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Autore: Laylath    11/12/2016    6 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11. Festa del 1 dicembre. Seconda parte

 


 
“Reby! Dai, andiamo, Reby! Apri quella finestra!”
Riza rimase a fissare per dieci secondi la finestra illuminata della camera di Rebecca, ma le imposte rimasero impietosamente chiuse. Non aveva dubbi che la sua amica fosse in quella stanza e che l’avesse sentita, l’aveva chiamata in quel modo così tante volte in tutti quegli anni che sapeva bene che i vetri facevano passare la sua voce. Semplicemente la ragazza non aveva nessuna voglia di aprire e di parlare con lei. E, d’altra parte, Riza non aveva alcuna intenzione di bussare alla porta e di trovarsi davanti la signora Catalina.
“E’ da un quarto d’ora buono che sei davanti alla finestra della sua camera – disse Roy, raggiungendola e mettendole il suo cappotto sulle spalle – non ne vuole parlare adesso, mi pare chiaro. Se la conosci bene saprai che è nella fase in cui sta vomitando tutte le maledizioni di questo mondo contro Jean… e credo che sua madre sia la compagna ideale in un simile frangente”.
“Ma è la mia miglior amica – sospirò lei, stringendosi con piacere a quella stoffa calda: nella fretta di seguire Rebecca aveva lasciato il suo soprabito al capannone – insomma, per tutti questi giorni non ha avuto che me come confidente”.
Lo disse con un briciolo d’amarezza e come poteva essere altrimenti? Proprio adesso che la crisi con Jean era esplosa con tutta la sua forza, cosa che in fondo aveva previsto, lei veniva messa in disparte a favore della donna che l’aveva trattata malissimo. Una piccola forma di tradimento che non riusciva a capire: se doveva paragonare le loro esperienze, mai e poi mai si sarebbe sognata di tornare da suo padre dopo averci litigato.
Oh, ma dai, come puoi fare dei confronti simili?
“Senti, è chiaro che Rebecca starà in casa fino a domattina e anche oltre – la riscosse ancora Roy – non mi pare il caso di rovinarci la festa del capannone per lei. Quando vorrà parlarne sa bene dove trovarti”.
“Ma sì, hai ragione – si convinse la ragazza, facendosi condurre via dalla strada laterale dove si affacciava la stanza dell’amica – anzi, mi dispiace di averti coinvolto in questa storia. Tu ed Heymans siete tornati dalla città apposta per la festa”.
“Un ritorno in paese non è tale senza qualche guaio od imprevisto ad attenderci – strizzò l’occhio Roy – Almeno ci ho guadagnato una passeggiata notturna con te, non capita molto spesso”.
Riza ridacchiò e convenne che quella piccola camminata per tornare al capannone era un fuori programma che tutto sommato non le dispiaceva. Ovviamente i suoi non le permettevano di fare passeggiate quando faceva già buio e quella era un’occasione speciale. Le strade del paese erano buie, eccetto qualche finestra illuminata, ma un percorso di fiaccole indicava la via per arrivare alla festa. Tuttavia la coppia non sembrava aver nessuna fretta di ricongiungersi agli amici: camminavano con tranquillità, il braccio di Roy che circondava con fare protettivo le spalle della fidanzata.
Poche volte lei lo vedeva in divisa: in genere quando stava in paese la indossava solo in poche e scelte occasioni. Doveva ammettere che faceva tutto un altro effetto e che aveva un’aria decisamente più matura e affascinante. Una piccola parte di lei si disse che la festa del primo dicembre era un evento troppo ghiotto per non sfoggiare la sua versione militare davanti alla gente che per tanti anni l’aveva ritenuto un ragazzo fuori dal seminato.
“Mi chiedo se la divisa da soldato vero e proprio farà un effetto diverso – disse ad un certo punto – mi ricordo di quella di mio nonno ed ha colori molto differenti”.
“A gennaio avrai occasione di vederla. Anzi, mi piacerebbe che tu venissi alla cerimonia di fine corso”.
