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Autore: Neferikare    09/12/2016    2 recensioni
Dopo l'ultimo delirio di onnipotenza di Pitch Black, per i Guardiani è iniziato un periodo di relativa pace e calma piatta, uno di quelli che fanno pensare al lieto fine delle favole.
Un periodo che non è però destinato a durare, dopo l'improvviso quanto casuale arrivo di una stella cometa fin troppo ubriaca per capire le conseguenze delle proprie azioni tutt'altro che responsabili, conseguenze che hanno il volto di un antico nemico dimenticato in un Abisso da tutti.
O almeno quasi, tutti.
Perché nulla è per sempre, nemmeno la pace.
Nemmeno l'amore.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Manny/L'uomo nella Luna, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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capitolo8

Nonostante la tensione che stesse provando Halley fosse chiaramente visibile e palpabile sulla pelle d’oca che le era venuta, Mother Galaxy sembrava invece perfettamente a proprio agio con l’imbarazzante situazione che si era creata, come anche il Veggente non si faceva problemi a tenerla in braccio mentre lei aveva il seno ed altro di fuori e le sue gambe snelle avvinghiate intorno alla vita, con il bacino premuto sulle fauci irte di denti che squarciavano il ventre del compagno di molestie sbavando un liquido nero.

Da parte sua, se non faceva troppo caso alla sovrana delle Galassie ad appena un metro da lei che premeva la testa contro le soffici quanto calde piume nere delle immense ali dell’altro, Comet riusciva quasi a rilassarsi e mettere da parte le brutte sensazioni che la stavano assalendo: nonostante a primo impatto il Veggente fosse davvero un essere perfettamente consapevole del proprio ruolo e della propria forza, e nonostante lo dimostrasse con quel suo atteggiamento freddo e distaccato di chi è privo di qualsiasi emozione che possa essere definita tale, sotto sotto, molto sotto, non era poi così frigido come sembrava.

D’altronde, aveva pensato più volte Halley, c’era anche una puledra che lo amava, e questo dimostrava che sì, il Veggente provava sentimenti, almeno con chi voleva: non aveva idea di chi fosse, ma da un certo punto di vista non era nemmeno così importante saperlo.

Perché tanto voleva scoparselo comunque, non si sarebbe certo fatta qualche scrupolo solo perché lui se ne usciva con i “GNEGNEGNE sono già fidanzato GNEGNEGNE”, a lei non gliene importava assolutamente nulla: era Comet E. Halley, la creatura più inaffidabile che l’Universo avesse mai visto, figurarsi se lei avrebbe potuto prendere una scopata con lui talmente sul serio da metterci del sentimento!

Però le piaceva starsene lì fra le sue ali, si sentiva davvero al sicuro, ed era per quello che si era lasciata cullare da quell’abbraccio piumoso senza fare troppo caso a Mother Galaxy lì vicino, facendo ulteriormente presa con le sue braccia sulla schiena longilinea del Veggente, il quale si era adoperato per coprire le nudità della sua ospite con uno dei tre paia di ali per permetterle di rivestirsi.

Il gesto l’aveva lasciata talmente spiazzata che si era trovata paralizzata da un’azione così gentile e cortese da parte di un essere onnipotente e onnisciente, talmente potente da essere capace di distruggere o creare Universi semplicemente sbattendo le palpebre; notando la condizione di catalessi nella quale era caduta la poveretta, il Veggente fece un sospiro annoiato e le afferrò con delicatezza i lembi del vestito facendolo scorrere sul corpo nudo che aveva davanti con un’indifferenza disarmante, per poi posarla a terra con altrettanta nonchalance.

Erano seguiti minuti in cui nessuno dei presenti aveva proferito parola facendo calare un imbarazzante sipario di silenzio sopra le loro teste, minuti in cui Halley si era premurata di non allontanarsi troppo dalla presa che aveva su una delle sei braccia del Veggente: Mother Galaxy che se ne usciva dal Palazzo della Creazione per fare qualcosa che non fosse giocare a scacchi con Manny non era una cosa troppo normale.

Anzi, era preoccupante.

Molto preoccupante.

Mother Galaxy, il cui vero nome era conosciuto solo da sette persone in tutto l’Universo, era la Regina delle Galassie, e questo bastava per intimidire chiunque l’avesse davanti: nonostante  fosse la creatura che teneva in piedi con le proprie forze e poteri il precario equilibrio nel quale le famiglie delle Costellazioni si crogiolavano più o meno beatamente, la stessa che poteva far nascere o morire le stelle come se fossero lampadine nell’immensa stanza nera del cosmo, era una donna dall’atteggiamento amorevole e materno, estremamente protettiva verso chiunque chiedesse il suo aiuto.

Effettivamente, il suo aspetto piuttosto semplice certo non faceva presagire tanta forza in una donna, ma un vago cenno veniva dato dalle grandi e immense ali dalle soffici piume di un bianco talmente brillante da far male alla vista: i capelli biondo grano mollemente raccolti sulla nuca ed acconciati sulla parte anteriore con una treccia simile ad una corona, anziché lasciati liberi di toccate terra ondeggiando come sempre, facevano da splendida cornice per due occhi la cui iride era di una curiosa serie di sfumature di azzurro che richiamavano la forma di una Galassia, con tanto di puntini biancastri come stelle intorno.

In quanto ad abbigliamento, Mother Galaxy non si sbilanciava mai più di tanto, preferendo restare sui temi del bianco e dell’oro: anche quella volta indossava come solito un lungo abito bianco con dei finissimi ricami appena più scuri, tenuto morbido sul seno e sui fianchi da una sottile cintura bluastra dalla quale pendevano delle sottili catenelle dorate con vari ciondoli a forma di stella di dimensioni variabili, in particolare quello più grande con una gemma azzurrina che se ne stava al centro del petto diramandosi fino ai lati del seno; simili a quelli presenti sul corpo, persino i gioielli che scendevano sulle spalle accompagnando dei lembi di stoffa quasi trasparenti ricordavano gli astri, sottolineando il concetto che Mother Galaxy, fra quelle stelle, era nata e cresciuta.

E ora le governava.

 

Per quanto l’atmosfera si fosse fatta leggermente più tesa del previsto, fu proprio Mother Galaxy a rompere il ghiaccio nell’unico modo possibile:

«Posso chiedere il motivo per cui ti trovi qui, Veggente? Mi risulta che stiano accadendo cose più importanti del gettarsi nella tana del lupo, o meglio del drago… in sua compagnia, soprattutto» disse stupita inarcando le sopracciglia «Non mi risulta che lei goda di questi grandi e amorevoli rapporti con Idhunn Orionis Chandrasekhar, se la vedesse potrebbe succed-»

«Nulla, non potrebbe succedere proprio nulla» puntualizzò freddo l’uomo incrociando quattro braccia al petto e lasciando una di quelle libere ad Halley «Davanti a me, nessuno ucciderà nessuno, non senza il mio permesso: se i piani del Multiverso prevedono spargimenti di sangue allora ben vengano, ma non verranno consumate vendette personali senza che questo sia stato previsto da me. Molto semplice, direi.» concluse serioso.

Tanta autorità inizialmente aveva lasciato interdetta la sovrana delle Galassie, la quale però aveva assunto un’espressione perplessa nella quale si poteva intuire un velo di seccatura: non aveva nulla contro il Veggente, anzi andava anche molto d’accordo con lui quando si trattava di mettere davanti il dovere di ricoprire ruoli di importanza, anziché il piacere di comportarsi come Unigon ed ubriacarsi mentre giocava a bowling con le stelle supergiganti rosse, ma se c’era una cosa che non riusciva proprio a sopportare del Veggente era quel suo atteggiamento strafottente che veniva abilmente nascosto dal suo sguardo indecifrabile.

