpo in una stretta in cui non sarebbe passato nemmeno un ago, e poi una portentosa spinta derivante dallo sprigionarsi del suo potere demoniaco li aveva sollevati in alto in un luccichio magico, come polvere di luna.

“Apri gli occhi Rin. Non c'è nulla di cui aver paura. Sei al sicuro.”

La voce del demone bucò l'urlo del vento e subito Rin sentì i muscoli rilassarsi e le palpebre aprirsi, per spalancarsi sul volto tanto amato, tanto cercato nei suoi periodi di assenza.

Tale sguardo che le rivolgeva le fece galoppare il cuore, e in risposta anche quello dello yōkai si mise a fremere.

Gli occhi negli occhi, si osservarono, stupiti di quanto si sentissero liberi lassù, tra le nubi filamentose e biancheggianti dal riflesso della luna che si stava anche lei schiarendo uscendo dal cono d'ombra delle Terra.

Quei due pallidi esseri ridotti ad un puntolino visti dal suolo, si scrutarono a vicenda, districando emozioni e aggrovigliandone altre più di prima, mentre gli uomini sotto di loro, allo stesso modo ridotti a brulicanti formiche, andavano a coricarsi pieni di speranze semplici, paure semplici, sogni semplici.

“Come ti senti ora? Va meglio?”

La ragazza non rispose, confusa ed ammutolita. Meglio? Ma se si sentiva nel Nirvana!

“Ti fa ancora male...?”

Sesshōmaru non capiva. Rin sembrava imbambolata, e lui non si sentiva da meno.

Uno stordimento magnifico lo invadeva, mentre ogni centimetro di corpo entrato in contatto con quello della ragazza gridava e protestava di fondersi con lei, come solo due amanti potrebbero bramare. Come solo due amanti potrebbero ottenere.

Ma loro non lo erano, ed il solo motivo per cui aveva fatto quello che aveva fatto era stato per metterle quelle ali che tanto l'avrebbero fatta sentire meglio, abbattendo quel muro di sangue, dell'essere diventata donna, dell'essere diventata grande.

Magari così grande da essere finalmente pronta per scegliere. Per scegliere lui.

Tuttavia non ebbe il tempo per riflettere su tali desideri pieni di anni di frustrazione e solitudine, poiché Rin gli passò le mani sotto le ascelle per poi avvolgergli la schiena con le sue braccia leggere davvero come ali, ed aggrapparsi con tutte le sue forze, mentre una dolcezza infinita le riempiva gli occhi, e il grande demone si sentì sciogliere, morire in quella stretta piena di gratitudine. E forse anche di qualcos'altro.

Aveva capito. Aveva capito il suo gesto e lo aveva apprezzato come solo lei poteva fare.

“Si, adesso sto benissimo. Grazie Sesshōmaru-sama. E' stato il regalo di compleanno più bello che potevate farmi. Io...io vi...”

“Dobbiamo scendere. Quassù la temperatura è più fredda e non hai la veste di O-Yutori con te.”

L'aveva interrotta sul più bello. Perché lo aveva fatto, in nome del Sacro Inugami?

Se Rin gli avesse palesato i suoi sentimenti, quelli che nutriva anche lui per lei, non sarebbe stato tutto più semplice? Il periodo di separazione sarebbe finito, se la sarebbe portata via da Musashi e tanti saluti a quel mondo umano che tanto disprezzava, che tanto lo confondeva, che tanto si era scoperto a rivalutare.

Vide il viso di lei offuscarsi sempre più. Dipendeva dal fatto che stavano lentamente scendendo verso il suolo scuro della pianura di Musashino, lontani dalla luna e dai suoi raggi? O forse l'aveva in qualche modo offesa?

“Devo allontanarmi un attimo Sesshōmaru-sama, e tornare al villaggio. Io...Io...” Rin si nascose le mani dietro la schiena dopo nemmeno due secondi che avevano toccato terra staccandosi da lui, velocemente, per poi correre lungo il sentiero che conduceva alle prime case.

