Nonostante
la tensione che stesse
provando Halley fosse chiaramente visibile e palpabile sulla pelle
d’oca che le
era venuta, Mother Galaxy sembrava invece perfettamente a proprio agio
con
l’imbarazzante situazione che si era creata, come anche il
Veggente non si
faceva problemi a tenerla in braccio mentre lei aveva il seno ed altro di fuori e le sue gambe snelle
avvinghiate
intorno alla vita, con il bacino premuto sulle fauci irte di denti che
squarciavano il ventre del compagno di molestie sbavando un liquido
nero.
Da
parte sua, se non faceva troppo caso
alla sovrana delle Galassie ad appena un metro da lei che premeva la
testa
contro le soffici quanto calde piume nere delle immense ali
dell’altro, Comet
riusciva quasi a rilassarsi e mettere da parte le brutte sensazioni che
la
stavano assalendo: nonostante a primo impatto il Veggente fosse davvero un essere perfettamente
consapevole del proprio ruolo e della propria forza, e nonostante lo
dimostrasse con quel suo atteggiamento freddo e distaccato di chi
è privo di
qualsiasi emozione che possa essere definita tale, sotto sotto, molto sotto, non era poi così
frigido
come sembrava.
D’altronde,
aveva pensato più volte
Halley, c’era anche una puledra che lo amava, e questo
dimostrava che sì, il Veggente
provava sentimenti, almeno con chi voleva: non aveva idea di chi fosse,
ma da
un certo punto di vista non era nemmeno così importante
saperlo.
Perché
tanto voleva scoparselo comunque,
non si sarebbe certo fatta qualche scrupolo solo perché lui
se ne usciva con i
“GNEGNEGNE sono già fidanzato
GNEGNEGNE”, a lei non gliene importava
assolutamente nulla: era Comet E. Halley, la creatura più
inaffidabile che
l’Universo avesse mai visto, figurarsi se lei
avrebbe potuto prendere una scopata con lui talmente sul serio da
metterci del
sentimento!
Però
le piaceva starsene lì fra le sue
ali, si sentiva davvero al sicuro,
ed
era per quello che si era lasciata cullare da quell’abbraccio
piumoso senza
fare troppo caso a Mother Galaxy lì vicino, facendo
ulteriormente presa con le
sue braccia sulla schiena longilinea del Veggente, il quale si era
adoperato
per coprire le nudità della sua ospite con uno dei tre paia
di ali per
permetterle di rivestirsi.
Il
gesto l’aveva lasciata talmente
spiazzata che si era trovata paralizzata da un’azione
così gentile e cortese da
parte di un essere onnipotente e onnisciente, talmente potente da
essere capace
di distruggere o creare Universi semplicemente sbattendo le palpebre;
notando
la condizione di catalessi nella quale era caduta la poveretta, il
Veggente
fece un sospiro annoiato e le afferrò con delicatezza i
lembi del vestito
facendolo scorrere sul corpo nudo che aveva davanti con
un’indifferenza disarmante,
per poi posarla a terra con altrettanta nonchalance.
Erano
seguiti minuti in cui nessuno dei
presenti aveva proferito parola facendo calare un imbarazzante sipario
di
silenzio sopra le loro teste, minuti in cui Halley si era premurata di
non allontanarsi
troppo dalla presa che aveva su una delle sei braccia del Veggente:
Mother
Galaxy che se ne usciva dal Palazzo della Creazione per fare qualcosa
che non
fosse giocare a scacchi con Manny non era una cosa troppo normale.
Anzi,
era preoccupante.
Molto
preoccupante.
Mother
Galaxy, il cui vero nome era
conosciuto solo da sette
persone in tutto l’Universo, era la Regina delle Galassie, e
questo bastava per
intimidire chiunque l’avesse davanti: nonostante fosse la creatura che
teneva in piedi con le
proprie forze e poteri il precario equilibrio nel quale le famiglie
delle
Costellazioni si crogiolavano più o meno beatamente, la
stessa che poteva far
nascere o morire le stelle come se fossero lampadine
nell’immensa stanza nera
del cosmo, era una donna dall’atteggiamento amorevole e
materno, estremamente
protettiva verso chiunque chiedesse il suo aiuto.
Effettivamente,
il suo aspetto piuttosto
semplice certo non faceva presagire tanta forza in una donna, ma un
vago cenno
veniva dato dalle grandi e immense ali dalle soffici piume di un bianco
talmente brillante da far male alla vista: i capelli biondo grano
mollemente
raccolti sulla nuca ed acconciati sulla parte anteriore con una treccia
simile
ad una corona, anziché lasciati liberi di toccate terra
ondeggiando come
sempre, facevano da splendida cornice per due occhi la cui iride era di
una
curiosa serie di sfumature di azzurro che richiamavano la forma di una
Galassia,
con tanto di puntini biancastri come stelle intorno.
In
quanto ad abbigliamento, Mother
Galaxy non si sbilanciava mai più di tanto, preferendo
restare sui temi del
bianco e dell’oro: anche quella volta indossava come solito
un lungo abito
bianco con dei finissimi ricami appena più scuri, tenuto
morbido sul seno e sui
fianchi da una sottile cintura bluastra dalla quale pendevano delle
sottili
catenelle dorate con vari ciondoli a forma di stella di dimensioni
variabili, in
particolare quello più grande con una gemma azzurrina che se
ne stava al centro
del petto diramandosi fino ai lati del seno; simili a quelli presenti
sul
corpo, persino i gioielli che scendevano sulle spalle accompagnando dei
lembi
di stoffa quasi trasparenti ricordavano gli astri, sottolineando il
concetto
che Mother Galaxy, fra quelle stelle, era nata e cresciuta.
E
ora le governava.
Per
quanto l’atmosfera si fosse fatta
leggermente più tesa del previsto, fu proprio Mother Galaxy
a rompere il
ghiaccio nell’unico modo possibile:
«Posso
chiedere il motivo per cui ti
trovi qui, Veggente? Mi risulta che stiano accadendo cose
più importanti del
gettarsi nella tana del lupo, o meglio del drago… in sua
compagnia,
soprattutto» disse stupita inarcando le sopracciglia
«Non mi risulta che lei
goda di questi grandi e amorevoli rapporti con Idhunn Orionis
Chandrasekhar, se
la vedesse potrebbe succed-»
«Nulla,
non potrebbe succedere proprio nulla» puntualizzò
freddo l’uomo incrociando quattro
braccia al petto e lasciando una di quelle libere ad Halley
«Davanti a me,
nessuno ucciderà nessuno, non senza il mio
permesso: se i piani del Multiverso prevedono spargimenti di sangue
allora ben
vengano, ma non verranno consumate vendette personali senza che questo
sia
stato previsto da me. Molto
semplice,
direi.» concluse serioso.
Tanta
autorità inizialmente aveva
lasciato interdetta la sovrana delle Galassie, la quale però
aveva assunto
un’espressione perplessa nella quale si poteva intuire un
velo di seccatura:
non aveva nulla contro il Veggente, anzi andava anche molto
d’accordo con lui
quando si trattava di mettere davanti il dovere di ricoprire ruoli di
importanza, anziché il piacere di comportarsi come Unigon ed
ubriacarsi mentre
giocava a bowling con le stelle supergiganti rosse, ma se
c’era una cosa che
non riusciva proprio a sopportare del Veggente era quel suo
atteggiamento strafottente
che veniva abilmente nascosto dal suo sguardo indecifrabile.
Solitamente
non lo dava a vedere, di
essere e di sentirsi talmente superiore a chiunque da non degnare
nemmeno di
uno sguardo chi apparteneva alla “plebaglia delle
Costellazioni”, ed anche ora
non aveva un comportamento differente dal solito, ma il solo fatto che
fosse su
Orionis III con Comet E. Halley era un motivo più che valido
per guardarlo
storto.
