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Autore: Chipped Cup    14/12/2016    4 recensioni
[ One Shot | Johnlock ]
«Sherlock cosa stiamo facendo?»
Questa volta il tono di voce era decisamente più alto, impossibile che il suo... amico (in realtà non sapeva più che nome dargli) non l'avesse sentito. E invece l'uomo non accennava a volersi voltare o a muovere un solo muscolo, anzi continuava a tenere lo sguardo puntato verso un punto indefinito oltre il vetro sporco della finestra, pensieroso forse. John si domandò se stesse respirando, perlomeno. Strinse le labbra, senza smettere di fissarlo, spazientito da quel comportamento, ma non aggiunse nient'altro. Il primo passo lo aveva fatto, adesso stava a lui dire qualcosa, qualunque cosa.
«Sesso, John. Abbiamo fatto sesso.»
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel “Ti Amo” rubato




«Sherlock...»

John provò a chiamarlo, a chiedere la sua attenzione, sussurrando il suo nome debolmente, un tono di voce così basso che lui stesso faticò a sentire quello che aveva appena detto. L'altro, dal canto suo, non sembrava aver udito il minimo suono. Se ne rimaneva fermo, in piedi davanti alla finestra della camera da letto, immobile, e gli dava le spalle. Era in quella posizione da, ad occhio e croce, venti minuti.

«Sherlock», provò ancora, alzando la testa per guardarlo, «Sherlock cosa stiamo facendo?»

Questa volta il tono di voce era decisamente più alto, impossibile che il suo... amico (in realtà non sapeva più che nome dargli) non l'avesse sentito. E invece l'uomo non accennava a volersi voltare o a muovere un solo muscolo, anzi continuava a tenere lo sguardo puntato verso un punto indefinito oltre il vetro sporco della finestra, pensieroso forse. John si domandò se stesse respirando, perlomeno. Strinse le labbra, senza smettere di fissarlo, spazientito da quel comportamento, ma non aggiunse nient'altro. Il primo passo lo aveva fatto, adesso stava a lui dire qualcosa, qualunque cosa.

«Sesso, John. Abbiamo fatto sesso.»

Sherlock parve ridestarsi all'improvviso, uscire da quell'apparente stato di trance in punta di piedi, prendendo totalmente alla sprovvista il dottor Watson alle sue spalle. Sapeva che prima o poi avrebbero dovuto affrontare quell'argomento, anche se da parte sua si era sempre premurato di tenere entrambi impegnati (con casi complicati o semplici azioni quotidiane) così da rimandare quella discussione per il maggior tempo possibile. Non sapeva bene cosa dire; Sherlock Holmes, colui che aveva sempre la risposta pronta, che studiava ogni situazione, anche la più imbarazzante o delicata, nel minimo particolare così da tirare fuori un discorso coerente e dettagliato, non riusciva ad affrontare un confronto che appariva semplice alla maggior parte degli esseri umani.

«Oh, grazie mille per questa arguta osservazione, ma fin qui ci ero arrivato benissimo anche da solo.»

Commentò John con un mezzo sospiro, alzando gli occhi al cielo esasperato per quell'ovvietà che aveva ricevuto come risposta. La verità era che era stanco del silenzio che veniva a crearsi ogni volta dopo averlo fatto, e sicuramente il suo coinquilino se n'era accorto. Non era la prima volta che accadeva, il tutto andava avanti da un paio di mesi addirittura, e la prima volta era successo tutto così inaspettatamente che ancora faticava a realizzarlo, eppure ne aveva memorizzato ogni minimo dettaglio e, se chiudeva gli occhi, poteva vederli tutti nitidamente.

