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Autore: __Azzurra__    12/12/2016    5 recensioni
Se queste memorie saranno mai rese note ai posteri:
Si narri che un tempo gli eroi erano ragazzini.
Si narri che combatterono per ideali come la libertà e l’amore.
Si narri che essi...
Vissero.
Dal primo capitolo:
“No. Non vi è nessuna traccia della beltà di Euphemia nella sua fisionomia facciale. Ed è un vero peccato.
Perché?
Perché, se i lineamenti di Daphne fossero simili alla madre, non sarebbero così uguali a quelli di James.
La loro somiglianza è il campanello d’allarme che mi rammenta che i due siano legati da un vincolo di sangue. Un vincolo che mi esclude totalmente dal loro legame e che mi ricorda che James, ancor prima di essere mio “fratello”, è suo fratello.”
[…]
"«James, Eccezionale».
Ma per favore! Minnie doveva essere ubriaca quando ha emanato i giudizi. E ora dovremo sorbirci giorno e notte i vaneggiamenti di James.
Spero solo che Remus abbia preso lo stesso voto, così quel facocero abbasserà un po’ la cresta e non potrà più vantarsi di avere l’esclusiva.
«Chi è il fratello Alpha?» mi domanda retoricamente James, sorridendo in maniera spocchiosa.
Attento Potter, o quella dentatura bianca te la butto giù con un solo colpo."
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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                                                                                                                 Prologo
 
                                                                       
 
«Prego, mister Potter».
Spalanco la porta dell’aula di trasfigurazione e seduta sulla cattedra, posta in fondo alla stanza, c’è… Lily Evans?!
E’ diversa dal solito. Molto diversa. Quasi irriconoscibile.
E’ scalza. Non porta quelle odiose calze nere che lasciano tanto spazio all’immaginazione. Le sue gambe sono scoperte e accavallate una all’altra. E… Oh, per Godric, quella che indossa è una minigonna.
Deglutisco, allentando il nodo della cravatta.
Se sono morto cadendo dal Platano Picchiatore o per mano di Mocciosus e questo è l’inferno, nessuno si azzardi a riportarmi in vita o a scendere a patti con il diavolo per riscattare la mia anima.
Voglio essere dannato in eterno.
La Evans mi sta rivolgendo un sorrisetto dalle sfumature maliziose. A coprirle il petto vi è solo una camicia, di cui il primo bottone è slacciato, ma non permette di vedere cosa quel tessuto bianco celi.
«James» sussurra, chiamandomi per nome.
Un brivido mi attraversa la schiena. Evans non ha mai pronunciato il mio nome, nemmeno quando al terzo anno, in vista della prima uscita a Hogsmeade, Gazza l’ha incaricata di fare l’appello con annesso di nome e cognome. Lui era impossibilitato a parlare perché gli avevamo rifilato una scatola intera di liquirizie pungenti. Era un regalo di Natale spedito con largo anticipo, giusto per non fargli provare l’amarezza di non potere scartare nessun dono. Non è colpa di nessuno se poi le liquirizie pizzichine gli hanno fatto gonfiare la lingua, costringendolo a non poter fare uso della parola per più di una settimana.
Come dicono i babbani: ciò che conta realmente è il pensiero.
«S-Sì?» sbiascico in tutta risposta, rimanendo immobile, mentre una gocciolina di sudore mi percorre il volto.
Questo non è l’inferno. E’ il paradiso.
«Mi sento tanto sola qui» mormora in tono falsamente dispiaciuto, portandosi le mani all’altezza del cuore. «Perché…», prende a giocare con i bottoni ancora abbottonati, «non mi raggiungi?» termina la domanda, stringendo tra le dita i lembi superiori della camicia. «Ho voglia», con un gesto secco allontana via le due estremità così da far saltare via metà dei bottoni, «di te». Ed ecco che posso FINALMENTE ammirare i suoi rosei boccioli.
Ribadisco: se sono passato a miglior vita –e che vita!- il primo che si azzarda a farmi resuscitare, è un mago cruciato.
Per cinque anni. Per cinque maledettissimi anni ho fantasticato su quelle montagne, ma non avevo idea che potessero essere così… Così…
Oh, chi se ne frega di trovare un giusto termine per descriverli. Ho davanti a me la Evans mezza nuda e disposta a concedersi a me, e penso alla grammatica?