Riza arrossì a quelle parole: raramente Roy le proponeva di andare in città, anzi a dire il vero quelle idee erano scemate sempre più da quando aveva iniziato a frequentare l’Accademia. Quando ancora stava in paese, attendendo la sua grande partenza, molto spesso l'aveva voluta coinvolgere nei suoi progetti, ma col concretizzarsi di questi ultimi le cose erano cambiate. Con un misto di sollievo e rammarico da parte di lei che, se da una parte era felice di stare nel tranquillo angolo di mondo, dall’altra un po’ si sentiva esclusa dalla vita del suo fidanzato.
“Dubito che mamma e papà mi diano il permesso”.
“Hai diciotto anni. Se Rebecca può lavorare per quale motivo tu non potresti venire qualche giorno ad East City? Potresti stare da tuo nonno: sarebbe felice della tua visita, ne sono certo”.
“Non lo so, proverò a parlarne con loro: non credo che mi mandino da sola…”
“Portati Kain dietro come paggetto – ridacchiò Roy – comunque non ti voglio forzare: solo, mi farebbe piacere se ci pensassi almeno un poco. Non capita tutti i giorni di diventare soldato e mi piacerebbe che ci fosse almeno una persona importante ad applaudirmi… oltre ad Heymans, è chiaro”.
“La metti sui sensi di colpa? Oh dai, non ti sto prendendo in giro… cercherò di convincere i miei, promesso. E poi con il lavoro fatto dalla signora Laura penso di potermi pagare i biglietti del treno da sola”.
“Ottimo! E poi ti porto a fare delle passeggiate per la città: vedrai che ti piacerà, ci sono dei posti che vale la pena di vedere e che sono sconosciuti ai più. E ci facciamo anche un giro in moto: a fine mese la potrò finalmente comprare! Ho già preso gli accordi con il rivenditore” il suo viso, alla luce delle torce, si illuminò d’entusiasmo.
“Non credo che il capitano Falman permetterà una cosa simile”.
“Ma lui non sarà in città. Comunque so guidare molto bene, non devi preoccuparti”.
“Vedremo. E’ che il traffico cittadino proprio non mi piace: è così rumoroso e frastornante…”
“Vuoi continuare a stare qui, dove il rumore peggiore che potrai sentire per molti anni ancora è il campanello della bicicletta di Kain?”
“Non è questo che intendevo – si difese Riza, temendo che il discorso si spingesse troppo oltre, verso quell’argomento che aveva paura di affrontare. Ma del resto l’Accademia era quasi finita: lui sarebbe presto diventato un soldato vero e proprio, con uno stipendio regolare… e se volevano iniziare una vita assieme sarebbe arrivato il momento di lasciare il nido e di volare più lontano del previsto – esprimevo solo dei miei pensieri sulla città. Comunque sul giro in moto vedremo: se poi è tua intenzione portarla qui in paese le occasioni non mancheranno”.
“Bene, è già qualcosa – annuì Roy con praticità, chiaramente felice di aver ottenuto quelle concessioni dalla sua, a volte troppo chiusa, fidanzata – ah, a proposito: non ho avuto occasione di scrivertelo, ma a primavera con molta probabilità andrò per qualche giorno a Central City con un mio insegnante d’Accademia. Pare si voglia fare sfoggio della mia perfezione come cadetto”.
“Perfezione! Santo cielo, Roy, la città non fa altro che aumentare la tua vanità”.
“Ehi, non sono io a dirlo”.
Riza sorrise nel vederlo arricciare il naso, colto in fallo da quella piccola provocazione: per quanto avesse affinato il suo carattere, ogni tanto tendeva ancora a cadere ingenuamente nel suo smisurato ego.
“A Central potrai rivedere Maes – riprese dopo qualche secondo – sarà un bell’incontro di sicuro”.
“Già, ormai sono anni che non ci vediamo. E l’ultima volta che è venuto in paese io ero in Accademia, una vera sfortuna. Ma a questo giro non possiamo mancarci”.
“Sta ancora con la sua fidanzata storica?”
“Glacier? Ovvio che sì, anzi sono sicuro che non mancherà molto al loro matrimonio: ancora un annetto o due per sistemarsi meglio con il lavoro in ufficio. O forse sbaglio tempistiche e sarà prima di quanto credo”.
“Beh, del resto Vato ed Elisa si sposeranno l’anno prossimo. Sai che sarò una delle damigelle d’onore?”