Soprattutto
perché era arrivato in quel
momento, quel dannatissimo momento:
lei non era certo Unigon o il Veggente che si facevano gli affari degli
altri
come se non ci fosse un domani -il secondo tra l’altro ancora
prima che tali
affari accadessero- ma Mother Galaxy aveva saputo dell’arrivo
di ospiti
illustri alla corte di Idhunn Orionis Chandrasekhar quasi subito,
avvertendo
chiaramente e con sua estrema preoccupazione che stava succedendo
qualcosa di grosso.
Lei
non sapeva cosa, certo.
Ma
il Veggente lo sapeva benissimo,
cosa c’era sotto a quegli
incontri fra donne talmente potenti da tenere sotto scacco le guerre ed
i
complotti che muovevano le prima mezza galassia, e i secondi
chissà cosa.
Per
quel motivo, e perché non aveva
intenzione di aspettare le conseguenze di tali incontri per scoprirlo
sulla
propria pelle, la Regina delle Galassie aveva preso
l’iniziativa ed era andata
direttamente incontro al Veggente, ed ora sperava solo che la
ascoltasse:
«Ho
bisogno di parlarti di alcune… cose,
ecco. Cose importanti. Molto
importanti» esordì seria per poi
indicare Halley «Possibilmente senza lei intorno: nulla di
personale, Comet, ma
ci sono argomenti dei quali è meglio che nessuno venga a
conoscenza, che devono
riman-»
«Io
non mi muovo, ma proprio no!» le
urlò contro facendole una linguaccia con nonchalance e
strafottenza «Il mio Veggy
ha bisogno di me, non di una vecchia signora rachitica che
“GNEGNEGNE spengo le
stelle ti faccio del male GNEGNEGNE”, vero ammmore
mio?» domandò al Veggente,
il quale tirò un sospiro rassegnandosi all’idea
che stesse per assistere ad una
guerra di insulti fra le due donne.
Che
iniziò prontamente, com’era giusto
che fosse:
«Cosa
hai detto? Chi sarebbe la “vecchia
signora rachitica”? Non ti
azzardare nemmeno, piccola cometa ubriaca, perché tu non sai
nemmeno cosa
accidenti sia il fuoco! Te lo fac-»
«Uuuuuh,
che paaaauraaa! Tremo
malissimo! Aiuto! Aiuuuutooo!» la prese in giro Halley
emettendo dei gridolini
di terrore tanto sarcastici quanto realistici, i quali non facevano
altro se
non innervosire ulteriormente l’altra «Ti chiamano
“Mother Galaxy” ma
dovrebbero chiamarti “Granny Galaxy” da quanto sei
veeeecchiaaaa! Hai già le
ali bianche per la vecchiaiaaaa!» la stuzzicò
ancora toccandole le ali candide.
Una
vena iniziava ad intravedersi sulla
fronte della donna, la quale sembrava ormai prossima
all’omicidio, ma che al
tempo stesso li limitava a stringere i pugni estremamente impaziente di
metterle le mani al collo:
«Veggente,
dille qualcosa, dille
qualcosa o l’ammazzo. Io l’ammazzo. Adesso eh. Non
aspetto. Non permetto a
nessuna puttanella insolente di prendermi per il cu-»
«Sarò
una puttanella ma a me la danno,
la bruschetta mentre tu…» rispose a tono
indicandosi prima il suo inguine e poi
quello dell’altra «Sarà dal Big Bang che
non vedi un pene, anzi, dal Big Gang Bang!
L’hai capita, eh? L’hai
capita? Big Bang? Gang bang? Eheh!... Eh?» domandò
ridendo talmente tanto da
doversi tenere la pancia «… Non l’hai
capita… ma poi cosa pretendevo? Che la
capisse una donna che non vede un pene dall’era
glac-» non aveva fatto in tempo
a finire che Mother Galaxy, in preda alla rabbia più cieca,
le aveva scagliato
addosso un massa luminosa sferica non meglio definita con colori che
andavano
dal rosso all’oro fino all’azzurro.
Una
sfera che bruciava, e tanto… come
una stella.
Ma
che, fino ad Halley, non era arrivata.
Il
volto di Mother Galaxy era diventato una maschera di puro terrore.
Non
aveva idea di cosa fosse peggio,
come conseguenza a quel suo gesto avventato: le due ali sciolte come
neve al
sole ridotte a due grumi informi che grondavano un viscoso liquido nero
misto a
piume bruciate, la carne del petto maciullata i cui brandelli
penzolavano
ancora liberamente ricoperti da una curiosa polverina dorata, buona
parte del
volto sparita che lasciava visibili i denti, o almeno quanto ne
restava, il
bulbo oculare sinistro che si stava sciogliendo davanti ai suoi occhi,
forse il
braccio mancante unito alle svariate dita sparite dagli arti superiori.
Perché
il colpo ad Halley non era mai
arrivato, certo che no.
Lo
aveva preso tutto il Veggente.
Veggente che continuava a mantenere una calma spaventosa, decisamente agghiacciante dal momento che gli mancava buona parte del corpo, fatto che però non sembrava disturbarlo minimamente nonostante tutto:
«Una
piccola stella di neutroni, eh? Classico, ma ugualmente
notevole» asserì
quasi compiaciuto toccandosi la parte del volto mancante, scena
alquanto
grottesca dal momento che parlava senza mezza faccia come se nulla
fosse avvicinandosi
a Mother Galaxy, la quale lo fissava terrorizzata temendo il peggio
«Tieni solo
a mente un dettaglio: quando dico che “davanti a me, nessuno
ucciderà nessuno,
non senza il mio
permesso”, il
discorso vale tanto per la gentaglia delle Costellazioni quanto per la
sovrana
delle Galassie, non dimenticar… Halley.»
stava per controbattere alla Regina quando l’altra donna,
particolarmente
divertita dalla situazione, si era messa a giocherellare con il bulbo
oculare
disciolto, facendolo cadere rovinosamente a terra ed alzando divertita
le mani
in segno di resa.
Probabilmente
Mother Galaxy si aspettava
da Halley chissà quale scenata di delirio e paura nel vedere
il corpo del Veggente
mezzo maciullato, ma la sua sorpresa sarebbe stata minore se avesse
saputo che
Halley, del Veggente, sapeva abbastanza perché potesse
addirittura scherzare
sopra al fatto che ci fossero in giro bulbi oculari vaganti; a conti
fatti, le
poche cose conosciute su di lui erano quelle fondamentali per sapere
che quella
condizione non aveva nessuna ripercussione, dal momento che quella che
pendeva
ondeggiando dal suo volto non poteva nemmeno essere definita
“carne” vera e
propria, come anche quel liquido nero e viscoso non era
“sangue”.
Per
non parlare del fatto che, dentro di
sé, non aveva nemmeno un organo, delle viscere, delle ossa,
muscoli e
tendini... non aveva nemmeno un cervello, nemmeno
un cuore che batteva.
Niente
di niente.
E
anche la Regina delle Galassie lo
sapeva, ma vedere come lo aveva ridotto e conoscendo le
capacità di chi aveva
davanti le metteva un’ansia terribile addosso, la
consapevolezza che quel
dannatissimo attacco aveva colpito l’ultima persone che
avrebbe dovuto essere
colpita: sentiva un nodo alla gola, le gambe non la reggevano nemmeno
più in
piedi sotto il peso della paura più profonda e oscura,
persino le ali
sembravano aver smesso di brillare quando quel mantello di timore e
panico
generale l’aveva circondata su tutti i fronti.
Per
un attimo, le parve di aver
addirittura visto la sua vita scorrerle davanti mentre si preparava al
peggio,
ad essere eliminata dal volto di quell’Universo per colpa di
un fottutissimo
malinteso, di una cosa che non aveva certo fatto e non avrebbe mai voluto fare volontariamente.
Dopo
qualche istante, lo sgomento e la
preoccupazione erano diventati insopportabili persino per lei, e allora
aveva iniziato
a vedere tutto sfocato -tremendamente
sfocato- mentre avvertiva i sensi abbandonarla lentamente ma
inesorabilmente
in un vortice di emozioni che aveva lasciato dietro di sé
solo un involucro
vuoto: con le gambe molli ed il petto svuotato di qualsiasi cosa che
non fosse
il timore di morire nonostante fosse immortale, l’ultima
sensazione che aveva
provato era stata quella del suo corpo che si abbandonava al crollo
verso le
rocce appuntite tipiche della catena montuosa di Osterhagen.