Godric caro, ti prometto che Grifondoro non perderà nemmeno una partita di quidditch quest’anno. Dovessi maledire uno per uno tutti i giocatori avversari.
«Non vieni a farmi compagnia?» domanda suadente, mettendo in risalto con un gesto del capo i suoi voluminosi capelli rossi, che le ricadono elegantemente sul seno. «Io ti aspetto qui». Detto questo, inarca il busto, poggiando i palmi delle mani sulla superficie della cattedra e spingendo la testa all’indietro.
Inspiro a pieni polmoni per poi chiudere gli occhi e lasciare andare un ululato: «auuuu». Prendo la rincorsa e con un balzo mi tuffo in direzione della Evans.
E’ mia.
Solo mia!
SBANG.
Tutto il mio corpo, compresa la testa, si scontra contro qualcosa di duro. Che dal troppo entusiasmo sia inciampato? Schiudo velocemente le palpebre, ma non vedo nulla. Sono diventato cieco?
Il luogo in cui mi trovo è circondato dalla totale oscurità e della Evans non vi è più traccia. Non avverto più nemmeno il suo buon profumo, che prima m’inondava le narici.
A carponi vago alla cieca finché non m’imbatto contro qualcosa di legnoso. Con entrambe le mani tasto lo strano ostacolo, tirandomi su con le gambe, e di colpo capisco: mi trovo nella mia vecchia stanza di Godric’s Hollow e questo significa che…
CHE ERA TUTTO UN SOGNO, PORCO SALAZAR!
Ringhio sonoramente, ritornando con uno scatto in posizione eretta, e con la mancina mi sistemo i capelli, pregni di sudore, alla bell’e meglio.
Era troppo fantastico per essere vero, anche se la nitidezza delle immagini era così spettacolare da sembrare reale. Neanche la migliore delle foto avrebbe potuto riportare in tal modo tale scenario.
Con questo pensiero non voglio intendere che non mi dispiacerebbe avere una foto della Evans in tale stato.
Un tonfo contro la finestra mi distrae dai miei pensieri e mi costringere a rivolgere l’attenzione verso i vetri, celati dalle tende. Aggrotto la fronte, insospettito. Che i nani siano già di ritorno e stiano giocando a gobbiglie contro i vetri della nostra abitazione?
Poco probabile visto che Effie ha eseguito la disinfestazione un paio di giorni fa. E, a giudicare dalla forza che ha adoperato, li deve aver scagliati parecchio lontano. Quindi, escluderei che si tratti dei nani.
Impugno il candelabro, posto sul mio comodino, e improvvisamente le candele s’illuminano. Mia madre l’ha stregato in modo che non perdessi tempo a cercare i fiammiferi durante la notte, giacché sono ancora minorenne e non posso illuminare la stanza con la bacchetta qualora ve ne sia la necessità.
Mi avvicino furtivamente alla finestra e, scostando un po’ la tenda, scorgo una figura incappucciata dinanzi la mia abitazione. Strabuzzo gli occhi, realizzando chi possa essere quell’idiota che lancia sassi contro i vetri nel cuore della notte.
E’ quel babbeo babbano che abita un paio di vialetti più in là. E’ venuto anche il mese scorso allo stesso orario, solo che invece dei sassi, impugnava una chitarra e non si trovava dall’altra parte della casa.
Tutti lo abbiamo sentito, persino Ugo. Stonato come una campana, ha svegliato tutto il vicinato. Avessi potuto, avrei posto fine a quello strazio con una fattura e, se ciò non mi costasse l’espulsione da Hogwarts e un biglietto di sola andata per Azkaban, lo farei anche adesso.
Ah ma stavolta non la passerà liscia. Non c’è mia madre che mi ferma dallo scendere in strada in pantofole per andare a picchiarlo a sangue. No, no. Questa volta insegnerò io al bell’imbusto una lezione. Poi vedremo se avrà ancora voglia di andare a importunare i timpani e le sorelle altrui.
E come se non bastasse, è talmente stupido da aver sbagliato finestra. Non si è reso conto che sta tirando sassolini contro i vetri della mia stanza e non verso quelli della persona con cui vorrebbe interagire.