“Davvero? Beh, non ne sono sorpreso: sei una delle sue amiche più strette. Insomma, a parte Jean e Rebecca che costituiscono un caso a sé stante, un po’ tutti i nostri amici si sistemano”.
Riza dovette fare uno sforzo per non irrigidirsi e proseguire a camminare. Che cosa volevano dire quelle parole? Aveva intenzione di chiederle di sposarla a breve?
“Ciascuno ha i suoi tempi del resto…” mormorò arrossendo.
“Già, i suoi tempi. Mi ci vorrà almeno un anno e passa per iniziare a farmi spazio nell’esercito, senza contare che tuo padre ancora non si decide a farmi dare una svolta decisiva ai miei studi d’alchimia. Come posso dare l’esame di stato se non si decide a darmi degli insegnamenti più specifici?”
E fu incredibile, ma per una volta tanto Riza fu felice delle scelte di suo padre.
“Sai com’è fatto – scrollò le spalle – non è un mistero che è una persona particolare. Ma vedrai che prima o poi si deciderà. Sei il suo unico allievo del resto”.
“Ma sì, hai ragione. Bene, eccoci arrivati al capannone… ti posso invitare a ballare? Non te l’ho ancora detto, ma hai un vestito fantastico e sono sicuro che saremo la coppia più bella nella pista da ballo. Non mi sono messo in divisa per niente”.
“Sei un gran vanitoso, Roy Mustang – lo prese in giro Riza, ridandogli il cappotto e alzando la voce per farsi sentire in mezzo a tutta quella gente – ma accetto più che volentieri il tuo invito a ballare”.
Del resto, anche se non era così spudorata da dirlo, pure lei aveva pensato con cura all’abito per poter fare una splendida figura.
 
“Ah, eccoli tornati – mormorò Ellie con sollievo, vedendo Roy e Riza che si avviavano verso la pista da ballo – a quanto pare il tentativo di parlare con Rebecca non è andato bene”.
“Però Riza mi pare tranquilla – constatò Andrew – direi che la situazione ha avuto una svolta. Credo che la nostra cara ospite sia tornata a casa sua”.
“Credete che Rebecca e Jean faranno pace? – chiese Kain, tornando con un piatto pieno di assaggi che offrì prontamente ai genitori – Lei si è arrabbiata moltissimo e c’era tanta gente che guardava la scena. E anche Jean è furioso: l’ho incontrato poco fa, mentre stava fuori con Heymans. Ha detto che non la vuole più rivedere”.
“Vedrai che faranno pace – lo rassicurò Andrew – li conosci bene e sai come sono fatti. Però adesso direi che è il caso che anche tu vada a divertirti, ragazzo mio: non mi pare il caso che tu stia qui con i tuoi vecchi mentre la festa è in pieno svolgimento”.
Kain annuì e consegnò il piatto alla madre, avviandosi poi in mezzo a tutta quella gente. Se doveva essere sincero aveva obbedito a quella richiesta con troppa passività e adesso non sapeva cosa fare. Vato ed Elisa, così come Roy e Riza, erano impegnati nelle danze e di certo Heymans e Jean non avevano voglia di chiacchierare con lui: aveva capito chiaramente che in quel momento di crisi preferivano fare comunella da soli, senza bisogno di lui.
Comunque non si perse d’animo e decise di andare fuori a vedere da vicino la giostra. Sperava con tutto il cuore che non la smontassero già il giorno successivo alla festa: voleva chiedere al macchinista di fargli vedere da vicino il funzionamento del motore. Certo non si trattava di elettronica quanto di meccanica, ma la sua giovane mente restava sempre affascinata da tutte queste novità.
Facendosi gentilmente largo tra le persone che stavano attorno alla piattaforma musicale, dove i cavallini continuavano a girare allegramente con in groppa persone festanti, il ragazzo rifletté persino sulla possibilità di farci un giro. I suoi amici gli avevano raccontato delle giostre di East City ed aveva sempre pensato che andarci doveva essere un’esperienza bellissima.
Si stava guardando attorno per cercare l’inizio della fila, quando intravide Janet che si allontanava a grandi passi da un gruppetto di coetanee. Teneva i pugni stretti ed il viso era contratto da una smorfia indispettita, segno che doveva aver litigato con qualche sua amica. Gli passò accanto senza nemmeno accorgersi di lui, ma la vista acuta del ragazzo intravide il luccichio di alcune lacrime sui suoi grandi occhi azzurri.
