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Autore: Padmini    10/12/2016    3 recensioni
Uno sguardo, un legame silenzioso tra due anime.
Sherlock, studente brillante ma solitario.
Gregory, studente più grande, generoso e desideroso di riparare a tutti i torti.
Un gatto e un cane che si incontrano nel cortile di una scuola.
Cosa accadrà tra di loro? Possono due anime così diverse trovare un luogo in cui incontrarsi?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dolore

 

 

 

Il dolore dell’anima è più grande che la sofferenza del corpo.
(Publilio Sirio)

 

 

 

Come era arrivato lì? Cosa era successo? Non ricordava, almeno in quel momento, era troppo stordito per rendersi conto di dove fosse e, in una certa misura, di chi fosse.

Il materasso era sfondato in più punti e la coperta, sfilacciata, era troppo sottile per dare calore. Lentamente aprì gli occhi. La squallida stanza era malamente illuminata dai lampioni della strada, che ne rivelavano il misero arredamento. Si mise a sedere a fatica, tossendo per la polvere che sembrava avergli riempito i polmoni. Come era arrivato lì? Ma certo …

 

Erano trascorsi alcuni anni da quel giorno, ma Sherlock lo ricordava alla perfezione. Quando Gregory gli aveva confidato il suo fidanzamento con Haley aveva percepito che la cosa che teneva ben chiusa nel forziere del suo cuore si era agitata. Era stata una strana sensazione, che lo aveva lasciato stordito, incapace di esprimere il suo reale pensiero. Certo, c'era la forte possibilità che se avesse detto a Gregory la verità, avrebbe perso la sua amicizia. Non poteva esserne certo, ma non se l'era sentita di rischiare. Per cosa, poi? Per sentirsi dire che no, non lo amava, perché erano due ragazzi e a lui piacevano le femmine? Molto meglio così, avrebbe gestito quel mostro, avrebbe imparato a domarlo e forse, con il tempo, la sua potenza si sarebbe affievolita e forse sarebbe morto di fame, rinchiuso nella prigione che aveva creato per lui.

Di cosa erano fatte le sbarre di quella cella? Erano solide, ma necessitavano di continua manutenzione. Con il tempo e l'esperienza, accumulata anche con una notevole sofferenza, aveva imparato che doveva togliere aria alla bestia, domarla, farla stare al suo posto, ed erano due le cose che la tenevano a bada. Da una parte c'era il lavoro della sua mente. Da quei giorni in cui si era appassionato alla vicenda di Carl Powers e a tutto ciò che questo aveva comportato, aveva capito che ciò di cui la sua mente aveva bisogno era quello: le indagini, la ricerca degli indizi più piccoli dove la gente di solito non guarda, la catalogazione di tutti quei particolari che potevano essere essenziali per la risoluzione di un caso. Quando la sua mente era impegnata, non aveva spazio per pensare ad altro e il suono dei suoi pensieri sovrastava le grida di dolore del mostro che albergava nel suo cuore. D'altra parte non sempre aveva la possibilità di dedicarsi a tale svago, che sarebbe diventato sempre più importante per lui, a tal punto da diventare una ragione di vita. Quando non c'erano stimoli esterni e la vita scorreva monotona come un placido fiume, doveva ricorrere ad altri mezzi. La voce all'interno del suo cuore tornava, più prepotente di volta in volta, come se si rendesse conto di averlo alla sua mercé, libera di tormentarlo sadicamente. In quei casi, se proprio non riusciva a trovare altre soluzioni o distrazioni, poteva ricorrere a una sola via d'uscita. Se la bestia non poteva essere messa a tacere da rumori più forti … doveva farla addormentare. Aveva sperimentato in ospedale per la prima volta l'effetto terapeutico e benefico della morfina, ma quando lo avevano dimesso non ne aveva più avuta a disposizione, così aveva fatto delle ricerche ed era riuscito a trovare un'alternativa.

La cocaina, diluita in una soluzione al sette per cento, era l'ideale per placare la sua mente in subbuglio.

Perché ne aveva bisogno? Perché doveva ancora placare quella sofferenza? Non se ne rendeva conto ma, nonostante i suoi sforzi, l'amore che provava per Gregory non si era affievolito e, anzi, con il passare del tempo non aveva fatto altro che crescere, a dispetto di tutti i suoi tentativi di sopprimerlo.

Cosa era accaduto? Niente di eclatante, in realtà. Greg, come era previsto, aveva lasciato la scuola per l'università. Avevano continuato a frequentarsi, come buoni amici, ma Sherlock aveva smesso di fargli visita di notte, cosa che Greg sembrava aver accettato di buon grado, senza troppi drammi, o semplicemente senza rendersene conto, impegnato a vivere la sua storia con Haley.

Era vero amore quello che c'era tra di loro? Sherlock non lo sapeva per certo, ma sembrava che rendesse entrambi felici, perciò era giunto alla conclusione che lo fosse.