Salvo
avere il tempo di avvertire la
presa salda e sicura delle braccia che si era infilate sotto le sue ali
sostenendola prima che collassasse sulla fredda pietra:
«Se
hai intenzione di morire trascinando
con te un numero indefinito di Galassie, Costellazioni e stelle oltre
che il
tempo e lo spazio stessi, allora fai pure… ma dopo che mi
avrai detto il motivo
per cui mi hai cercato, Mother Galaxy.» asserì il
Veggente mentre con gli
occhi, o meglio con quello rimanente, sembrava scavarle direttamente
nell’anima; inizialmente restò leggermente
perplessa nel trovarsi ciò che
restava del suo volto a pochi centimetri dal proprio, così
perfetto rispetto a
quello mezzo maciullato dell’altro, ma si calmò
quando capì che non c’era nulla
di cui avrebbe dovuto preoccuparsi.
Ma
si stava preoccupando lo stesso,
purtroppo per lei:
«Mi
dispiace, mi dispiace moltissimo!»
buttò lì sperando di convincerlo mentre sentiva
le lacrime premere impazienti
per uscire «Non volevo, Veggente! Non volevo colpirti! Non
era mia intenz-»
«Sono
il Veggente, io so che non volevi
colpirmi… e sapevo
anche che avresti colpito Halley ancora prima che tu decidessi di
farlo, quindi
direi che abbiamo chiarito la questione. Ora che me lo hai sentito dire
te ne
sei convinta, eh?» domandò con voce calma
prendendosi di rimando un sorriso
abbozzato da parte della donna che annuì debolmente; si
rimise in piedi da sola
in fretta lisciandosi il vestito, gesto durante il quale il Veggente si
avvicinò all’altra presente:
«Ora
devi lasciarci soli, Comet E.
Halley, quindi ti chiedo gentilmente di andartene fino a quando la tua
presenza
non sarà nuovamente richiesta» le
comunicò secco ma senza essere troppo duro,
mantenendo però una certa compostezza.
Cosa
che servì a ben poco, dal momento
che Comet aveva iniziato a dimenarsi nemmeno fosse in preda a dei
violenti
spasmi di delirio:
«Cosa?»
reagì incredula spalancando talmente tanto le palpebre che
gli occhi sembravano
sul punto di uscirle dalle orbite «Tu non puoi abbandonarmi,
qui poi! Ma l’hai
vista, Idhunn? Io sì, che l’ho vista, ed
aveva compagnia! Lei ha ancora compagnia! Veggy! Dai Veggy,
lasciami rest-»
«No,
non se ne parla assolutamente» si
impuntò severo «Non rendere tutto più
difficile e limitati ad ascoltarmi, per
una buona volta.» concluse allontanandosi; nel vederlo andare
via da lei,
Halley gli si aggrappo ad una delle ali, incurante che si stesse
sporcando con
quello strano quanto inquietante liquido nero, ma ciò non
sortì alcun effetto:
«C’è
qualcosa che possa fare per
convincerti a lasciarci da soli per qualche ora, eh?»
domandò il Veggente
vedendo quanta resistenza stava opponendo la donna.
E
allora le si erano illuminati gli
occhi più di quanto già fossero, con quelle
curiose sfumature dorate nel color
magenta dell’iride:
«Verameeeeente
qualcosa ci sarebbe… da
quello che vedo» disse infilando la testa sotto la tunica
quasi trasparente che
scendeva dalla vita dell’altro «La bruschetta
è ancora intera, quindi fooooooorse
potremmo… insomma… potremmo fare sess-»
«Ne
riparleremo quando sarai tornata, ora vai.»
la liquidò senza darle
conferme o smentite riguardo le sue proposte indecenti; nonostante i
dubbi che
le erano rimasti, questa volta Halley era davvero convinta,
così decise di
seguire il consiglio dell’altro, ma non prima di avergli
afferrato il volto ed
averlo coinvolto in un bacio appassionato, incurante del fatto che la
parte del
viso mancante rendeva fin troppo visibile la lingua
all’interno della sua
bocca:
«Quando
tornerò conto di trovarti già
sdraiato a letto con la bruschetta coperta da queste meravigliose
alette, Veggy
caro» gli sussurrò all’orecchio
divertita «Ci si rivede, allora.» si
congedò
mandando un bacio con la mano mentre volava via e lasciava solo una
scia
magenta incredibilmente calda dietro di sé.
Il
Veggente la guardò allontanarsi
perplesso, con un solo pensiero nella mente: sperava vivamente che
Comet, in
giro a zonzo per Orionis III, non avrebbe combinato guai, non guai grossi almeno.
Ma
dentro di sé sapeva già come sarebbe
finita.
Ovviamente.
Rimasti
finalmente soli, Mother Galaxy
ed il Veggente si erano spostati su un piccolo spiazzo nelle montagne
che dava
su uno strapiombo, una lingua di terra così in alto rispetto
alla superficie da
permettere di distinguere all’orizzonte la timida curvatura
del pianeta, da
quanto era enorme Orionis III, dando libero sfogo a riflessioni di ogni
genere.
Ennesimo
di una serie non meglio
definita di pianeti appartenenti a quella che era la stirpe
più temuta della
Galassia, Orionis III era l’attuale casa della capofamiglia
dei Chandrasekhar e
del suo seguito di parenti non proprio raccomandabili, oltre che la
base
militare intorno alla quale ruotava un esercito -a detta di diversi
diversi
scritti vecchi di centinaia di migliaia di anni- “la
cui marcia era in grado di smuovere il centro dell’Universo
stesso,
data la sua immensità”.
Una
diceria, ovviamente, il centro
dell’Universo non si muoveva di un millimetro, ma rendeva
perfettamente l’idea
di quanto fosse illimitato il potere in mano ai Chandrasekhar, non per
niente il
loro motto era “Conquista e Distruggi”: forse le
loro truppe non muovevano il
centro galattico o quello universale, ma dove passavano i Chandrasekhar
non
restava nulla, assolutamente nulla, niente
di niente.
Radevano
al suolo tutto e tutti, senza
distinzioni e senza farsi domande: trovavano un pianeta, lo attaccavano
con un
dispiegamento di forze spaventoso, distruggevano qualsiasi cosa
trovassero
sulla loro strada, sottomettevano le popolazioni schiavizzandole o
estinguendole direttamente e poi niente, prosciugavano le stelle
appartenenti
al pianeta stesso, se non l’intera Costellazione nella quale
quello si trovava,
per ottenerne la polvere.
La
polvere di stelle, generata dal naturale
decadimento di una stella man mano che invecchiava, muoveva
l’intera economia,
potenza e terrore firmato Chandrasekhar dal momento che ne detenevano
l’assoluto monopolio -un monopolio difeso con le unghie, con
i denti e con orde
di draghi i cui ruggiti risuonavano nello spazio- rendendoli
indispensabili a
chiunque, persino a Mother Galaxy.
Perché
Mother Galaxy, con i
Chandrasekhar, voleva averci a che fare il meno possibile, in
particolare con
la loro capofamiglia, tale Idhunn Orionis Chandrasekhar: considerata la
personificazione della distruzione e della guerra, dall’alto
della sua
disarmante perfezione teneva saldamente stretta in pugno mezza Galassia
da
svariate migliaia di anni; ci aveva pensato sopra parecchio prima di
lasciare
il Palazzo della Creazione quasi del tutto scoperto per andare a
parlare con il
Veggente disturbandolo mentre faceva chissà cosa, quando poi
aveva scoperto che
si trovava su Orionis III un attimo di indecisione e panico generale
l’avevano
assalita anche, ma le sue domande e le relative risposte che sperava di
ricevere erano più importanti del lasciar perdere quella
visita solo perché era
sul pianeta di Idhunn.
