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Autore: Rorschach D Wolfwood    07/12/2016    3 recensioni
La città dei sogni di qualunque animale, la bellezza, la maschera dietro la quale si cela la verità: un letamaio che non aveva conosciuto nè pietà nè bontà.
Ispirato dal fumetto Blacksad, la storia di una giovane volpe solitaria dal carattere chiuso e senza alcuna speranza in un futuro migliore, un incontro inaspettato, uno spiraglio di luce in una spirale di eventi oscuri.
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Judy Hopps, Nick Wilde
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Furry
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8- Non sono nessuno, io
 
 
Non mi rendo neanche conto del tempo passato. Non ricordo da quanto tempo sono qui, appoggiato alla ringhiera dei un ponte che cavalca il fiume del parco di Zootropolis , a fissare l'acqua immobile, silenziosa, che proietta il riflesso di una volpe ormai stanca e vecchia che sta raccontando la sua storia, tra le foglie che lasciano i rami degli alberi e si posano dolcemente su quello specchio.
Qualcuno passa, ogni tanto, qualcuno mi saluta anche, io rispondo, ma il mio sguardo torna sempre al mio riflesso. Cosa vedo in quel riflesso? Qualche anno fa avrei visto una volpe dal folto pelo rosso, un sorrisetto stronzetto stampato sul muso e vestito o di nero o di verde, qualche volta con l'aggiunta di qualche cravatta. 
Oggi, invece, il pelo rosso è brizzolato, spettinato (non che prima fosse molto pettinato), gli occhi sono stanchi e cerchiati da occhiaie, e vesto quasi sempre di nero. Ma senza cravatta. Qualche amico dice che sembro più un beccamorto che un poliziotto. Io annuisco e li lascio parlare.
L'ennesima foglia si stacca dal ramo e cade sul mio riflesso: guardo una parte di me dissolversi nel nulla, mentre l'altra parte di me continua a fissarmi. Un vento freddo mi colpisce di fianco, quasi cercasse di spostarmi da quel ponte, quasi volesse cacciarmi. Ma io non glielo permetto. 
Mi vibra il cellulare. Lo prendo, mi è arrivato un messaggio. Lo leggo, e sorrido...
Sento una zampa posarsi sulla mia spalla, mentre una voce a me familiare la accompagna. 
"Caro Wilde, sei invecchiato terribilmente!" Mi dice. "Questo pelo brizzolato non ti si addice affatto!"
"La mia non eleganza compensa la tua mancanza di peli sulla testa, mio caro" Ribatto io.
Mi giro verso di lui; Kenny Blackback, un vecchio compagno di accademia, un orso grande e grosso mio partner per sette anni, finchè non se n'è andato per godersi le "ferie" con le sue due mogli. E' l'unica cosa che riesca a farmi abbandonare quella ringhiera sula quale mi sono fossilizzato, avvolgendomi un braccio intorno alla spalla, ed entrambi ci incamminiamo verso l'uscita del parco. 
"Due nuove mogli?" Gli chiedo io, dopo che mi mostra le foto sul cellulare. E' poligamo, per tipo la terza volta.
"Già"  La tranquillità con cui mi risponde non mi sorprende. Lo conosco da tempo, una sola femmina non gli è mai bastata. Che posso dirvi?  "Che vuoi che ti dica, Nick Non riesco a farne a meno"
"Niente, credo. Ognuno è fatto a modo suo" 
"Già, già. E tu? Sono anni che non ci vediamo! Nessuna di importante nella tua vita?"
                                
                                                             ..........
 
 
 
