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Autore: Urban BlackWolf    09/12/2016    5 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

 

 

La paura di Haruka

 

 

Haruka sbuffò tornando a guardare fuori dalla grande vetrata della sala d'aspetto. Quel panorama fatto di case a due piani dalla cortina gialla, dai giardini con l'erba tagliata di fresco, le altalene per i bambini e le utilitarie parcheggiate ordinatamente sul ciglio delle strade, iniziava a darle sui nervi. E poi lei era una donna di montagna e per quanto potesse amare il lago di Zurichsee che si apriva poco distante dalla clinica, iniziava a starle stretto anche lui.

Si sistemò meglio sulla sedia facendo attenzione a non strapparsi per errore l'ennesima flebo dal braccio sinistro. Grugnì incrociando le braccia sul petto fissando in cagnesco il bastone metallico che sorreggeva la sacca di fisiologica. Sospirando si concentrò poi sulla punta delle sue scarpe da ginnastica. Non odiava Zurigo, ne il suo lago, ne le case basse dalla cortina gialla, ne le altalene di ferro colorato o i palazzi storici del centro città. Non odiava Haruka Tenou. Non lo aveva mai fatto in tutta la sua vita. Non odiava la morte che le aveva strappato la madre cinque anni prima, ne tanto meno la famiglia di lei, che dopo aver scoperto che si era fidanzata con la sua Michiru aveva preso, per usare un eufemismo, a latitare leggermente. Non era riuscita ad odiare neanche suo padre quando anni addietro, molti per la verità, dopo aver visto compiere alla figlia il suo terzo compleanno, aveva deciso di lasciare baracca e burattini sparendo dalla vita sua e di sua madre.

No, non odiava nessuno Haruka Tenou, tranne che lo stare così, in tuta, con un cappellino della Toro Rosso calato sulla frangia bionda, stravaccata su una fredda sedia della sala d'aspetto di una clinica, sapendo in cuor suo, nella parte più recondita del suo animo, che avrebbe dovuto comunque ringraziare quella struttura ospedaliera, quelle case che vedeva in lontananza, quel lago tanto diverso dai monti che vedeva dalla sua casa di Bellinzona, perché stava a significare che era ancora in piedi, a combattere, viva, in mezzo ad un mondo che qualunque cosa le fosse accaduta, sarebbe andando comunque avanti anche senza di lei.

Lei che era sempre stata un fuego del viento, come l'avevano soprannominata alcuni suoi amici tecnici spagnoli, lei che si era ritagliata un lavoro come collaudatore motociclistico in un mondo praticamente ancora tutto al maschile, lei che sfrecciava sulle piste da sci come un demone biondo imprendibile, lei, indomabile, instancabile, implacabile, lei, costretta ora all'ombra di se stessa. Ecco cosa odiava Haruka; la fragilità e la ribellione di un corpo che non riusciva più a sentire come suo, il dover dipendere quasi interamente dagli altri, il non essere libera di farsi una passeggiata perché, semplicemente, non le reggevano le gambe ed il fiato le si arenava nei polmoni. Come dieci minuti prima, quando armata di tutte le buone intenzioni del mondo aveva deciso di scendere da basso per andarsi a godere un po' di sole e cercare di non pensare alla colazione che stava tentando di scalare le vette del suo esofago. Ora vinta e costretta alla resa, se ne stava seduta intenta a richiamare le energie che le sarebbero servite per tornarsene in camera sua con le pive nel sacco.

Avvertendo gli occhi pizzicare scosse la testa serrando i pugni nell'incavo delle ascelle. No, lacrime mai!

Haruka falla finita! Adesso riprendi fiato e poi, piano piano torni in camera. Si disse toccandosi la visiera per calarsela ancora più sugli occhi.

Voglio Michi. Non ce la faccio più a stare qui da sola. Piagnucolò mentalmente incassando il collo nelle spalle.

No maledizione! Tenou falla finita! Sei forte! Sei indomabile! Ce la puoi fare!

Ricominciando la sua periodica battaglia interiore, non si accorse di due enormi occhi celesti che la stavano fissando soddisfatti.