Era notte fonda ed avevano appena risolto un caso importante per conto di Scotland Yard. Il freddo pungente gli infastidiva le guance, il naso e la fronte, eppure si sentiva accaldato come non mai, il respiro corto, il cuore che martellava all'impazzata dopo aver visto la morte in faccia per l'ennesima volta. Avevano rincorso il loro uomo per più di 600 metri, per strada, evitando un'autovettura dietro l'altra. Sherlock aveva perso terreno e John lo aveva inseguito da solo, fino all'ultimo piano di un vecchio edificio abbandonato. C'era stata una colluttazione e si era ritrovato, non sapeva come, sospeso nel vuoto nella frazione di un secondo, aggrappato con ogni forza al cornicione bagnato dalla forte pioggia che scendeva da oltre venti minuti. Aveva davvero pensato di morire, di cadere, di ritrovarsi con la testa spaccata disteso lungo il marciapiede sottostante. Ironia della vita, se pensava al trauma che gli aveva causato il finto suicidio di Sherlock, ancora riviveva la sua interminabile caduta nei suoi incubi peggiori. Poi delle mani lo avevano afferrato, Sherlock lo aveva tirato su col cuore in gola; John stesso non sapeva quand'era stata l'ultima volta che lo aveva visto così agitato. Gli stringeva ancora le braccia senza decidersi a lasciarlo andare, senza sapere se lasciarlo andare. Lo guardava intensamente, John pensò che lo avrebbe abbracciato da un momento all'altro, ma Lestrade (che aveva appena ammanettato il fuggitivo) li interruppe. Non parlarono fra loro per tutto il tragitto in taxi, mentre una volta a casa, da soli, era bastata una semplice occhiata ed entrambi, in automatico, si erano scagliati l'uno tra le braccia dell'altro, in un bacio passionale e liberatorio.

«Sherlock!»

Lo richiamò, allora, ancora più infastidito perché l'altro continuava ad ignorarlo. Anche lui aveva cercato di non affrontare quella discussione, non poteva nasconderlo, come Sherlock aveva fatto di tutto per scappare da quel confronto, ma si rendeva conto che non potevano andare avanti in quel modo. Aveva indossato i suoi boxer e se ne era rimasto lì, seduto sul letto, i piedi nudi sul pavimento freddo e le mani chiuse a pugno sul comodo materasso del suo coinquilino. Aveva osservato le pareti rovinate per chissà quanto tempo, fino a decidere che aveva bisogno di dare un nome a quel loro comportamento, doveva sapere cosa stavano facendo e perché lo stavano facendo. Doveva sapere dove sarebbero andati a finire, forse.

«Cosa vuoi che ti risponda esattamente, John?»

Per quanto a lungo poteva evitare di parlarne? Fosse dipeso da Sherlock probabilmente per tutta la vita, ma John non era dello stesso avviso, proprio per niente. John voleva delle risposte e l'altro sarebbe stato anche felice di dargliele, se solo avesse saputo cosa dire. Cosa si aspettava, John? Cosa voleva sentirsi dire? Sherlock era pronto a dire qualsiasi cosa lui volesse, davvero. Gli era sempre piaciuto stupirlo, spiegare anche il più complicato ragionamento che lo aveva portato alla soluzione dell'ennesimo caso intricato. Aveva sempre avuto l'impressione che John rimanesse affascinato dai suoi discorsi, ammagliato e rapito, e lui spesso si lasciava andare proprio per questo, esponeva tutto nel modo più vittorioso che poteva e poi osservava lo sguardo estasiato dell'altro, il sorriso che gli si dipingeva sulle labbra, quella strana luce negli occhi.

Sherlock avrebbe detto qualunque cosa per vedere quella luce e quel sorriso, ma per una volta, non sapeva da dove iniziare. Non era il suo campo, non era mai stato il suo campo e probabilmente non lo sarebbe mai diventato. Lui era la mente, basava la sua intera vita su di essa. Aveva scoperto di avere un cuore solamente da quando John aveva messo piede a Baker Street.

«Ah, no. No. No, no, no. Non ho intenzione di venirti incontro questa volta, Sherlock.»

John mise subito le cose in chiaro, enfatizzando le sue parole con un rapido movimento della mano da sinistra verso destra, dopo aver scosso il capo un paio di volte. Sperava di risultare fermo, di apparire irremovibile ma, certo, sarebbe stato più convincente se l'altro lo avesse degnato di uno sguardo, o anche solo di una mezza e rapida occhiata. Watson lo conosceva, sapeva quanto fosse difficile per lui, ma sapeva anche che se fosse dipeso da lui quell'argomento non sarebbe mai stato affrontato, nessun discorso sarebbe mai uscito dalla sua bocca. Sicuramente, però, non aveva intenzione di imboccargli parole. Non voleva esprimere il suo punto di vista, rivelare ciò che provava, sentirsi dire dall'altro di pensare le stesse identiche cose, solo per toglierlo da quella scomoda posizione. Aveva bisogno di sapere cosa pensava, tutto dipendeva da quello, la loro vita di sicuro, forse la loro stessa felicità.

