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Autore: MaDeSt    13/12/2016    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

HAYRA'LLEN

Finalmente cominciarono a vedere uccelli volare tra i rami degli alberi, dal piumaggio vivace e lucido come seta; alcuni avevano lunghe creste o code; altri erano grandi quanto i draghetti o così piccoli da stare in una mano; i becchi colorati potevano essere lunghi e stretti o corti e tozzi. Intravidero anche delle creature terrestri, che però erano più sfuggevoli, e gli parve di riconoscere sagome di cervi e lepri, ma anche di capre delle dimensioni di un carro.
Da quelle sarà meglio stare lontani pensò Andrew, guardando con apprensione le lunghe corna ricurve che gli parvero essere grandi più del suo torace.
Predatori per il momento sembravano non esserci, ma Cedric immaginava che quei posti potessero brulicare di Krun data la quantità di prede a disposizione, e soprattutto data la dimensione di alcune di esse; una sola di quelle enormi capre avrebbe potuto sfamare il loro lontano villaggio.
Infine i Gatti si fermarono e i ragazzi tirarono le redini immaginando di trovarsi vicini alla loro meta. I felini posarono a terra i cuccioli, Kalle fu il primo a riprendere la marcia dicendo loro: Da qui sarà meglio proseguire con cautela, siamo vicini a Hayra’llen.
«Siamo già arrivati?» esclamò Mike sbalordito, si guardò intorno e balbettò: «Ma... Ma siamo partiti ieri sera!»
Silenzio intimò Yzah, e il ragazzino annuì tornando a guardare avanti a sé e spronando Thunder al passo.
I draghetti balzarono a terra e Umbreon atterrò con qualche difficoltà, e tutti e sei trotterellarono per tenere il passo coi cavalli. Proseguirono indisturbati guardandosi intorno incuriositi, finché Rubia cominciò a correre in una direzione.
«Dove vai?» le domandò Jennifer preoccupata.
Guarda! Guarda quell’albero!
La ragazzina obbedì e notò che aveva una forma strana, come se qualcosa gli fosse cresciuto addosso, ma era troppo in alto per essere un fungo. E poi riconobbe che quel qualcosa pareva una costruzione, perché aveva dei fori che sembravano finestre, era a una certa altezza dal suolo ma la si poteva raggiungere grazie a una scalinata che si arrampicava sul tronco in una spirale.
Ferma! ordinò Kalle alla dragonessa rossa, e la cucciola si fermò Non avvicinarti così rapidamente, si allarmerebbero.
«Quelle sono case?» domandò Jennifer indicandole, e vide che ce n’era più di una.
Erano ancora molto distanti dalla città, quelle case erano costruite su alberi più grandi del normale, ma non certo quanto quelli della Foresta che avevano sempre conosciuto. Non distinguevano ancora molti dettagli di quelle abitazioni, ma videro che alcune, di solito quelle più in alto, erano collegate ad altri alberi tramite lunghi ponti di legno, che parevano fragili e sottili da quella distanza; al posto delle funi vi erano delle strane liane.
Rimasero così colpiti dalle case tenendo lo sguardo alto da non accorgersi della comparsa di alcuni elfi che li tenevano d’occhio. Quando oltrepassarono un confine invisibile, gli elfi spronarono le loro cavalcature e gli corsero incontro, quindi li accerchiarono. I cavalli nitrirono spaventati e s’impennarono alla vista degli enormi felini che cavalcavano, i ragazzi rimasero a bocca aperta e intimoriti sia dalle zanne degli animali che dalle armi che gli elfi impugnavano.
Ma anche gli elfi parvero sorpresi, perché non tardarono a notare i sei piccoli draghi.
Quando i ragazzi furono più calmi, sebbene ancora avessero strane armi puntate contro da ogni direzione, osservarono meglio gli elfi e i loro felini. Yzah e Kalle avevano già anticipato che il popolo degli elfi si legava ai grandi felini, ma certo non si aspettavano che fossero più grandi dei loro cavalli: dal manto che poteva essere di un unico colore, a strisce, o a chiazze, nero, grigio, viola o blu, o una combinazione di essi; canini lunghi più di una spanna; grandi occhi la cui pupilla non era nera, ma un punto brillante che pareva un diamante; lunghi artigli su ognuna delle tre dita delle zampe, di colore nero o argentato. Indosso avevano una sella di metallo blu e decorazioni argentate e al collo una catena d’argento con un brillante a forma di due spicchi di luna incastrati tra loro; sembravano emanare luce.