“Vi aspetto sotto il dio-albero. Ci sarete, vero?” gli gridò con tutto il fiato che aveva in gola.

Il demone bianco non rispose. O meglio, conosceva una sola risposta, talmente ovvia che non era necessario esprimerla.

Sempre e dovunque.

 

Dove era finito? Perché ci metteva tanto?

Rin era appoggiata al tronco del Goshinboku ormai da ore. La luna, ad occidente, aveva ormai percorso più della metà della volta celeste punteggiata di pallide stelle, e Sesshōmaru ancora non si vedeva.
Seppure non lo aveva confermato a parole, i suoi occhi, gli occhi del suo demone, avevano risposto si, si , e ancora si. Ti aspetto.

Ed era con questa convinzione che la ragazza si era trattenuta fino a notte inoltrata dopo essere corsa al villaggio per cambiarsi la pezza in mezzo alle gambe.

Si era accorta di sanguinare parecchio, e anzi, ancora adesso il fiotto caldo che sentiva lì in mezzo le impediva una posizione comoda. Nonostante ciò, si sentiva bene.

La pelle, dopo quel volo notturno, era più fresca, e i crampi erano passati.

Si semisdraiò stendendo e intrecciando le lunghe gambe sull'erba, le mani appoggiate sul ventre, mentre un piacevole torpore la invadeva.

Il ricordo delle mani di Sesshōmaru-sama attorno alla sua vita era vivido, caldo, confortante, ma lo era ancor di più rivivere nella mente il contatto che lei aveva cercato. Le dita ancora pizzicavano dopo avere sentito i muscoli compatti della schiena del demone, la durezza delle sporgenze ossee delle scapole, il morbido ma ferreo avvallamento della spina dorsale che portava giù, fin oltre il bordo dell'hakama in zone che Rin mai aveva neanche lontanamente pensato a cercare nel suo signore e padrone.

Tutto questo fantasticare su di lui l'aveva fatta fremere in maniera nuova, sonnacchiosa; languida come una gatta, mentre lì sotto, in mezzo alle gambe si sentiva più umida che mai, Rin quasi non si accorse di scivolare nel sonno di chi è immerso nel piacere.

Il suo Sesshōmaru-sama era bellissimo. Il suo Sesshōmaru-sama l'aveva stretta tra le sue forti braccia. Il suo Sesshōmaru-sama le voleva bene.

 

Doveva riprendersi.

Doveva calmarsi e riprendersi, e sperare che il cuore smettesse quella corsa impazzita nel petto.

Che gli era preso adesso?

Da ore cercava di riguadagnare il suo celeberrimo autocontrollo, e seppure con estrema difficoltà ci era alla fine riuscito. Ma la sensazione sgradevole di non essere più padrone dei suoi impulsi non gli piaceva per niente. Soprattutto perché a quegli impulsi non poteva dare sfogo alcuno.

Era meglio tornare da Rin, sperando che lei lo avesse aspettato.

Sperando che lei non lo avesse fatto.

Cosa voglio veramente?

Che lei ci sia sotto quell'albero dagli strani ed antichi influssi, o che non ci sia, così ritroverei la mia tranquillità di spirito?

Anche per quella domanda la risposta era palese. Si, voglio tornare e incontrarla di nuovo. Non importa quanto debba trattenermi, quanto debba aspettarla. Sempre meglio che non vederla affatto.

 

All'inizio pensava di sognare.

Si, con lo zampino di quella luna magica, credette che quello che vedeva davanti ai suoi occhi fosse solo il frutto di un sogno, di un'illusione dovuta a quei nuovi sentimenti che si era ritrovato a provare per lei.

La creatura magica sembrava più una millenaria divinità dei cieli piuttosto che una ragazzina umana di quattordici anni appena compiuti.