Oh, ma stasera non si relazionerà con nessun abitante di quest’abitazione. Se ne tornerà dritto da dov’è venuto.
Dopo aver indossato gli occhiali, impugno il candelabro per illuminare il circondario, esco dalla mia stanza, e, scalzo, corro in bagno. Prendo il catino, che Effie è solita riempire per pulire i pavimenti, e lo riempio d’acqua.
«Ora vedrai», ghigno, annuendo e sfregandomi le mani.
Una bella doccia al chiaro di luna gli rinfrescherà le idee, ma soprattutto gli farà capire che qui non c’è nessun territorio da segnare.
Lasciando il candelabro in bagno, prendo il secchio colmo d’acqua e ritorno in camera mia. Mi avvicino alle persiane e le apro. Fuoriesco la mano e faccio cenno al manigoldo di venire avanti.
Pluffa nell’anello. Il tizio è più scemo di quanto credessi.
Sorridente, afferro il secchio e con un gesto secco getto l’acqua fuori dalla finestra, sperando ardentemente di essere riuscito a prendere bene la mira.
Poso il catino sul pavimento, per poi ripulirmi le mani, soddisfatto delle mie azioni.
«James». Una luce illumina la mia stanza.
Alzo lo sguardo e noto dinanzi a me mia sorella Daphne, che in deshabillé, con gli occhi semi aperti e con in mano un candelabro illuminato, uguale a quello che ho lasciato in bagno, se ne sta impalata sulla soglia. «Che sta succedendo?» domanda con la voce impastata dal sonno.
Sbatto le palpebre, rivolgendole un largo sorriso. «Tranquilla Daph», la rassicuro facendole l’occhiolino. «Ci ha pensato il tuo fratellone questa volta» mi batto un pugno sul petto con orgoglio.
Nessuno tocca la mia sorellina.
Nessuno deve osare posare il proprio sguardo su di lei.
«A cosa ti riferisci?», le sue labbra si schiudono in un largo sbadiglio, che viene ben presto coperto dalla sua mano.
«A quell’idiota di Campbell» dichiaro con fervore. «Scommetto che voleva sorprenderti dedicandoti un’altra serenata o chissà quale altra diavoleria».
«Impossibile» gracchia lei, avvicinandosi. «E poi sa benissimo che la mia stanza si trova dall’altra parte della casa».
«Non fare affidamento sulle sue capacità intellettive». Quale individuo sano di mente desterebbe un intero quartiere con la sua voce assordante?
«Ad ogni modo» taglia corto lei. «Non può essere lui».
«Perché no?».
«E’ partito un paio di giorni fa per il college» spiega, emettendo un altro sbadiglio e prendendo posto sul mio letto, sfatto.
«Cosa?». Mi volto d’istinto verso la finestra. «Ma allora…».
Daphne, visibilmente più sveglia, dopo aver poggiato il candelabro sul mio comodino, mi guarda con curiosità. «Che è succ…?» s’interrompe, sbarrando gli occhi, quando le sue iridi si posano sul secchio, posto al di sotto della finestra. «James» mi rivolge un’occhiata di rimprovero. Il suo atteggiamento mi ricorda quello di mamma quando è arrabbiata. «Sei impazzito?».
«A quel tipo andava impartita una lezione» dico a mia difesa.
«Già», annuisce, incrociando le braccia al petto. «Peccato che tu l’abbia impartita alla persona sbagliata» trilla, battendo un piede per terra.
«Abbassa la voce», le faccio segno di fare silenzio. «O sveglierai mamma e papà».
«Io dovrei fare silenzio?», si addita sbattendo le palpebre. «Ti ricordo che tra i due non sono io ad aver turbato la quiete», sposta la sua attenzione sulla finestra, «e ad aver fatto gavettoni agli sconosciuti».
«Ora è colpa mia se tu attiri tutta la popolazione maschile di Godric’s Hollow?».
«Tutta la popolazione maschile di Godric’s Hollow? James, ti senti bene?».
«Non venirmi a dire che è solo una mia impressione. Non hai visto come ti guarda il lattaio?».
«Tu sei pazzo».
«E vogliamo parlare del tizio, che, a bordo di una bicifletta, lancia giornali babbani e lo scorso mese ha rotto la statua a forma di folletto?».