“Stai per piangere eh!?” Così dicendo Mattias, piccolo teutone dallo sguardo impertinente, tornò a sfogliare avidamente le figurine dell'ultimo anno di coppe europee appena comprategli dalla madre.

Uscendo come una tartaruga dal guscio del suo momentaneo rifugio di lycra lei lo sfidò apertamente. “Sta zitto bonzo, io almeno ce li ho ancora tutti i peli sul cranio!"

Il dodicenne che era entrato in clinica qualche giorno dopo di lei a causa di una leucemia acuta, la fissò allora con la stessa faccia tosta.

“Non avrò più i capelli, ma almeno non sono una femminuccia piagnucolante. Credi non ti abbia sentita ieri sera?” Si difese parlandole in italiano, ma con un buffissimo accento tedesco.

“A parte che non stavo affatto piangendo, che non sono una femminuccia e che, arrivata a questo punto non credo neanche che diventerò mai un monaco shaolin come te, ti ho già detto che puoi anche evitarti di parlarmi in italiano. Si da il caso che il tedesco sia la mia seconda lingua. Ostinarti con questa calata assurda ti porta solo ad assomigliare ad un piccolo papa Ratzinger, il che non ti si addice, primo perché a capelli sta meglio lui e secondo, perchè ha più carne sulle ossa. Di un po', che figurine hai estorto a quella povera santa di tua madre?” Chiese mentre con un sorriso disarmante lui le si sedeva al fianco.

“Quelle del Barcellona!” rispose tutto tronfio.

“Ti piace vincere facile vero?”

 

 

Mattias era per Haruka il classico raggio di sole che inondava le giornate deprimenti di un posto come quello. Avevano preso a trattarsi a quel modo dopo la prima vera crisi che il piccolo aveva avuto come reazione al cambio di terapia. Passando di fronte alla sua camera ed avendolo visto attaccato ad una decina di macchine, ad Haruka era sembrato naturale fargli un sorriso ed entrare per fargli un po' di compagnia. Non aveva mai amato i bambini, anche se spesso e volentieri Michiru le ripeteva che alle volte si comportava più come una di loro che come una donna di quasi quarant'anni. Si era resa conto senza non poca sorpresa, che la malattia le aveva risvegliato una sensibilità verso il dolore altrui che non credeva di possedere. E così aveva trasgredito alla prima regola che si era imposta all'entrata in clinica. Mai, per nessuna ragione, affezionarsi ad un paziente. Mai! Ancor più se giovane. Non poteva dedicarsi anche alla sofferenza degli altri. Doveva concentrarsi su se stessa, sulla sua guarigione. Era già abbastanza vergognoso pensare che il proprio organismo così, all'improvviso, un bel giorno avesse deciso di sua sponte di rincoglionirsi iniziando una programmatica autodistruzione. E poi diciamola tutta, non aveva intenzione di soffrire come un cane se qualcuno al quale aveva iniziato a voler bene fosse passato a miglior vita.

Ma come Tenou aveva proposto, Haruka aveva disposto. La regola base era andata a farsi benedire ed ora quei due erano praticamente inseparabili. Anzi, quel piccolo rompipalle oltre che da compagno di giochi le faceva anche da grillo parlante, bacchettandola ogni qual volta si arrendeva al cibo piegata in due sulla tazza del water, o le capitava di piagnucolare, o era scontrosa con Michiru per questo o quel dolore, ed ogni qual volta osava flirtare con un'infermiera per far passare il tempo o per avere il monopolio dello schermo più grande della sala d'aspetto.

“Guarda che lo dico alla tua ragazza che fai gli occhi dolci a quella del turno di notte.” Minacciava saccente il ragazzino convinto che Michiru non sapesse e per giunta, nonostante la lontananza, non approvasse. Ma Kaiou forte del reciproco amore approvava che il suo angelo biondo scherzasse un po' e soprattutto, che in cambio di un paio di sorrisetti regalati qua e la si facesse consegnare il telecomando per seguire i campionati calcistici di mezzo mondo.

“Zitto pippia, guarda che io sono la donna più fedele sulla faccia del pianeta.” E non mentiva. Michiru le aveva irretito il cuore ed ormai le apparteneva totalmente.