- Come cazzo ha fatto a trovarci?- Non c'era tempo di chiederselo, c'era solo il tempo di prepararci e sperare di cavarsela.
Judy impugnò la pistola e si appostò dietro il bancone della cucina, non molto distante dalla poltrona. Io, nel frattempo, andai ad avvertire Leocas, rintanato nella camera da letto dei miei genitori, cercando soprattutto di farlo stare zitto e immobile, ma, come è ovvio pensare, il tentativo fu inutile; iniziò a sproloquiare e frignare, perfino invocare lo zio per proteggerlo! 
Se avessi potuto mi sarei strappato le orecchie e le avrei divorate pur di non sentirlo! 
Afferrai la prima cosa che trovai in terra, un lembo di tenda, e lo imbavagliai! - Ah, la pace dei sensi!- e lo spinsi sotto il letto.
"Ora ascoltami bene, artista dei miei stivali! Se vuoi vivere e tornare dal caro zietto mi fai il favore di stare muto! Non voglio un fiato, non voglio un sospiro, nulla! O conduco quel maledetto qui da te, mi sono spiegato?" 
Leocas annuì. 
Tornai subito da Judy e mi appostai dietro il divano, posto di fianco alla poltrona di mio padre. Chiunque avesse aperto quella porta, la prima cosa che avrebbe visto sarebbero stati proprio la poltrona e il divano.
"Dov'è Leocas?" 
"Imbavagliato e sotto il letto, non preoccuparti" 
"Che cosa? l'hai imbavagliato? Sei impazzito, Nick?"
Sospirai "Carotina, ne parliamo dopo, per favore?" 
Tacemmo entrambi quando i pesanti passi iniziavano a farsi sempre più forti. Tonfi inquietanti che calpestavano le scale e rimbombavano in tutto l'androne come se ci avvertissero del suo arrivo, come se dicessero "sta arrivando!". Quei tuoni non riuscivano, però, a coprire il respiro pesante di Judy, la sua ansia, la paura di ritrovarsi davanti il responsabile di tutte quelle morti. Avrei voluto andare da lei e rassicurarla, posare una zampa sulla sua piccola spalla, magari abbracciarla, stringerla a me e sussurrarle che sarebbe andato tutto bene (sarebbe stata una bugia o una probabile realtà?).
Non ebbi tempo di scoprirlo; i tonfi cessarono, e qualcosa sfondò la porta, i cui pezzi esplosero e si sparpagliarono in tutta la stanza. La paura si impossessò anche di me. Cos'avrei potuto fare? Non avevo una pistola, non avevo alcuna arma, e avrei dovuto fronteggiare un colosso del quale non conoscevo nemmeno l'aspetto. L'ennesimo tonfo fece tremare l'intero pavimento. Mi accucciai il più silenziosamente possibile per spiare nello spazio tra il divano e il pavimento: un'enorme pugno poggiato a terra, coperto da bende nere, si faceva largo attraverso l'ingresso, poi il secondo, che per la grandezza credevo fosse ad appena dieci centimetri dal divano!
Mi tappai la bocca con una zampa per evitare che anche il più piccolo fiato uscisse, ma in ogni caso credo sarebbe stato anche inutile, poichè quell'essere emetteva rumorosi grugniti e respiri forti come il vento. Non credo che con quel casino si sarebbe accorto di me, ma la prudenza...
Tentai di sporgermi lentamente dal divano: l'essere era imponente, l'intero corpo avvolto da un cappotto nero ampio quanto un mantello, che copriva le zampe posteriori, poggiava l'intero peso sulle braccia enormi, la parte inferiore del muso coperta da una maschera, si vedevano solo due occhi gialli circondati da una folta e scombinata peluria nera somigliante ad una criniera. 
Manches asserì di non aver riconosciuto in esso alcun tratto distintivo di un animale in particolare... Ma quella posizione...
L'essere mosse la testa in tutte le direzioni, si mosse verso il corridoio che portava al resto delle stanze, quando...
"Fermo!" 
-Judy! Incosciente, stai giù!
Si volse verso Carotina.
"T-ti dichiaro in arresto!" La sicurezza e prontezza di Judy cedeva sempre più alla paura, soprattutto quando l'essere si girò verso di lei. Sembrava la scena di un film horror. 
Le sue zampine non smettevano di tremare, ero certo che da un momento all'altro la presa avrebbe ceduto, e senza più la pistola in mano sarebbe stata troppo vulnerabile. Dovetti pensare in fretta ad un piano per aiutarla! Pensai che, con uno scatto sufficientemente veloce, avrei potuto raccogliere la sua pistola e sparare nel muso al Cacciapredatori, con un po' di fortuna l'avrei beccato in un occhio, o magari in mezzo alla fronte. Ma nonostante il tremore, Judy riuscì in qualche modo a tenere salda la presa. 
Tentai di fare il giro del divano, con un po' di fortuna sarei riuscito ad aggirare il Cacciapredatori e provare ad attirarlo fuori di casa abbastanza da permettere a Judy e Leocas di lasciare la casa e allontanarsi. Di cosa ne sarebbe stato di me non m'importava. Avrebbe anche potuto uccidermi, mi bastava sapere di Judy al sicuro. E in minor misura anche Leocas.
Mi mossi come un predatore pronto per l'agguato, a quattro zampe, con passo felpato, ma fu il suono della sua voce a bloccarmi; 
"C'è un predatore in queste stanze... E non sei tu, volpe! " Mi irrigidii, come se lo sguardo della mitologica Gorgone mi avesse colpito e trasformato in una statua di pietra fredda. Mai fredda quanto quella voce, però. Un suono profondo, freddo come il vento che invade la notte e ti penetra le viscere fino a congelarle. Il divano fu scaraventato in aria e, senza che avessi il tempo di accorgermene, quella mano gigantesca mi schiacciò contro il pavimento e premette sulla mia gola. 
"Non sono interessato ai predatori minori  come te!" sussurrò  "Ditemi solo dove si trova Lionheart, e il massimo che farò sarà rompervi qualche osso!" 
Secondi interminabili durante i quali ogni tentativo di respirare o cercare di togliere quella pressa dalla mia gola fu inutile. Con la coda dell'occhio vidi la pistola di Judy cadere a terra, e lei seguirla subito dopo, in ginocchio, con gli occhi lucidi sull'orlo di scoppiare. 
"Va bene!" - Non farlo, Judy- "Va bene, te lo dirò!"
La pressa mi lasciò. Strisciai verso Judy tossendo e riprendendo fiato, lei mi abbracciò e mi accarezzò le guance piangendo. "Oddio, Nick" mi sussurrò  "Come ti senti?"
"Sto.. Sto bene, tranquilla"
Il Cacciapredatori si era alzato in piede. Sembrava ancora più grosso di quanto già non fosse. Si diede la spinta necessaria ad alzarsi con le nocche ma sembrava faticare a rimanere eretto; intravidi la parte inferiore del suo corpo sotto l'ampio "mantello", una grande pancia e le zampe posteriori, più corte delle anteriori, piegate, come se facessero fatica a sorreggere quel corpo. Come ha fatto Manches a non accorgersene, quella notte?
All'improvviso qualcosa si infranse contro la schiena di quel mostro (credo una sedia, non so, non riuscii a vedere per colpa della sua stazza). 
"Leocas!"
Il Cacciapredatori posò lo sguardo su Leocas; in uno scenario di chissà quanti anni fa, Leocas, un leone, sarebbe stato la minaccia, il predatore supremo che osservava la preda pronto a balzargli addosso. In questo scenario, invece, egli era la preda, e davanti aveva il suo carnefice.
Mi precipitai sulla pistola di Judy, ma il mostro mi afferrò e mi scagliò contro violentemente il muro. Tutto intorno a me iniziò a farsi scuro, le forme divennero sempre più sfocate, e il musetto di Judy una macchia indistinta. Persi i sensi.
 