“Janet – mormorò, dimenticandosi della giostra e andandole dietro – ehi, che succede?”
Si accostò a lei, ma la fanciulla non parve nemmeno accorgersi della sua presenza: continuò la sua furiosa camminata superando tutte le persone e allontanandosi dal capannone.
“No, dai – la bloccò Kain, prendendola per un braccio – non ti devi allontanare troppo. Se poi i tuoi ti cercano si potrebbero preoccupare”.
“Oh, lasciali stare – borbottò lei, fermandosi in mezzo alla strada – sono talmente impegnati a litigare su una vecchia storia di papà che non si accorgono certo di me”.
“Va bene – annuì lui, conducendola gentilmente indietro e cercando una panca un po’ isolata rispetto a tutte le persone: fortunatamente per via della giostra ne erano state messe diverse fuori dal grande edificio – però non mi pare il caso di allontanarsi lo stesso. Perché sei arrabbiata? E’ successo qualcosa?”
“Niente” scosse il capo Janet, facendo muovere le sue trecce bionde che, alla luce delle torce, traevano sfumature dorate davvero particolari. Kain si accorse che quella sera aveva messo anche un nastro bianco sulla chioma, in tono con i colori chiari del suo abito. Di profilo il suo viso infantile appariva singolarmente affilato per via dell’espressione indispettita che aveva assunto: le labbra serrate sembravano enfatizzare la linea del naso e la fronte spaziosa, in parte libera dai ciuffi di capelli.
Sembrava improvvisamente più grande dei suoi undici anni e questo turbò non poco il giovane Fury.
Tuttavia decise di non dire nulla: si limitò a stare seduto accanto a lei, aspettando che quel momento di crisi passasse, certo che la sua amica avrebbe recuperato la sua parlantina sciolta. I suoi occhi scuri tornarono a fissare la giostra che continuava a girare con l’allegra melodia di sottofondo.
Chissà, magari un giro nella giostra le farebbe piacere…
“Ho litigato con alcune mie compagne di scuola – disse Janet, distogliendolo da quei pensieri. Adesso si era girata verso di lui, di colpo tornata bambina, con un broncio del tutto normale per la sua età. Come se quell’increspatura fosse stata spazzata via e la Janet del futuro fosse tornata nel suo tempo – sono solo delle stupide e non capiscono nulla di me!”
“Sì? Strano, con loro vai molto d’accordo – Kain si passò una mano tra i dritti capelli scuri – vedrai che già da domani avrete risolto tutto quanto”.
“Non so se voglio fare pace questa volta. Insomma, non è bello prendere in giro una persona sull’amore. E loro sono solo delle stupide gelose, sono sicura che lo sono state per tutti questi anni che io vantavo un fidanzatino, mentre loro non ne avevano uno”.
“Oh, Heymans, ma certo. E scusa che cosa…”
“Kain – Janet lo fissò con tristi occhi azzurri – è che… non credo che Heymans sia il mio fidanzatino. A pensarci bene non lo è mai stato, me ne accorgo solo ora”.
Ovviamente Kain sapeva che tutto era stato un gioco che Heymans aveva retto per l’affetto che provava nei confronti della bambina. Ma quello che era chiaro per tutti loro, per Janet aveva significato molto in tutti quegli anni: il rosso amico di suo fratello era stato una figura importantissima per quella bambina che, abituata a vederlo tutti i giorni, aveva stretto con lui un legame forte quasi come quello che aveva con lo stesso Jean.
E dato che Heymans non era suo fratello e quel legame doveva trovare un nome, lo sfogo più ovvio era stato quello del fantomatico fidanzatino.
“E come mai pensi questo?” Kain si guardò attorno con disagio, sperando che l’oggetto del discorso comparisse miracolosamente a salvarlo. Insomma, sapeva bene che quella di Janet era stata solo una cotta infantile, ma non riteneva di essere in grado di assistere alla fine in prima persona.
Le questioni di cuore, per quanto non serie, erano al di fuori della sua portata. Mentre buona parte dei suoi compagni iniziava a pensare seriamente all’altro sesso, lui continuava a crogiolarsi tra le sue radio, la sua famiglia ed il suo gruppo di amici, non sentendo assolutamente la necessità di ampliare i suoi orizzonti in tal senso.