Le fronde dell'albero chiamato Goshinboku aleggiavano alla leggera brezza così come alcune ciocche dei suoi capelli dalle striature scurissime, lunghi, serici, lisci come lame, per poi andare ad attorcigliarsi solo verso le punte creando un effetto di piccola onda. Erano lunghi i capelli di Rin, lungo il dorso e oltre, raggiungendo quel fondoschiena che ultimamente si attardava spesso ad osservare, soprattutto quando camminava, incurante dello sguardo e dei pensieri che il demone covava.

Era appoggiata al tronco, sdraiata tranquillamente immersa nel suo di sogno, che doveva essere bellissimo dati i lineamenti rilassati, quasi felici del volto.

Pareva brillare di luce propria, la sua Rin.

E brillava davvero, cosparsa da tutta quella polvere luccicante che la ricopriva dalla testolina perfetta all'attaccatura del seno che si intravedeva dal kimono troppo, troppo corto, alle lunghe gambe sode e flessuose, fino alla punta dei piedi non più nudi ma che calzavano dei geta laccati di azzurro scuro con hanao bianchissimi; la sua polvere, di Sesshōmaru medesimo, prodotta dal potere demoniaco di levitare, ora la faceva risplendere in modo tale che persino la luna appesa in quel cielo nero e le pallide stelle ne venivano surclassate.

Quello scintillio era la prova evidente di quanto fossero stati vicini, lassù tra le nubi, quanto le avesse permesso di avvicinarsi a lui, quanto l'avesse stretta forte a sé.

La misura perfetta del loro abbraccio.

Non sa neanche di avermi così addosso, di avere una parte di me letteralmente attaccata alla sua pelle, talmente tanto che andrà via solo tra qualche giorno. Non può nemmeno immaginare che lo yukata che le ho regalato l'ho fatto ricamare appositamente con quei simboli, le mezzelune della mia nobile stirpe materna, affinché avesse la mia presenza sul suo corpo ogni volta che lo indossa, un'ipoteca che vorrei arrivasse alla sua anima. Al suo cuore umano.

Ed il cuore di Rin in quel momento ebbe un balzo in avanti che la fece sussultare, svegliare di soprassalto e puntare il volto assonato proprio verso la sua direzione.

Inoltre nel suo viso dovette scorgere qualcosa, un frammento di quel desidero lacerante che gli infuriava dentro, il desiderio di lei, il desiderio di possederla con ogni fibra del suo essere, perché si alzò freneticamente in piedi quasi traballando mentre lui la raggiunse con un balzo da predatore qual'era, un predatore che si sentiva il fuoco nelle vene, la testa ed i lombi pulsare al ritmo di quel cuore di cui ormai aveva perso del tutto il controllo.

“Sesshōmaru-sama!” ebbe appena il tempo di dire, che già il demone la raggiunse in tre secondi netti.

Sono innamorato e sono pazzo. E soprattutto la desidero come non ho mai desiderato niente prima d'ora!

L'abbracciò di getto, per la seconda volta quel giorno, buttandosi contro di lei che era piccola, bassa e piena di stupore. Poteva vederlo dai suoi occhi, tutta la sorpresa di quell'ardimento così innaturale per uno come lui, tuttavia non gli importava. Non gli importava affatto.

“Sesshōmaru-sama, cosa state...?”

“Shh Rin. Non parlare.”

La fece voltare velocemente, in modo che la schiena della ragazza aderisse al suo petto, per poi stringerla per i fianchi quasi artigliando le unghie nello yukata.

E proprio lo yukata fu il suo primo obiettivo; cominciò dal basso, accarezzando con avidità e dita frementi ogni centimetro dello spazio sensibile dietro le ginocchia, per arrivare fino al bordo del tessuto e lentamente ma inesorabilmente tirarlo su, sempre più su, sfiorando al contempo la pelle esposta, ed arrivando alle cosce calde, morbide, tentatrici come non mai.

Rin non sapeva che fare, che suoni emettere tanto era frastornata dal succedersi degli eventi, dalla velocità con cui si erano manifestati.

Percepiva il calore delle mani di Sesshōmaru-sama, l'eco frenetica del respiro di lui sul collo, dietro di lei, mentre questi le alzava lo yukata fino a scoprirle il bacino arrotolandolo fino alla vita.