La prima cosa che vidi fu un debole luccichio, due piccole lucette viola simili alle stelle che dominano un cielo senza nuvole. Poi, piano piano, il luccichio assunse la forma di due diamanti, e non due diamanti qualsiasi, ma due enormi diamanti luminosi capaci di brillare nel buio più totale, due diamanti lucidi e tristi dai quali partivano lacrime che rigavano le guance di un piccolo musetto coperto di pelo grigio, al centro del quale, un delizioso nasino rosa tremava. Una piccola bocca invocava il mio nome, pregandomi di svegliarmi. 
Non avrei potuto svegliarmi, probabilmente, se il calore della sua zampina non si fosse posato dolcemente sul mio pelo rosso arruffato, mentre i suoi occhi non accennavano a staccarsi dal mio viso - e probabilmente pregavo perchè non lo facessero-
Le asciugai le lacrime, e con un piccolo sorriso dissi "Questo non ti si addice, Carotina" 
Lei abbozzò un sorrisetto sarcastico "Piantala, scemo" 
"Esatto, piantala ed alzati!" ci interruppe una terza voce. Alzai lo sguardo e notai un vecchio caprone intento a palparmi fianchi, schiena e petto. Pensavo di risvegliarmi con tutte le ossa rotte, accompagnate da dolori lancinanti, e invece no; qualche dolore qua e là ma niente di grave.
"Per fortuna non ci sono fratture" disse il caprone alzandosi  "Sei stato fortunato, volpe!"  Poi si diresse verso gli altri poliziotti.
- Dio, che nervoso!-
Mi alzai, tra i "sicuro di stare bene, Nick?" di Judy, e iniziai a guardarmi attorno.
"Carotina... Dov'è Leocas?" 
 
 
 
Il funerale si svolse un paio di giorni dopo. L'intera Zootropolis era presente.
Mai, prima di allora, avevo avuto la possibilità di camminare in strada senza mille occhi attorno. Una volpe solitaria che camminava su un marciapiede ancor più solitario. L'unica compagnia era il vento freddo che sbuffava nella mia stessa direzione. Non ebbi bisogno di alzare il colletto del giubbino per ripararmi. La cosa bella dell'essere una volpe, o comunque un qualsiasi animale, è l'avere un pelo folto che ti protegge dal freddo. 
Ma ciò non serve a molto. Il freddo lo senti comunque, quando realizzi di essere solo
E forse era solo una mia impressione. Forse non c'era nemmeno quel vento. Forse era tutto dentro di me, nella mia testa, nel mio stomaco. O nel mio petto.
Perchè, tutto ad un tratto, mi preoccupavo? Crescendo senza un vero padre, percorrendo la via della menzogna e della truffa, essere nato volpe... Mi ci ero abituato, ormai. Mi bastava campare, andare avanti per la mia strada. Invece, da quando era arrivata lei , sentivo qualcosa cambiare, dentro di me. Forse la solitudine... Forse era un male. Un fiore appassito che dovevo recidere alla radice e buttarlo in un cassonetto sporco e buio. E magari, sostituirlo con un fiore nuovo...
E quel nuovo fiore, se la fortuna fosse stata dalla mia parte, per una volta in 30 anni, avrebbe potuto essere la poliziotta più improbabile del mondo animale. 
 