Solitamente non lo dava a vedere, di essere e di sentirsi talmente superiore a chiunque da non degnare nemmeno di uno sguardo chi apparteneva alla “plebaglia delle Costellazioni”, ed anche ora non aveva un comportamento differente dal solito, ma il solo fatto che fosse su Orionis III con Comet E. Halley era un motivo più che valido per guardarlo storto.

Soprattutto perché era arrivato in quel momento, quel dannatissimo momento: lei non era certo Unigon o il Veggente che si facevano gli affari degli altri come se non ci fosse un domani -il secondo tra l’altro ancora prima che tali affari accadessero- ma Mother Galaxy aveva saputo dell’arrivo di ospiti illustri alla corte di Idhunn Orionis Chandrasekhar quasi subito, avvertendo chiaramente e con sua estrema preoccupazione che stava succedendo qualcosa di grosso.

Lei non sapeva cosa, certo.

Ma il Veggente lo sapeva benissimo, cosa c’era sotto a quegli incontri fra donne talmente potenti da tenere sotto scacco le guerre ed i complotti che muovevano le prima mezza galassia, e i secondi chissà cosa.

Per quel motivo, e perché non aveva intenzione di aspettare le conseguenze di tali incontri per scoprirlo sulla propria pelle, la Regina delle Galassie aveva preso l’iniziativa ed era andata direttamente incontro al Veggente, ed ora sperava solo che la ascoltasse:

«Ho bisogno di parlarti di alcune… cose, ecco. Cose importanti. Molto importanti» esordì seria per poi indicare Halley «Possibilmente senza lei intorno: nulla di personale, Comet, ma ci sono argomenti dei quali è meglio che nessuno venga a conoscenza, che devono riman-»

«Io non mi muovo, ma proprio no!» le urlò contro facendole una linguaccia con nonchalance e strafottenza «Il mio Veggy ha bisogno di me, non di una vecchia signora rachitica che “GNEGNEGNE spengo le stelle ti faccio del male GNEGNEGNE”, vero ammmore mio?» domandò al Veggente, il quale tirò un sospiro rassegnandosi all’idea che stesse per assistere ad una guerra di insulti fra le due donne.

Che iniziò prontamente, com’era giusto che fosse:

«Cosa hai detto? Chi sarebbe la “vecchia signora rachitica”? Non ti azzardare nemmeno, piccola cometa ubriaca, perché tu non sai nemmeno cosa accidenti sia il fuoco! Te lo fac-»

«Uuuuuh, che paaaauraaa! Tremo malissimo! Aiuto! Aiuuuutooo!» la prese in giro Halley emettendo dei gridolini di terrore tanto sarcastici quanto realistici, i quali non facevano altro se non innervosire ulteriormente l’altra «Ti chiamano “Mother Galaxy” ma dovrebbero chiamarti “Granny Galaxy” da quanto sei veeeecchiaaaa! Hai già le ali bianche per la vecchiaiaaaa!» la stuzzicò ancora toccandole le ali candide.

Una vena iniziava ad intravedersi sulla fronte della donna, la quale sembrava ormai prossima all’omicidio, ma che al tempo stesso li limitava a stringere i pugni estremamente impaziente di metterle le mani al collo:

«Veggente, dille qualcosa, dille qualcosa o l’ammazzo. Io l’ammazzo. Adesso eh. Non aspetto. Non permetto a nessuna puttanella insolente di prendermi per il cu-»

«Sarò una puttanella ma a me la danno, la bruschetta mentre tu…» rispose a tono indicandosi prima il suo inguine e poi quello dell’altra «Sarà dal Big Bang che non vedi un pene, anzi, dal Big Gang Bang! L’hai capita, eh? L’hai capita? Big Bang? Gang bang? Eheh!... Eh?» domandò ridendo talmente tanto da doversi tenere la pancia «… Non l’hai capita… ma poi cosa pretendevo? Che la capisse una donna che non vede un pene dall’era glac-» non aveva fatto in tempo a finire che Mother Galaxy, in preda alla rabbia più cieca, le aveva scagliato addosso un massa luminosa sferica non meglio definita con colori che andavano dal rosso all’oro fino all’azzurro.

Una sfera che bruciava, e tanto… come una stella.

Ma che, fino ad Halley, non era arrivata.

 

Il volto di Mother Galaxy era diventato una maschera di puro terrore.

Non aveva idea di cosa fosse peggio, come conseguenza a quel suo gesto avventato: le due ali sciolte come neve al sole ridotte a due grumi informi che grondavano un viscoso liquido nero misto a piume bruciate, la carne del petto maciullata i cui brandelli penzolavano ancora liberamente ricoperti da una curiosa polverina dorata, buona parte del volto sparita che lasciava visibili i denti, o almeno quanto ne restava, il bulbo oculare sinistro che si stava sciogliendo davanti ai suoi occhi, forse il braccio mancante unito alle svariate dita sparite dagli arti superiori.

Perché il colpo ad Halley non era mai arrivato, certo che no.

Lo aveva preso tutto il Veggente.

 

Veggente che continuava a mantenere una calma spaventosa, decisamente agghiacciante dal momento che gli mancava buona parte del corpo, fatto che però non sembrava disturbarlo minimamente nonostante tutto:

«Una piccola stella di neutroni, eh? Classico, ma ugualmente notevole» asserì quasi compiaciuto toccandosi la parte del volto mancante, scena alquanto grottesca dal momento che parlava senza mezza faccia come se nulla fosse avvicinandosi a Mother Galaxy, la quale lo fissava terrorizzata temendo il peggio «Tieni solo a mente un dettaglio: quando dico che “davanti a me, nessuno ucciderà nessuno, non senza il mio permesso”, il discorso vale tanto per la gentaglia delle Costellazioni quanto per la sovrana delle Galassie, non dimenticar… Halley.» stava per controbattere alla Regina quando l’altra donna, particolarmente divertita dalla situazione, si era messa a giocherellare con il bulbo oculare disciolto, facendolo cadere rovinosamente a terra ed alzando divertita le mani in segno di resa.

Probabilmente Mother Galaxy si aspettava da Halley chissà quale scenata di delirio e paura nel vedere il corpo del Veggente mezzo maciullato, ma la sua sorpresa sarebbe stata minore se avesse saputo che Halley, del Veggente, sapeva abbastanza perché potesse addirittura scherzare sopra al fatto che ci fossero in giro bulbi oculari vaganti; a conti fatti, le poche cose conosciute su di lui erano quelle fondamentali per sapere che quella condizione non aveva nessuna ripercussione, dal momento che quella che pendeva ondeggiando dal suo volto non poteva nemmeno essere definita “carne” vera e propria, come anche quel liquido nero e viscoso non era “sangue”.

Per non parlare del fatto che, dentro di sé, non aveva nemmeno un organo, delle viscere, delle ossa, muscoli e tendini... non aveva nemmeno un cervello, nemmeno un cuore che batteva.

Niente di niente.

E anche la Regina delle Galassie lo sapeva, ma vedere come lo aveva ridotto e conoscendo le capacità di chi aveva davanti le metteva un’ansia terribile addosso, la consapevolezza che quel dannatissimo attacco aveva colpito l’ultima persone che avrebbe dovuto essere colpita: sentiva un nodo alla gola, le gambe non la reggevano nemmeno più in piedi sotto il peso della paura più profonda e oscura, persino le ali sembravano aver smesso di brillare quando quel mantello di timore e panico generale l’aveva circondata su tutti i fronti.