Il
suo malsano naufragare in pensieri
che non facevano altro se non agitarla ulteriormente venne interrotto
dal Veggente,
il quale le si mise di fianco lasciando stancamente ricadere
ciò che rimaneva
delle ali a terra:
«Mi
chiedo se quello sguardo preoccupato
sia dovuto alla consapevolezza di essere in territorio
Chandrasekhar… o se invece sia
dovuto alle recenti visite
avvenute a Phantasia» buttò
lì senza pensarci troppo; improvvisamente,
Mother Galaxy sentì il respiro morirle in gola:
«T-tu
cosa ne sai, delle v-visite a
Phan-»
«Oh
avanti, per chi mi hai preso? Sono
il Veggente, io vedo tutti e tutto, in ogni istante della storia del
Multiverso, io conosco già il passato, il presente ed anche
il futuro…»
puntualizzò accennando un sorriso beffardo «Eri davvero convinta che non avessi notato il
tuo piccolo aiuto
nell’alzare la barriera intorno al castello di Harmonia, eh?
Pensavo che avessi
notato la presenza di quel curioso cigno, nel laghetto intorno al
castello!» ci
rise sopra dando vita ad uno spettacolo a dir poco agghiacciante, data
la
mancanza della carne e del bulbo oculare da un lato del volto.
Senza
sapere cosa controbattere, Mother
Galaxy rimase qualche istante in silenzio distogliendo lo sguardo dal
grande
occhio azzurro luminescente che galleggiava sopra la fronte del
Veggente, ma
era consapevole che sarebbe stato difficile reggere il confronto con
lui, troppo difficile:
«Non
volevo rischiare che
quell’Ephemeride causasse più guai di quanti ne
porta già la sua sola presenza,
tutto qui… avresti fatto lo stesso, Veggente, e non dirmi
che Tanith non ti
mette un po’ di timore perché non ci crederei mai,
assolutamente mai.» rigirò
il discorso facendogli quella velatissima insinuazione quasi senza
pensarci.
L’altro
la osservò qualche istante con
aria severa, poi iniziò a ridere fragorosamente:
«Tanith?
Preoccuparmi di Tanith? Di lei? Mother
Galaxy, mi sorprendi!» ripeté
tenendosi l’addome da quanto rideva «Tanith
è solamente
un’Ephemeride, un ammasso di ossa e dolore che crede di
poter terrorizzare il mondo quando nemmeno lo conosce, il terrore
vero… povera illusa»
continuò tornando
improvvisamente serio tendendo una mano davanti a sé, la
quale si ricoprì di
sottilissimi filamenti azzurrini proveniente dall’occhio
sulla fronte.
Avrebbe
dovuto stare zitta sulla
questione Tanith, perché ora stava leggermente sfuggendo di
mano, ed avrebbe
potuto degenerare da un momento all’altro: da parte loro, le
altre Ephemerides
non avevano mai dato problemi con la burocrazia della Galassia, si
limitavano
ad essere dei parassiti che si nutrivano di dolore senza disturbare
nessuno e
senza complotti, tutto sommato la loro presenza nemmeno percettibile
non era
affatto un problema.
Poi
c’era Tanith, il cui egocentrismo e
voglia di dare mostra di sé era a livelli fin troppo alti
persino per la sua
razza.
Soprattutto
quando metteva le mani nelle
questione sbagliate, dando “spintarelle” a
situazioni già piuttosto tese da
sole, spingendo chi di competenza a preparare le armi ancora prima di
incontrarla di persona:
«Dovrei
solo alzare un dito, e allora di
Tanith e delle altre sue simili non resterebbe che un vaghissimo
ricordo…»
rifletté ad alta voce quando i filamenti erano andati
unendosi in una piccola
sfera scintillante «Anzi, nemmeno quello, perché
subito dopo mi preoccuperei di
cancellare qualsiasi informazione relativa a quelle ridicole,
inutili e fastidiose serpentesse dagli improbabili gusti
alimentari» disse facendo cenno alla donna di
allungare una mano verso la
sua, donandole la sfera luminosa «Nana azzurra in formato
mignon, la stessa che
infilerò su per la gola di qualsiasi persona o serpente
intenda sconfinare in
questioni che non la riguardano.» terminò
sospirando divertito.
Con
una stella che le brillava fra le
mani, Mother Galaxy non riuscì a resistere alla tentazione
di accarezzare la
nuova arrivata come se fosse un cucciolo, concentrandosi
sull’intensa ma non
fastidiosa né dolorosa sensazione di calore che
l’astro appena nato trasmetteva
alle sue dita:
«Apprezzo
le tue delucidazioni sulla
questione di Tanith, ma immagino che tu sappia anche di
un’altra questione...
ovvero quella delle previsioni di Mot-»
«Mothman?
Quella falena è anche peggio
di Tanith, non puoi immaginare quanto mi dia i nervi»
commentò sbuffando
annoiato «Tutti a sorprendersi delle sue
“previsioni” o presunte tali, ma anche
lui non è nulla che non possa essere sistemato a dovere se
dovesse rendersi
necessario» asserì mettendosi una mano fra i
capelli bianco-biondi «Una
previsione in più del dovuto, e potrei anche intervenire a
proposito, che ne
so, cambiando il futuro, forse? Chi lo sa, il fato è
così imprevedibile…
soprattutto se viene disturbato mentre si sta masturbando»
puntualizzò alzando
la voce «Io non reggo proprio chi mi disturba mentre mi sto
masturbando. Non lo sopporto.»
concluse seccato.
Nonostante
la piccola stella che prese a
sfrigolare emettendo strani fischi acuti, quasi avvertisse la tensione
nell’aria,
Mother Galaxy non riuscì proprio a trattenere una risata a
quelle parole: era
vero, il Veggente mal sopportava coloro o le situazioni che
interrompevano la
sua attività preferita in quell’Universo senza la
sua puledra, non si sarebbe
nemmeno sorpresa più di tanto scoprendo che aveva raso al
suolo interi mondi
solo perché qualcuno si era messo fra lui e le sue sessioni
di masturbazione
quotidiane.
Non
c’erano dubbi che fosse una creatura
strana, inusuale e curiosa ad un livello inquietante, con
quell’alone di
mistero che lo circondava, ma a volte si lasciava andare a quelle
rivelazioni
per lui molto serie che invece provocavano solo fragorose risate,
rendendo la
sua presenza meno pressante di quanto fosse realmente.
Parlando
di presenze, la mente della Regina
tornò ad uno degli argomenti spinosi della giornata, uno di
quelli che la
preoccupavano di più, e con esso arrivò anche
quel velo di preoccupazione
mascherato da irritazione verso la superficialità dimostrata
dall’altro:
«Non
voglio assolutamente interrompere i
tuoi monologhi su quante volte ti masturbi e quanto a lungo, tra
l’altro molto
interessanti» si mise in mezzo chinando il capo «Ma
vorrei ricordarti che ci
sono la sovrana della distruzione e la sovrana dei complotti sullo
stesso
pianeta, su questo pianeta, quindi
ti
chiedo: intendi fare qualcosa? Qualsiasi cosa?»
domandò questa volta lei con
aria severa; l’altro osservò l’orizzonte
qualche istante, poi fece spallucce:
«Sì,
farò qualcosa» rispose sicuro
notando gli occhi di Mother Galaxy illuminarsi.
Finalmente!
Finalmente
sarebbe intervenuto!
Era
anche ora che si decidesse!
Tutta
sognante e ancora incredula, la
donna aveva congiunto le mani all’altezza del cuore che
pareva volerle uscire
dal petto, da quanto era emozionata:
«E
cosa, dunque? Cosa intendi fare, eh?
Prenderai provvedimenti? Lo sapevo che non saresti passato sopra la
cosa, lo
sapevo! Ne ero conv-»
«Masturbarmi.
Andrò a masturbarmi, ecco. Farò
questo.» rispose con altrettanto entusiasmo
alzando l’indice come per affermare meglio la sua decisione.