Gli elfi che li cavalcavano avevano tutti una corporatura slanciata e snella, indossavano un’armatura di metallo lucente e iridescente di colore blu, con fini decorazioni in argento, composta da pochi pezzi sopra una cotta ad anelli d’argento. La loro pelle era pallida, di colore verde, azzurro, o viola chiaro. I capelli neri, bianchi, grigi, viola o blu, spesso tenuti lunghi. Come anche gli occhi; il felino che cavalcavano aveva gli occhi dello stesso colore del cavaliere, entrambi con la pupilla bianca e brillante.
Sebbene le armi che impugnavano sembravano pesanti, non davano il minimo segno di star compiendo sforzi, apparivano rilassati ma la loro espressione gelida e severa li tradiva, i felini ringhiavano a zanne scoperte e pelo ritto sulla schiena.
Rimasero fermi a osservarli senza dire una parola, e i ragazzi si guardarono tra loro chiedendosi come poter fare per proseguire senza che li attaccassero; erano una ventina di elfi a cavallo di enormi felini dall’aspetto spaventoso, che puntavano loro contro delle armi di metallo luccicante come le loro armature. Probabilmente non parlavano nemmeno la loro lingua e avrebbero potuto interpretare i loro gesti come minacciosi; per quanto ne sapevano potevano avere modi di esprimersi totalmente diversi dai loro.
I due Gatti Ferali si mossero avanzando dritti verso la città, come ignorando la presenza dei felini grossi venti volte più di loro. I cuccioli li seguirono, ma i ragazzi rimasero fermi a cercare di calmare i cavalli imbizzarriti. Vedendo che gli elfi lasciarono passare i Gatti limitandosi a guardarli sospettosi, i draghetti si avviarono a loro volta, uno dietro l’altro.
Gli elfi si mossero a disagio sulle selle, non sapendo come comportarsi di fronte a quelle creature, ma i grandi felini ringhiarono e sbarrarono loro la strada avvicinandosi l’uno all’altro. I draghetti si fermarono e Umbreon ringhiò sbattendo la coda. Andrew lo implorò di essere cauto perché si trovavano di fronte a guerrieri leggendari che avrebbero potuto non avere rimpianti nell’uccidere tutti loro, ragazzi e draghi.
Senza alcun preavviso gli elfi abbassarono le armi e i loro felini smisero di ringhiare, per poi posizionarsi in due colonne, chiaramente intenzionati a scortarli in città. I ragazzi, perplessi, si chiesero cosa gli avesse fatto cambiare idea apparentemente senza motivo, finché gli occhi gli caddero su Kalle e Yzah, che li aspettavano con aria tranquilla mentre i loro cuccioli giocavano a rincorrersi, come se quella fosse stata casa loro; non sembravano affatto turbati da quel popolo, né dalle loro creature.
Incitarono così i cavalli ad andare al passo preceduti dai draghi, e i felini degli elfi si mossero senza che quelli avessero bisogno di dar loro ordini. I Gatti Ferali ripresero a guidarli verso la città a passo lento, e i ragazzi poterono tornare a guardarsi intorno, talvolta volgendo uno sguardo diffidente agli elfi, o alle loro armi.
Tornarono a studiare l’ambiente. Prima di giungere in città attraversarono un fiume che la circondava da ovest a est passando sopra un ponte di legno viola, illuminato da numerosi piccoli cristalli bianchi incastrati tra sottili fili di metallo blu che andavano a formare una strana rete che copriva tutto lo spazio vuoto tra il camminamento e i due archi di legno viola sui lati. Le case che per ora riuscivano a vedere erano tutte simili nell’aspetto e alcune, se si trovavano su alberi vicini tra loro, erano collegate da ponti sospesi a diverse decine di piedi. Si accedeva sempre tramite la scala che saliva a spirale, alcune erano interamente di legno, mentre altre avevano parti in pietra; una pietra dal colore iridescente che pareva argento e aveva venature blu, verdi o viola. Le scale erano illuminate da numerose lanterne di una luce azzurra, fredda ma soffusa, che faceva luce senza dare fastidio agli occhi anche se la si guardava direttamente.
Addentrandosi nella città le case diventavano più numerose, notarono che le strutture erano decorate ognuna in modo differente, a seconda del gusto delle famiglie che le abitavano. E cominciarono a vedere case differenti, scavate dentro agli alberi invece che essere parte di essi, alcune erano sopraelevate, e anch’esse erano talvolta collegate ad altri alberi tramite ponti. Videro che anche i ponti erano decorati con quella pietra lucente, oltre che da piante rampicanti. Su molte case inoltre splendevano simboli simili a quelli sul collare dei grandi felini, di quella pietra che pareva quarzo che risplendesse di luce propria, e sonagli erano appesi accanto agli usci, agitati dal lieve vento che spirava tra i tronchi producevano una musica simile a quella di un bicchiere di cristallo suonato con un bastoncino.