Per un attimo, le parve di aver addirittura visto la sua vita scorrerle davanti mentre si preparava al peggio, ad essere eliminata dal volto di quell’Universo per colpa di un fottutissimo malinteso, di una cosa che non aveva certo fatto e non avrebbe mai voluto fare volontariamente.

Dopo qualche istante, lo sgomento e la preoccupazione erano diventati insopportabili persino per lei, e allora aveva iniziato a vedere tutto sfocato -tremendamente sfocato- mentre avvertiva i sensi abbandonarla lentamente ma inesorabilmente in un vortice di emozioni che aveva lasciato dietro di sé solo un involucro vuoto: con le gambe molli ed il petto svuotato di qualsiasi cosa che non fosse il timore di morire nonostante fosse immortale, l’ultima sensazione che aveva provato era stata quella del suo corpo che si abbandonava al crollo verso le rocce appuntite tipiche della catena montuosa di Osterhagen.

Salvo avere il tempo di avvertire la presa salda e sicura delle braccia che si era infilate sotto le sue ali sostenendola prima che collassasse sulla fredda pietra:

«Se hai intenzione di morire trascinando con te un numero indefinito di Galassie, Costellazioni e stelle oltre che il tempo e lo spazio stessi, allora fai pure… ma dopo che mi avrai detto il motivo per cui mi hai cercato, Mother Galaxy.» asserì il Veggente mentre con gli occhi, o meglio con quello rimanente, sembrava scavarle direttamente nell’anima; inizialmente restò leggermente perplessa nel trovarsi ciò che restava del suo volto a pochi centimetri dal proprio, così perfetto rispetto a quello mezzo maciullato dell’altro, ma si calmò quando capì che non c’era nulla di cui avrebbe dovuto preoccuparsi.

Ma si stava preoccupando lo stesso, purtroppo per lei:

«Mi dispiace, mi dispiace moltissimo!» buttò lì sperando di convincerlo mentre sentiva le lacrime premere impazienti per uscire «Non volevo, Veggente! Non volevo colpirti! Non era mia intenz-»

«Sono il Veggente, io so che non volevi colpirmi… e sapevo anche che avresti colpito Halley ancora prima che tu decidessi di farlo, quindi direi che abbiamo chiarito la questione. Ora che me lo hai sentito dire te ne sei convinta, eh?» domandò con voce calma prendendosi di rimando un sorriso abbozzato da parte della donna che annuì debolmente; si rimise in piedi da sola in fretta lisciandosi il vestito, gesto durante il quale il Veggente si avvicinò all’altra presente:

«Ora devi lasciarci soli, Comet E. Halley, quindi ti chiedo gentilmente di andartene fino a quando la tua presenza non sarà nuovamente richiesta» le comunicò secco ma senza essere troppo duro, mantenendo però una certa compostezza.

Cosa che servì a ben poco, dal momento che Comet aveva iniziato a dimenarsi nemmeno fosse in preda a dei violenti spasmi di delirio:

«Cosa?» reagì incredula spalancando talmente tanto le palpebre che gli occhi sembravano sul punto di uscirle dalle orbite «Tu non puoi abbandonarmi, qui poi! Ma l’hai vista, Idhunn? Io sì, che l’ho vista, ed aveva compagnia! Lei ha ancora compagnia! Veggy! Dai Veggy, lasciami rest-»

«No, non se ne parla assolutamente» si impuntò severo «Non rendere tutto più difficile e limitati ad ascoltarmi, per una buona volta.» concluse allontanandosi; nel vederlo andare via da lei, Halley gli si aggrappo ad una delle ali, incurante che si stesse sporcando con quello strano quanto inquietante liquido nero, ma ciò non sortì alcun effetto:

«C’è qualcosa che possa fare per convincerti a lasciarci da soli per qualche ora, eh?» domandò il Veggente vedendo quanta resistenza stava opponendo la donna.

E allora le si erano illuminati gli occhi più di quanto già fossero, con quelle curiose sfumature dorate nel color magenta dell’iride:

«Verameeeeente qualcosa ci sarebbe… da quello che vedo» disse infilando la testa sotto la tunica quasi trasparente che scendeva dalla vita dell’altro «La bruschetta è ancora intera, quindi fooooooorse potremmo… insomma… potremmo fare sess-»

«Ne riparleremo quando sarai tornata, ora vai.» la liquidò senza darle conferme o smentite riguardo le sue proposte indecenti; nonostante i dubbi che le erano rimasti, questa volta Halley era davvero convinta, così decise di seguire il consiglio dell’altro, ma non prima di avergli afferrato il volto ed averlo coinvolto in un bacio appassionato, incurante del fatto che la parte del viso mancante rendeva fin troppo visibile la lingua all’interno della sua bocca:

«Quando tornerò conto di trovarti già sdraiato a letto con la bruschetta coperta da queste meravigliose alette, Veggy caro» gli sussurrò all’orecchio divertita «Ci si rivede, allora.» si congedò mandando un bacio con la mano mentre volava via e lasciava solo una scia magenta incredibilmente calda dietro di sé.

Il Veggente la guardò allontanarsi perplesso, con un solo pensiero nella mente: sperava vivamente che Comet, in giro a zonzo per Orionis III, non avrebbe combinato guai, non guai grossi almeno.

Ma dentro di sé sapeva già come sarebbe finita.

Ovviamente.

 

Rimasti finalmente soli, Mother Galaxy ed il Veggente si erano spostati su un piccolo spiazzo nelle montagne che dava su uno strapiombo, una lingua di terra così in alto rispetto alla superficie da permettere di distinguere all’orizzonte la timida curvatura del pianeta, da quanto era enorme Orionis III, dando libero sfogo a riflessioni di ogni genere.

Ennesimo di una serie non meglio definita di pianeti appartenenti a quella che era la stirpe più temuta della Galassia, Orionis III era l’attuale casa della capofamiglia dei Chandrasekhar e del suo seguito di parenti non proprio raccomandabili, oltre che la base militare intorno alla quale ruotava un esercito -a detta di diversi diversi scritti vecchi di centinaia di migliaia di anni- “la cui marcia era in grado di smuovere il centro dell’Universo stesso, data la sua immensità”.

Una diceria, ovviamente, il centro dell’Universo non si muoveva di un millimetro, ma rendeva perfettamente l’idea di quanto fosse illimitato il potere in mano ai Chandrasekhar, non per niente il loro motto era “Conquista e Distruggi”: forse le loro truppe non muovevano il centro galattico o quello universale, ma dove passavano i Chandrasekhar non restava nulla, assolutamente nulla, niente di niente.

Radevano al suolo tutto e tutti, senza distinzioni e senza farsi domande: trovavano un pianeta, lo attaccavano con un dispiegamento di forze spaventoso, distruggevano qualsiasi cosa trovassero sulla loro strada, sottomettevano le popolazioni schiavizzandole o estinguendole direttamente e poi niente, prosciugavano le stelle appartenenti al pianeta stesso, se non l’intera Costellazione nella quale quello si trovava, per ottenerne la polvere.

La polvere di stelle, generata dal naturale decadimento di una stella man mano che invecchiava, muoveva l’intera economia, potenza e terrore firmato Chandrasekhar dal momento che ne detenevano l’assoluto monopolio -un monopolio difeso con le unghie, con i denti e con orde di draghi i cui ruggiti risuonavano nello spazio- rendendoli indispensabili a chiunque, persino a Mother Galaxy.