Mother
Galaxy si mise le mani fra i
chilometrici capelli che toccavano terra, sentendo la testa sul punto
di
scoppiarle per quella risposta degna della persona che
l’aveva pronunciata:
«Guarda
che sono seria, io non so
scherzando» affermò con
sicurezza inarcando le sopracciglia perplessa con la sua classica aria
di
rimprovero addosso, quella che avrebbe fatto sentire in colpa chiunque,
anche
chi di colpe non ne aveva; il Veggente non ci fece nemmeno caso,
impegnato
com’era a pensare alla sua prossima attività:
«Nemmeno
io sto scherzando, pensa un
po’» rispose infine pacatamente.
Sentì
le braccia cascarle dal corpo: non
era possibile che pensasse solo a quello, non era fottutamente
possibile che
menarsi la bruschetta fosse la sua unica preoccupazione, nemmeno Unigon
che
-fra una partita di scacchi e l’altra- infilava la sua nei
buchi neri prendeva così
sul serio quell’attività!
E
invece no, era possibile, possibilissimo.
Per
quanto però ci stesse scherzando
sopra, il Veggente non aveva perso di vista l’affermazione
dell’altra riguardo
le due regine presenti in quel momento su Orionis III,
perché di certo non
dimenticava il motivo per cui Mother Galaxy era andata a cercarlo di
persona:
«Da
sola, la semplice forza bruta non ha
nessun fine se non quello di distruggere tutto ciò che vi si
oppone: chi dice
che con la violenza non si ottiene nulla evidentemente non è
un Chandrasekhar,
perché loro, con la violenza, hanno ottenuto e continuano ad
ottenere tutto, e tengono
egregiamente sotto
scacco mezza Galassia, tanto di cappello» disse togliendosi
un copricapo
invisibile «I complotti, invece, sono più
insidiosi, ma ugualmente efficaci: lavorano
dietro le quinte, ottenendo risultati non indifferenti oserei dire,
soprattutto
se le redini di tali complotti ed influenze vengono tenute da chi, dei
complotti, ha fatto la propria principale ragione di vita»
spiegò guardandosi
la mano.
Il
Veggente avanzò di appena qualche
passo verso Mother Galaxy:
«La
Regina della distruzione, la
personificazione della guerra stessa…»
sussurrò facendo comparire un minuscolo
drago rosso rubino «E la Regina dei complotti, la strategia
fatta persona…»
continuò mentre nell’altra mano appariva un polipo
viola altrettanto piccolo, i
cui tentacoli si avvolgevano intorno alle sue dita «E infine,
la Regina dello spazio
e del tempo, dell’equilibrio cosmico stesso» fece
segno all’altra di tendergli
la stella che teneva fra le mani come se si trattasse di un tesoro
inestimabile.
Avvicinato
con delicatezza il minuscolo
astro alle mani del Veggente, ciò che lui fece fu di aprire
le proprie
lasciando che le due creaturine, una alla volta, vedessero
ciò che avevano
davanti:
«Tu
non hai paura di chi si trova su questo pianeta, in questo
momento, in queste
circostanze… certo
che no, perché se quel qualcuno fosse da
solo…» fece notare mandando avanti
prima il draghetto che, dopo un paio di artigliate e fiammelle lanciate
alla
stella -entrambe andate a vuoto- con immane ferocia, si era ritirato
annoiato
«Non ti preoccuperebbe così
tanto…»
continuò dando il cambio con il polipo, il quale aveva
provato ad avvolgere il
piccolo astro, prendendosi di rimando una bruciatura su un tentacolo.
Non
aveva idea di cosa stesse accadendo,
e nemmeno di cosa volesse dimostrarle con quello spettacolo quasi
buffo, ma non
ci volle molto per capirlo:
«Ma
se due potenze tali minacciassero di
collaborare insieme…»
asserì
sorridendo lasciando andare i due animali entrambi nello stesso
momento, gesto
al quale seguì un breve bisticcio che finì per
sedarsi piuttosto presto,
esattamente quando notarono la stella davanti a loro
«In
quel caso, e solo in quel caso, nemmeno le
stelle sarebbero più al sicuro.»
concluse il Veggente assumendo un’espressione compiaciuta.
Ma
Mother Galaxy non era compiaciuta,
tutt’altro, soprattutto perché fra le proprie mani
si stava consumando un omicidio stellare:
nonostante i dubbi
iniziali, il drago ed il polipo ora stavano collaborando insieme,
si erano fiondati sulla sfera incandescente strappandone
brandelli, poi interi pezzi, divorandola e avvolgendola con fiamme e
tentacoli,
il tutto mentre quella poveretta emetteva inquietanti sibili simili ad
urla
agonizzanti.
Paralizzata
dallo spavento di sentire
fra le proprie dita la vita di una stella che scivolava via come la
Sabbia del
Tempo nella clessidra che vedeva ogni giorno, non reagì
minimamente quando il Veggente
pose una mano su quella scena pietosa:
«Le
stelle si possono uccidere…»
puntualizzò aprendo le dita nel mentre che sotto il suo
palmo si formava una
sorta di disco nerastro che vorticava su stesso, come se uscisse
direttamente
dalla mano stessa «I buchi neri invece no: divorano le
galassie solo
sfiorandole, spengono le Costellazioni come se nulla fosse, radono al
suolo
interi Universi… ma non muoiono. Mai.»
terminò quando il disco, con violenza inaudita, aveva
risucchiato a sé tutto
quanto, che fosse la stella o il drago oppure il polipo «Ed
è bene che tutti
ricordino questo piccolo, piccolissimo e insignificante
particol-»
«VEGGY!
Veggy Veggy Veeeeeeeggy!» venne interrotto bruscamente.
Da
Halley, ovviamente, chi altri poteva
essere se non lei?
La
quale però non aveva addosso la sua
solita aria costantemente entusiasta, tutt’altro: forse era
per i capelli
spettinati in una posa improbabile, forse per il volto segnato dal
terrore e dal
petto che si alzava e si abbassava in preda agli spasmi, forse era
colpa dei
vestiti a brandelli, stava di fatto che Comet E. Halley era sconvolta.
Motivo
per cui non aveva nemmeno provato
a gettarsi fra le braccia del Veggente, paralizzata e che faticava a
reggersi
in piedi com’era, ma di certo ciò non la
giustificava per essere apparsa
all’improvviso nel bel mezzo di un discorso serio:
«Cosa
c’è? Qualche probl-»
«Mi
insegue! Mi vuole mangiare! GNAM!»
urlò sbracciandosi come una forsennata «Un
cracker! UN ENORME CRACKER! Mi sta
inseguendo!» concluse crollandole tremante mentre si teneva
il capo con le mani
fra le ali di Mother Galaxy, la quale capiva ancora meno di lei cosa
accidenti stesse
accadendo:
«Veggente?
Cosa sta dicendo? Un.. cracker?...
Veggente? Veggente?» lo
chiamò più volte senza mai ricevere risposta.
L’uomo
si era infatti incamminato verso
la sporgenza di quell’altura, notando il gran polverone che
si stava sollevando
all’orizzonte lontano, un misto di sabbia e detriti nel quale
il Veggente
riuscì comunque a distinguere ciò che gli
interessava vedere: kraken.
Sorrise.
Dall’alto
del silenzio del suo
interlocutore, Mother Galaxy era in una situazione piuttosto scomoda,
dal
momento che non capiva il perché di quel sorrisetto che mai -mai!- gli aveva visto addosso:
«V-Veggente…
di cosa… di cosa si trat-»
«Kraken,
non cracker… kraken! KRAKEN!»
rispose subito
entusiasta sfoderando una gioia che nemmeno sembrava potergli
appartenere; dire
che la Regina era sbiancata sarebbe stato un eufemismo, sul suo volto
non si
riuscivano nemmeno più a distinguere espressioni da quanto
era pallida in quel
momento:
«K-kraken?