E poi cominciarono a vedere gli elfi che abitavano le case; furono in pochi a lasciare le abitazioni per osservare lo strano corteo, la gran parte di loro si limitava a fissarli incuriositi dalle finestre. Alcuni di loro corsero subito a nascondersi alla vista dei sei draghi, o appena riconobbero che i sei ragazzi non erano elfi, ma umani. Altri invece rimasero a fissarli passare davanti a loro con aria attonita, rassicurati dalla presenza delle guardie elfiche.
I colori della loro pelle, dei capelli, e degli occhi, erano gli stessi di quelli delle guardie, vestivano in abiti eleganti che parevano di seta e indossavano gioielli che i ragazzi mai avrebbero potuto immaginare, d’argento e pietre dei consueti toni freddi che dominavano la città; tutto pareva degli stessi colori: le più svariate tonalità di viola verde e blu, e bianco argento e nero. C’erano elfi coi capelli lunghi ed elfe coi capelli corti; elfi con lunghe vesti ed elfe con pantaloni; vesti eleganti di quel tessuto scintillante simile a seta o abiti più tradizionali simili a quelli umani sia nei colori che nei materiali.
Non ebbero occasione di vedere molto altro, avendo ai lati dei felini giganteschi che coprivano gran parte della visuale. Gli elfi sulla loro groppa continuavano a tenerli d’occhio, c’erano sia maschi che femmine in armatura, e questo li sorprese; le ragazze sorrisero animate dall’idea che un giorno anche loro avrebbero potuto indossare le loro fantastiche armature, se ce ne fosse mai stato bisogno.
Si domandarono dove li stessero conducendo, la città era meravigliosa ma al momento offriva pochi punti di riferimento, le case erano relativamente sobrie e tutte simili, erano davvero poche quelle costruite a terra interamente in pietra - anche se il loro numero cresceva più si avvicinavano al centro della città - e talvolta s’intravedevano edifici completamente diversi che i ragazzi dedussero non essere case.
La città, Hayra’llen, era priva di strade e sembrava costruita nel più totale rispetto della natura circostante: gli edifici avevano grandi finestre, alcune di vetro, altre con tende aperte, per far entrare la massima quantità possibile di luce senza usare lumi o magiche lanterne; un gran numero di alberi erano di dimensioni pressoché normali, come l’erba viola e azzurra che raramente superava l’altezza di un uomo, ma altre piante fiori funghi o arbusti potevano raggiungere dimensioni notevoli.
Non sembrava una città molto popolata, ma quei pochi elfi che videro parvero appartenere a una sola razza, alcuni dalle pupille bianche e brillanti passeggiavano con accanto un enorme felino dal pelo liscio e lucido, con passo elegante e con una naturalezza e spensieratezza sconvolgenti. Altri avevano pupille nere e apparentemente nessun felino a far loro compagnia. Alcune enormi creature vagavano da sole, sia che avessero la pupilla bianca sia che l’avessero nera, e i ragazzi ne videro alcuni appostati accanto a delle case - probabilmente dei loro padroni.
Quando furono giunti in un’ampia piazza al cui centro si trovava una sorgente d’acqua, i felini delle guardie si fermarono, così i Gatti Ferali, e dunque anche i draghetti e i ragazzi fermarono i cavalli. Dall’altra parte della piazza c’era un albero, dall’ampio tronco bianco e dalle foglie verdi e argento che sembravano riflettere ogni raggio di luce che le colpiva. Un gigantesco cervo dalle voluminose corna bianche e gli occhi azzurri smise di brucare l’erba per guardarli, come incuriosito.
Un elfo fece loro cenno di avvicinarsi all’albero muovendo la sua lunga asta alle cui estremità stavano due lunghe lame, quindi i ragazzi smontarono dalle loro selle e con una smorfia per le gambe indolenzite si avvicinarono all’enorme pianta aggirando la sorgente attorniata da pietre argentate. I draghi li seguirono, e Susan e Mike guardarono in alto per scorgere le foglie più alte, constatando che l’albero dal tronco bianco doveva essere alto almeno trenta braccia.
Senza preavviso, con un rumore simile al crepitio della legna che arde, la corteccia cominciò a contorcersi, dando vita a un buco sempre più ampio, fino a diventare abbastanza largo e alto da poter permettere il passaggio anche a loro a dorso degli animali. Ma non dovettero entrare, bensì qualcuno ne uscì.