Perché Mother Galaxy, con i Chandrasekhar, voleva averci a che fare il meno possibile, in particolare con la loro capofamiglia, tale Idhunn Orionis Chandrasekhar: considerata la personificazione della distruzione e della guerra, dall’alto della sua disarmante perfezione teneva saldamente stretta in pugno mezza Galassia da svariate migliaia di anni; ci aveva pensato sopra parecchio prima di lasciare il Palazzo della Creazione quasi del tutto scoperto per andare a parlare con il Veggente disturbandolo mentre faceva chissà cosa, quando poi aveva scoperto che si trovava su Orionis III un attimo di indecisione e panico generale l’avevano assalita anche, ma le sue domande e le relative risposte che sperava di ricevere erano più importanti del lasciar perdere quella visita solo perché era sul pianeta di Idhunn.

 

Il suo malsano naufragare in pensieri che non facevano altro se non agitarla ulteriormente venne interrotto dal Veggente, il quale le si mise di fianco lasciando stancamente ricadere ciò che rimaneva delle ali a terra:

«Mi chiedo se quello sguardo preoccupato sia dovuto alla consapevolezza di essere in territorio Chandrasekhar… o se invece sia dovuto alle recenti visite avvenute a Phantasia» buttò lì senza pensarci troppo; improvvisamente, Mother Galaxy sentì il respiro morirle in gola:

«T-tu cosa ne sai, delle v-visite a Phan-»

«Oh avanti, per chi mi hai preso? Sono il Veggente, io vedo tutti e tutto, in ogni istante della storia del Multiverso, io conosco già il passato, il presente ed anche il futuro…» puntualizzò accennando un sorriso beffardo «Eri davvero convinta che non avessi notato il tuo piccolo aiuto nell’alzare la barriera intorno al castello di Harmonia, eh? Pensavo che avessi notato la presenza di quel curioso cigno, nel laghetto intorno al castello!» ci rise sopra dando vita ad uno spettacolo a dir poco agghiacciante, data la mancanza della carne e del bulbo oculare da un lato del volto.

Senza sapere cosa controbattere, Mother Galaxy rimase qualche istante in silenzio distogliendo lo sguardo dal grande occhio azzurro luminescente che galleggiava sopra la fronte del Veggente, ma era consapevole che sarebbe stato difficile reggere il confronto con lui, troppo difficile:

«Non volevo rischiare che quell’Ephemeride causasse più guai di quanti ne porta già la sua sola presenza, tutto qui… avresti fatto lo stesso, Veggente, e non dirmi che Tanith non ti mette un po’ di timore perché non ci crederei mai, assolutamente mai.» rigirò il discorso facendogli quella velatissima insinuazione quasi senza pensarci.

L’altro la osservò qualche istante con aria severa, poi iniziò a ridere fragorosamente:

«Tanith? Preoccuparmi di Tanith? Di lei? Mother Galaxy, mi sorprendi!» ripeté tenendosi l’addome da quanto rideva «Tanith è solamente un’Ephemeride, un ammasso di ossa e dolore che crede di poter terrorizzare il mondo quando nemmeno lo conosce, il terrore vero… povera illusa» continuò tornando improvvisamente serio tendendo una mano davanti a sé, la quale si ricoprì di sottilissimi filamenti azzurrini proveniente dall’occhio sulla fronte.

Avrebbe dovuto stare zitta sulla questione Tanith, perché ora stava leggermente sfuggendo di mano, ed avrebbe potuto degenerare da un momento all’altro: da parte loro, le altre Ephemerides non avevano mai dato problemi con la burocrazia della Galassia, si limitavano ad essere dei parassiti che si nutrivano di dolore senza disturbare nessuno e senza complotti, tutto sommato la loro presenza nemmeno percettibile non era affatto un problema.

Poi c’era Tanith, il cui egocentrismo e voglia di dare mostra di sé era a livelli fin troppo alti persino per la sua razza.

Soprattutto quando metteva le mani nelle questione sbagliate, dando “spintarelle” a situazioni già piuttosto tese da sole, spingendo chi di competenza a preparare le armi ancora prima di incontrarla di persona:

«Dovrei solo alzare un dito, e allora di Tanith e delle altre sue simili non resterebbe che un vaghissimo ricordo­…» rifletté ad alta voce quando i filamenti erano andati unendosi in una piccola sfera scintillante «Anzi, nemmeno quello, perché subito dopo mi preoccuperei di cancellare qualsiasi informazione relativa a quelle ridicole, inutili e fastidiose serpentesse dagli improbabili gusti alimentari» disse facendo cenno alla donna di allungare una mano verso la sua, donandole la sfera luminosa «Nana azzurra in formato mignon, la stessa che infilerò su per la gola di qualsiasi persona o serpente intenda sconfinare in questioni che non la riguardano.» terminò sospirando divertito.

Con una stella che le brillava fra le mani, Mother Galaxy non riuscì a resistere alla tentazione di accarezzare la nuova arrivata come se fosse un cucciolo, concentrandosi sull’intensa ma non fastidiosa né dolorosa sensazione di calore che l’astro appena nato trasmetteva alle sue dita:

«Apprezzo le tue delucidazioni sulla questione di Tanith, ma immagino che tu sappia anche di un’altra questione... ovvero quella delle previsioni di Mot-»

«Mothman? Quella falena è anche peggio di Tanith, non puoi immaginare quanto mi dia i nervi» commentò sbuffando annoiato «Tutti a sorprendersi delle sue “previsioni” o presunte tali, ma anche lui non è nulla che non possa essere sistemato a dovere se dovesse rendersi necessario» asserì mettendosi una mano fra i capelli bianco-biondi «Una previsione in più del dovuto, e potrei anche intervenire a proposito, che ne so, cambiando il futuro, forse? Chi lo sa, il fato è così imprevedibile… soprattutto se viene disturbato mentre si sta masturbando» puntualizzò alzando la voce «Io non reggo proprio chi mi disturba mentre mi sto masturbando. Non lo sopporto.» concluse seccato.

Nonostante la piccola stella che prese a sfrigolare emettendo strani fischi acuti, quasi avvertisse la tensione nell’aria, Mother Galaxy non riuscì proprio a trattenere una risata a quelle parole: era vero, il Veggente mal sopportava coloro o le situazioni che interrompevano la sua attività preferita in quell’Universo senza la sua puledra, non si sarebbe nemmeno sorpresa più di tanto scoprendo che aveva raso al suolo interi mondi solo perché qualcuno si era messo fra lui e le sue sessioni di masturbazione quotidiane.

Non c’erano dubbi che fosse una creatura strana, inusuale e curiosa ad un livello inquietante, con quell’alone di mistero che lo circondava, ma a volte si lasciava andare a quelle rivelazioni per lui molto serie che invece provocavano solo fragorose risate, rendendo la sua presenza meno pressante di quanto fosse realmente.

Parlando di presenze, la mente della Regina tornò ad uno degli argomenti spinosi della giornata, uno di quelli che la preoccupavano di più, e con esso arrivò anche quel velo di preoccupazione mascherato da irritazione verso la superficialità dimostrata dall’altro:

«Non voglio assolutamente interrompere i tuoi monologhi su quante volte ti masturbi e quanto a lungo, tra l’altro molto interessanti» si mise in mezzo chinando il capo «Ma vorrei ricordarti che ci sono la sovrana della distruzione e la sovrana dei complotti sullo stesso pianeta, su questo pianeta, quindi ti chiedo: intendi fare qualcosa? Qualsiasi cosa?» domandò questa volta lei con aria severa; l’altro osservò l’orizzonte qualche istante, poi fece spallucce:

«Sì, farò qualcosa» rispose sicuro notando gli occhi di Mother Galaxy illuminarsi.

 

Finalmente!

Finalmente sarebbe intervenuto!

Era anche ora che si decidesse!