Un k-kraken… un kraken? Qui? Non
prendermi per il culo! L’unico kraken in giro per questa
parte della Galassia è
quello della… della… no»
cercò di
convincersi senza tuttavia riuscirci «Tu non
mi stai dicendo questo. No. No!... Quello
non può -non deve!- essere il kraken di quella
là! Non dell’Ald-»
«E
invece sì! Morbido, caldo ed
insaziabile kraken!» emise un gridolino sentendo
le ali fremere «Con permesso, signore mie, devo andare a
salutare una vecchia
conoscenza.» si congedò sparendo improvvisamente e
riapparendo nell’enorme
distesa di roccia a terra.
Improvvisamente,
il cuore che il Veggente
non aveva nemmeno si era riempito di una strana sensazione, una sorta
di
felicità o presunta tale mista alla consapevolezza che stava
andando a farsi
macellare, ma non gli dispiaceva affatto, anzi: aveva sempre adorato in
modo
inquietante gli animaletti che i nobili delle Costellazioni si
portavano
appresso, che fossero i draghi Chandrasekhar o i kraken spaziali non
faceva
certo discriminazioni, a differenza dei rispettivi padroni loro gli
piacevano davvero.
Se
poi non li vedeva da tempo immemore
il tutto era amplificato a livelli spaventosi, soprattutto se tali
“animaletti”
erano fottutamente enormi e terrorizzavano chiunque li vedesse.
Chiunque
tranne lui, ovviamente: con le
ali piegate sulla schiena e le braccia abbandonate lungo i fianchi, il
Veggente
non si era mosso di un solo millimetro mentre l’immenso corpo
di quella bestia
si avvicinava fin troppo velocemente; come anche non aveva smesso un
solo
istante di tenersi quel sorriso sul volto ancora non rigenerato, ed
anzi era
finito a chiudere gli occhi per godersi ogni singolo secondo di quei
ruggiti
che riempivano l’aria di Orionis III come il suono di un
corno da guerra.
Era
perfettamente calmo, di una
tranquillità estremamente disarmante, soprattutto se veniva
confrontata con lo
sguardo terrorizzato di Mother Galaxy e le sue grida che lo pregavano
di
tirarsi fuori dalla traiettoria di quel mostro, ma non è che
servissero a
dissuaderlo o fargli cambiare idea sull’andare ad accarezzare
un kraken
spaziale leggermente diverso da un gattino.
Perché
i gattini non avevano tentacoli che
si abbattevano con violenza spaventosa sul suolo scavando conche
profonde e
larghe diversi metri.
Il
primo colpo gli aveva portato via
un’ala, con sua estrema sorpresa, ma ciò non gli
aveva impedito di iniziare a
canticchiare:
«Theeeeere’s
a starman waaaaaiting in the skyyyyy! He'd
like to cooooome
and meet yoooouuu!»
un secondo
attacco, questa volta di striscio, gli aveva tranciato con una
facilità
disarmante tre quarti della gamba destra, facendogli perdere
l’equilibrio per
qualche istante prima che riuscisse a reggersi in piedi con una delle
ali
ancora sane.
Dall’alto
della sporgenza dove si
trovava, Mother Galaxy non poteva fare altro se non osservare la scena
incredula: quella bestia lo stava macellando, se il tutto fosse andato
avanti
di quel passo il Veggente si sarebbe trovato con solo la testa -se fosse rimasta- al proprio posto, ed
il
lago di liquido nero che colava dagli arti e dai brandelli mancanti non
era che
una conferma di quella spiacevole impressione.
Voleva
fare qualcosa, doveva farlo!
Lasciata
Comet a terra ancora tremante,
Mother Galaxy aprì le immense e luminose ali bianche per
planare fino ad una
ventina di metri dal Veggente e dal suo amico cefalopode gigante:
mentre un
manto dorato di stelle si formava sulle sue spalle fino a confondersi
con i
suoi chilometrici capelli biondo grano, nei suoi occhi azzurro cielo i
sottili
filamenti che ricordavano stelle e Costellazioni avevano assunto
un’intensità
differente, come anche la pupilla che da totalmente nera era stata
sostituita
dal vaghissimo profilo di una galassia.
Sentì
chiaramente il fuoco montarle
dentro l’anima, le fiamme inesauribili degli astri dai quali
era nata che
ruggivano prepotentemente nel mentre che sulle sue mani si formavano
degli
intricati disegni che andavano dal giallo all’azzurro fino al
viola che
brillavano di luce propria; poi la terra aveva iniziato a tremare: non
si erano
aperti squarci apocalittici nel terreno, né tantomeno
c’erano stati vulcani che
avevano iniziato ad eruttare morte direttamente dalle loro bocche, e
non si
erano neppure viste piogge meteoriche che avrebbero raso al suolo il
creato.
La
terra tremava lì intorno, tremava e
basta, e le uniche ferite visibili sulla sua superficie erano quelle
del
terreno affondato intorno alla sfera biancastra -percorsa qua e
là da filamenti
multicolore, prevalentemente azzurri- che si era creata intorno alla
Regina
delle Galassie, quasi fosse uscita direttamente dal suo corpo; quando
Halley
l’aveva vista, improvvisamente si era resa conto di quanto
avesse rischiato a
darle addosso poco prima: non che i suoi poteri fossero da meno, ma le
sue
condizioni mentali attuali non le permettevano di fare molto.
E
giustamente, con Mother Galaxy che si
stava adoperando per mettere fine alla questione del kraken, il
Veggente non
era affatto contrariato dall’essere arrivato ad un punto in
cui gli mancavano mezzo
corpo, tutt’altro!
Con
la sfera bianca che aveva ormai
raggiunto i dieci metri abbondanti di diametro, ma mantenendo
però un centro
azzurro scuro luminoso tenuto fra le mani dalla donna esattamente al
centro del
petto, Mother Galaxy questa volta era decisa a fare sul
serio:
«Veggente!
Levati da lì se non vuoi che
una supernova travolga anche te insieme a quella palla di tentacoli!
Non lo
dirò una seconda volt-»
«Theeere’s
a starman waaaaaiting in the sky! Ther… una
supernova?» ripeté ancora più
divertito di prima girandosi verso di lei con le braccia aperte
«Provaci, e
allora ripasseremo i fondamenti della fisica scoprendo che i buchi neri
le supernove
le mangiano a colazione! Ed ora, se vuoi scusarmi» la
liquidò con un breve
inchino, ma senza voltarsi «Let the
krakeeeen looooose it! Let the kraaaaaken use it! Let the kraaaaken
boogie!
Because there’s a staaaarman waaait-» non
riuscì a finire.
Perché
la sua testa era sparita dalle
spalle, era rotolata fino ai piedi di Mother Galaxy -lasciando
lì solo il suo
corpo martoriato ancora in piedi- e lì si era fermata.
Come
anche si era fermato il cuore della
donna, almeno per qualche istante.
Perché
anche se sapeva che il Veggente
era l’overpower cosmico più overpower degli
overpower del creato, raccogliendo
la sua testa e trovandosi con un occhio luminescente che la fissava il
timore che
quello fosse troppo le era venuto
anche.
Halley
invece no, lei rideva da sola in
modo talmente smodato da essere imbarazzante solo a vederla, e tutto
nonostante
sapesse ancora meno del Veggente, altro che essere a conoscenza della
sua
rigenerazione a livelli spaventosamente overpower!
Che
Mother Galaxy conosceva a grandi
linee, ma ciò non le impedì di iniziare a sudare
freddo qualche secondo dopo,
mentre era ancora immersa nel terribile momento “Hai
la testolina del Veggente in mano”:
«…
Questo… questo mi costerà un brutto,
bruttissimo… mal di testa» rifletté il
Veggente stesso ad alta voce con tutta
la nonchalance possibile ad una testa vagante; ci mancò poco
che la Regina lo
gettasse via dall’infarto che sentirlo parlare le aveva
provocato:
«Presa
un colpo, eh? Dovresti vedere la
tua faccia in questo momento, è un concentrato di terrore
assolutamente
adorabile!» commentò ridacchiando piantandole in
suoi occhi viola intenso dalla
sclera nera addosso «Sono il Veggente,
mica bruscolini! Ma d’altronde il gioco è bello
finché dura poco, quindi… con
permesso.» ci congedò sparendo in un bagliore
accecante.