“Prima, quando veniva a scuola era diverso – ammise la ragazzina sconsolata, facendo dondolare le gambe dalla panca – parlavamo sempre e mi piaceva tanto tenerlo per mano. Però adesso… sai, anche quando viene ci vediamo poco ed è cambiato…”
“Ma dai, sono sicuro che ti vuole sempre bene. E’ che non è la stessa cosa come vedersi tutti i giorni, però non credo che i suoi sentimenti siano cambiati”.
“Non dico che non mi vuole bene – Janet gli lanciò un’occhiata di rimprovero, come ad invitarlo a non dire stupidaggini – sono io che mi accorgo che non è più come prima. Heymans universitario non va bene per Janet che sta finendo le elementari”.
“Ne hai parlato con lui?”
“No, non ancora… mi sento un po’ stupida a farlo. E forse lui si offenderebbe”.
“Ma no, non credo che si potrebbe mai offendere con te”.
Lo disse in tono incoraggiante, lieto di aver dato una svolta positiva alla conversazione. Bastava che Janet si chiarisse con Heymans e tutto sarebbe tornato nella norma, era chiaro. E quanto al litigio con le compagnette, era fiducioso che si sarebbe risolto nell’arco di pochi giorni.
“Credo che aspetterò ancora un poco – dichiarò Janet, alzandosi in piedi – chissà, forse quando inizierò le medie le cose cambieranno. Insomma, magari quando avrò una sola treccia invece che due sarò abbastanza grande e allora l’Heymans universitario mi andrà bene. Sarebbe stupido correre troppo e rischiare di rovinare le cose, vero?”
“Se lo dici tu non posso che darti ragione – annuì Kain, alzandosi a sua volta – allora, momentaccio passato? Mi pare proprio di sì”.
“Beh, mamma e papà hanno litigato, Jean e Rebecca pure: bisogna che una in famiglia sia positiva, no?” esibì un sorriso sfacciato, mettendo in evidenza la finestrella di uno dei denti da latte da poco caduti.
“Prima volevo andare a fare un giro nella giostra, ti va di venire?”
“Oh sì! Tra mio fratello, i miei, e le mie compagne non ne ho avuto il tempo! Ci andiamo assieme?”
“Credo che ci faranno salire in due su un cavallino: siano piccoli e ci stiamo”.
 
Mentre i due giovani del gruppo si dirigevano verso la giostra, Vato ed Elisa si allontanavano dalla pista da ballo col fiatone. Nell’ultima mezz’ora avevano dato il meglio di loro nelle danze, ma con tutti i loro sforzi non potevano competere con la fluidità e la scioltezza di altre coppie, come per esempio Roy e Riza.
“Perdonami, è tutta colpa mia – ansimò Vato, conducendola ad una delle tavole per servire ad entrambi un bicchiere d’acqua – nonostante le lezioni che mi hai dato proprio non sono bravo a muovermi”.
“Sei molto migliorato invece – fece Elisa, pure lei ansimante, raccogliendosi i folti capelli castani in un’alta coda che provvide a fermare con un nastro – e odio il caldo che fanno questi capelli. Non capisco come li ho potuti tenere sciolti sino alla fine delle scuole”.
“E’ questa sala piena di gente e tutto il movimento che ci fanno sentire accaldati. Se ti va andiamo a fare due passi fuori: mi è passata completamente la voglia di ballare”.
“Affare fatto”.
Finito di dissetarsi, andarono a recuperare i loro soprabiti e guadagnarono l’uscita dal capannone. Mano nella mano decisero di concedersi una passeggiata distante dai rumori della festa e così si avviarono verso la campagna, restando tuttavia in vista delle luci che provenivano dalle torce.
“Non siamo per niente prudenti ad andare in giro con questo fresco e con i capelli così sudati – fece Elisa in tono professionale – però se non respiravo aria frizzante impazzivo”.
Si sedettero su un muretto a secco, rabbrividendo leggermente al contatto con le fredde pietre. Poi la giovane alzò gli occhi al cielo e sorrise nel vedere le stelle.
“In città la visione notturna non è così limpida”.