Era un’elfa minuta e non troppo alta, dalla pelle diafana e i capelli verde smeraldo, due orecchie a punta sporgenti e un paio di enormi occhi dal taglio esotico, le cui larghe pupille parevano limpida acqua o acquamarina, incorniciate da un’iride blu cobalto. Indossava una fascia di uno strano tessuto simile al velluto intorno al seno, di colore azzurro pallido, che risaliva sulle spalle e si allacciava dietro al collo, lasciandole scoperta la schiena. Una strana gonna del medesimo tessuto del corpetto con ampi spacchi su entrambi i fianchi era sostenuta in vita da una corda, le cui estremità pendevano su un lato. Ai piedi calzava delle scarpe di pelle allacciate da sottili strisce del medesimo materiale che risalivano lungo la gamba fin sotto al ginocchio. Nella mano destra teneva un bastone nodoso di legno bianco con una pietra verde incastonata su un’estremità tra piccoli rami attorcigliati.
Rimasero a bocca aperta, era il primo elfo che vedevano che non avesse la pelle di uno strano colore o che avesse capelli verdi. Gli occhi sembravano due limpide pozze d’acqua, e notarono che anche le orecchie erano diverse: gli elfi che avevano visto finora avevano orecchie lunghe, ma sempre vicine al cranio dalla base alla punta; le sue invece erano perpendicolari e parve muoverle su e giù quasi impercettibilmente. Notarono in seguito che alle mani aveva quattro dita sottili invece di cinque. Lanciando occhiate sfuggenti alle guardie alle loro spalle videro che anche loro avevano solo quattro dita.
Cedric e Layla furono gli unici ad avere la decenza di chinare almeno il capo per salutarla, sperando che capisse si trattasse di un saluto. La ragazza dovette spiegare ad Ametyst perché lo stesse facendo, e la dragonessa lo trovò divertente ma non lo rese esplicito a chi non fosse in contatto con la sua mente, e nemmeno s’inchinò.
La donna li osservò a lungo e sembrò più incuriosita che sorpresa, dopodiché sfoderò un sorriso dolce e rassicurante, e con voce armoniosa e pacata si presentò: «Garandill ha annunciato il vostro arrivo non molte ore fa, vi do il benvenuto nell’unica città cui le Ninfe convivono coi Figli delle Lune. Andu-beloth say Hayra’llen, Amici dei Draghi. Io sono Tygra, Ninfa Madre degli Elfi delle Foreste e di questa città. Chi la abita sono i miei Figli, che siano essi delle Foreste o delle Lune; chi abbia intenzioni pacifiche è il benvenuto, non importa la razza, il genere o le credenze. Il mio compagno viene chiamato Deralius.» aveva un accento strano, come se conoscesse la lingua da poco, e con un gesto elegante di tutto il braccio indicò l’enorme cervo che l’accompagnava.
Layla prese parola esibendosi anche in una timida riverenza: «Onorata di fare la vostra conoscenza, Ninfa Madre. E grazie per averci accolti gentilmente. Spero che la nostra presenza non vi arrechi disturbo.»
«Ci è stato assicurato che così non sarebbe stato.» rispose Tygra, quando parlava sembrava cantare «Per me è difficile spiegare, non capita spesso di parlare lingue estranee alla nostra. Il nostro è un popolo schivo e diffidente, ancor più di quanto lo siano i Figli delle Lune e del Sole. Di rado è capitato che i Draghi comunicassero direttamente con noi, sarebbe stato scortese non ascoltare le loro parole. Seguitemi, cercheremo un luogo dove possiate abitare insieme e vicini ai vostri... compagni.» sembrò indecisa sul termine da usare per definire i giovani draghi.
S’incamminò con movenze silenziose e aggraziate, come se non avesse avuto peso, e il grande cervo la seguì da lontano in modo da permettere a ragazzi e draghi di seguirla da vicino. Le guardie tornarono ai propri posti insieme ai loro grandi felini, i Gatti Ferali sembravano scomparsi nel nulla e i cavalli erano più tranquilli che mai.
Con in mano le redini seguirono la Ninfa attraverso la piazza, coi draghetti accanto e attirando gli sguardi di tutti gli elfi che li scorgevano. Tygra invece sembrava ritenere naturale la presenza dei draghi, quando in realtà non gli riservava occhiate curiose né faceva domande solo per non apparire scortese o invadente.
Attraversarono la città potendola finalmente ammirare con calma e la dovuta meraviglia, in silenzio perché troppo timidi e imbarazzati per porre domande. I draghetti non parevano sbalorditi, si limitavano a osservare il nuovo paesaggio con la stessa curiosità riservata a Darvil e al bosco che avevano fatto loro da casa per due mesi e mezzo.