Sherlock mosse appena il capo nella sua direzione, quasi si fosse finalmente deciso a guardarlo negli occhi e fronteggiarlo, ma si bloccò subito, quasi avesse paura di quello che poteva trovare. Restò per un secondo con la testa leggermente chinata in quella posizione e poi tornò dritto, a guardare tutto e niente oltre la finestra, lasciandosi scappare un lungo e profondo respiro. Era vestito solo con la veste da camera, teneva le mani nelle tasche da chissà quanto tempo. Alla fine parve come svegliarsi da un sonno infinito, si tolse la veste lasciandola scivolare lenta sul pavimento, rimanendo così solamente coi boxer.

John, che non aveva mai smesso di osservarlo, nel frattempo, rimase completamente sconvolto da quel gesto, come lo si poteva notare dagli occhi sbarrati e la bocca spalancata. Sherlock gli passò davanti, continuando ad evitare il suo sguardo. John, dal canto suo, continuò a fissarlo, ad esaminare il suo corpo, a provare il forte desiderio di tastarlo, accarezzarlo, leccarlo, baciarlo. Cosa gli stava succedendo? Cosa gli stava facendo, Sherlock Holmes? Lo vide abbassarsi e recuperare i suoi pantaloni da terra, cominciando così a rivestirsi.

«Non ci provare, questa volta non si scappa Sherlock. Dobbiamo parlarne.»

Si alzò all'istante, John, e corse a posizionarsi davanti la porta, più che deciso a bloccarlo con ogni mezzo se solo avesse provato ad uscire da quella camera senza averne parlato. L'altro continuava a non guardarlo e questo lo infastidiva, lo avrebbe preso volentieri a pugni in quel momento – beh lo avrebbe preso a pugni la maggior parte del tempo, a dire il vero, ma la tentazione quella volta era davvero molto forte, soprattutto per come continuava ad ignorarlo così bellamente. Era snervante.

«Ho un appuntamento con un cliente, John, te ne avevo anche parlato questa mattina. Non sto scappando, voglio solo farmi trovare presentabile.»

Affermò lui per tutta risposta, esponendo il tutto con il suo solito tono calmo e più che tranquillo. Doveva sempre apparire così, non si faceva mai vedere titubante o nervoso, non se lui lo stava osservando così attentamente, soprattutto. Ignorò volutamente qualsiasi tipo di conversazione, fece finta di non aver neanche udito la richiesta del suo coinquilino e quasi si convinse di averla scampata un'altra volta. Del resto John non poteva opporsi al suo lavoro e dovevano prepararsi entrambi, si sentì improvvisamente più tranquillo e trattenne con ogni sua forza il sorriso che voleva venire fuori vittorioso. Ma John scoppiò subito a ridere.

«Solo due parole: Buckingham Palace.»

Continuò a ridere di gusto ricordando quello strambo giorno a palazzo, erano passati anni, ormai, ma proprio non riusciva a restare serio se si parlava di quell'episodio. Anche Sherlock si lasciò andare ad una risata silenziosa, ricordando di come aveva fatto infuriare Mycroft presentandosi vestito solamente con un lenzuolo. Il posacenere che aveva preso di nascosto per John doveva ancora trovarsi in qualche angolo del 221 B, probabilmente in salotto, magari sepolto dalle sue scartoffie. Doveva cercarlo, in effetti, a John piaceva tanto.

«Sherlock, per favore», cominciò a dire John, tornando serio, «dove stiamo andando?»

Lo osservò inarcare un sopracciglio, mentre lasciava passare la cintura nella fibbia. Finalmente si voltò a guardare John, forse ormai certo che il dottore avesse deciso di lasciar perdere e rimandare ogni discussione al giorno dopo, o a quello dopo ancora. Lo osservò come se fosse improvvisamente impazzito, poi prese a guardarlo preoccupato. Aggrottò la fronte domandandosi il perché di quella strana domanda, eppure era stato abbastanza chiaro, come suo solito.