Gli anni erano passati e anche lui, dopo aver concluso brillantemente la scuola superiore, era approdato alla facoltà di medicina. Avrebbe voluto trasferirsi come a suo tempo aveva fatto Mycroft, ma ancora non ne aveva avuta la possibilità. Alcune cose erano cambiate, altre erano rimaste immutate. Ciò di cui nemmeno Sherlock era cosciente però era che il dolore crescente che provava quando pensava al suo amico, non era altro che il suo cuore spezzato.

Pian piano, con il passare del tempo, la crepa si era allargata e il suo amore soffriva sempre di più, messo a tacere dalla mente e dalla droga, di cui aveva sempre più bisogno per non soccombere. Aveva iniziato con poco, una volta al mese, poi due, poi una volta alla settimana e infine, se non assumeva quasi giornalmente la sua dose al sette per cento, si sentiva uno straccio. Le crisi d'astinenza erano per fortuna molto brevi, dal momento che previdentemente riusciva a mettere da parte una buona scorta di fiale già pronte all'uso e almeno c'erano dei momenti in cui non ne aveva proprio bisogno, per esempio quando lavorava ad un caso.

Non aveva scherzato quando aveva detto che avrebbe fatto il detective e, lentamente, si era creato una certa reputazione nella sua cerchia di conoscenti. Certo, era ancora agli inizi, ma dover cercare gli occhiali di una vecchia signora o confermare i sospetti di una sua compagna di classe circa il tradimento del suo fidanzato erano pur sempre delle distrazioni che tenevano a bada la situazione.

Quando non investigava su qualche caso in particolare si dedicava alla raccolta e alla catalogazione di quei dettagli della vita di tutti i giorni, apparentemente inutili ma, ai fini di una potenziale indagine, estremamente importanti.

I segni sulle mani lasciate dalle diverse professioni, pescivendolo, macellaio, banchiere, insegnante, pianista; la cenere lasciata da diversi tipi di sigarette, sigari e tabacco da pipa; le qualità dei tessuti e il loro uso per i vestiti; i profumi, gli aromi, le varie marche e le differenze; gioielli, bigiotteria, orologi e relative marche. Assimilava ogni dettaglio importante, ogni sfumatura che caratterizzava qualcuno o qualcosa, e questa attività impegnava così tanto il suo cervello da fargli dimenticare tutto e dargli l'illusione della felicità.

 

Era così. Anche quel giorno aveva ricorso alla soluzione al sette per cento di cocaina. Non si era permesso di portarne nemmeno una fiala a casa, c'era il pericolo che suo padre, sua madre o perfino Mycroft, durante i fine settimana in cui tornava, potesse scoprirla. Aveva scoperto quella vecchia casa quasi per caso, seguendo un ragazzo dall'aria promettente. Lo aveva visto entrare e gli era andato dietro fino a quella stanza, dove lo aveva osservato praticare quel rituale che ormai era diventato anche suo. Dopo essersi iniettato la dose si era disteso su quel materasso lurido ed era rimasto lì a rilassarsi e a ridere, sotto l'effetto di una dose massiccia di cocaina.

Da quel giorno anche lui aveva iniziato a usare quel nascondiglio per le sue sedute, era comodo, opportunamente nascosto e soprattutto isolato, perfetto per i suoi scopi.

Raccolse le sue cose, sistemò la coperta e fece per alzarsi, poi si fermò. Anche quel giorno poteva ritenersi soddisfatto … o no? C'era qualcosa che non andava. Aveva sognato Gregory, lo ricordava come una visione nella nebbia, indistinta e sfocata, ma reale e presente. Perché la cocaina non aveva funzionato? Forse non aveva calcolato bene la dose? Doveva prenderne un'altra? Rovistò nella borsa e trovò immediatamente la fialetta trasparente che conteneva il siero dell'oblio. La prese tra le dita tremanti, senza rendersi conto che il silenzio che fino a poco prima aveva regnato incontrastato nell'edificio, veniva spezzato da dei passi affrettati. Qualcuno si stava avvicinando alla sua stanza.

Fece tutto con più fretta del solito. Normalmente avrebbe usato una nuova siringa, ma d'altra parte non correva rischi se l'aveva usata solo lui, perciò prese quella che aveva posato sul materasso e la riempì con la dose al sette per cento, se la infilò tra i denti e alzò la manica per posizionare il laccio emostatico. Riprese la siringa e avvicinò lentamente l'ago alla pelle per non mancare la vena … ma prima che potesse anche solo sfiorare la pelle, qualcuno gli afferrò bruscamente il braccio con una mano mentre con l'altra gli prendeva la siringa per gettarla via e schiaffeggiarlo.

 

 

 

 

 

“IDIOTA!”

Gregory era fuori di sé dalla rabbia e da un sentimento non meglio identificato che assomigliava tanto al senso di colpa.

 

Da qualche tempo aveva notato un lieve ma significativo cambiamento in Sherlock. Si era chiesto cosa potesse significare e, forse in modo troppo superficiale, aveva concluso che si trattasse della stanchezza dovuto al suo ingresso all'università. Era stato troppo frettoloso, aveva archiviato la questione senza darle il giusto peso, poi era arrivato Mycroft che gli aveva messo la pulce nell'orecchio. Gli aveva chiesto, come al solito, notizie su suo fratello, come stava, cosa faceva e se gli era sembrato strano. Aveva insistito così tanto e gli aveva posto così tante domande che si era ritrovato di fronte ai segni che aveva tentato di ignorare.