“Con tutte le luci dei palazzi e dei lampioni la vedo difficile. Chissà, forse tra qualche anno l’illuminazione stradale arriverà anche in paese – propose Vato – il progresso non si ferma”.
“Ammetto che preferirei che tutto restasse così. E poi il paese è così piccolo che non vedo tutta la necessità dei lampioni. Bastano le luci delle finestre”.
Vato non trovò niente da ridire a quell’affermazione e rimase per qualche secondo a fissare la sua fidanzata alla tiepida luce delle ultime torce poco distanti. Notò con piacere che l’anello di fidanzamento brillava al suo anulare e questo gli fece ricordare che aveva importanti novità da darle.
“Mi hanno pagato per l’ultimo articolo che ho inviato all’Università – dichiarò con orgoglio – a dire il vero non è una gran cifra, ma ho ricevuto anche i complimenti da parte dei docenti”.
“Davvero? Complimenti, sapevo che sarebbe piaciuto a tutti quanti”.
“E a te come va? Il lavoro intendo”.
“Beh, ho prescritto alcune pastiglie per il mal di testa al padre di Kain, medicato una sbucciatura a mio cugino di otto anni, suggerito una tisana rilassante di mia madre a tua madre, e scusa il gioco di parole… e poi ho continuato a sistemare medicine e a leggere i libri del dottor Lewis. Sono davvero interessanti, sai: alcuni non penso si possano trovare in circolazione”.
Lo disse in tono gaio, ma la forzatura fu fin troppo palese.
“… mi dispiace…” mormorò Vato, prendendole la mano e sentendo il freddo contatto con l’anello.
“Però noto che alcune signore non si spaventano più di tanto nel vedermi nello studio del dottore – continuò lei con finta allegria – credo che abbiano capito che non sono obbligate a farsi visitare da me, che hanno sempre la via di fuga a portata di mano. Tutto sommato è un passo in avanti nel conquistare la loro fiducia, no?”
“… Eli…”
“… no, aspetta, lasciami finire. Quando la settimana scorsa un contadino è venuto a farsi mettere la sutura ad un taglio sulla gamba, mi è stato concesso di assistere e di passare gli strumenti al dottor Lewis. Non pensi che sia… meravigliosamente schifosa come situazione?” si accasciò pesantemente contro la spalla del fidanzato, concedendosi finalmente quel crollo emotivo che aveva tenuto dentro di sé per tutte quelle settimane.
Sentì il braccio di lui stringerla con forza e allo stesso tempo dolcezza e si pentì di non aver cercato subito quel conforto così fondamentale. Certo, ne sapeva bene il motivo: si vergognava ad ammettere che le cose non andavano come aveva sperato. Da subito aveva saputo che non sarebbe stato semplice conquistarsi la fiducia nella gente, ma nel suo ottimismo aveva sperato che con il passare delle settimane la situazione migliorasse sensibilmente.
Ma così non è stato, proprio no. Anzi, sembra che sia in una sorta di stasi dove il paese mi prende solo come accessorio del dottor Lewis.
“Mi sento incredibilmente scoraggiata e sminuita – sospirò – e pensare che il mio mentore dell’Università diceva che ero davvero promettente come medico… che avevo una mano delicata con le ferite, eppure sicura. Ma pare che qui non importi niente di tutto questo. Eppure quel taglio l’avrei cucito in pochi minuti: non hai idea di quanto mi prudessero le mani per prendere ago e filo e mostrare cosa so fare”.
“Vedrai che la situazione migliorerà”.
“Dici? E’ che… da altre donne accettano cure: dalla moglie del dottore si fanno sistemare bende o dare medicinali. Da mia madre si fanno dare tisane o pomate. Sono io che non vado bene, capisci? E’ come se il mio titolo di medico fosse sinonimo di pericolo. E pensare che mi è anche arrivata l’autorizzazione ufficiale ad esercitare: da gennaio riceverò uno stipendio dallo stato… mi vergogno profondamente per questi soldi che non sto guadagnando veramente”.
“Intanto tu sei sempre in ambulatorio, nel caso qualcuno avesse bisogno di te – cercò di scrollarla lui – il tuo lavoro lo fai in ogni caso e hai studiato tanto per arrivare a questi risultati. Se poi viviamo in un paese particolarmente sano, beh c’è da esserne contenti, no?”