Entrai nella prima gelateria che trovai, gestita da un vecchio papero, un tempo amico di mia madre; presi un frappè ai mirtilli, da sempre il mio preferito, e guardandomi attorno in cerca di un posto a sedere (nonostante il posto non fosse granchè affollato) incrociai il suo sguardo, seduta tutta sola al tavolino in fondo al locale, con una coppetta di gelato tra le zampine, e un musetto cupo accentuato dalle orecchie cadutele sulle spalle. Mi avvicinai e la salutai, ma dovetti ripetere il mio "ciao" almeno tre volte prima che lei ricambiasse.
"Cosa ci fai qui, Carotina? Non dovresti essere al... "
Judy si incupì, iniziò a girare il cucchiaino nel gelato, e gli occhi guardarono silenziosamente il tavolino, come se non sapesse cosa dire, oppure pensare.
Stupido!
"Scusa, io non.. Non dovevo" -Quanto sei stupido, Nick!-  "Beh, ehm... N-non ti ho mai detto che la divisa ti dona, vero?" 
Mi guardò per una frazione di secondo, ma non fece alcuna smorfia. L'ombra che si era posata su di lei era, evidentemente, qualcosa alla quale non potevo rimediare. Capii che aveva bisogno di stare da sola.
"Ci.. Ci vediamo, Carotina" Mi alzai e feci per andarmene, ma lei mi fermò afferrandomi la zampa libera.
"Sai cosa mi fa star male di quella notte, Nick?" esordì  "Sono rimasta immobile a tremare come un cucciolo indifeso davanti a quel mostro..."
- L'abbiamo visto entrambi, Carotina, noi due soli non potevamo fare nulla-
"Avevo la pistola" continuò "Ce l'avevo tra le zampe! Potevo sparargli, cazzo!". Battè il pugno sul tavolo. Lanciai un'occhiataccia a chiunque si fosse girato verso di noi, invitandoli a farsi gli affari loro.
"Forse... Forse avevano ragione loro" proseguì, gli occhi si sforzavano di trattenere le lacrime " Forse non sono adatta per fare questo lavoro...". E in men che non si dica prese a divorare il gelato con la foga di un cucciolo impaziente. Per poi essere punita con un bel mal di testa. 
"Ecco, questo è ciò che succede quando mangi con troppa foga!". Ricambiò con un sarcastico "ah- ah!", mentre i polpastrelli pelosi premevano sulle sue piccole tempie massaggiandole per placare il tormento.
"Non è colpa mia!" disse lei "Mi succede sempre, quando sono giù di morale, mangiare il gelato mi aiuta"
"Ad avere mal di testa senza dubbio". Riuscii a strapparle una risatina. Avrei voluto vedere un altro tipo di sorriso, ma già quella risatina la consideravo una piccola vittoria.
Tornò, però, il momento di essere seri. "Comunque, Carotina, non devi sentirti in colpa solo perchè hai avuto paura. Se non avessi paura, non saresti un essere vivente" 
Mi guardò, il cucchiaino era tornato a girare a casaccio tra il gelato. "Ma in un simile lavoro non posso permettermelo, Nick" sussurrò "Questa divisa e questa pistola testimoniano il mio giuramento di proteggere la gente di questa città, come posso farlo se poi mi metto a tremare?"  
Tirò su col nasino e si asciugò le lacrime che avevano iniziato a fuggire dai suoi occhi. Mi dispiaceva davvero per lei, sembrava così vulnerabile in quel momento che iniziai a sentirmi in colpa per averla definita una minaccia per la credibilità della polizia cittadina.
- Inutile stronzo!- 
"Forse ho sbagliato ad intraprendere questa strada... Avrei dovuto dare ascolto a..."
"Sai cos'è davvero sbagliato, Judy? Starsene qui, seduta nel peggior angolo di una squallida gelateria ad autocommiserarti!" 
"Ehi!" urlò il papero.
"Senza offesa, Donald!" 
La guardai dritta negli occhi, stufo di avere davanti qualcuno che non fosse Judy Hopps. "Credi di essere la prima, forse? La paura è un sentimento come un altro, credi che i tuoi colleghi siano tutti d'un pezzo come nei film di LoStallone?"
"Ma gli altri non sono conigli, Nick..."
"Potrei raccontarti certe cose su Howlingstone che neanche potresti immaginare, eppure nonostante la paura era un ottimo poliziotto. E lui era un lupo! Imbecille, ma comunque lupo!"
Non mi ero mai messo a fare simili discorsi, non so nemmeno da dove mi uscirono quelle parole. Nessuno aveva mai parlato così con me, perchè io ne stavo parlando con qualcun altro? 
"Se hai scelto di fare questo lavoro, non puoi tirarti indietro solo perchè hai avuto una prima brutta esperienza. E da quello che ho intuito, se sei riuscita ad arrivare fin qui nonostante i dubbi di chi ti guardava dall'alto in basso, se sei riuscita a dire "posso farcela" allora, perchè non dovresti esserne più in grado?"
Judy ancora non sapeva quanto fosse dura la vita a Zootropolis. Era stata abbindolata dalla falsa pubblicità che la dipingeva come la città perfetta, ma aveva appena iniziato a grattare la superficie della verità con le sue unghiette. Quel Cacciapredatori era solo una parte della realtà di quella città, ma con un simile comportamento non sarebbe riuscita a sopravvivere, avrebbe finito con l'andarsene, tornare a casa sua. E non volevo assolutamente questo.
"C'è una sola cosa che devi fare, adesso: dimostrarti degna di quel distintivo. So che lo sei molto più di altri tuoi colleghi, e lo dico perchè li conosco. Sbattigli lo scetticismo sul muso e fagli vedere chi è Judy Hopps!" 
La chiacchierata proseguì, e a quanto pare le mie parole ebbero effetto. La nube oscura in Judy si diradò, tanto che mangiò il gelato come si deve, finalmente. Ma dovetti pensare a qualcosa per aiutarla a distrarsi, a non pensare più a quella nottataccia. Forse... Un'uscita insieme. Di colpo, afferrai il sotto del tavolino con le unghie. Quando sono nervoso mi aggrappo sempre a qualcosa, per evitare che le zampe mi tremino. MA se avesse rifiutato? Se il suo buonumore fosse stato solo momentaneo? Forse non ero nemmeno il più adatto ad aiutarla, tanto meno sono mai stato bravo nel risollevare il morale agli altri. Ma ora non si trattava di me, si trattava di lei. Solo di lei. Volevo vederla felice. Veramente felice.
"Carotina..."
"Si, Nick?" ingoiò l'ennesima cucchiaiata di gelato.
"Ecco, stavo pensando... " le unghie graffiarono il tavolino "Volevo chiederti se, magari per passare un alto tipo di momento insieme, invece che starcene qui al buio..." 
Mi guardava perplessa.
" Insomma, Carotina.. Ti-ti va di uscire con me?" 
La domanda abbandonò pesantemente la mia bocca come il respiro che avevo raccolto prima di formularla. 
Le zampe erano aggrappate al tavolo - sotto, più precisamente- con tutte le unghie, le quali sembravano sprofondare nel legno del tavolino, mentre nel mio orecchio rimbombava un suono ovattato ma fin troppo potente, incessante, tuonante, il suono di qualcosa che pulsa e sembra crescere, e crescere, e crescere sempre di più, finchè non scoppia. E poco ci mancò perchè scoppiasse davvero!
Lei mi fissò con gli occhi spalancati, il gelato ad appena 2 centimetri dalla boccuccia e, soprattutto, le guance tinte di un delizioso rosso imbarazzo.
 
 
 
2 giorni dopo...
 