Kami del cielo, sta succedendo veramente?

I sensi erano paralizzati dalla paura e dall'eccitazione, e poi frementi, e poi paralizzati ancora.

Si, perché lei sapeva benissimo cosa Sesshōmaru-sama le stava facendo. Cosa le avrebbe fatto.

Rin viveva in un villaggio, in una villaggio pieno di persone che facevano cose all'interno delle loro case dalle pareti di legno, cose che poteva sentire nei bisbiglii delle donne, tra cui anche Kagome-sama e Sango-san quando pensavano di non essere viste, o nelle battute degli uomini ai vari chioschi quando passava una bella ragazza o quando erano ubriachi.

Avrebbe voluto che tutto fosse già finito, ma al contempo voleva prolungare il più possibile quelle sensazioni così nuove, così devastanti tanto da arrivare nella pancia, nella gola, nelle orecchie dove sentiva il rombo del cuore che batteva alla stregua di un tamburo.

Se poteva solo immaginare che queste cose accadessero tra uomini e donne, negli animali, che erano tanti a Musashi, lo spettacolo era anche più esplicito, e Rin, con imbarazzo prima e curiosità poi, si era chiesta se quella foga, quella forsennatezza che poteva notare in ogni singola spinta di un accoppiamento tra un bue e una vacca, ci fosse anche in un uomo quando si perdeva dentro una donna.

Sarà così anche con voi, Sesshōmaru-sama?

“Ti farà un po' male all'inizio, Rin. Ma poi...”

La voce di Sesshōmaru le giungeva da dietro le spalle quasi irriconoscibile, alterata, digrignante, come una lama che stride chiedendo pietà.

“Ma poi...?”

“Poi, Rin, ci sarà solo il piacere.”

Proprio in quel momento si sentì alzare di peso, il corpo del demone -il suo inguine per la precisione, Rin ne era sicura anche se non lo vedeva- spinse contro il suo sedere portandolo in alto mentre le dita di Sesshōmaru-sama le aprivano le natiche e qualcosa di duro e morbido insieme si accostava alla sua apertura da dove nascevano i bambini.

Una parte di lei era pronta ad abbandonarsi, a liquefarsi, ad accogliere il membro di quell'essere così amato lì in piedi in mezzo alla foresta, eppure una frazione del suo cervello rimaneva dispettosamente distaccata, solida, non coinvolta. Non pronta per qualcosa a cui Rin non sapeva ancora dare un nome, non pronta per qualcosa che la ragazza ancora non capiva e non trovava in sé stessa. Troppo in fretta! Sta accadendo tutto troppo in fretta! Non ci sto capendo nulla! Non qui, non così!

E fu questa stessa frazione del suo cervello- o della sua anima celebrale- a sospirare di sollievo quando subentrò inaspettatamente il freddo, l'aria umida della sera che sostituiva il calore delle mani che fino ad un attimo prima l'avevano arpionata con tutta la bramosia del mondo.

Si voltò, Rin, per vedere cosa gli avesse fatto cambiare idea.

Sesshōmaru-sama era perfettamente immobile e senza un capello fuori posto, le iridi non più rosse e luminose, e l'hakama tirata di nuovo su a coprire il tutto ; come se la scena di prima non fosse mai successa, come se non si fosse gettato su di lei spinto dal desiderio più puro.

“Va a casa Rin. E' quasi l'alba.” Il tono era piatto, duro, e liscio come uno scudo.

“Io...”

“Zitta Rin. Fa' silenzio.”

Di nuovo l'abbracciò -riuscirò mai più a non farlo!?- questa volta non per soddisfare una mera voglia di lussuria, ma spinto dall'emozione ben più schiacciante di farsi perdonare, di farsi capire, di farsi ricordare.

Posò entrambe le mani ai lati del suo volto, chinandosi quasi alla sua stessa altezza, per poi posare la fronte con tanto di nobile shirushi demoniaco contro quella della ragazza invece diafana e candida.

