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Autore: Sarah M Gloomy    12/12/2016    0 recensioni
Terzo libro della serie The Exorcist. Amabel e gli altri esorcisti hanno appena esorcizzato uno spirito di ottavo livello e, ancora spossati, sono costretti a confrontarsi con una persona che ha avuto un ruolo fondamentale nel loro passato. Johannes, o una persona che gli somiglia molto, si trova davanti a loro e sembra intenzionato a ripristinare il vecchio Ordine. Altro sta succedendo e Bel non sa a chi chiedere aiuto, perché oltre a salvare gli spiriti, la città e le persone che ama, deve salvare anche se stessa da un passato che tenta di ucciderla.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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       L’operaio sta lavorando a un qualcosa. Vedo le sue spalle curve e il sacco che ha portato a una decina di metri dalla porta d’entrata. Mi nascondo dietro alla porta, pronta a scattare alla prima occasione. Dannazione. Non c’è un oggetto per nascondermi a pagarlo oro, se non quel crocefisso proprio in centro. Arrivare lì senza essere intercettata sarebbe proprio un miracolo.
Il telefonino mi pulsa nella tasca. Tolgo la suoneria e mi apro un po’ il giubbino che mi impedisce i movimenti. Sento una patina di sudore che si inspessisce sotto la maglia. Adocchio ancora. L’uomo si alza, volta lo sguardo verso di me e io mi mimetizzo meglio che posso. Il mio cuore, traditore, continua a battere.
Sento dei passi che si avvicinano, deglutisco a forza, poi si allontanano verso l’auto. Bene. O adesso o mai più. Scatto prima di cambiare idea, aprendo la porta già percorsa con gli altri. Il corridoio è fiocamente illuminato e, fortunatamente, deserto. Sento solo i miei passi furtivi. Mi avvicino alla porta, adagiando tutto il mio corpo alla parete. Sono un’enorme lucertola che cerca di passare inosservata. Inutile dire che sono più che visibile. Accosto un poco, sbircio dalla fessura. Il tavolo ottagonale è deserto, la stanza non produce suoni. Mi introduco con calma, accostando la porta senza fare rumore. No. Non mi sembra di essere nel nuovo Ordine degli Esorcisti. Come la volta scorsa, ho la certezza che è il mio vecchio Ordine, solo con qualche secolo alle spalle.
Mi avvicino al tavolo. Un dedalo di nomi di varie lingue: alcune conosciute, altre un po’ meno. Con un dito passo sul nome di Titus. Una linea sottile collega il suo nome al centro del tavolo. Un raggio di sole, chissà da dove proviene visto il tempaccio esterno, fa brillare una scritta. Passo con un dito, seguendone i contorni. È stata graffiata sul legno con qualcosa di affilato. Il mio dito ne segue il contorno, strizzo gli occhi per la concentrazione: l-a-c-e-r-a-t-i-o. Laceratio.
Sento una porta aprirsi e mi infilo sotto al tavolo. Gattono al centro, cercando di respirare il più debolmente possibile. Se mi trovano, sono fregata. Qualcuno è fermo, dei passi si aggregano e la porta viene chiusa nuovamente. Ho il terrore di sporgermi per vedere chi è, perché nascondersi sotto il tavolo non è la migliore delle soluzioni. Tutti ci guardano. L’unica speranza che ho è che pensino sia troppo stupido come nascondiglio. Prendo in mano il cellulare. In cuor mio so che non chiamerò Julia: sarei troppo crudele a trascinarla con me.
Vedo delle scarpe maschili lucide, nere, con un po’ di tacco. Vicino, altre scarpe, anch’esse maschili. La voce di Johannes parla e io sobbalzo, stupidamente. «Ti nasconderai ancora per molto?»
Oddio. Sa che sono qui. Faccio un respiro, pronta per sgusciare fuori, ma Johannes prevede la mia mossa. «Io credo che tu debba fingere ancora.»
Non sta parlando con me. Okay. Mi dovrei sporgere un po’ per guardare chi è la seconda figura, ma muovermi richiede rumore, e il rumore è molto cattivo. La seconda figura non parla, o se lo fa ha una voce così flebile che per me non è neppure un bisbiglio. Sono appoggiata con le punte dei piedi e queste già iniziano a protestare. All’occasione, però, potrebbe essere una posizione da velocista.