Judy scoppiò a ridere fino a piangere. 
"Cosa c'è? Credevo di essere... Elegante"
"Si, Nick lo sei senz'altro, però... Non riesco proprio a vedertici vestito così!" disse toccandomi la giacca e la camicia come se fossero creature che non aveva mai visto prima  "insomma, non sono abituata a vederti così. Non sembri nemmeno tu! Sembri... Non so, un avvocato!"
Deglutii nel pieno dell' imbarazzo. Cominciai a pensare di aver fatto una grandissima cazzata. 
- Accidenti ai tuoi consigli, Finnick!-
"Beh, Carotina, volevo essere elegante, ma se la metti così..." una lampadina mi illuminò la mente "Il lato positivo di essere una volpe è l'essere dotati di un cervello che ci permette di elaborare rapidamente stratagemmi per rimediare a situazioni difficili o, in questo caso, figuracce!"
Sbottonai la camicia lasciando parte del petto scoperto, tirai su le maniche della giacca fino al gomito, tolsi la cravatta (pessima scelta più di tutto il resto!) e allargai il colletto della camicia sulla giacca. 
"Beh, cosa ne dici adesso, Carotina?" 
Judy mi squadrò attentamente come se stesse studiando il modo di far sputare il rospo ad un criminale sotto interrogatorio. Credo nemmeno si accorse che qualche passante ci stesse osservando perplesso; lei intenta a squadrarmi, io fermo come un manichino. 
"Così sei perfetto!" esultò saltellando come una ragazzina in preda all'euforia "Adesso si che ti riconosco, Nicholas Wilde"
"Sai, Carotina, è passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno ha pronunciato il mio nome per intero con un sorriso..."
"Davvero? Ehm.. Posso chiedere chi è stata l'ultima persona ad averlo fatto?" 
"Piccola coniglietta curiosa!" commentai sarcastico, ma le dissi che non era il momento per quei discorsi, che avremmo fatto meglio ad avviarci, essendo stati fin troppo "sotto i riflettori". 
Zootropolis era universalmente nota come l'unica città nella quale avresti potuto trovare animali nemici, per natura, camminare fianco a fianco per la stessa via zampa nella zampa, a braccetto magari, parlare come parlano due fratelli, un gruppo di amici da anni incalcolabili; se il sole potesse parlare avrebbe detto, in quel pomeriggio da lui prepotentemente illuminato, che ciò era vero soltanto per una volpe e una coniglietta che camminavano fianco a fianco nella più totale disinvoltura e disinteresse nei confronti di chi li circondava; una volpe inizialmente elegante ridotta ad un trasandato con la giacca mezza stropicciata e, sotto di essa, una camicia mezza nei pantaloni e mezza di fuori, e al suo fianco, una coniglietta il cui abbigliamento rifletteva tutta la sua semplicità: una comune camicia bianca con sopra una giacchetta bordeaux a quadretti e un paio di comunissimi jeans. 
Ed ero contento di essere stato l'unico, tra i due, ad aver fatto quel ridicolo tentativo di sembrare elegante. Perchè lei era perfetta così com'era: coraggiosa, audace, piena di passione per il proprio lavoro, un pochino impertinente ma semplice, semplicissima, e questo lo capii quando preferii il Nicholas Wilde di tutti i giorni, invece del falso elegante. 
Zootropolis offriva molti luoghi d'interesse, e molti dove passare piacevoli momenti liberi. Ma lei saltellava ed esultava anche per la cosa più semplice, perfino per il traffico, puntuale come sempre, delle cinque; mentre io ero più che abituato, lei rideva di gusto nell'incrociare lo sguardo infuriato di un automobilista bloccato da chissà quanto tempo, e non mancò di beccarne uno che, probabilmente sentitosi offeso, balzò fuori dall'auto per raggiungerci e "sfogarsi" su di noi. Non aveva mai visto nulla di simile in campagna.
Prontamente, afferrai Judy e, insieme, ce la filammo. Lei ci rimase spiazzata, ricordandomi che era pur sempre una poliziotta, e io risposi "Non oggi! Oggi sei una comune cittadina di Zootropolis!".
Fortunatamente, i maiali non sono veloci nella corsa, e si stancano subito.
La via principale era il posto ideale per essere colpiti dal sole. Iniziava a fare sempre più freddo, e un pomeriggio pieno di sole era l'ideale, non tanto per tentare di stare al caldo, ma per godersi lo spettacolo di luce riflessa nei vetri e negli specchi dei palazzi: un raggio di luce colpiva un vetro ed esso ne rifletteva mille altre, tutte di colori diversi, come se qualcuno avesse preso quel raggio e liberato i colori. I grattacieli aiutavano molto in questo, poichè non solo molti avevano le forme più originali, ad esempio a corno di gazzella o vari piani accroccati in modo da sembrare, da lontano, le alte montagne rosse del deserto, e rosso era proprio il loro colore. Altri invece assumevano toni che saltavano dall'azzurro più limpido al verde più lucente. 
Qualche raggio ci colpiva in pieno muso, accecandoci, ma Judy non si lasciava fermare da questo: rideva sempre, anche quando doveva coprirsi gli occhi per non essere accecata. 
Peccato dovesse farlo. Avrei dato qualunque cosa per godermi lo spettacolo di quelle due gemme illuminate dal sole.
Ma le luci del pomeriggio erano solo un assaggio del vero spettacolo che avevo in mente di mostrarle.
Il viale alberato, in quel periodo, non era il posto ideale da attraversare per arrivare al parco, a meno che non ti piaccia vedere gli alberi quasi del tutto spogli e le foglie a terra, ma entrambi ci scoprimmo, sorprendentemente, desiderosi di passare di lì: le chiacchierate e il rivangare il nostro primo (disastroso) incontro, del mio tentativo di fregarla, di tutto ciò che ne seguì ci accompagnarono per tutto il parco, seguendo, senza che ce ne accorgessimo, il fiume cristallino che lo attraversava. Una sensazione quasi viscerale, o qualcosa di simile, mi dava l'impressione che il fiume ci stesse scortando lungo tutto il tragitto, fino all'uscita. 
Judy ironizzò molto sugli espedienti che, quella volta, tentai miseramente di utilizzare per sfuggire ad una probabile, o forse sicura, cattura, addirittura prese in giro il mio pensare di riuscire ad imbrogliarla. 
L'avesse fatto chiunque altro, me la sarei già presa a morte, avrei messo il broncio e me ne sarei andato per i fatti miei; con lei, invece, riuscii a non farlo, risi di me stesso e della mia ingenuità. Non sono mai stato uno molto paziente in ambito scherzoso, tranne forse con Finnick, ma con lei riuscivo a tirar fuori tutto, a ridere come mai avevo fatto prima. Percepivo una strana aura intorno a me -noi - , qualcosa di... Indescrivibile. La sua allegria, la solarità ad ogni piccola cosa per lei nuova, persino vetrine decorate da fiori che le ricordavano i prati di Bunnyburrow, scatenava in me sensazioni magnifiche, avevo in testa solo cose belle, e tutto mi sembrava strano, perchè nessuno era mai riuscito a farmi sentire così, mi sentivo come un esploratore che scopre una terra ritenuta inesistente, o un importante personaggio che fa una scoperta di portata storica. Forse, probabilmente illudendomi, stavo iniziando ad essere importante per qualcuno...
 Prima che potessimo accorgercene, sulla funivia che attraversava l'intera città e i suoi quartieri più importanti, si fece sera, e i lampioni si accesero sotto le nostre zampe. Si stava avvicinando il momento da me tanto atteso.
Il giro turistico terminò e una volta lasciata la funivia ci dirigemmo nuovamente verso il parco.
"Ma, Nick, non è chiuso a quest'ora?" chiese controllando l'ora dal cellulare "Sono le nove passate!"
"Uno dei tanti vantaggi di essere me, Carotina, è l'avere molte conoscenze speciali "
" "Uno dei tanti"? " chiese sarcasticamente lei "Perchè, ce ne sono altri?"
La guardai ridacchiando, sottintendendo un "piccola impertinente!". "No, in effetti, credo che quello sia l'unico. Ma ora..." mi aggrappai alle sbarre del cancello "Mi faresti il favore di seguirmi, Carotina?"
"Ma, Nick!" protestò sbigottita "Ti-ti rendi conto di quello che stai facendo? Non possiamo introdurci oltre l'orario!"
"Ti ricordo che oggi non sei in servizio" scavalcai e mi ritrovai dall'altra parte del cancello, dentro il parco  "E poi, c'è una cosa speciale che vorrei farti vedere"
Ci volle un po' ma riuscii a convincerla. 
 