Sherlock era sempre stanco, irritabile, più magro del solito e sfuggente. Tutto questo era Sherlock, Gregory non lo aveva mai visto diver-no. C'era qualcosa che non tornava. Sherlock era stanco. Sherlock non era mai stanco. Sì, aveva deciso che la stanchezza era dovuta alla vita da universitario, ma era davvero così? Se Mycroft si era insospettito, significava che davvero c'era qualcosa che non andava.

Così avevano iniziato a tenerlo d'occhio e a seguirlo. Disgraziatamente lo avevano trovato in un periodo buono, ma non si erano demoralizzati. Continuando a osservarlo e annotando i suoi comportamenti, nel lungo periodo erano riusciti a raggiungere dei risultati. Da una parte Mycroft aveva preso nota dei suoi sbalzi d'umore e della sua stanchezza e, con la complicità dei genitori, aveva annotato i suoi spostamenti, quando usciva e quando tornava a casa. Greg, se riusciva ad intercettarlo in queste occasioni, lo pedinava con cautela, facendo attenzione a non farsi vedere, ma a quanto pareva, in quelle spedizioni durante le quali spariva per ore e ore, era troppo distratto, o altrettanto concentrato, per accorgersi di lui.

Infine ce l'aveva fatta, identificando quel vecchio edificio come la meta delle sue scorribande, ma non aveva osato seguirlo fino in fondo, non da solo. Per questo era tornato a casa, aveva telefonato a Mycroft e insieme si erano precipitati lì, apparentemente in tempo. Non potevano sapere che si era già fatto una dose, ma Mycroft lo notò semplicemente guardandolo negli occhi, così rincarò la dose, schiaffeggiandolo ancora.

Era stato lui, la prima volta, lui gli aveva strappato la siringa di mano, l'aveva scagliata contro la parete e aveva fatto abbattere la sua mano sulla sua guancia, dandogli a gran voce dell'idiota, mentre Gregory, stordito e inorridito di fronte a quella visione, li osservava senza osare entrare nella stanza.

Era arrabbiato, non sapeva se con se stesso o con Sherlock o con entrambi. Mycroft nel frattempo aveva continuato a parlare al fratello, anche se lui non aveva sentito cosa gli stava dicendo, stordito e confuso, lo aveva bruscamente tirato su per un braccio e lo stava portando fuori dalla porta, quando Gregory si mosse. Con un gesto altrettanto brusco, lo afferrò e lo spinse verso la parete, lo schiaffeggiò ancora, rendendo se possibile la sua guancia ancor più rossa.

“SEI UN IDIOTA! SEI DAVVERO UN IDIOTA!” gridò, liberando finalmente il pianto che fino a quel momento si era incastrato da qualche parte nella sua mente “Così è questo che fai? Da quanto? Quante volte? … perché?! Perché, Sherlock? Perché ti odi così tanto da farti questo?”

Perché. Perché. Tanti perché. Troppi. Troppe domande senza risposte. Sherlock avrebbe sciolto quei nodi? Avrebbe spiegato perché si stava consapevolmente distruggendo?

“Sherlock ...” mormorò, lasciandolo andare “Perché?”

Lui non rispose, Gregory vide le sue labbra tremare sotto le onde di un fiume in piena che presto avrebbe spazzato via gli argini nei quali fino a quel momento lo avevano trattenuto. La domanda era: dove avrebbe sfogato la sua energia?

Grosse e dolorose lacrime solcarono le guance scavate di Sherlock, che implodeva sotto il peso dell'amore che provava per quel ragazzo che, lo sapeva, non avrebbe mai potuto ricambiarlo.

Strisciò sulla parete verso la porta e, una volta lì, quasi corse via, seguito da Mycroft che, prima di lasciare la stanza, si voltò verso Gregory. Aprì la porta, come a voler dire qualcosa, poi rinunciò e seguì il minore, lasciando Greg solo, incredulo, ferito.

Perché era successo? Perché non era stato capace di notarlo, di prevederlo, di impedirlo? Si sentiva inutile, aveva fallito, non era riuscito a mantenere la sua promessa, non lo aveva protetto. Sì, forse era riuscito a difenderlo dagli altri, da tutti quelli che lo additavano come diverso e si prendevano gioco di lui per la sua straordinaria intelligenza, ma non era stato capace di proteggerlo da se stesso … e il risultato era stato la distruzione totale. Se gli altri e ciò che gli dicevano scivolavano su di lui come acqua, la sua stessa mente era riuscita a ferirlo in modo più profondo e doloroso … e lui non aveva fatto nulla per evitarlo.

Sospirò. Mycroft si sarebbe preso cura di lui. Lui stesso si sarebbe occupato della sua riabilitazione, lo avrebbe accompagnato in quel cammino faticoso. Stavolta sì, stavolta sarebbe stato più attento, non si sarebbe fatto ingannare, lo avrebbe aiutato. Davvero.

   
 
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