Alzo gli occhi, per vedere il retro del tavolo, fatto di legno e per poco non emetto un’esclamazione. Un reticolo di parole, complicate quanto quelle sul fronte, si aprono a ventaglio sopra la mia testa. Strano luogo per fare delle iscrizioni, visto che nessuno avrebbe mai potuto vederle. Lancio una veloce occhiata ai piedi fermi vicino a me. Sento dei fruscii di pagine girate, quindi stanno guardando una mappa. Il che è un bene, perché non sanno di me, e un male, perché quell’obbligo di silenzio mi mette in agitazione. Lo so, prima o poi dovrò tossire, starnutire o semplicemente la mia pancia brontolerà perché ha deciso che ha fame. O tutte e tre le cose insieme. Sento già un pizzicorino in gola.
Alzo una mano, seguendo i contorni sopra la mia testa. Sono esattamente al centro, dove c’è scritto “immortalitas”. Allora, io non voglio guardare il pelo sull’uovo, ma che ci fa la parola latina di immortalità, proprio sopra la mia testa? O peggio, cosa ci fa sotto al tavolo dove si sedevano gli esorcisti? Qui la questione puzza di bruciato … e non solo perché sto bruciando io, sia chiaro. O forse …. L’agitazione mi fa fatto mettere male un piede e sono caduta di culo sulla pietra. Osso contro pietra. Stringo i denti, ma Johannes sta parlando ancora. «Sì, non possiamo fidarci di loro.»
Il loro penso che siamo un noi. Continua. «Dalila e Titus sono molto malfidenti. Non so esattamente cosa sanno. Da quello che mi hai detto, però, dobbiamo interrompere i rapporti con Dalila.»
Un attimo: chi rompe i rapporti con chi? Striscio appena con il sedere, ma di più potrei farmi scoprire. E voglio dannatamente uno di quei fogli. Posso supporre che anche il secondo attore del dramma sia un uomo, a meno che una donna non porta un camion di scarpe dannatamente fuori moda. I miei piedi, al confronto, sono minuscoli. Che sia quello che noi abbiamo identificato con “Inquisitore”? Questa volta sento il suo bisbiglio, ma deve avere qualcosa in volto perché la sua voce mi giunge da molto lontano.
   «Sì, continuiamo ad attenerci al piano originario.» Che sarebbe …? Johannes, però, non ritiene il caso di doverlo proferire a voce. Bene per loro.
Controllo ancora il sotto del tavolo, mentre Johannes spiega a chiunque lo stia ascoltando che ottenere la fiducia degli esorcisti è una mossa prioritaria. Posso solo immaginare che non stia parlando di lui o di Malachite. Sopra la mia testa, dalla scritta “immortalitas”, otto linee partono e si congiungono alle nostre postazioni. Molto strano. E molto sospetto. Sembra proprio che sia stato fatto un rituale solo che, beh … non credo nelle streghe. È un po’ un controsenso, visto che siamo in mezzo ai fantasmi.
Johannes continua a parlare, allontanandosi dal tavolo. Sono ancora agganciata alla mia postazione, perché potrebbero sempre guardare per scrupolo sotto alla tavola, ma la porta si chiude alle loro spalle. Mi abbandono in un sospiro liberatorio. Controllo la situazione prima di uscire dal mio nascondiglio.
Questa stanza nasconde più di quello che sembra, ma al momento devo accantonare la mia esplorazione. Guardo la porta da dove sono usciti i due uomini, perché mi attrae come non mai. Lancio una veloce occhiata all’uscita sicura, poi mi fiondo senza badare tanto al rumore. La porta è appena appoggiata, quindi la apro senza far rumore e la socchiudo alle spalle. Sono in un piccolo corridoio buio. I miei occhi ci mettono un po’ ad abituarsi alla penombra.
Mi incammino, con una mano appoggiata alla parete. Il pavimento è leggermente inclinato, così da sembrare un enorme scivolo che si addentra fino all’inferno. Mi passo un dito per allargare il collo della maglia. Sì. È proprio come andare all’inferno, caldo incluso.