Raggiungemmo il centro del parco, poi ci avvicinammo alla grande fontana. Quella fontana, in estate, era molto speciale. Fu lì che incrociammo un mio vecchio amico, Jervis Jackall, uno sciacallo di turno per la ronda notturna. 
"Nick! Cominciavo a pensare che non arrivassi più!"
"Scusami, Kenny, abbiamo fatto un po' tardi. E' tutto pronto?"
"Certo, amico!". Jackall prese la radiolina e si mise in contatto con un collega, dicendogli che era ora. 
La fontana si accese e un getto d'acqua si innalzò verso il cielo, poi un altro, e un altro ancora. Ogni getto raggiungeva altezze diverse, poi la stessa, e in seguito un'altra.
I potenti getti iniziarono a danzare, saltarono l'uno contro l'altro, infrangendosi come potenti onde contro una barriera di rocce, mentre i colori di ognuno di essi si accesero; rosso, verde, blu, giallo, infiniti colori si alternarono vorticosamente davanti ai nostri occhi, mentre miriadi di gocce d'acqua colpivano i nostri musi.
Judy ne fu entusiasta. Il musetto lasciò trasparire ogni singola sfumatura di gioia, eccitazione e sorpresa. Gli occhi si illuminarono di ogni colore esistente, riflettendo quelli della fontana; non riuscivo a decidere di quale colore li preferissi. Solo dopo compresi che non potevo farlo, perchè sarebbero stati perfetti in ogni caso, di qualsiasi colore.
"Nick" sussurrò sbalordita "Io... Io non ho parole... E' meraviglioso!" 
"Si, beh, speravo davvero che ti piacesse, Carotina" le risposi sorridendole dolcemente.
"Sai, Nick, mi-mi vergogno un po' a dirtelo, ma... Fin da quando ero cucciola, quando assisto ad un qualsiasi spettacolo di luci..."
"Si, Catorina?"
Lei arrossì pesantemente. "Beh... Mi-mi viene voglia di... Ballare!" sputò quelle parole come una confessione, per poi coprirsi il musetto con le zampe, piena d'imbarazzo. 
Ridacchiai, ma senza cattiveria. "Beh, perchè non lo fai, allora?"
"Oh no!" urlò ancor più imbarazzata "Mi vergogno tremendamente di fronte a qualcuno!"
"Nah" le risposi io, voltando il muso da un'altra parte "Ci siamo solo noi, Jervis è tornato al suo posto già da un pezzo"
"Beh, però ci sei tu... E, insomma..."
"Mpf, perchè dovresti? In fondo, non sono nessuno io..." commentai guardando da un'altra parte con tono leggermente cupo. 
Beh, era vero, dopotutto. Non ero nessuno, solo un comune poveraccio, un bugiardo e un infido, e soprattutto una volpe, e forse il pensiero di essere diventato d'un tratto importante per qualcuno, forse era solo una mia sciocca illusione. Quindi perchè mai avrebbe dovuto vergognarsi? 
"Ti prego, non dire così, Nick... Non meriti queste parole"
"Sai che ti dico?" tentando di evadere dal discorso "Ballerò anche io!" - Cosa dici, idiota? Che razza di scemenze ti frullano per la testa?-
Judy mi guardò sbigottita. E da una parte lo ero anche io, insomma, come poteva una coniglietta impegnata nell'affrontare un serial killer gigantesco vergognarsi di una cosa semplice come ballare? E come posso io, ora, nascondere che io stesso mi vergognavo ancor più di Judy? Perchè sono un cretino, ecco perchè.
In ogni caso, alla fine mi buttai! Iniziai a muovermi totalmente a caso, senza un senso logico, senza controllo, come se mi trovassi in discoteca, tentando di nascondere il mio imbarazzo (e non fu cosa facile!). 
All'ennesima... "Giravolta" mi accorsi che Judy si era unita a me, ma era tremendamente legnosa: l'imbarazzo non si decideva a mollarla. Tentai di incoraggiarla a lasciarsi andare dicendole di far finta di essere ad un concerto di Gazelle, e funzionò. Stavamo entrambi ballando sotto una tempesta di acqua e colori incontrollabile e infinita, e quando le luci si attenuarono, quando i colori si fecero più intensi e caldi, provammo anche un breve lento, ma fu molto breve, poichè il nostro imbarazzo ci tradì. Ma invece che arrenderci, ne ridemmo di cuore. 
 