Chi l'avrebbe mai detto che una come lei, testarda, bastian contraria, avvezza alla libertà che mai l'avrebbe portata a stringersi un'anello al dito in segno di un rapporto duraturo, avrebbe consegnato anima e corpo ad una dea come Michiru Kaiou. Talentuosa, elegante, spigliata, mai fuori posto, sia che parlasse con un alto prelato o un dirigente, sia che si rapportasse con il benzinaio sotto casa. Bellissima dentro e fuori. Burbera al punto giusto. Decisa al punto giusto. Femminile al punto giusto. Bhè, nulla da dire. Quel giorno di quattro anni prima la vita di Haruka era cambiata per sempre.

Spesso nei momenti di dolore fisico o scoramento morale, lasciava che i ricordi volassero lontano, a Berna, ad un pomeriggio dal freddo micidiale ed alla sua benedetta ostinazione nel volere andare a vedere una temporanea dedicata al Futurismo italiano. Neanche quell'inverto tanto nevoso le avrebbe impedito di gustarsi una mostra dove la velocità e lo sport si fondevano così bene.

Era rimasta per minuti davanti a due quadri, indecisa su quale dei rispettivi poster si sarebbe fiondata a comprare nell'esplorazione finale del Bookshop. Velocità in motocicletta di Balla o Depero con la sua moto futurista?

Poi l'aveva vista o meglio, si era sentita penetrata da due occhi color cobalto. Si era voltata lentamente alla sua sinistra notando come quella donna più bassa di lei dai capelli mossi e morbidi come seta la stesse fissando. Vista l'insistenza si era voltata per un'attimo anche a destra, per vedere se per caso ci fosse stato qualcun'altro. No. Era proprio lei l'oggetto di tanta curiosità. Leggermente sulle sue Haruka era tornata a guardarla quando l'altra aveva affermato convinta “Mi permetto, ma credo che lei sia più tipo da Balla. ” E aveva sorriso. Ed Haruka si era ritrovata fottuta.

“ A si?” Aveva allora detto sorniona, infilandosi le mani nelle tasche del cappotto scuro che tanto la faceva sentire uno schianto.

Tesa la corda dell'arco alla cerbiatta che sfrontata si era palesata di fronte a lei senza neanche un po' di paura e scoccando la prima freccia aveva fatto sfoggio di tutta la sua abilita'. “ Io credo invece che sceglierò Depero... in omaggio ai suoi splendidi occhi.” Ed era stata piu' che certa di aver centrato la preda.

Michiru aveva allora inarcato le sopracciglia fissando le sfumature di blu che componevano l'opera. “ Ben gentile, ma io sono sempre più convinta che lei sia tipo da Balla.” Aveva detto tornando ad incatenarsi agli occhi dell'altra.

Faretra, incoccata e rilascio. Seconda freccia. Sfoggiando un sorriso che tante volte aveva fatto tremare le ginocchia della preda di turno e pigiando forte sull'acceleratore, Haruka aveva inclinato la testa da un lato dando fondo a tutta la capacità d'osservazione che possedeva.

“ Non è da molto che è entrata alla mostra, ho dunque qualche altro minuto per convincerla della mia buona fede.” E così dicendo aveva scansato dalla spalla dell'altra gli ormai piccolissimi rimasugli di neve.

“ In effetti...”

Solo a distanza di anni Michiru avrebbe rivelato ad Haruka che a quella battuta era stata sul punto di riderle in faccia, perché era stata lei a seguirla alla mostra pedinandola dopo averla vista scendere dal tram. Inzuppandosi le scarpe e prendendo un freddo spropositato, Kaiou era stata attratta da quella donna dal favoloso magnetismo androgio ed incurante di tutto, razionalita' e buon senso in primis, si era comportata come una ragazzina sfidando le intemperie che da li a qualche ora l'avrebbero costretta ad un uso smodato di Tachipirina.