Poi il soffitto si alza e, contemporaneamente, il pavimento si allinea. Devo essere tipo nei sotterranei della cattedrale. Ci sono delle fiammelle, oltre la linea del mio orizzonte. Non che sia allentante quella visione, ma è l’unico tipo di luce che mi arriva da lì. Cammino, quasi cado quando il pavimento mi scappa da sotto i piedi per formare quattro stupidi scalini. Mi raddrizzo, appoggiandomi a qualcosa di freddo e duro. Accantonando tutti i miei sensi che mi dicono di andarmene, faccio luce con il cellulare.
Ho appoggiato la mano su una lastra di marmo.
Solo che è la lapide di una tomba.
 
                                                             † † †
 
            Tolgo la mano, nascondendola dietro la schiena. No, mamma, non ho messo la mano dentro la nutella. Fidati, anche se è sporca. Più o meno mi sento così, solo che so cosa ho toccato. Nascondere la rea mano non lo cancellerà. Abbasso gli occhi per vedere chi è sepolto. Molto bene, ho le allucinazioni. O quelle, o sto guardando dove sono sepolte le ossa di Damide.
La luce del cellulare, insieme a quelle fiammelle create dalle candele poste ai piedi, mi fa vedere che ci sono otto lapidi in tutto. Brutto numero. Noi siamo in otto. La tesi del rituale, per quanto assurda, inizia a farsi sempre più concreta. Perché, se Marco è veramente Johannes (e nella mia mente non c’è neppure bisogno di chiederlo), noi siamo stati usati per creare un immortale. E, oddio, io ho guardato troppi film.
Giro la testa per guardare da dove sono venuta. Ho sentito una porta aprirsi? Non ho il tempo di aspettare che mi trovino. Usando il cellulare come torcia per velocizzare i miei movimenti, continuo a correre. Mi allontano da quel terreno di morte, seguendo un corridoio ancora più buio che sembra essere in salita. Discesa, poi salita. Credo di star tornando di nuovo verso la superficie e non ho ancora capito se è un bene o un male.
Apro una porta, chiudendomela alle spalle. La stanza in cui sono è debolmente illuminata dalle torce. Oh, mio Dio. Sono nella vecchia biblioteca di Johannes. Come diavolo …?
A dopo le domande stupide. A dopo pure i ricordi, visto che l’ultima volta che ho visto quei libri è stato il giorno della promessa con Titus. No, non è il caso pensarci! Mi intrufolo tra i libri, seguendo un qualche recondito ricordo. Ai libri antichi si sono mescolati volumi più nuovi e un computer produce il suo ronzio su quel vecchio tavolo di altri tempi. Mi getto letteralmente dietro al bancone, scivolando lungo uno scaffale.
Una porta si apre e sento dei passi che si muovono furtivi. Okay, fuori di lì. Gattono con piedi e mani, osservo quello che deve essere un sacerdote, o un nuovo adepto dell’Ordine, prima di uscire dalla porta. Solo allora mi alzo in piedi e corro lungo il corridoio. Perso l’orientamento … perso l’orientamento. È chiaro che sto girando alla cieca.
Non so dove sono, se non che la mia mente del passato continua a dire che lì non dovrebbe esserci il corridoio. Miss Ovvio, questo lo immaginavo anch’io!
Sento dei passi, quindi mi introduco nel primo buco che trovo. È una specie di rimessa, vicino a un grosso armadio. Puzza da disinfettanti e il moccio ai miei piedi mi fa intuire che lì le donne delle pulizie mettono la loro mercanzia. Senza porte, illuminato dalle torce, so che sono in bella vista. I passi si avvicinano e io posso solo aspettare e sperare. Sperare che passino oltre, sperare che non guardino nella mia direzione, sperare che non mi abbiano sentito correre. Sono troppe richieste, ma spero un po’ in tutto.
Rannicchiata nel mio angolo, vicino al secchio dell’acqua sporca, sento il mio respiro pesante. Sono certa che Dalila non si agitava per così poco, mentre come Amabel sono fin troppo cagasotto. A mia discolpa, tuttavia, c’era che Dalila era certa di essere protetta. Io, all’opposto, sono certa che qualcuno nel passato ci ha tradito e sta cercando di farci il culo pure nel presente.
Sento un bisbiglio, prima che una mano artigliata mi chiuda la bocca, forse per sempre, trascinandomi nel buio.
   
 
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