Elisa alzò lo sguardo interdetta e poi scoppiò a ridere.
“Vato Falman, da quando riesci a fare battute simili?”
“Non lo so – scrollò le spalle lui – forse ironizzare aiuta a non far caso a certe voci che circolano in paese”.
“Quelle su di noi, vero? Diamine, che massa di pettegoli che sono… sembra quasi che aspettino che qualcuno vada all’Università per poter parlare di lui. Almeno lo facessero in termini lusinghieri”.
“La settimana scorsa ne parlavo col signor Fury e mi ha detto che pure lui, all’inizio, aveva difficoltà notevoli: sembrava proprio che la gente non avesse bisogno di un ingegnere”.
“Se le cose andassero bene anche per noi sarebbe un sogno – sospirò la giovane dottoressa, giochicchiando con l’anello – ora come ora mi pare che siamo tornati indietro rispetto all’Università. Dovremmo fare dei passi avanti invece”.
“Beh, abbiamo deciso di sposarci, no? Non è un passo avanti?”
“Ci vuole una casa, tanti soldi per comprarla, tutto il necessario per la cerimonia, l’abito… mh, mi pare un po’ distante come obbiettivo, ora come ora”.
Non ebbe il coraggio di dirgli che aveva anche pensato di chiedergli di rimandare tutto a quando i tempi fossero stati più propizi.
“Abbiamo detto che ci sposiamo entro l’anno prossimo e a questo mi attengo – dichiarò lui, felice che la luce delle torce non fosse sufficiente a far vedere il rossore sulle sue guance – se vuoi già stabilire una data per me non ci sono problemi”.
“Razionalizza, Vato, ti prego. Che fine ha fatto la tua preziosa mente?”
“Iniziamo a stilare un elenco vero e proprio di quello che ci serve – propose lui dopo qualche secondo di silenzio. In realtà il suo cervello gli stava gridando che era un perfetto imbecille a correre così e che questo non rientrava nel modus operandi corretto. Ma si trattava di Elisa e questo bastava a mandare al diavolo la razionalità, proprio come era successo la prima volta che avevano fatto l’amore assieme in una camera d’albergo che avevano preso per la notte… la loro prima folle notte d’amore, quando erano studenti del secondo anno – poniamo come data provvisoria la prima metà di giugno. Vediamo se le cose vanno bene, altrimenti rimandiamo a fine anno. Un po’ come gli appelli all’Università”.
“Inizio giugno? Non lo so, vediamo… non voglio chiedere ai miei per la casa nuova… però… cielo, Vato, ma come puoi uscirne fuori con idee simili?”
“Se il resto del mondo non si dà da fare per noi, allora tanto vale muoverci da soli. Comunque per non mettere in allarme le nostre famiglie inizieremo a lavorarci da soli. Facciamo la lista, iniziamo a mettere i soldi da parte, capire quali sono le spese davvero necessarie e così via. Verso fine marzo facciamo un primo bilancio e vediamo se il matrimonio è fattibile”.
Elisa scosse il capo con gentilezza. Era così strano vedere il suo fidanzato così pragmatico: proprio lui che di solito tendeva a valutare sin troppo i pro ed i contro di ogni scelta, persino della più banale. Eppure per certe cose agiva improvvisamente e d’istinto, come se dentro di lui ci fosse un altro Vato pronto a scatenarsi quando meno gli altri se l’aspettavano.
“Tre mesi, eh? Beh, possono cambiare molte cose in tre mesi…”
“Bene, mi piaci di più quando sei ottimista. Non mi andava di vederti col broncio proprio il giorno del nostro anniversario. Ti ricordi? Ci siamo dati il primo bacio la festa del primo dicembre di cinque anni fa”.
“Cielo, non ricordarmi quella festa…”
Era stato tutto così strano, con quel litigio per gelosia e tutta quella difficoltà iniziale ad ammettere che non potevano più restare solo amici. E poi quei primi baci nella pace di casa Falman, così facili e belli dopo essersi scambiati il primo. Come sembravano semplici quelle difficoltà adolescenziali alla luce delle nuove sfide che la vita presentava loro.
“Però è stata una festa divertente sotto molti punti di vista”.