«In salotto, il cliente arriverà fra ventisette minuti e nel frattem–»

«No, intendevo...», si bloccò giusto il tempo per sospirare spazientito, l'ingenuità di Sherlock certe volte lo lasciava davvero senza parole, «non parlavo del cliente, ma di noi. Dove stiamo andando, noi? Questa... situazione, fra noi... cosa succederà?»

Cercò di misurare le parole, cercare di far arrivare il concetto ben chiaro alle orecchie del suo migliore amico, ma si rese conto solo in quell'istante di essere completamente impreparato ad un discorso del genere, non meno di Sherlock. L'altro aveva sempre allontanato e rigettato qualsiasi tipo di sentimenti definendoli una 'debolezza', lui aveva sempre allontanato qualsiasi tipo di sentimenti nei suoi confronti. In passato li aveva chiamati in ogni modo: ammirazione, amicizia, gratitudine, affetto, ma sapeva che nessuno di quei termini era lontanamente vicino a ciò che davvero provava. Cercava di non pensarci, di fingere che quell'uomo non lo attraesse, di negare di essere legato a lui in quel modo, e lo aveva fatto per così tanto tempo da essersi quasi abituato, da essere in grado di controllarsi nella maggior parte del tempo.

«John, se a te non sta bene o se ti fa sentire a disagio, allora...»

Allora, cosa? Era rimasto a fissarlo intensamente prima di aprire bocca, tante erano le parole che gli ronzavano per la testa, ma non riusciva a connetterle tra loro in modo che avessero senso. Non sapeva bene come rispondere a quella domanda, ma sapeva quale fosse la sua preoccupazione più grande: John, era sempre e solo John, in effetti. Non avrebbe fatto niente per ferirlo e avrebbe fatto qualunque cosa per vederlo felice. Era stato un fatto strano da constatare, all'inizio, ma alla fine lo aveva accettato pur domandandosi più e più volte perché quell'uomo era così importante. Sapeva che quello che stava succedendo tra loro non gli dispiaceva, ma era pronto a troncare tutto se John non fosse stato dello stesso avviso.

«A me sta più che bene.»

Aveva parlato così in fretta che entrambi ne rimasero sorpresi. Il dottor Watson si maledisse per aver espresso quel pensiero ad alta voce e si morse immediatamente la lingua, desiderando di essere in grado di diventare invisibile a comando. Sherlock lo guardava, impenetrabile. Doveva proprio guardarlo, adesso? Cercava di studiarlo e per questo abbassò lo sguardo, imbarazzato. Percepiva i suoi occhi chiari e freddi come il ghiaccio, indagatori, fissi su di lui.

«Bene.»

Mormorò solamente, alla fine. John aspettò qualche secondo, ancora lo sguardo puntato verso il pavimento, immaginando che presto avrebbe aggiunto qualche altra cosa, ma quando sentì Sherlock voltarsi e dirigersi verso l'armadio rialzò il capo, ancora una volta, accigliato. Bene? Solamente quella parola? Non aveva proprio nient'altro da dire? Sherlock fece scorrere le dita lungo le varie camicie appese alle stampelle, indeciso su quale fosse meglio. John gli andò dietro come un cagnolino.

«La domanda era un'altra, Sherlock. A te sta bene? Voglio dire, questa situazione non ti imbarazza? Vuoi... vuoi continuare a... insomma...»

Si grattò il capo a disagio, cominciava a sentire le guance andare a fuoco. Davvero, non avrebbe mai immaginato di arrivare a parlare di tale argomento con Sherlock Holmes. E la cosa peggiore era che aveva davvero paura della sua risposta, soprattutto ora che aveva anche ammesso ad alta voce il suo desiderio. Aveva cominciato a vedere quello che era già chiaro da un bel pezzo a tutti quanti, aveva accettato il fatto di considerare Sherlock più di un semplice amico, e gli piaceva. E non pensava solo al sesso, gli piacevano i baci e le carezze, gli piaceva aiutarlo nei suoi casi e vederlo impegnato nei suoi esperimenti, gli piaceva la vita che aveva, la vita con lui. Sì, gli piaceva Sherlock e gli piaceva stare con lui. E non era pronto a sentire un rifiuto, da parte sua, sarebbe stato un boccone amaro da mandare giù.