Quel giorno d'inverno Michiru era stata al gioco di Haruka, concedendole così una terza, una quarta, una quinta freccia, godendo di quell'incontro come il vino sorseggiato da una coppa. Lentamente, cosi' da non venirne stordita. In breve si erano fatte il giro della temporanea, sostando al Bookshop per più di un'ora, ed in caffetteria per due. Michiru in quel lasso di tempo aveva compreso quanto il suo intuito femminile avesse fatto centro e quanto quella che da li a breve sarebbe diventata la sua ragazza, fosse fatta per lei. Haruka scelse comunque Depero, ma non perché volesse averla vinta a tutti i costi, ma perchè, le confessò una notte, realmente quelle sfumature di blu le ricordavano gli occhi di colei che era riuscita ad incatenarle il cuore.

 

 

“ Bhè? Neymar o Messi? Scegli dai. Non ho tutto il pomeriggio Haru.”

“ Scusa?”

Mattias ritrasse le figurine che le stava mostrando. Si era nuovamente persa dietro alle sue fantasie di adulta.

“Che palle Haru. Hai la stessa capacità di concentrazione di una mosca.” Disse scocciato alzandosi dalla sedia.

“Hei Gollum teutone... vedi di parlare pulito.”

“ E tu vedi di darmi retta. E' chiaro perchè al fantacalcio fai schifo.”

Haruka si alzò cautamente notando con sollievo che i capogiri che l'avevano inchiodata alla sedia erano cessati. Lentamente seguì il bambino verso gli ascensori.

“ Ancora?! Il rispetto alla tua generazione lo davano via con il tre per due?” E lo seguì all'interno di uno di loro.

“ Sei tu che mi chiami Gollum teutone!”

“ Preferisci bonzo? No, perché per me non fa alcuna differenza. E comunque ricordati che se flirto con l'infermiera di notte è per permetterti di vedere la tua squadretta su uno schermo decente.”

Offesissimo nel sentire chiamato il Barcellona una squadretta, Mattias aspettò l'arrivo al piano e prima di fiondarsi fuori le lasciò una linguaccia piena di sdegno.

“ No no, Gollum teutone è perfetto!” Disse lei evitando un paio di ospiti per poi prendere la strada per la sua camera.

“Signora Tenou, venga da me verso le 14. Ho bisogno di parlarle.”

Il dottor Kurzh scomparve com'era apparso. Dietro ad un'angolo.

Ecco, si preparava l'ennesima lavata di capo. Era stato fin troppo chiaro. Lei NON doveva uscire dalla sua camera se i suoi leucociti non superavano la soglia settimanale che lui considerava di sicurezza. “Vogliamo rischiare di prenderci qualche altra infezione o stramazzare al suolo com'è già accaduto? No... vero?! Allora stia ai patti per cortesia o sarò costretto a riferirlo alla sua compagna!”

Ma che palle! Pensò e prima che uno sfondone riuscisse ad uscirle liberatorio dalle labbra una vocetta petulante la raggiunse impietosa.

“ Haru!”

Mattias spuntò fuori come un funghetto in autunno.

“ Cosa vuoi anche tu.” Chiese con la destra già sulla maniglia.

“ Dopo cena ci vediamo un film di paura in camera mia?”

Lei lasciando l'altra mano fino a quel momento arpionata all'asta della flebo, rispose con il pollice all'insù notando quanto anche gli uomini, al pari di alcune donne, se pungolati potessero diventare assai appiccicosi.

Ed e' anche per questo che preferisco le gattine si disse entrando e richiudendosi la porta alle spalle.

La vista dalla sua camera non era male ed anche gli arredi erano gradevoli. Era pur sempre una clinica privata. Ma in quell'ambiente ormai pericolosamente famigliare, vi era un solo elemento che interessava realmente ad Hatuka. Un poster incorniciato che lei stessa aveva inchiodato al muro il giorno prima che Michiru partisse per l'Italia. L'occhio le si fermò alla scritta posta sotto alla riproduzione; Fortunato Depero – Moto futurista 1914 e spalle alla porta a capo chino Haruka pianse, perché la sua paura, quella che la faceva svegliare di soprassalto la notte e che la seguiva di giorno, non era tanto l'idea della morte in se per se, o della sofferenza fisica o della solitudine che a suo modo sapeva gestire, la paura di Haruka era quella di non avere più dalla vita l'occasione di rivedere gli occhi di colei che le avevano incatenato il cuore

 

 
   
 
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