Finché a un tratto la ninfa ruppe il silenzio e domandò cordialmente: «I vostri amici draghi... volano già?»
«Con qualche difficoltà.» rispose Mike.
«Solo alcuni.» precisò Susan «Altri non li abbiamo mai visti provare.»
«Desiderano una casa inaccessibile a chi è privo di ali, oppure preferiscono stare vicini a voi?» continuò Tygra.
Jennifer guardò Rubia e, rimembrando che lei ancora aveva paura di prendere il volo, rispose: «Lei preferisce stare a terra.»
«Allora per il momento troveremo un albero libero solo per tutti quanti voi.»
Camminarono a lungo al fianco di Tygra, videro pochi giovani e soldati in armatura pattugliare le strade invisibili, talvolta affiancati da un enorme felino. Ognuno sembrava farsi gli affari propri senza tuttavia negare un saluto a chi incrociava lungo la strada. Notarono anche che affianco alla porta d’ingresso di tutte le abitazioni c’era una specie d’insegna con incisi dei simboli; alcuni brillavano di una luce bianca, altri invece parevano spenti.
Solo quando giunsero davanti alle loro future abitazioni capirono cosa significassero; era un solo albero da cui emergevano due case in parte scavate dentro il tronco e in parte sospese nel vuoto, sostenute da elementi simili a contrafforti in pietra e legno. La più in basso era sospesa a una decina di braccia dal suolo e come per ogni altra casa si accedeva tramite una scala a spirale che proseguiva fino alla casa più in alto, e ancora fino a un ponte che collegava il loro albero con quello più vicino.
Tygra cominciò a salire le scale illuminate da quelle magiche lanterne azzurre e i ragazzi legarono i cavalli, sebbene avessero l’impressione che non fosse necessario, per poi seguirla insieme ai draghetti. Prima di giungere alla porta passarono sotto le parti sporgenti della loro futura abitazione, i contrafforti in legno e pietra mostravano quindi un grosso ovale per permettere il passaggio di scale e persone, oltre a intricati disegni in cui spazi pieni e vuoti si alternavano con grazia.
La Ninfa si fermò davanti alla porta chiusa della prima casa, indicando le rune spente: «Qui ci sono sei posti liberi, ugualmente la casa sopra. È difficile trovare dodici posti su un solo albero e in edifici che non siano già in parte abitati, perciò spero vi sentiate a vostro agio ad abitare tutti insieme.»
«Ah, quindi queste rune indicano i posti liberi?» domandò Andrew indicandole.
«Esattamente. Credo voi abbiate un concetto diverso di famiglia rispetto a noi.»
«Ce lo faremo andare benissimo, non dovete preoccuparvi.» le disse Layla con un sorriso.
«Molto bene. Dunque ora accompagnerò i vostri amici poco più su e lascerò a voi il tempo di ambientarvi. Credete di riuscire a trovare la strada per tornare da me, quando sarete pronti?»
«Non avremo problemi, e se dovessimo averne ci aiuteranno loro.» rispose Susan indicando Sulphane dietro di sé.
Tygra annuì e li salutò con un cenno del capo, poi indicò ai draghi di proseguire e con la grazia di chi avesse tutto il tempo del mondo salì i gradini che avvolgevano l’enorme tronco fino a sparire dalla loro vista, e con lei tutti e sei i draghetti.
Una volta sicuro che Tygra non potesse sentire, Mike saltellò e batté rapidamente le mani, in parte estasiato e in parte impaziente di esplorare la loro nuova casa: «Che posto meraviglioso! Non avrei mai creduto possibile abitare su un albero! Dentro un albero blu! Gli elfi sono semplicemente meravigliosi!»
«Calmati!» rise Jennifer.
«Non sei d’accordo?» esclamò lui sbalordito.
«Certo che lo sono, che domande!» rispose animata «Ma tu non avevi paura dell’altezza?»
Il ragazzino rimase interdetto per alcuni attimi e sentì un brivido percorrergli la schiena, ma lo scacciò dicendo con decisione: «Mi basterà non guardare giù!»
Trovarsi in un posto tanto strano e magnifico aveva fatto dimenticare loro gran parte del tormento dovuto alla partenza - eccetto Cedric naturalmente, che sembrava oscillare tra una profonda tristezza e una sorprendente suscettibilità che invitava gli altri a degnarlo a malapena di un’occhiata.
«Allora sbrighiamoci!» disse Andrew, e subito dopo aprì la porta dipinta di viola e sulla quale era inciso un motivo a scaglie di qualche strano pesce.