«James…».
«Oppure di Chomp?».
«Chomp è un elfo domestico, imbecille!».
«Appunto. Chissà perché a colazione serve a te le pietanze migliori».
«Volete chiudere la bocca?!».
Una terza voce si unisce al battibecco, portando sia me sia Daphne a voltarci in direzione della finestra, cui vi è aggrappato niente meno che Sirius Black, il mio miglior amico. La prima cosa che mi salta all’occhio sono i suoi lunghi capelli grondanti. Cosa parecchio scontata, dopo la secchiata gelida ricevuta a tradimento.
«Sirius!» esclamo, fiondandomi in avanti per aiutarlo a scavalcare il davanzale e a farlo, dunque, entrare in camera.
Indipendentemente dal fatto che sia bagnato come un pulcino, non ha un bell’aspetto. Due occhiaie solcano il suo contorno occhi e le iridi, solitamente vispe, sono spente. E, inoltre, dai lineamenti facciali dà l’impressione di avere un’aria alquanto debole.
Tralasciando che Sirius possa non essere in forma per altri motivi, ci tengo a precisare che anch’io sono una vittima del fraintendimento che si è venuto a creare. Non potevo sapere che si trattasse del mio migliore amico. E poi è mio dovere salvaguardare Daphne da tutti quei balordi che le ronzano attorno.
«Che ci fai qui?» chiede Daphne alzandosi in piedi e camminando verso di noi. Si evince chiaramente che anche lei sia sorpresa quanto me. «Stai bene?».
«Dipende dai punti di vista» risponde lui, entrando nella stanza e rilasciando un sospiro stanco. «Grazie per il secchio d’acqua gelida, James» mi ringrazia in tono saccente e guardandomi in cagnesco.
«Sei proprio un idiota» commenta Daphne, scuotendo il capo con rassegnazione.
«Zitta tu» le ruggisco contro. «Vai a prendere un telo a Sirius».
«Sì, sì» borbotta, sbuffando e camminando verso la soglia della stanza.
Una volta uscita, ripongo tutte le mie attenzioni su Sirius, che si appoggia con fare goffo alla parete. «Stai bene?» domando, allarmato e pronto a soccorrerlo.
«Sono stato meglio», si morde il labbro inferiore, aggrottando la fronte.
«Raccontami tutto» lo incoraggio a parlare, poggiandogli una mano sulla spalla per sorreggerlo sia moralmente sia fisicamente.
«Ecco qua». Daphne non tarda ad arrivare, munita di un accappatoio. Precisamente il mio. Ma non vi faccio caso. Sirius è un fratello per me e non m’importa che lo indossi. A lui è concesso.
Attendo che mia sorella lasci la stanza, ma la sua prolungata presenza delude le mie aspettative. «Allora?».
Non vorrà rimanere lì mentre Sirius si denuda e mi spiega il perché sia venuto qui.
Sembra capire l’antifona, difatti alza gli occhi al cielo, voltandosi, ma non accenna ad andarsene.
«Vattene».
«Te lo scordi» ribatte lei rimanendo con le spalle rivolte verso noi.
«Guarda che…».
«CHE DIAMINE STA SUCCEDENDO IN QUESTA CASA?» la soave voce di mamma non tarda ad arrivare ed è proprio in quel momento che mi ritrovo gli occhi scuri e malefici di Daphne puntanti addosso. Sul volto ha incorniciato un evidente ghigno e mi sta comunicando con il solo sguardo una frase del tipo “a te la scelta”.
Eh no. Non mi faccio ricattare da una mocciosa. Soprattutto se la bambinetta in questione è mia sorella.
E’ in questi momenti che desidero ardentemente essere nato figlio unico.
«Diglielo pure». So che andrà a riferire a mamma della secchiata d’acqua, ma non m’importa. Non può farmi niente ormai. Tra qualche settimana partirò per Hogwarts e non c’è nulla in assoluto che possa…
«Dì addio alla tua Nimbus» dichiara allegramente, prima di girare i tacchi e camminare verso le scale.
«No» trillo, raggiungendola e agguantandola per un braccio.
No.
La mia bimba no!