 

Tutta sognante e ancora incredula, la donna aveva congiunto le mani all’altezza del cuore che pareva volerle uscire dal petto, da quanto era emozionata:

«E cosa, dunque? Cosa intendi fare, eh? Prenderai provvedimenti? Lo sapevo che non saresti passato sopra la cosa, lo sapevo! Ne ero conv-»

«Masturbarmi. Andrò a masturbarmi, ecco. Farò questo.» rispose con altrettanto entusiasmo alzando l’indice come per affermare meglio la sua decisione.

Mother Galaxy si mise le mani fra i chilometrici capelli che toccavano terra, sentendo la testa sul punto di scoppiarle per quella risposta degna della persona che l’aveva pronunciata:

«Guarda che sono seria, io non so scherzando» affermò con sicurezza inarcando le sopracciglia perplessa con la sua classica aria di rimprovero addosso, quella che avrebbe fatto sentire in colpa chiunque, anche chi di colpe non ne aveva; il Veggente non ci fece nemmeno caso, impegnato com’era a pensare alla sua prossima attività:

«Nemmeno io sto scherzando, pensa un po’» rispose infine pacatamente.

Sentì le braccia cascarle dal corpo: non era possibile che pensasse solo a quello, non era fottutamente possibile che menarsi la bruschetta fosse la sua unica preoccupazione, nemmeno Unigon che -fra una partita di scacchi e l’altra- infilava la sua nei buchi neri prendeva così sul serio quell’attività!

E invece no, era possibile, possibilissimo.

Per quanto però ci stesse scherzando sopra, il Veggente non aveva perso di vista l’affermazione dell’altra riguardo le due regine presenti in quel momento su Orionis III, perché di certo non dimenticava il motivo per cui Mother Galaxy era andata a cercarlo di persona:

«Da sola, la semplice forza bruta non ha nessun fine se non quello di distruggere tutto ciò che vi si oppone: chi dice che con la violenza non si ottiene nulla evidentemente non è un Chandrasekhar, perché loro, con la violenza, hanno ottenuto e continuano ad ottenere tutto, e tengono egregiamente sotto scacco mezza Galassia, tanto di cappello» disse togliendosi un copricapo invisibile «I complotti, invece, sono più insidiosi, ma ugualmente efficaci: lavorano dietro le quinte, ottenendo risultati non indifferenti oserei dire, soprattutto se le redini di tali complotti ed influenze vengono tenute da chi, dei complotti, ha fatto la propria principale ragione di vita» spiegò guardandosi la mano.

Il Veggente avanzò di appena qualche passo verso Mother Galaxy:

«La Regina della distruzione, la personificazione della guerra stessa…» sussurrò facendo comparire un minuscolo drago rosso rubino «E la Regina dei complotti, la strategia fatta persona…» continuò mentre nell’altra mano appariva un polipo viola altrettanto piccolo, i cui tentacoli si avvolgevano intorno alle sue dita «E infine, la Regina dello spazio e del tempo, dell’equilibrio cosmico stesso» fece segno all’altra di tendergli la stella che teneva fra le mani come se si trattasse di un tesoro inestimabile.

Avvicinato con delicatezza il minuscolo astro alle mani del Veggente, ciò che lui fece fu di aprire le proprie lasciando che le due creaturine, una alla volta, vedessero ciò che avevano davanti:

«Tu non hai paura di chi si trova su questo pianeta, in questo momento, in queste circostanze… certo che no, perché se quel qualcuno fosse da solo…» fece notare mandando avanti prima il draghetto che, dopo un paio di artigliate e fiammelle lanciate alla stella -entrambe andate a vuoto- con immane ferocia, si era ritirato annoiato «Non ti preoccuperebbe così tanto…» continuò dando il cambio con il polipo, il quale aveva provato ad avvolgere il piccolo astro, prendendosi di rimando una bruciatura su un tentacolo.

Non aveva idea di cosa stesse accadendo, e nemmeno di cosa volesse dimostrarle con quello spettacolo quasi buffo, ma non ci volle molto per capirlo:

«Ma se due potenze tali minacciassero di collaborare insieme…» asserì sorridendo lasciando andare i due animali entrambi nello stesso momento, gesto al quale seguì un breve bisticcio che finì per sedarsi piuttosto presto, esattamente quando notarono la stella davanti a loro

«In quel caso, e solo in quel caso, nemmeno le stelle sarebbero più al sicuro.» concluse il Veggente assumendo un’espressione compiaciuta.

Ma Mother Galaxy non era compiaciuta, tutt’altro, soprattutto perché fra le proprie mani si stava consumando un omicidio stellare: nonostante i dubbi iniziali, il drago ed il polipo ora stavano collaborando insieme, si erano fiondati sulla sfera incandescente strappandone brandelli, poi interi pezzi, divorandola e avvolgendola con fiamme e tentacoli, il tutto mentre quella poveretta emetteva inquietanti sibili simili ad urla agonizzanti.

Paralizzata dallo spavento di sentire fra le proprie dita la vita di una stella che scivolava via come la Sabbia del Tempo nella clessidra che vedeva ogni giorno, non reagì minimamente quando il Veggente pose una mano su quella scena pietosa:

«Le stelle si possono uccidere…» puntualizzò aprendo le dita nel mentre che sotto il suo palmo si formava una sorta di disco nerastro che vorticava su stesso, come se uscisse direttamente dalla mano stessa «I buchi neri invece no: divorano le galassie solo sfiorandole, spengono le Costellazioni come se nulla fosse, radono al suolo interi Universi… ma non muoiono. Mai.» terminò quando il disco, con violenza inaudita, aveva risucchiato a sé tutto quanto, che fosse la stella o il drago oppure il polipo «Ed è bene che tutti ricordino questo piccolo, piccolissimo e insignificante particol-»

«VEGGY! Veggy Veggy Veeeeeeeggy!» venne interrotto bruscamente.

 

 

Da Halley, ovviamente, chi altri poteva essere se non lei?

La quale però non aveva addosso la sua solita aria costantemente entusiasta, tutt’altro: forse era per i capelli spettinati in una posa improbabile, forse per il volto segnato dal terrore e dal petto che si alzava e si abbassava in preda agli spasmi, forse era colpa dei vestiti a brandelli, stava di fatto che Comet E. Halley era sconvolta.

Motivo per cui non aveva nemmeno provato a gettarsi fra le braccia del Veggente, paralizzata e che faticava a reggersi in piedi com’era, ma di certo ciò non la giustificava per essere apparsa all’improvviso nel bel mezzo di un discorso serio:

«Cosa c’è? Qualche probl-»

«Mi insegue! Mi vuole mangiare! GNAM!» urlò sbracciandosi come una forsennata «Un cracker! UN ENORME CRACKER! Mi sta inseguendo!» concluse crollandole tremante mentre si teneva il capo con le mani fra le ali di Mother Galaxy, la quale capiva ancora meno di lei cosa accidenti stesse accadendo:

«Veggente? Cosa sta dicendo? Un.. cracker?... Veggente? Veggente?» lo chiamò più volte senza mai ricevere risposta.

L’uomo si era infatti incamminato verso la sporgenza di quell’altura, notando il gran polverone che si stava sollevando all’orizzonte lontano, un misto di sabbia e detriti nel quale il Veggente riuscì comunque a distinguere ciò che gli interessava vedere: kraken.

Sorrise.