 
"Nick, posso chiederti una cosa?"
"Via libera, Carotina" 
"Perchè prima, al parco, hai pronunciato quelle parole? Perchè dici di non essere nessuno?" 
"E chi vuoi che sia, Carotina?" ribattei seccato, non dalla sua domanda, ma dal motivo che mi spinse a pronunciarle "Nicholas Wilde, un povero truffatore e squallido "esattore delle tasse" guardato dall'alto in basso da chiunque per via della sua appartenenza ad una specie etichettata come "geneticamente bugiarda"!"
Sospirai.
"Come vedi, non sono nessuno di speciale, Judy..." 
Incrociai lo sguardo affranto e mortificato di Judy. I sensi di colpa la colpirono in pieno come un treno. 
"Questo pomeriggio" continuò lei "Mi parlasti di qualcuno che pronunciava il tuo nome sorridendo. Chi- chi era?"
"Non... Non è il momento giusto per parlarne, Judy" risposi io. Non volevo farle sapere, altrimenti mi avrebbe fatto mille altre domande, e avrei dovuto raccontarle del mio passato. Non volevo farlo, non quella sera almeno. Lei abbassò orecchie e sguardo, e un cupo silenzio calò intorno a noi. Il marciapiede e la strada erano desertici, la nostra unica compagnia erano gli scalini del palazzo in cui lei abitava. Io sospirai, lei sospirò. 
"E comunque, che cavolo, sto parlando solo io, qui, Carotina!" tentai di usare un tono il più scherzoso possibile, per farle capire che non ero affatto arrabbiato con lei "Perchè, piuttosto, non mi racconti tu qualcosa?"
Drizzò le orecchie e spalancò gli occhi. "Ma-ma Nick, ho forse parlato più di te in tutta la giornata!" esclamò ridacchiando. 
"Solo perchè non avevi visto la città nella sua interezza!"
"Beh, hai ragione" disse coprendosi la bocca per trattenere un risolino "Dimmi, cosa vuoi sapere?"
"Ecco... In realtà ci sarebbe una sola domanda che mi assilla da un po': probabilmente te l'avranno già chiesto un milione di volte, ma... Perchè hai deciso di fare la poliziotta?"
Nascose le zampette dietro la schiena, segno della tensione che provava. "Beh, potrà sembrarti sciocco come motivo" spiegò "Volevo dimostrare... Che non ero la perdente che tutti credevano"
Ci sedemmo su uno scalino. 
"E' un sogno che ho fin da quando ero cucciola. Tutte le mie compagne di scuola lo sapevano, ed erano le uniche ad incoraggiarmi. Beh, erano tutte conigliette e pecore, quindi puoi immaginare"
"Certo, della serie "noi erbivori ci sosteniamo a vicenda anche se non abbiamo possibilità" " commentai io. Lei annuì.
"Non so se credessero davvero in me, ma ad un certo punto, ho iniziato a fregarmene. Mi dissi che se nessuna credeva davvero che potessi farcela, gli avrei dimostrato il contrario, che l'essere un coniglio non mi avrebbe impedito di realizzare il mio sogno!
Un giorno, la nostra scuola organizzò una recita che parlava di come il nostro mondo si è evoluto, su come noi ci siamo evoluti, e alla fine ognuno di noi avrebbe dovuto dire al pubblico cosa volessimo fare da adulti. Chi diceva la bibliotecaria, chi il fioraio, chi il coltivatore di mirtilli. Io risposi "la poliziotta!".... Tutti scoppiarono a ridere, i miei genitori si coprirono il muso per la vergogna..."
"Judy... I-io non avevo idea che..."
"Oh, tranquillo non finisce qui!" continuò "In quel momento, con quelle assordanti risate che mi distruggevano i timpani, lasciai il palco e fuggii nel giardino della scuola. Venni raggiunta da alcune amiche, e riuscii a riprendermi, ma Gideon Grey rovinò tutto. Era il peggior bullo della scuola, una volpe arrogante e stupida, tutto il contrario di te, Nick. Gideon continuò a burlarsi del mio sogno, mi picchiò e mi buttò a terra per dimostrarmi che non sarei mai stata una poliziotta, al massimo... Uno spuntino. Se non fosse arrivato mio padre a fermarlo non so cosa sarebbe successo"
Il mal umore e lo scontento che circondava quelle parole mi colpì in pieno stomaco come il pugno di un pugile scatenato. Perchè dovetti farle quella domanda? Brutto idiota che non sono altro! 
"Quando tornai a casa, i miei genitori non fecero che ricordarmi quanto io fossi assurda nel sognare qualcosa che non è nelle mie corde, che io avrei dovuto solo fare la coltivatrice di carote, come loro. Mio padre diceva che non devo dare ascolto ai miei sogni, che sono idee che in poco tempo spariscono dalla mia testa. Ma cosa poteva saperne lui, era solo un ignorante che passava le serate ad ubriacarsi e prendermi a schiaffi una volta tornato a casa..."
"Judy, basta, per favore"  Non potevo più stare a sentire quella voce impastata di tristezza e dolore rivangato. Al pensiero del padre -dannato bastardo!- stava pesantemente sforzandosi di non bagnare le guance di pianto. Ma una lacrima sfuggì al suo controllo forzato. Voleva sfogarsi, voleva buttar fuori tutti quei pensieri negativi, forse quei pensieri la stavano schiacciando come il più pesante dei massi. 
"Scusami, Judy, non avrei mai dovuto farti quella domanda" dissi coprendomi il muso con una zampa -che avrei voluto coprisse tutto il muso di questo emerito idiota- "Se- se avessi immaginato... Credo di aver rovinato tutto..."
"Ti sbagli" sussurrò lei scoprendomi il muso e guardandomi con gli occhi lucidi, ma accompagnati da un sorriso che sembrava quasi dirmi grazie  "Io. ecco, era qualcosa che mi tenevo dentro da troppo tempo...A dirti la verità mi sento meglio dopo averti parlato" 
Il suo ennesimo sorriso mi mandò in confusione il cervello. Il mio senso di colpa non faceva che urlarmi "Idiota! Imbecille! Coglione che non sei altro!"  ma lei mi abbracciò improvvisamente, continuando a guardarmi con quei due occhioni che continuavano a bagnarle le guance. "Non hai rovinato niente, Nick"
Le asciugai quelle dannate lacrime, non potevo più sopportare di vederla piangere. Quel gesto mi fu fatale: tenni quel dolce musetto tra le zampe per non so quanto tempo, poichè troppo impegnato a perdermi nel suo sguardo. Non so se il mio cervello avesse più problemi di quanti già non fossero, ma in quello sguardo riuscii a percepire rabbia, tristezza, dolore, rassegnazione, ma anche una gran forza, voglia di rivincita verso sè stessa, determinazione. Tutto questo creava il perfetto quadro che era Judy Hopps.
I nostri sguardi si specchiarono l'uno nell'altro, finchè, prima che potessimo accorgercene, le nostre bocche si stavano avvicinando, lentamente, sempre di più, mentre una bomba ad orologeria nel mio petto era sul punto di esplodere. E l'avrebbe fatto... Se due assordanti urla non ci avessero interrotti! 
"Oddio!" esclamò Judy.
"Cosa- cosa c'è?" 
"Ehm, sono i miei vicini" affermò lei ridacchiando "Sono... Sono molto disturbanti, vero?"
"Si, beh, molto disturbanti" le risposi seccato.
"Beh, ehm, credo che sia giunta l'ora di salutarci" la stessa nota di amarezza delle mie parole la percepii anche nelle sue. 
Mi ritrovai nuovamente col busto stretto tra le sue zampe, mentre una vocina penetrò fin nel mio cuore "Non potrò mai ringraziarti per questa splendida giornata, Nick! Non so come avrei fatto senza di te..."
Ricambiai quell'abbraccio. Volevo stringerla tra le mie zampe senza paranoie mentali, senza dubbi, senza nulla. Solo il desiderio di abbracciare Judy Hopps, perchè ne sentivo il bisogno. Un bisogno mortale!
 