Mamma sarebbe capace di utilizzarla come legna da ardere per il camino. E quella stronzetta lo sa. Eccome se lo sa. Ma è anche consapevole dell’affetto che nutro verso la mia adorata scopa.
Che strega! Una mossa da vera malandrina, lo devo ammettere, ma rimane pur sempre una strega.
«E va bene» sbotto, lasciandola andare e fissandola truce.
Lei sorride soddisfatta, facendo un lieve inchino in avanti. «Dieci a zero, pluffa al centro».
Arriverà il giorno in cui l’avrò vinta io. Anche se non è oggi. E probabilmente non sarà nemmeno domani.
Ma ci riuscirò! E’ una promessa. 
Daphne lascia finalmente la stanza e si piazza in corridoio, proprio dove vi sono le scale. «TRANQUILLA, MA’» urla come una cornacchia in modo da farsi sentire dai nostri genitori, la cui stanza da letto si trova al piano di sopra.
E poi sarei io quello che turba la quiete notturna…
Mia madre crede a tutto ciò che dice Daphne e, se lei le afferma che va tutto bene, non ne dubita. Mamma è convinta che tra noi due mia sorella sia la più responsabile, ma, se venisse a conoscenza di un paio di cosucce sulla sua condotta a Hogwarts, non la penserebbe più allo stesso modo.  Però devo ammettere che Daphne mi ha coperto le spalle parecchie volte e che la fiducia che mia madre ripone in lei mi è tornata utile svariate volte. Quindi… Non è poi così male avere una sorella che, anche se sotto ricatto, ti copre le spalle.
«JAMES HA AVUTO UN INCUBO ED E’ CADUTO DAL LETTO».
Mi rimangio tutto.
La soffocherò mentre dorme nel suo letto.
 
                                                                                                                            *****
 
Sono passate esattamente due ore da quando ho messo piede in casa Potter.
Due ore da quando James mi ha innaffiato al pari di una pianta.
Sentendosi sicuramente in colpa, mi ha concesso di asciugarmi con il suo accappatoio e mi ha prestato un pigiama pulito, cosicché non mi venisse un malanno.
Effie, la loro elfa domestica, ha acceso il camino della cucina e mi ha dato una coperta in cui avvolgermi. E’ sempre così gentile e premurosa nei miei riguardi. Credo che sia attratta dal mio fascino magnetico.
Ha quasi litigato con Daphne perché voleva essere lei a prepararmi una calda cioccolata alla cannella, ma alla fine ha vinto miss Potter, che invece della cannella ha utilizzato il peperoncino per “insaporire maggiormente la bevanda”. Parole sue.
Non che non sia buona, ma ha un sapore abbastanza esotico e diverso dalla normale cioccolata.
E forse è proprio ciò che mi ci vuole dopo l’interminabile nottata passata a bordo del Nottetempo. Quel tizio che sta alla guida deve essere alleato con gli estremisti purosangue, perché presto o tardi con la sua guida spericolata farà una strage di babbani.
«Ti sei messo in un bel guaio, Felpato» giudica James, mentre impugna con la mano destra la tazza dei Cannoni di Chudley, che gli è stata regalata da Lunastorta per il compleanno.
Daphne aggrotta la fronte e riduce gli occhi a due fessure, lanciandogli un’occhiataccia. Lui sembra non comprendere il perché di quello sguardo torvo, infatti, si ritrova a chiedere: «perché? Che ho dett…? Ahia».
Geme di dolore, fissandola male.
Ridacchio appena al pensiero che Daphne gli abbia appena assestato un calcio sotto il tavolo. I gemelli Potter, pur avendo il medesimo sangue nelle vene, adoperano modi differenti nel fronteggiare le situazioni. Daphne è più delicata di James, che ha il tatto pari a quello di un elefante che balla il valzer in una cristalleria.
«Nulla, James» borbotta lei, scuotendo lievemente la testa con palese rassegnazione. «Nulla».
Lui la guarda con la stessa curiosità con cui un bambino fissa un oggetto a lui sconosciuto. Come se fosse davvero interessato a capire il perché di quella reazione.
James la mattina deve per forza fare colazione con porridge e intelligenza.
Li osservo e avverto un crampo d’invidia al polpaccio, su cui preferisco non rimuginare.