Dall’alto del silenzio del suo interlocutore, Mother Galaxy era in una situazione piuttosto scomoda, dal momento che non capiva il perché di quel sorrisetto che mai -mai!- gli aveva visto addosso:

«V-Veggente… di cosa… di cosa si trat-»

«Kraken, non cracker… kraken! KRAKEN!» rispose subito entusiasta sfoderando una gioia che nemmeno sembrava potergli appartenere; dire che la Regina era sbiancata sarebbe stato un eufemismo, sul suo volto non si riuscivano nemmeno più a distinguere espressioni da quanto era pallida in quel momento:

«K-kraken? Un k-kraken… un kraken? Qui? Non prendermi per il culo! L’unico kraken in giro per questa parte della Galassia è quello della… della… no» cercò di convincersi senza tuttavia riuscirci «Tu non mi stai dicendo questo. No. No!... Quello non può -non deve!- essere il kraken di quella là! Non dell’Ald-»

«E invece sì! Morbido, caldo ed insaziabile kraken!» emise un gridolino sentendo le ali fremere «Con permesso, signore mie, devo andare a salutare una vecchia conoscenza.» si congedò sparendo improvvisamente e riapparendo nell’enorme distesa di roccia a terra.

 

Improvvisamente, il cuore che il Veggente non aveva nemmeno si era riempito di una strana sensazione, una sorta di felicità o presunta tale mista alla consapevolezza che stava andando a farsi macellare, ma non gli dispiaceva affatto, anzi: aveva sempre adorato in modo inquietante gli animaletti che i nobili delle Costellazioni si portavano appresso, che fossero i draghi Chandrasekhar o i kraken spaziali non faceva certo discriminazioni, a differenza dei rispettivi padroni loro gli piacevano davvero.

Se poi non li vedeva da tempo immemore il tutto era amplificato a livelli spaventosi, soprattutto se tali “animaletti” erano fottutamente enormi e terrorizzavano chiunque li vedesse.

Chiunque tranne lui, ovviamente: con le ali piegate sulla schiena e le braccia abbandonate lungo i fianchi, il Veggente non si era mosso di un solo millimetro mentre l’immenso corpo di quella bestia si avvicinava fin troppo velocemente; come anche non aveva smesso un solo istante di tenersi quel sorriso sul volto ancora non rigenerato, ed anzi era finito a chiudere gli occhi per godersi ogni singolo secondo di quei ruggiti che riempivano l’aria di Orionis III come il suono di un corno da guerra.

Era perfettamente calmo, di una tranquillità estremamente disarmante, soprattutto se veniva confrontata con lo sguardo terrorizzato di Mother Galaxy e le sue grida che lo pregavano di tirarsi fuori dalla traiettoria di quel mostro, ma non è che servissero a dissuaderlo o fargli cambiare idea sull’andare ad accarezzare un kraken spaziale leggermente diverso da un gattino.

Perché i gattini non avevano tentacoli che si abbattevano con violenza spaventosa sul suolo scavando conche profonde e larghe diversi metri.

Il primo colpo gli aveva portato via un’ala, con sua estrema sorpresa, ma ciò non gli aveva impedito di iniziare a canticchiare:

«Theeeeere’s a starman waaaaaiting in the skyyyyy! He'd like to cooooome and meet yoooouuu!» un secondo attacco, questa volta di striscio, gli aveva tranciato con una facilità disarmante tre quarti della gamba destra, facendogli perdere l’equilibrio per qualche istante prima che riuscisse a reggersi in piedi con una delle ali ancora sane.

Dall’alto della sporgenza dove si trovava, Mother Galaxy non poteva fare altro se non osservare la scena incredula: quella bestia lo stava macellando, se il tutto fosse andato avanti di quel passo il Veggente si sarebbe trovato con solo la testa -se fosse rimasta- al proprio posto, ed il lago di liquido nero che colava dagli arti e dai brandelli mancanti non era che una conferma di quella spiacevole impressione.

Voleva fare qualcosa, doveva farlo!

Lasciata Comet a terra ancora tremante, Mother Galaxy aprì le immense e luminose ali bianche per planare fino ad una ventina di metri dal Veggente e dal suo amico cefalopode gigante: mentre un manto dorato di stelle si formava sulle sue spalle fino a confondersi con i suoi chilometrici capelli biondo grano, nei suoi occhi azzurro cielo i sottili filamenti che ricordavano stelle e Costellazioni avevano assunto un’intensità differente, come anche la pupilla che da totalmente nera era stata sostituita dal vaghissimo profilo di una galassia.

Sentì chiaramente il fuoco montarle dentro l’anima, le fiamme inesauribili degli astri dai quali era nata che ruggivano prepotentemente nel mentre che sulle sue mani si formavano degli intricati disegni che andavano dal giallo all’azzurro fino al viola che brillavano di luce propria; poi la terra aveva iniziato a tremare: non si erano aperti squarci apocalittici nel terreno, né tantomeno c’erano stati vulcani che avevano iniziato ad eruttare morte direttamente dalle loro bocche, e non si erano neppure viste piogge meteoriche che avrebbero raso al suolo il creato.

La terra tremava lì intorno, tremava e basta, e le uniche ferite visibili sulla sua superficie erano quelle del terreno affondato intorno alla sfera biancastra -percorsa qua e là da filamenti multicolore, prevalentemente azzurri- che si era creata intorno alla Regina delle Galassie, quasi fosse uscita direttamente dal suo corpo; quando Halley l’aveva vista, improvvisamente si era resa conto di quanto avesse rischiato a darle addosso poco prima: non che i suoi poteri fossero da meno, ma le sue condizioni mentali attuali non le permettevano di fare molto.

E giustamente, con Mother Galaxy che si stava adoperando per mettere fine alla questione del kraken, il Veggente non era affatto contrariato dall’essere arrivato ad un punto in cui gli mancavano mezzo corpo, tutt’altro!

Con la sfera bianca che aveva ormai raggiunto i dieci metri abbondanti di diametro, ma mantenendo però un centro azzurro scuro luminoso tenuto fra le mani dalla donna esattamente al centro del petto, Mother Galaxy questa volta era decisa a fare sul serio:

«Veggente! Levati da lì se non vuoi che una supernova travolga anche te insieme a quella palla di tentacoli! Non lo dirò una seconda volt-»

«Theeere’s a starman waaaaaiting in the sky! Ther… una supernova?» ripeté ancora più divertito di prima girandosi verso di lei con le braccia aperte «Provaci, e allora ripasseremo i fondamenti della fisica scoprendo che i buchi neri le supernove le mangiano a colazione! Ed ora, se vuoi scusarmi» la liquidò con un breve inchino, ma senza voltarsi «Let the krakeeeen looooose it! Let the kraaaaaken use it! Let the kraaaaken boogie! Because there’s a staaaarman waaait-» non riuscì a finire.

Perché la sua testa era sparita dalle spalle, era rotolata fino ai piedi di Mother Galaxy -lasciando lì solo il suo corpo martoriato ancora in piedi- e lì si era fermata.

 

Come anche si era fermato il cuore della donna, almeno per qualche istante.

Perché anche se sapeva che il Veggente era l’overpower cosmico più overpower degli overpower del creato, raccogliendo la sua testa e trovandosi con un occhio luminescente che la fissava il timore che quello fosse troppo le era venuto anche.

Halley invece no, lei rideva da sola in modo talmente smodato da essere imbarazzante solo a vederla, e tutto nonostante sapesse ancora meno del Veggente, altro che essere a conoscenza della sua rigenerazione a livelli spaventosamente overpower!

 

Che Mother Galaxy conosceva a grandi linee, ma ciò non le impedì di iniziare a sudare freddo qualche secondo dopo, mentre era ancora immersa nel terribile momento “Hai la testolina del Veggente in mano”:

«… Questo… questo mi costerà un brutto, bruttissimo… mal di testa» rifletté il Veggente stesso ad alta voce con tutta la nonchalance possibile ad una testa vagante; ci mancò poco che la Regina lo gettasse via dall’infarto che sentirlo parlare le aveva provocato:

«Presa un colpo, eh? Dovresti vedere la tua faccia in questo momento, è un concentrato di terrore assolutamente adorabile!» commentò ridacchiando piantandole in suoi occhi viola intenso dalla sclera nera addosso «Sono il Veggente, mica bruscolini! Ma d’altronde il gioco è bello finché dura poco, quindi… con permesso.» ci congedò sparendo in un bagliore accecante.