La prima cosa che notarono fu che non era molto illuminata, essendo sprovvista di lumi accesi ed essendo le tende tutte tirate a coprire le finestre. Ma Mike si affrettò a scostare quelle della finestra alla loro sinistra, illuminando un poco quella che pareva una stanza vuota dalla strana forma a imbuto. Da entrambe le parti c’erano pareti convesse di legno levigato dotate di mensole vuote: s’inoltrarono senza chiudere la porta per far entrare più luce e si ritrovarono in un’altra stanza. Questa era più illuminata perché la tenda era già tirata da una parte, e i ragazzi videro quattro stanze aperte su quella che doveva essere la sala centrale: due a sinistra della finestra e due a destra. In mezzo alla sala c’era un tavolo così basso cui avrebbero potuto sedersi solo senza sedie - in effetti notarono che le sedie mancavano. Incavato nella parete opposta alla finestra, alla loro destra, c’era quello che sembrava un camino in pietra venata di blu. Si decisero a esplorare le quattro stanze in senso orario, partendo da quella alla loro sinistra. Scoprirono così che erano stanze da letto, due singole e le altre per due persone. Avevano tutte un ampio balcone; non c’era una porta per accedervi, l’intera parete ricurva opposta all’ingresso era una finestra aperta sulla foresta, la copriva soltanto una tenda di un tessuto traslucido che pareva al contempo leggero e resistente. Ogni stanza l’aveva di colore diverso.
Finita l’esplorazione si ritrovarono nella sala, Susan aveva un’aria quasi sconvolta ed espresse a voce il pensiero di tutti: «Solo quattro stanze, un tavolo e un camino. Niente bagno? Niente cucina? Nient’altro? Quattro camere?»
«Andiamo, le camere non saranno un problema.» disse Mike con una scrollata di spalle «Ma il bagno sì! Insomma... gli elfi non hanno certi bisogni?»
«L’unico modo per saperlo è chiedere perché manchino.» disse Layla cercando di mantenere la calma.
Passando oltre il momentaneo inconveniente si ritrovarono a discutere delle camere: decisero che Layla e Cedric avrebbero abitato nelle due camere singole, che erano quelle centrali e quindi per la maggior parte della loro superficie sospese nel vuoto, mentre Mike e Andrew avrebbero preso una delle due camere a due posti, e Susan e Jennifer l’altra.
Uscirono e scesero le scale per prendere le proprie cose, per poi risalire e cominciare a rendere abitabile la propria stanza a cominciare dalle tende chiuse; sentivano di poterle lasciare aperte tutto il giorno, sia perché la casa era sospesa sia perché dubitavano che tra gli elfi ci fossero ladri. Lasciarono le stoviglie di Mike e Susan vicine al camino spento o in alternativa sul basso tavolo, poi uscirono e questa volta salirono le scale per andare a trovare i draghetti, sperando che fossero ancora lì.
Li trovarono, ed esplorando la casa scoprirono che era davvero molto simile alla loro, con la differenza che aveva tre stanze più larghe, ognuna dotata di un ampio balcone proprio come le loro. Aprirono le tende in modo che i draghetti non rischiassero di rovinarle facendo da sé, cosicché potessero in futuro usufruire del balcone per atterrare - in caso la porta d’ingresso o il corridoio diventassero troppo piccoli per consentire il loro passaggio una volta cresciuti.
Fecero ritorno verso la piazza dove avevano incontrato Tygra a passo lento, continuando a guardarsi intorno sebbene le costruzioni fossero tutte molto simili tra loro. Non salutarono gli elfi che incontrarono, però gli sorrisero perché sapevano per certo che l’avrebbero compreso e non male interpretato; gli elfi talvolta rispondevano con uno dei loro sorrisi serafici, altrimenti si limitavano a guardarli incuriositi. Soprattutto guardavano i piccoli draghi senza riuscire a nascondere una certa ammirazione.
C’erano così tante piante a loro sconosciute che Jennifer quasi impazzì nell’indicarle e ripetendosi che prima o poi se le sarebbe annotate tutte sul libretto che al momento non aveva con sé.
Senza difficoltà giunsero nella piazza dell’albero bianco dove Tygra e Deralius li aspettavano, ma con loro c’era qualcuno: un’elfa e uno di quegli enormi felini, il primo dal pelo bianco che avessero visto finora. Si avvicinarono titubanti, catturando gli sguardi di tutti e quattro.