Avrebbe voluto dirle tante cose.

Che si era fermato appena in tempo anche se non voleva fermarsi.

Che lo aveva fatto quando si era accorto della pezza tra le sue gambe e del fatto che fosse appena entrata in una nuova fase della sua vita tutta nuova e da scoprire. Una tappa che lui non voleva farle bruciare.

Che aveva capito che non era pronta, che mancava qualcosa a quel tipo di unione, che aveva solo quattordici anni e tanti sentimenti inesplorati che l'attendevano.

Le teste erano talmente vicine che quasi le bocche si incontravano, i respiri caldi di entrambi si rincorrevano intrecciandosi l'un l'altro, affannandosi a vicenda, incollandosi come neanche due lingue sarebbero riuscite a fare.

L'odore dell'alito di lui che sapeva di bosco, di pioggia, di notti d'autunno si mischiò a quello di lei, pieno di fragole e sole e primavera.

Rin tremava come mai in vita sua. In quel momento pensò che il demone volesse posare la bocca sulla sua, e già quella sensazione di estraniamento la colmava di nuovo senza che lei lo volesse, urlandole in testa E' troppo presto anche per questo! E' troppo presto!, ma ciò non avvenne.

O meglio, Sesshōmaru, con ogni stilla della lucidità che gli era rimasta, che lei gli aveva lasciato, fece di tutto per resistere, per non leccarle le palpebre velate di ombretto azzurro scuro, per non mordicchiarle il mento, o quell'incredibile fossetta che si creava agli angoli della bocca quando lei sorrideva.

No, Sesshōmaru non cedette, limitandosi a quel contatto di sospiri. L'unico modo in cui avrebbe potuto darlo quel non-bacio. L'unico modo in cui Rin avrebbe potuto accettarlo, quel non-bacio.

Rin, d'altra parte era sicura di aver smesso di respirare quando aveva capito che il demone bianco non sarebbe andato oltre. Per il sollievo, per la delusione, per l'incertezza.

“Devo andare. Adesso torna al villaggio. Seriamente.” A fatica staccò una per una le dita dalla faccia di quella ragazzina. “Ah, Rin. Non tornerò tanto presto,” continuò inaspettatamente.

Stavolta la voce era lapidaria davvero, con un'inclinazione che non gli aveva mai sentito. Solo quelli che lo avevano incontrato prima che lei arrivasse al suo fianco, tanti anni prima, si sarebbero potuti ricordare di tanto gelo.

Un gelo che la fece rabbrividire da capo a piedi, mentre il cuore le sprofondava nello stomaco.

“No, vi prego no! Almeno non lasciatemi qui. Portatemi con voi. Sesshōmaru-sama, non potete andarvene senza di me!”

“No, Rin.” Si allontanò da lei a distanza di sicurezza. Non si fidava più nemmeno del suo famoso autocontrollo. “Ritornerò nel Kyūshū, nella mia terra d'origine per affari che riguardano solo me. Tu non c'entri affatto.” Rimarcò su quei pronomi con tutta la perfidia amara che solo un desiderio inesaudito produce.

Qualcosa si spezzò dentro Rin, un qualcosa che fece crac! dentro i suoi occhi lasciando alle lacrime carta bianca per inondarle il viso, le mani e ogni cosa che si ritrovarono sul loro cammino. Con poche parole secche e brutali l'aveva rimessa non solo al suo posto, ma rispedita di filato in quel cantuccio squallido, in quella bettola piena di desolazione e gola vuota che era la sua catapecchia d'infanzia.

“Sesshōmaru-sama non capisco. Ho detto qualcosa che vi arrecato offesa? Ho fatto qualcosa che vi arrecato offesa? Vi voglio bene. Siete tutto per me. Lo sapete, vero?”

Appunto.