Non sapeva se ridere o cosa.

Anzi, sapeva cosa fare: godersi lo spettacolo.

Pochi secondi ed il liquido viscoso di un nero intenso che colava dalle sue ferite era andato addensandosi all’altezza delle ali, mancanti o meno che fossero, sostituendole  con altre ancora grondanti di quella strana sostanza, per poi chiudersi tutte e sei come se fossero state un grosso bozzolo di pura oscurità cosmica, una crisalide che si era dischiusa pian piano lasciando trapelare una fioca luce dorata dalle fessure fra una piuma e l’altra.

Poi si era aperta del tutto con un rombo assordante, talmente intenso da aver creato un’onda d’urto che aveva fatto sobbalzare le rocce e le montagne lì intorno, e pure quell’enorme kraken sembrava essere stato preso alla sprovvista da come aveva ritirato i tentacoli; abbassatosi il gran polverone che si era alzato nel giro di pochi istanti, solo una figura si era palesata in mezzo al caos: il Veggente, con la testa attaccata ovviamente.

Con due paia di ali che gli coprivano il petto e le nudità -data la mancanza della sua solita tunica- e l’altro paio lasciato dietro di sé come uno strascico, l’occhio del Veggente si illuminò di una luce azzurro-verde acqua mentre i suoi occhi viola intenso tornavano a brillare con la stessa intensità di sempre: con tutte e sei le braccia conserte al petto, le gambe al loro posto e la bocca sul suo addome che sembrava ruggire, era fermo in quella posizione, impassibile come suo solito.

L’unico che sembrava tutto tranne che impassibile era però il polipo davanti a lui che, dopo qualche esitazione, aveva scagliato uno dei propri enormi tentacoli dritto sul Veggente con il solo scopo di spiaccicarlo talmente male a terra che avrebbero dovuto raccoglierlo con un cucchiaino; prevedere il futuro era la specialità di quell’essere, e dare mostra dei propri poteri lo era altrettanto, motivo per cui non si tirò indietro dal fermare quello stesso gigantesco tentacolo con il solo indice.

Approfittando della distrazione di quella creatura che cercava di capire come accidenti facesse un essere così piccolo rispetto a lui a fermarlo, il Veggente si era volatilizzato da davanti quella bestia per materializzarsi subito dopo sull’altura dove si trovavano le due donne:

«Signore mie, credo che i giochi qui siano finiti, soprattutto perché avverto chiaramente un Interstellar in avvicinamento dal fronte orientale» asserì indicando con la coda dell’occhio una vaghissima figura dalle forme indistinte che emergeva dall’altro versante della catena di Osterhagen «Non per dire, ma se si insospettiscono troppe persone le cose non si metteranno bene… per voi, ovviamente.» rifletté facendo spallucce.

Fra le due, Mother Galaxy era quella che capiva meglio ciò che intendeva con quelle parole, complice il fatto che il ruggito dell’Interstellar le avesse appena iniziato a rimbombare nella mente: «Credi che Idhunn sappia che-»

«No. Non ancora, almeno. Ma lo scoprirà presto, molto presto: quella bestiola fa un po’ troppo rumore mentre si lamenta, e se fossi in voi eviterei un confronto diretto con la capofamiglia dei Chandrasekhar, per cui…» tirò un sospiro annoiato mentre i filamenti azzurri dell’occhio sulla sua fronte si aggrovigliavano intorno alle braccia.

La pelle delle mani diventò quasi trasparente, lasciando visibile sotto di essa solo una sorta di manto stellato di un nero intenso:

«Meglio che torniate entrambe a casa. La vostra, però. Quindi, signore mie, direi che per voi il tempo delle visite è concluso, almeno per og-»

«Non puoi farlo! Non puoi rispedire me al Palazzo della Creazione! Non ti devi nemmeno azzardare!» gli urlò contro senza nemmeno accorgersi della terra che sotto di lei e Comet si stava trasformando in polvere nera luccicante «Io sono Mother Galaxy, Regina delle Galassie, sovrana del Palazzo della Creazione, il luogo dove io governo lo spazio e il tempo: io sono nata dalle stelle, dalle stesse stelle che posso spegnere come se nulla fosse, e tu… tu non devi nemmeno permetterti di dirmi cosa posso e cosa non posso far-»

«Io sono il Veggente. Io posso.» concluse muovendo appena il dito e facendole scomparire inghiottite da quei portali, i quali avevano lasciato dietro di sé due sagome a forma di occhio scavate nella fredda e dura roccia.

Tornato tutto alla normalità, braccia comprese, si guardò intorno compiaciuto: lui era il Veggente.

Le sue visioni non sbagliavano mai.

Mai.

 

 

Nonostante Orionis III fosse distante un numero non indifferente di anni luce dalla Terra, i pensieri che affollavano la mente di Emily Jane Pitchiner parevano poter giungere in ogni angolo del cosmo da quanto erano insistenti.

Probabilmente avrebbe dovuto provare vergogna e rimproverare a se stessa il gesto alquanto villano di essere fuggita dalla battaglia -o presunta tale- nella quale suo padre era rimasto coinvolto, ma tutto ciò che sentiva dentro di sé non era altro che un profondo senso di sollievo: era considerata una codarda da quando aveva abbandonato -a detta delle fonti “ufficiali” dettate dai Guardiani, e soprattutto da Harmonia- il suo stesso regno, esserlo considerata nuovamente per aver lasciato il suo caro papino a combattere da solo non avrebbe fatto differenza, non davanti ad una dignità che ormai nemmeno più aveva.

Accovacciatasi sulle sponde di un piccolo ruscello, Emily non poté fare a meno di fissare la propria immagine riflessa nell’acqua con un certo disgusto: le guance scavate e gli occhi infossati segnati da delle profonde occhiaie, il suo sguardo color oro ridotto a due sfere opache che non trasmettevano più nulla, i capelli che qua e là lasciavano intravedere il capo nudo, il tutto unito a quegli abiti logori, sporchi, strappati… quella non era Madre Natura, era una pezzente.

Era l’ombra della Regina che era stata, niente di più: una ragazza come tante altre vestita con degli abiti recuperati dagli scarti -gli scarti!- di alcuni umani, anziché con i pomposi vestiti color smeraldo ai quali era abituata, obbligata a starsene vicino a quella discutibile figura di suo padre se voleva mettere la testa fuori di casa perché, nelle condizioni in cui versava da trent’anni a quella parte, difendersi autonomamente era diventato pressoché impossibile.

Se un tempo Madre Natura era la stessa donna il cui nome incuteva timore e rispetto nella mente di chi lo sentiva anche solo pronunciare, e se prima i suoi poteri erano talmente smisurati da renderla quasi una dea agli occhi di molti, ora di quella figura non restava che una mocciosa stanca e scarnita che faticava persino ad evocare un fragile rametto verdognolo dalla dubbia utilità; Emily non aveva solo perso tutta la sua credibilità, aveva perso con essa la stragrande -per non dire tutti­- maggioranza dei propri poteri donatagli da Typhan non ricordava nemmeno quanto tempo prima, gli stessi poteri che un tempo avrebbero fatto tremare la terra e l’aria.