 
"Judy" 
"Si, Nick?"
"Vorrei che tenessi a mente una cosa: il fatto di essere riuscita a diventare qualcuno, nonostante lo scetticismo di chi ti circondava, è un segno di vitale importanza. La tua forza e determinazione si percepiscono già da questo solo fatto. Dovrebbe essere un incentivo per continuare. Ma... Ne parleremo un'altra volta. Forse"
"Sei ricco di sorprese, Nick, mi sorprendi sempre di più. Specialmente oggi"
"Beh, chissà, potrei superarmi" scherzavo, ma speravo che mi desse un'altra possibilità per dimostrarlo.
Arrossì "E' per caso un altro invito?"
"Magari, pensaci su e fammi sapere"
Ci salutammo. L'ultima cosa che vidi, quella sera, fu una coniglietta dal dolce musetto completamente rosso e sorridente. Poi sparì dietro la porta d'ingresso.
Per la prima volta, in 30 anni di vita (mia), le strade di Zootropolis mi videro sorridere, non per essere riuscito in un colpaccio, non per aver realizzato la truffa del secolo, ma per pura felicità.
 
 
 
 
Appartamento di Judy Hopps
 
Judy chiuse freneticamente la porta e si poggiò contro di essa, sospirando pesantemente, come se si stesse riprendendo da una fuga o un'azione che aveva richiesto tutte le sue energie. Ma non smise un solo attimo di sorridere guardando verso l'alto e fregandosene altamente delle continue ed incessanti urla dei suoi vicini. Si buttò sul letto e chiuse gli occhi, sprofondando nei propri pensieri nel più sicuro e rilassante silenzio. Finchè non sentì qualcosa dentro una tasca. 
Pensò dovesse trattarsi del cellulare, ma quello lo aveva posato un attimo prima di sdraiarsi sul letto. 
Si trattava di un pacchetto, un pacchetto avvolto in una carta gialla a striscette rosse con un fiocchetto e un bigliettino attaccato. Judy lesse il bigliettino. Si potrebbe benissimo dire che la luce, in quel momento, fu inutile: ad illuminare la stanza bastò il sorriso di Judy, nato grazie a quel biglietto.
Si spogliò, indossò il pigiama e si infilò sotto il piumone.
Quella notte, forse per la prima volta in vita sua, quel vecchio letto di un povero monolocale accolse una coniglietta con un caldo sorriso sulle labbra, intenta a stringere il cuscino immaginando di stringere qualcuno in particolare.
 
                   
                                                   "Aprilo solo a Natale" 
   
 
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