Non
sapeva se ridere o cosa.
Anzi,
sapeva cosa fare: godersi lo spettacolo.
Pochi
secondi ed il liquido viscoso di
un nero intenso che colava dalle sue ferite era andato addensandosi
all’altezza
delle ali, mancanti o meno che fossero, sostituendole
con altre ancora grondanti di quella strana
sostanza, per poi chiudersi tutte e sei come se fossero state un grosso
bozzolo
di pura oscurità cosmica, una crisalide che si era dischiusa
pian piano
lasciando trapelare una fioca luce dorata dalle fessure fra una piuma e
l’altra.
Poi
si era aperta del tutto con un rombo
assordante, talmente intenso da aver creato un’onda
d’urto che aveva fatto
sobbalzare le rocce e le montagne lì intorno, e pure
quell’enorme kraken
sembrava essere stato preso alla sprovvista da come aveva ritirato i
tentacoli;
abbassatosi il gran polverone che si era alzato nel giro di pochi
istanti, solo
una figura si era palesata in mezzo al caos: il Veggente, con la testa
attaccata
ovviamente.
Con
due paia di ali che gli coprivano il
petto e le nudità -data la mancanza della sua solita tunica-
e l’altro paio
lasciato dietro di sé come uno strascico, l’occhio
del Veggente si illuminò di
una luce azzurro-verde acqua mentre i suoi occhi viola intenso
tornavano a
brillare con la stessa intensità di sempre: con tutte e sei
le braccia conserte
al petto, le gambe al loro posto e la bocca sul suo addome che sembrava
ruggire, era fermo in quella posizione, impassibile come suo solito.
L’unico
che sembrava tutto tranne che
impassibile era però il polipo davanti a lui che, dopo
qualche esitazione,
aveva scagliato uno dei propri enormi tentacoli dritto sul Veggente con
il solo
scopo di spiaccicarlo talmente male a terra che avrebbero dovuto
raccoglierlo
con un cucchiaino; prevedere il futuro era la specialità di
quell’essere, e
dare mostra dei propri poteri lo era altrettanto, motivo per cui non si
tirò
indietro dal fermare quello stesso gigantesco tentacolo con il solo
indice.
Approfittando
della distrazione di
quella creatura che cercava di capire come accidenti facesse un essere
così
piccolo rispetto a lui a fermarlo, il Veggente si era volatilizzato da
davanti
quella bestia per materializzarsi subito dopo sull’altura
dove si trovavano le
due donne:
«Signore
mie, credo che i giochi qui
siano finiti, soprattutto perché avverto chiaramente un
Interstellar in
avvicinamento dal fronte orientale» asserì
indicando con la coda dell’occhio
una vaghissima figura dalle forme indistinte che emergeva
dall’altro versante
della catena di Osterhagen «Non per dire, ma se si
insospettiscono troppe
persone le cose non si metteranno bene… per voi,
ovviamente.» rifletté facendo
spallucce.
Fra
le due, Mother Galaxy era quella che
capiva meglio ciò che intendeva con quelle parole, complice
il fatto che il
ruggito dell’Interstellar le avesse appena iniziato a
rimbombare nella mente:
«Credi che Idhunn sappia che-»
«No.
Non ancora, almeno. Ma lo scoprirà
presto, molto presto: quella
bestiola
fa un po’ troppo rumore mentre si lamenta, e se fossi in voi
eviterei un
confronto diretto con la capofamiglia dei Chandrasekhar, per
cui…» tirò un
sospiro annoiato mentre i filamenti azzurri dell’occhio sulla
sua fronte si aggrovigliavano
intorno alle braccia.
La
pelle delle mani diventò quasi
trasparente, lasciando visibile sotto di essa solo una sorta di manto
stellato
di un nero intenso:
«Meglio
che torniate entrambe a casa. La
vostra, però. Quindi, signore mie, direi che per voi il
tempo delle visite è
concluso, almeno per og-»
«Non
puoi farlo! Non puoi rispedire me
al Palazzo della Creazione! Non ti devi nemmeno azzardare!»
gli urlò contro
senza nemmeno accorgersi della terra che sotto di lei e Comet si stava
trasformando in polvere nera luccicante «Io sono Mother
Galaxy, Regina delle
Galassie, sovrana del Palazzo della Creazione, il luogo dove io governo lo spazio e il tempo: io sono nata dalle stelle, dalle stesse
stelle che posso spegnere come se nulla fosse, e tu… tu non devi nemmeno permetterti di dirmi cosa posso
e cosa non posso
far-»
«Io
sono il Veggente. Io posso.»
concluse muovendo appena il
dito e facendole scomparire inghiottite da quei portali, i quali
avevano
lasciato dietro di sé due sagome a forma di occhio scavate
nella fredda e dura
roccia.
Tornato
tutto alla normalità, braccia
comprese, si guardò intorno compiaciuto: lui
era il Veggente.
Le
sue visioni non sbagliavano mai.
Mai.
Nonostante
Orionis III fosse distante un
numero non indifferente di anni luce dalla Terra, i pensieri che
affollavano la
mente di Emily Jane Pitchiner parevano poter giungere in ogni angolo
del cosmo
da quanto erano insistenti.
Probabilmente
avrebbe dovuto provare
vergogna e rimproverare a se stessa il gesto alquanto villano di essere
fuggita
dalla battaglia -o presunta tale- nella quale suo padre era rimasto
coinvolto,
ma tutto ciò che sentiva dentro di sé non era
altro che un profondo senso di
sollievo: era considerata una codarda da quando aveva abbandonato -a
detta
delle fonti “ufficiali” dettate dai Guardiani, e
soprattutto da Harmonia- il
suo stesso regno, esserlo considerata nuovamente per aver lasciato il
suo caro
papino a combattere da solo non avrebbe fatto differenza, non davanti
ad una
dignità che ormai nemmeno più aveva.
Accovacciatasi
sulle sponde di un
piccolo ruscello, Emily non poté fare a meno di fissare la
propria immagine
riflessa nell’acqua con un certo disgusto: le guance scavate
e gli occhi
infossati segnati da delle profonde occhiaie, il suo sguardo color oro
ridotto a
due sfere opache che non trasmettevano più nulla, i capelli
che qua e là
lasciavano intravedere il capo nudo, il tutto unito a quegli abiti
logori,
sporchi, strappati… quella non era Madre Natura, era una pezzente.
Era
l’ombra della Regina che era stata,
niente di più: una ragazza come tante altre vestita con
degli abiti recuperati
dagli scarti -gli scarti!- di alcuni umani, anziché con i
pomposi vestiti color
smeraldo ai quali era abituata, obbligata a starsene vicino a quella
discutibile figura di suo padre se voleva mettere la testa fuori di
casa perché,
nelle condizioni in cui versava da trent’anni a quella parte,
difendersi
autonomamente era diventato pressoché impossibile.
Se
un tempo Madre Natura era la stessa
donna il cui nome incuteva timore e rispetto nella mente di chi lo
sentiva
anche solo pronunciare, e se prima i suoi poteri erano talmente
smisurati da
renderla quasi una dea agli occhi di molti, ora di quella figura non
restava
che una mocciosa stanca e scarnita che faticava persino ad evocare un
fragile
rametto verdognolo dalla dubbia utilità; Emily non aveva
solo perso tutta la
sua credibilità, aveva perso con essa la stragrande -per non
dire tutti- maggioranza
dei propri poteri donatagli da Typhan non ricordava nemmeno quanto
tempo prima,
gli stessi poteri che un tempo avrebbero fatto tremare la terra e
l’aria.