Un tempo lo avrebbero fatto, non ora: perché adesso, ad Emily Jane, non restava altro che qualche rimasuglio della sua forza originaria, un contentino che aveva ottenuto con diversi anni di sforzi immani ma che, a conti fatti, la rendeva dipendente da qualcuno nel caso in cui si fosse prospettata un qualche scontro.

E quel qualcuno, purtroppo per lei, era anche l’unica persona che le era rimasta al mondo, e cioè quel suo adorabile padre che rispondeva al nome di Pitch Black: stentava ancora a chiamarlo così, a chiamarlo “papà”, dal momento che non si era fatto sentire per tempo immemore rispuntando solo quando era stato miseramente, ma in quello stato non aveva comunque avuto molta scelta se non accettare di seguirlo e sopportarne le conseguenze.

Le conseguenze tipo quello schiaffo dato davanti a tutti i Guardiani, l’ennesimo di tanti altri che aveva già ricevuto da diversi punti di vista, fisici o psicologici che fossero: non le bruciava tanto il fatto che l’avesse schiaffeggiata, a quello era già abituata fin da piccolissima, era proprio il chi l’avesse schiaffeggiata a scavarle un solco profondo quanto l’Abisso nell’anima, a farle stringere i pugni per la rabbia afferrando un sasso e scagliando nell’acqua, dove la sua immagine si era persa fra le mille onde concentriche.

Era stato Pitch Black, suo padre, un povero disgraziato compatito da tutti gli altri Guardiani da quanto si era rivelato incapace di gestire il potere dell’oscurità che era arrivata a divorare tutti i sogni e le speranze dei bambini della Terra, un potere tanto grande quanto sprecato, dal momento che Pitch stesso era stato miseramente -molto miseramente- sconfitto da un branco di bambini urlanti nonostante la temporanea mancanza di Sandman.

Un branco di mocciosi, accidenti!

Emily sorrise appena: non aveva mai sopportato i bambini, provava verso di loro un senso di fastidio interiore che non sapeva spiegarsi, forse perché vederli tutti belli felici a godersi la loro infanzia le ricordava che lei un’infanzia nemmeno l’aveva avuta, non felice almeno, e di certo non circondata dall’amore e dall’affetto di una famiglia; si strinse le braccia al petto facendo per abbracciarsi da sola mentre cercava di respingere le lacrime che le riempivano gli angoli degli occhi, non avrebbe più permesso a se stessa di affogare in una serie non meglio definita di ricordi che comprendevano omicidi siderali e guerre e tanta -troppa- solitudine, non dopo tutta la fatica che aveva fatto per rilegare quei ricordi in un luogo inaccessibile nella sua mente!

Subito dopo quel breve crollo, però, venne un istante in cui non sentì più nulla dentro di sé e intorno a sé, c’era solo un inquietante vuoto colmato da un silenzio a dir poco assordante, un omento durante il quale prese a toccarsi con insistenza il capo ed i vestiti: le avevano portato via i capelli, i suoi meravigliosi capelli corvini che toccavano terra come se fosse un modo per comunicare con la natura stessa, le avevano metaforicamente strappato le vesti di Regina di dosso lasciandola nuda con la sua dignità che le scivolava fra le mani, le avevano portato via con violenza inaudita i poteri che aveva ricevuto in dono da un titano poi ferocemente ucciso per averla aiutata e protetta da dei demoni travestiti da angeli.

Lo avevano fatto i Guardiani, lo aveva permesso Manny… ma soprattutto Harmonia aveva dato il colpo di grazia, era stata lei a farlo.

Improvvisamente, gli occhi di Emily Jane Pitchiner presero a brillare con rinnovato ardore, forti di quel sentimento che si stava impossessando della sua mente secondo dopo secondo, dopo tre decenni passati ad essere costantemente represso dietro la consapevolezza che i suoi poteri non bastavano nemmeno a far sbocciare un fiore: avrebbero pagato tutti, tutti, dal primo all’ultimo, il solo pensiero le diede la forza di evocare un piccolo viticcio intorno alle proprie dita che vi si arrampicò desideroso di stringere le spine intorno alla sua pelle diafana.

 

Avrebbero pagato i Guardiani, per essere stati a guardare mentre Madre Natura crollava in ginocchio con il petto svuotato dall’essenza stessa del suo ruolo.

Avrebbe pagato Manny, per non aver mosso nemmeno un dito quando avevano ucciso Typhan prima, e quando avevano ucciso psicologicamente lei dopo.

Avrebbe pagato Harmonia, soprattutto Harmonia, per aver guidato la sua rovina dall’alto della sua grandezza equina, per averla umiliata, per averla ridotta ad una pezzente.

 

Avrebbero pagato, certo… ma come?

Quell’interrogativo imprevisto fece tornare Emily con i piedi per terra, facendole anche notare con orrore che le spine di quella piantina le si erano conficcate nella pelle, ma non diede nemmeno troppo peso a quel piccolo dolore quasi insignificante: osservando i sottili rivoli di sangue rosso pallido, l’ormai decaduta Madre Natura si rese conto che i piani di vendetta che si trascinava dietro da trent’anni a quella parte non avrebbero potuto andare in porto nemmeno per sbaglio, considerando l’irrisoria quantità di potere a sua disposizione.

Non avrebbe potuto fare nulla da sola, figurarsi cercare lo scontro con un gruppo di Guardiani pronti a difendersi gli uni con gli altri con le unghie e con i denti, e di affrontare direttamente Harmonia non c’era nemmeno da parlarne: l’avrebbe cacciata nell’Abisso insieme a Phobos prima ancora che potesse varcare i confini di Phantasia, quella giumenta osannata e amata da tutti!

O quasi, almeno.

Tutte le preoccupazioni che affollavano la mente di Emily Jane Pitchiner sparirono in un istante senza che nemmeno se ne potesse rendere conto: Harmonia era amata da tutti… o quasi, perché sicuramente qualcuno che voleva fargliela pagare quanto lei c’era per forza, e quel qualcuno avrebbe potuto essere un suo alleato.

Ecco cosa le serviva, un alleato, un alleato e nient’altro!

Con un’espressione raggiante dipinta sul volto ed un sorriso a tratti inquietante, Emily si rese conto che forse era finalmente arrivato il momento del riscatto per lei, quello che aspettava impazientemente da quando aveva perso tutto ciò che aveva: era solo questione di tempo, doveva solamente sopportare qualche altra umiliazione, abbassare la testa, essere accondiscendente con suo padre o chiunque altro e attendere qualche tempo.

Aveva atteso per trent’anni, avrebbe aspettato ancora.

 

 

________________________________________________________

 

Angolino dell’autrice

 

Eccomi qui con questo capitolo che è un po’ una pausa fra quello che sta accadendo a Phantasia e la famosa partita a scacchi che certa gente sta giocando senza farsi notare :3

Prima di tutto, vorrei solo dire che sulla questione cracker-kraken-quella-cosa-riferimenti-random non mi pronuncio più di tanto per evitare spoiler su fanfiction che non sono mie, ma ringrazio _Dracarys_ per avermi dato il permesso di infilare genteH, ed anche per avermi dato una mano enorme a sistemare l’ultimo pezzo del capitolo stesso <3

Per il resto non ho moltissimo da dire, solo due parole su Mother Galaxy: è un personaggio più importante di quanto sembri in questa fanfiction ed avrà una long tutta sua dove questa importanza verrà del tutto fuori, ma spero che il suo ruolo inizi ad essere delineato a sufficienza già da ora.

Come quello del Veggente, del resto, ma su di lui è meglio se non dico nulla perché si tratta di uno spoiler unico! :’D

Penso di aver detto tutto, quindi vi lascio con l’aspetto di Mother Galaxy :D

 

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