Mai come in quel momento ringraziò di essere un inu-yōkai. D'altronde Naraku una volta glielo aveva rinfacciato. La sua anima era diversa da quella degli umani, la sua anima poteva sopportare tanto dolore rimanendo inalterata, integra. Il dolore di sapere che Rin non poteva attualmente ricambiarlo, neanche se ci avesse provato. Lei gli voleva bene. Bene come la ragazzina che ancora era.

Mentre lui era innamorato.

Mentre lui era un pazzo.

Pazzo al punto di essersi immaginato già una Rin adulta che con cognizione di causa avrebbe potuto pronunciare parole, parole d'amore, e fare gesti, gesti d'amore. Ebbene, così non era.

Il tempo degli uomini e quello dei demoni, due costanti che quasi mai si incontravano tra loro, si burlavano di lui, della loro stramba relazione che li sfidava, quella tra uno yokai dalla vita centenaria e una piccola umana che sarebbe morta in poche decine di anni.

C'erano poche cose che Sesshōmaru non poteva fare. Combattere con il tempo era tra queste.

Se ne sarebbe andato per un po', avrebbe messo quante più leghe fra sé e quella ragazzina che lo tentava come non mai.

Un anno. Anche meno, se proprio non fosse riuscito a resistere.

“Sesshōmaru-sama, tornerete?”

I singulti di Rin si erano fatti radi, duri come piccole pietruzze, e facevano male quando lei li emetteva. Facevano male quando lui li sentiva.

Si girò per non guardarla: “Non lo so, Rin.” Non voleva abbassarsi, non voleva darle anche quella soddisfazione. “Vai a casa tua, ora. Altrimenti chiamerò Jaken per accompagnartici.”

La mia casa siete voi. Questo avrebbe voluto ribattere la ragazza, ma sapeva perfettamente che era tutto inutile, tutto fiato sprecato.

Sesshōmaru-sama non sarebbe più venuto a cercarla, non lo avrebbe più rivisto per un bel pezzo. Forse mai più. Aveva una vaga idea del perché della sua decisione ma il pensarci le faceva diventare le guance bollenti e le gambe come gelatina di riso.

Ad ogni modo, il danno era fatto. Si voltò per andarsene, una piccola speranza nel cuore che l'avrebbe fermata, l'avrebbe richiamata indietro dicendole che era tutto una scherzo, una burla di compleanno.

Il compleanno che aveva preferito. Il compleanno che avrebbe più odiato.

 

Sesshōmaru la vide andarsene, silenziosa, minuscola, opaca come un piccola ombra sperduta.

Neanche per un attimo ebbe la tentazione di richiamarla indietro, di fermarla.

Anzi, più gli stava lontano meglio era.

Doveva ritrovare se stesso, la sua lucidità, la sua proverbiale imperturbabilità.

Le terre dell'Ovest. I ricordi di suo padre, di sua madre, del clima piovoso delle zone della sua infanzia da dove proveniva sentì che stavano riempiendo il vuoto lasciato da Rin -bugie bugie bugie- e quasi si convinse che fosse meglio così. Che non gli sarebbe mancata affatto.

 

Non sapeva che quella decisione avrebbe cambiato la vita sua e di Rin, insieme a quella di tutti quanti, in un modo sorprendente e drastico che nessuno di loro poteva neanche minimamente immaginare.

 

 

Salve a tutti! Eccomi qui di nuovo con questo nuovo capitolo che mi è venuto un po' lunghetto, lo so, ma volevo assolutamente spiegare gli eventi per come me li sono immaginati. Diciamo che il rapporto tra i nostri due protagonisti ha fatto un balzo da cui non si può più tornare indietro.

Volevo inoltre ringraziare tutti coloro che hanno recensito, messo tra le preferite e tra le seguite questa storia. Vorrei solo che sapeste quanto mi avete fatto felice, e quanto le vostre parole mi abbiano incoraggiata ad andare avanti.

Infine parlerò del rating, che è cambiato, dato che qui questi due fanno sul serio. O almeno per ora solo il nostro bel demone! Ahahha.

Fatemi sapere cosa ne pensate. Buona lettura!

 

  
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