Un
tempo lo avrebbero fatto, non ora:
perché adesso, ad Emily Jane,
non restava altro che qualche rimasuglio della sua forza originaria, un
contentino che aveva ottenuto con diversi anni di sforzi immani ma che,
a conti
fatti, la rendeva dipendente da qualcuno nel caso in cui si fosse
prospettata un
qualche scontro.
E
quel qualcuno, purtroppo per lei, era
anche l’unica persona che le era rimasta al mondo, e
cioè quel suo adorabile padre
che rispondeva al nome di Pitch Black: stentava ancora a chiamarlo
così, a
chiamarlo “papà”, dal momento che non si
era fatto sentire per tempo immemore
rispuntando solo quando era stato miseramente, ma in quello stato non
aveva
comunque avuto molta scelta se non accettare di seguirlo e sopportarne
le
conseguenze.
Le
conseguenze tipo quello schiaffo dato
davanti a tutti i Guardiani, l’ennesimo di tanti altri che
aveva già ricevuto
da diversi punti di vista, fisici o psicologici che fossero: non le
bruciava
tanto il fatto che l’avesse schiaffeggiata, a quello era
già abituata fin da
piccolissima, era proprio il chi l’avesse schiaffeggiata a
scavarle un solco
profondo quanto l’Abisso nell’anima, a farle
stringere i pugni per la rabbia
afferrando un sasso e scagliando nell’acqua, dove la sua
immagine si era persa
fra le mille onde concentriche.
Era
stato Pitch Black, suo padre, un
povero disgraziato compatito da tutti gli altri Guardiani da quanto si
era
rivelato incapace di gestire il potere
dell’oscurità che era arrivata a
divorare tutti i sogni e le speranze dei bambini della Terra, un potere
tanto
grande quanto sprecato, dal momento che Pitch stesso era stato
miseramente
-molto miseramente- sconfitto da un branco di bambini urlanti
nonostante la
temporanea mancanza di Sandman.
Un
branco di mocciosi, accidenti!
Emily
sorrise appena: non aveva mai
sopportato i bambini, provava verso di loro un senso di fastidio
interiore che
non sapeva spiegarsi, forse perché vederli tutti belli
felici a godersi la loro
infanzia le ricordava che lei un’infanzia nemmeno
l’aveva avuta, non felice
almeno, e di certo non circondata dall’amore e
dall’affetto di una famiglia; si
strinse le braccia al petto facendo per abbracciarsi da sola mentre
cercava di
respingere le lacrime che le riempivano gli angoli degli occhi, non
avrebbe più
permesso a se stessa di affogare in una serie non meglio definita di
ricordi
che comprendevano omicidi siderali e guerre e tanta -troppa-
solitudine, non dopo tutta la fatica che aveva fatto per
rilegare quei ricordi in un luogo inaccessibile nella sua mente!
Subito
dopo quel breve crollo, però,
venne un istante in cui non sentì più nulla
dentro di sé e intorno a sé, c’era
solo un inquietante vuoto colmato da un silenzio a dir poco assordante,
un
omento durante il quale prese a toccarsi con insistenza il capo ed i
vestiti:
le avevano portato via i capelli, i suoi meravigliosi capelli corvini
che
toccavano terra come se fosse un modo per comunicare con la natura
stessa, le
avevano metaforicamente strappato le vesti di Regina di dosso
lasciandola nuda
con la sua dignità che le scivolava fra le mani, le avevano
portato via con
violenza inaudita i poteri che aveva ricevuto in dono da un titano poi
ferocemente
ucciso per averla aiutata e protetta da dei demoni travestiti da angeli.
Lo
avevano fatto i Guardiani, lo aveva
permesso Manny… ma soprattutto Harmonia aveva dato il colpo
di grazia, era
stata lei a farlo.
Improvvisamente,
gli occhi di Emily Jane
Pitchiner presero a brillare con rinnovato ardore, forti di quel
sentimento che
si stava impossessando della sua mente secondo dopo secondo, dopo tre
decenni
passati ad essere costantemente represso dietro la consapevolezza che i
suoi
poteri non bastavano nemmeno a far sbocciare un fiore: avrebbero pagato
tutti, tutti, dal primo
all’ultimo, il solo
pensiero le diede la forza di evocare un piccolo viticcio intorno alle
proprie
dita che vi si arrampicò desideroso di stringere le spine
intorno alla sua
pelle diafana.
Avrebbero
pagato i Guardiani, per essere
stati a guardare mentre Madre Natura crollava in ginocchio con il petto
svuotato dall’essenza stessa del suo ruolo.
Avrebbe
pagato Manny, per non aver mosso
nemmeno un dito quando avevano ucciso Typhan prima, e quando avevano
ucciso
psicologicamente lei dopo.
Avrebbe
pagato Harmonia, soprattutto Harmonia,
per aver guidato la
sua rovina dall’alto della sua grandezza equina, per averla
umiliata, per
averla ridotta ad una pezzente.
Avrebbero
pagato, certo… ma come?
Quell’interrogativo
imprevisto fece
tornare Emily con i piedi per terra, facendole anche notare con orrore
che le
spine di quella piantina le si erano conficcate nella pelle, ma non
diede
nemmeno troppo peso a quel piccolo dolore quasi insignificante:
osservando i
sottili rivoli di sangue rosso pallido, l’ormai decaduta
Madre Natura si rese
conto che i piani di vendetta che si trascinava dietro da
trent’anni a quella
parte non avrebbero potuto andare in porto nemmeno per sbaglio,
considerando l’irrisoria
quantità di potere a sua disposizione.
Non
avrebbe potuto fare nulla da sola,
figurarsi cercare lo scontro con un gruppo di Guardiani pronti a
difendersi gli
uni con gli altri con le unghie e con i denti, e di affrontare
direttamente
Harmonia non c’era nemmeno da parlarne: l’avrebbe
cacciata nell’Abisso insieme
a Phobos prima ancora che potesse varcare i confini di Phantasia,
quella
giumenta osannata e amata da tutti!
O
quasi, almeno.
Tutte
le preoccupazioni che affollavano
la mente di Emily Jane Pitchiner sparirono in un istante senza che
nemmeno se
ne potesse rendere conto: Harmonia era amata da tutti… o
quasi, perché sicuramente
qualcuno che voleva fargliela pagare quanto lei c’era per
forza, e quel
qualcuno avrebbe potuto essere un suo alleato.
Ecco
cosa le serviva, un alleato, un
alleato e nient’altro!
Con
un’espressione raggiante dipinta sul
volto ed un sorriso a tratti inquietante, Emily si rese conto che forse
era
finalmente arrivato il momento del riscatto per lei, quello che
aspettava impazientemente
da quando aveva perso tutto ciò che aveva: era solo
questione di tempo, doveva
solamente sopportare qualche altra umiliazione, abbassare la testa,
essere
accondiscendente con suo padre o chiunque altro e attendere qualche
tempo.
Aveva
atteso per trent’anni, avrebbe
aspettato ancora.
________________________________________________________
Angolino
dell’autrice
Eccomi
qui con questo capitolo che è un
po’ una pausa fra quello che sta accadendo a Phantasia e la
famosa partita a
scacchi che certa gente sta giocando senza farsi notare :3
Prima
di tutto, vorrei solo dire che sulla
questione cracker-kraken-quella-cosa-riferimenti-random
non mi pronuncio più di tanto per evitare spoiler su
fanfiction che non sono
mie, ma ringrazio _Dracarys_
per avermi dato il permesso di infilare genteH, ed
anche per avermi dato una mano enorme
a sistemare l’ultimo pezzo del capitolo stesso <3
Per
il resto non ho moltissimo da dire,
solo due parole su Mother Galaxy: è un personaggio
più importante di quanto sembri
in questa fanfiction ed avrà una long tutta sua dove questa
importanza verrà
del tutto fuori, ma spero che il suo ruolo inizi ad essere delineato a
sufficienza già da ora.
Come
quello del Veggente, del resto, ma
su di lui è meglio se non dico nulla perché si
tratta di uno spoiler unico! :’D
Penso
di aver detto tutto, quindi vi lascio
con l’aspetto di Mother Galaxy :D