La tigre che avevano davanti era ancora più grossa dei felini che avevano visto girare per la città insieme ad altri elfi: solo la testa era più grande del loro busto, aveva due candidi denti a sciabola lunghi più della loro testa, i suoi occhi completamente verdi dalla pupilla bianca e splendente erano grandi quanto una mano. A collo teso sarebbe stata più alta di loro a cavallo. Il corpo era lungo e snello, le zampe relativamente sottili con artigli neri grandi quasi quanto la loro testa. Il manto era bianchissimo con delle strisce nere, proprio come una tigre bianca, ma le orecchie erano a punta, come quelle di un gatto, come anche l’estremità della coda. Aveva indosso una sella blu con i bordi argentei.
La giovane elfa che la cavalcava aveva la pelle di un blu chiarissimo, due grandi occhi dalla pupilla bianca e dall’iride dello stesso color verde acceso degli occhi della tigre, due lunghe orecchie a punta, capelli blu con qualche riflesso azzurro o nero. Indossava una lunga veste completamente bianca che a tratti rifletteva la luce mandando bagliori argentati, come se fosse coperta di piccole scaglie lucide come specchi. Non aveva maniche e le lasciava la schiena scoperta allacciandosi al collo come la veste di Tygra; gli ampi spacchi ai fianchi lasciavano intravedere un paio di lunghi pantaloni che sembravano di un leggero tessuto che riluceva come velluto. Ai polsi e al collo aveva dei gioielli d’argento decorati con quello strano quarzo lucente, una catenella le scendeva sulla schiena mentre un’altra collegava le due estremità dell’orecchio sinistro. Ai piedi calzava morbidi stivali candidi, e alla sella blu aveva legato un lungo arco argento con tre punte lungo ogni flettente, opposte alla corda.
La tigre annusò intorno a sé e dall’aria seria e minacciosa che aveva ne prese una più rilassata, l’elfa dalla pelle blu le fece qualche dolce carezza sul collo, poi si avvicinò ai ragazzi e si presentò con un inchino: «Onorata di fare la vostra conoscenza, Amici dei Draghi. Io sono Neraye, Sacerdotessa delle Lune di Hayra’llen, e lei è la mia fedele amica Anutwyll.»
«Amica?» le chiese Susan stranita, poi, imbarazzata, si mise la mano davanti alla bocca come se avesse appena fatto una brutta figura.
Con sua sorpresa l’elfa si rialzò e rise allegramente: «Certo. Siamo amiche da molto tempo ormai. Se non mi avesse accettata come amica non avrei mai potuto cavalcarla come fate voi con i vostri cavalli. Loro sono solo animali in grado di capirci, ma non di scegliere il cavaliere.» Anutwyll ruggì sommessamente, forse divertita.
I ragazzi si presentarono a loro volta inchinandosi, presentando anche i draghetti che non avevano intenzione di aprire la mente a nessuno al di fuori di loro sei.
Dopodiché Tygra riprese parola: «L’albero che vedete qui è la mia dimora. Siamo profondamente legati, pertanto lui prende parte delle nostre energie e le restituisce alla foresta, concedendole di crescere rigogliosa e restituendoci a sua volta le nostre stesse energie tramite i frutti degli alberi, l’acqua delle sorgenti, e la vita delle creature. Questo albero è il cuore di Hayra’llen, e le sue forti radici possono fungere da penitenziario.»
«Ora vi faremo visitare la città.» disse invece Neraye col suo strano accento, incamminandosi seguita da Anutwyll.
Seguendole tra gli alberi capirono finalmente cosa fossero gli edifici che avevano talvolta visto tra una casa in pietra e l’altra: c’erano scuole per i giovani, negozi, numerosi altari, porticati privi di tetto costruiti attorno alle diverse sorgenti d’acqua. Più a nord videro la caserma col relativo campo d’addestramento costruito in una radura, poi la biblioteca - un edificio che somigliava a una torre molto alta e stretta - un tempio e quello che Neraye disse essere un museo, ma solo Cedric capì di cosa si trattasse.
Quando tornarono nella piazza dell’albero bianco, Andrew chiese timidamente dove fossero i bagni, dato che non ne avevano visti nell’abitazione. Gli fu risposto che i bagni si trovavano sottoterra, scavati sotto ogni albero che fungeva da abitazione oppure direttamente all’interno delle radici, o ancora in apposite aree della città - sempre sottoterra. La cosa che però sconvolse i ragazzi fu che gli elfi, a quanto pareva, si lavavano direttamente nei corsi d’acqua che scorrevano nei pressi della città o nelle sorgenti, quando lo desideravano e senza badare alle nudità altrui.
Questo sarà un bel problema... pensò Mike preoccupato, e si trattenne dal lanciare un’occhiata a una qualsiasi delle tre ragazze accanto a lui.