“Rebecca aveva imprigionato Jean per tantissimi balli, me lo ricordo bene. E lui se ne stava rigido, stretto nella sua presa… mentre Janet aveva intrappolato Kain”.
“Prima, come siamo usciti, li ho visti nella giostra. Beh, almeno per una Havoc la festa non sta andando così male. E, eccetto Jean e Rebecca, anche per il resto del gruppo procede bene”.
“Speriamo che sia un buon auspicio per il nuovo anno”.
“Speriamo davvero”.
 
Qualche ora dopo, come consuetudine, ci fu lo spettacolo di fuochi artificiali.
Tutto il paese si radunò fuori dal capannone per vedere le luci che, ancora una volta, erano state fatte venire dalla città. E, proprio come era successo cinque anni prima, ciascuno dei ragazzi le osservò in punti diversi o non le osservò affatto.
Vato ed Elisa se li godettero da lontano, ritenendo che senza la luce troppo insistente delle fiaccole fossero ancora più belli. Tenevano le mani strette e i loro cuori erano carichi di speranza per il nuovo anno, mentre tutte le difficoltà ed i pettegolezzi sembravano poca cosa davanti al loro amore.
Riza e Roy erano in mezzo alla gente, lei avvolta nell’abbraccio protettivo del fidanzato. Per loro invece era tutto ancora sospeso, un po’ con rammarico un po’ con sollievo. Ancora delle tappe, ancora del tempo per trovare il coraggio di spiccare il volo. Un procrastinare che tutto sommato faceva ancora comodo e che sembrava non scalfire il loro legame.
Kain e Janet si erano riuniti ai genitori del primo e osservavano estasiati i fuochi. La ragazzina aveva ormai superato il momento di tristezza e tutto quello che le importava erano i bei giochi di colori che si creavano nel cielo. La sua mente infantile voleva solo ricordare il divertimento di essere andata nella giostra e quei bei momenti… e al diavolo la sua famiglia che sceglieva proprio la festa per litigare. Sapeva bene che i suoi genitori erano da qualche parte col broncio, ma non si sarebbe fatta rovinare il divertimento.
Kain, dal canto suo, era felicissimo di essere riuscito nell’impresa di consolare la sua amica. Da quando gli altri avevano terminato le scuole si sentiva maggiormente responsabile nei suoi confronti e vederla serena era quello che più le importava. La sua mente ottimista era sicura che tutti i guai si sarebbero risolti e che persino Jean e Rebecca avrebbero fatto pace.
Jean in quel momento proprio non riusciva a pensare a pensieri ottimisti. Stava ancora seduto in quella panca, furente con la sua fidanzata e la sua famiglia: veder buttate all’aria tutte le sue buone intenzioni era stato un duro colpo. E quanto all’assurda idea del matrimonio… proprio non capiva perché il mondo avesse sempre così tanta fretta di unire le coppie in quel vincolo che per lui era ancora una prigione.
E, solida spalla, Heymans era accanto a lui e fissava i fuochi con tranquillità, sicuro che il suo miglior amico avrebbe esaurito l’arrabbiatura nei prossimi giorni. Una parte di lui era persino divertita da quello che era riuscito a combinare Jean: solo lui poteva arrivare a tanto. Solo in paese potevano succedere determinate cose… Arthur Doyle non poteva nemmeno immaginare che una festa nel capannone potesse avere tanti risvolti.
Cinque anni fa nemmeno guardavo i fuochi – si ricordò – fissavo il terreno e iniziavo a capire il vero abisso che stava dietro la mia famiglia. I tuoi drammi amorosi si risolveranno, Jean, sono solo sciocchezze in confronto a quanto ho passato io… non sai quanto ne sono felice.
Felice, ecco come doveva essere il mondo quella sera.

 




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Eccoci al termine della festa del primo dicembre, con tutte le coppie (più o meno) che vengono trattate. 
Come vi ho anticipato questo è l'ultimo capitolo che posto prima delle vacanze di natale, quindi ci aspetta una luuuunga pausa che arriverà sino a dopo l'epifania. Comunque avrò tempo per rispondere alle recensioni dato che non sarò più a casa da lunedì prossimo.
Ne approfitto per augurarvi, un po' in anticipo, buone vacanze.
A presto






 
  
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