Da quando li conosco, non fanno altro che battibeccare ogni qual volta ne hanno l’occasione. Daphne, pur essendo molto più a modo di James, ha un caratterino molto particolare, che non tutti spesso e volentieri apprezzano, me compreso.
Starnazza come un’oca e si rifiuta di capire che non è un uomo, però sa essere cortese quando vuole.
E’ cambiata molto negli ultimi anni. Il primo anno era una piccola e paffuta bambina che viveva nell’ombra del fratello. Non lo lasciava mai e gli stava sempre appiccicata al pari di una cozza attaccata allo scoglio. Da qualche anno a questa parte, però, la situazione si è invertita: James le fa da segugio e, quando non può tenerla d’occhio lui, delega Peter.
Pur essendo la solita impiastra, Daphne è notevolmente cresciuta se si vuol essere obiettivi. Non è sviluppata molto in altezza, ma è dimagrita, pur mantenendo una costituzione formosa. Si è fatta crescere i capelli color nocciola, che tiene quasi sempre raccolti in una coda di cavallo. Le guance sono rimaste tonde e paffute, ma adesso sullo zigomo destro vi è un piccolo solco. Una cicatrice provocata da un artiglio.
«Ad ogni modo», James rinuncia al voler comprendere la reazione di Daphne. «E’ ovvio che puoi restare qui».
Sorrido spontaneamente, soffiando dalle narici. Sapevo che il vecchio Ramoso non mi avrebbe chiuso la porta in faccia, rimanendo sordo alla mia richiesta di aiuto.
Sono sempre stato istintivo e poco riflessivo nei miei sedici anni di vita, ma andarmene da quella casa è stato un gesto di carità nei confronti della mia salute mentale. Un altro giorno passato rinchiuso tra quelle mura e mi avrebbero internato al San Mungo.
Se fossi rimasto lì per tutta la settimana, attendendo l’inizio della scuola, sarei stato costretto ad ascoltare i perenni deliri di mia madre sulla sua gioia in vista del matrimonio di mia cugina con un membro di una fottuta casata purosangue, proprio come la mia.
Odio mia madre.
Li odio tutti, dal primo all’ultimo.
Abbandonare la mia casa è stata l’unica scelta razione che abbia mai avuto senso in tutta la mia esistenza. E non ho intenzione di tornarci. Qualora James non si fosse offerto di ospitarmi, avrei preferito vivere sotto i ponti, piuttosto che riallacciare i rapporti con quella schifosa marmaglia.
«Farai la felicità della mamma» fa notare, mandando giù un po’ di cioccolata. «Lei ha una cotta per te».
Allargo ancora di più il sorriso, seppur con fare fiacco.
Euphemia Potter non si scorda mai di mandarmi dei doni per il compleanno e per Natale. La scorsa estate ho soggiornato presso casa Potter in vista della coppa del mondo di quidditch e la signora Euphemia mi ha accolto a braccia aperte. Ogni giorno ordinava agli elfi domestici di preparare delle pietanze che fossero di mio gradimento.
«E non è la sola» aggiunge Daphne, mentre osserva, divertita, Effie che sta alimentando il fuoco del camino con della legna.
 
                                                                                                                         *****
 
«Ti vuoi spostare? Sto per cadere».
«Sei tu che sei troppo grassa».
«Ha parlato il fuscello».
Mi giro dall’altra parte del letto, dando le spalle a Daphne, che continua a lamentarsi sottovoce. La camera degli ospiti è occupata dalle scatole babbane di mio padre, ragion per cui ho dovuto cedere a Sirius la mia stanza. Morale della favola: sono costretto a dividere il letto con mia sorella, che, oltre ad occupare più della metà del materasso, scalcia come un ippogrifo.
Avrei potuto dormire con Felpato, ma si vedeva lontano un miglio che avesse bisogno di riposo e tranquillità. Gli occhi erano rossi e stanchi.
Non credo di averlo mai visto ridotto in questo stato. Nemmeno quando Remus ha quasi sbranato Peter.
Non so cosa faremo domani, né cosa succederà, ma di una cosa sono certo: un giorno di questi andrò a Grimmauld Place e darò fuoco ai mutandoni di Walburga Black con o senza bacchetta.
   
 
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