Perché dovrebbe preoccuparvi così tanto? domandò Sulphane a tutti loro, sapendo che avevano reagito tutti allo stesso modo a quella notizia.
È una questione di rispetto, credo... tentennò Layla.
Abitudine direi ribatté Jennifer Ci basterà abituarci.
Non sarà facile... commentò Cedric.
Ma se gli Elfi sono abituati così, non faranno caso a voi disse Rubia.
No, saremo noi a farci caso esclamò Andrew.
Cercando di non darvi peso, Susan scosse la testa e domandò: «Garandill vi ha informati riguardo il nostro problema con la magia?»
«Certamente. E ci dispiace dovervi dire che non possiamo fare molto per aiutarvi, ma è sicuro che faremo il possibile.» rispose Tygra.
«Sono pochi gli abitanti in grado di comprendere e parlare la vostra lingua, vi chiediamo di avere pazienza. E se aveste bisogno di qualcosa venite a cercare noi.» disse Neraye «Ora, se volete potete guardarvi intorno, tornare alla vostra abitazione, oppure semplicemente rilassarvi. Altrimenti posso già accompagnarvi da colui che seguirà i vostri primi tentativi di controllare la magia.»
I ragazzi non ci misero molto a decidere che quel giorno avrebbero riposato e mangiato, e che si sarebbero un poco ambientati girando per la città. Jennifer voleva assolutamente disegnare alcune delle piante che aveva visto. Quindi salutarono l’elfa e la ninfa e tornarono verso casa, Susan e Layla con aria sognante, Jennifer eccitata, Cedric e Andrew ancora sovrappensiero per la questione dei bagni, e Mike parlava animatamente con Zaffir, che lo seguiva con la sua goffa camminata sulle ali.
Jennifer riuscì di nuovo a trascinarsi dietro Cedric per tutto il tempo che volle passare a studiare le nuove piante - Rubia e Smeryld li seguivano un po’ distanti giocando tra loro. Andrew e Umbreon tornarono invece verso casa decisi a studiare il vicinato, ma senza fermarsi a parlare con nessuno. Gli altri decisero di vagare senza una meta precisa, contando sul fatto che i tre draghetti avrebbero facilmente ritrovato la strada per tornare alla loro nuova casa.
«Potevamo almeno chiedere come si saluta a Tygra o Neraye!» esclamò Susan d’un tratto, guardando sopra di sé un lungo ponte di legno viola collegare due alberi blu.
Layla si sfiorò la collana datale dalla madre e annuì, mentre Mike corse via costringendole a seguirlo. Passarono il resto della giornata osservando con ammirazione la città e sorridendo agli abitanti; incrociarono un paio di enormi felini che parvero non accorgersi nemmeno di loro; si riposarono sotto uno dei tanti porticati aperti che racchiudevano al loro interno una fontana; camminarono lungo gli argini di tre piccoli corsi d’acqua che attraversavano la città. Infine tornarono a casa, prima dell’ora di cena, quando la Foresta cominciava a diventare buia ma gli alti alberi dalle foglie chiare raccoglievano i raggi aranciati del sole morente, diffondendoli nella nebbia sopra le loro teste.
Le lanterne delle case e delle scale si accendevano mentre i tre ragazzi stavano seguendo i draghetti sulla via verso casa; Zaffir svolazzava ogni tanto per poi atterrare o a terra o sulle spalle di Mike.
Susan corse saltando i gradini a due a due per vedere se Jennifer fosse in casa, ma trovò solo Andrew che stava cercando di accendere il camino per cucinare con la legna già tagliata e ammucchiata in una pila ordinata lì accanto, coprendo tutta la parete opposta all’ingresso. Non sapevano come accendere le lanterne magiche, quindi aveva pensato che sarebbe stato utile avere il camino acceso anche per fare luce.
Jennifer arrivò saltellando felice qualche minuto dopo, insieme a Cedric, lei e Layla corsero su per le scale. Andrew, con l’aiuto di Susan, era finalmente riuscito ad accendere il camino. Intanto Cedric prese il cavallo e andò a riempire alcune borracce d’acqua, così che poi avrebbero potuto cucinare nel camino, e Layla preparò il tavolo con le stoviglie.
Ebbero una cena fugace, dopodiché decisero di andare ognuno nella propria stanza e ci misero inaspettatamente molto ad addormentarsi, ancora sopraffatti dalle emozioni provate durante tutta la giornata. Erano arrivati dagli elfi in un solo giorno e si erano ritrovati in una parte della Foresta così magnifica da lasciarli senza fiato, come anche le creature che la abitavano. Gli sembrava di stare vivendo dentro un sogno, era tutto troppo bello per essere reale.

  
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