«John l'unica cosa imbarazzante, qui, è questa discussione.»

Affermò l'altro, l'ex soldato si domandò se poteva accettare quella constatazione come una risposta affermativa. Ancora una volta, il brillante detective evitò di parlare di ciò che realmente provava. Era dura per lui compiere quel passo, non era facile, ma sapeva che John avrebbe capito, lui che lo conosceva più di chiunque altro. Afferrò una camicia scura al volo e si portò davanti allo specchio, John si voltò e lo seguì, silenzioso. Sperava di essere stato ugualmente chiaro, con quell'affermazione, sperava che capisse che il sesso con lui non lo metteva in imbarazzo, che risvegliarsi con lui al fianco si era rivelato più che piacevole e che non aveva la minima intenzione di mettere un punto a tutto quello.

«Okay, ma–», John provò ancora a cacciargli di bocca qualche parola, ma Sherlock voltò appena il capo e lo fulminò con gli occhi. Al che il dottore capì che l'uomo non aveva la minima intenzione di continuare quel discorso e decise di lasciar perdere. «Mrs Hudson... lo saprà? Se ne sarà accorta?»

Pensò ai sorrisetti che la donna lanciava loro ogni volta che accompagnava qualche cliente alla loro porta, o semplicemente saliva per chiedere se avessero bisogno di qualcosa. Lo faceva spesso, quello strano sorriso, ultimamente. Ed aveva anche smesso con le sue solite insinuazioni. Si vedeva così tanto, che c'era stata quella svolta tra loro? Quante altre persone se ne erano accorte? E da cosa, poi? Si comportavano diversamente dal solito quando erano in pubblico? No, non gli risultava, soprattutto perché uscivano solamente per i casi di Sherlock.

«Credo che l'intero vicinato ne sia a conoscenza, con tutte quelle grida che ti lasci scappare ogni volta.»

John lo guardò come tramortito, sgranò gli occhi e serrò i pugni notando, invece, l'espressione divertita dell'altro, che cercava di non ridere e benché meno di sorridere, ma riuscendoci a fatica. Si sentiva rosso di rabbia e di imbarazzo, un bel modo per Sherlock per vendicarsi per quello che si erano detti poco prima, doveva ammetterlo. Con la coda dell'occhio lo studiava soddisfatto, cominciando ad indossare la camicia e constatando di averlo colpito in pieno. John abbassò lo sguardo, sospirò e scosse il capo un paio di volte, sconfitto. Non aveva la benché minima intenzione di ribattere a quel colpo – soprattutto perché effettivamente non era un'osservazione tanto sbagliata, quella di Sherlock.

«Mio Dio», esclamò piuttosto, attraversato da un altro pensiero, «cosa penserà la gente?»

John Watson, sempre preoccupato per quello che gli altri potevano pensare. Sherlock alzò veloce gli occhi al cielo e sospirò appena, non riuscendo proprio a capire cosa poteva interessare a loro del parere della gente. Le persone chiacchieravano, lo avevano sempre fatto, e a lui poco interessava dei loro discorsi. Contava sul fatto che anche John imparasse a lasciar correre; il genere umano è pieno di idioti, perché perdere tempo a preoccuparsi per quello che doveva passare per quelle loro noiose testoline vuote?

«Penserà che non ci sia niente di male se due adulti che sono consenzienti e che si amano reciprocamente si–»

«Aspetta, cosa?»

A momenti si strozzava con la sua stessa saliva, tra l'altro non era neanche sicuro di aver capito bene. Aveva parlato di amore, Sherlock aveva parlato di amore o aveva male interpretato il suo discorso? Due adulti che si amano reciprocamente, no, come poteva aver male interpretato quelle parole? Il significato era uno solo, non ce ne era un altro. Il consulente investigativo si voltò a guardarlo stranito, trafficando nel frattempo con i bottoni della sua camicia.

«Sono certo che al nostro vicinato non importi molto di quello che succede in questo appartamento, John, rilassati.»

Provò a calmarlo, non capendo bene da dove nascesse l'ansia improvvisa dell'altro. Faticava davvero a capirlo, a volte. Restarono a fissarsi, fermi, per una manciata di secondi. John non finiva più di domandarsi se per caso lo stesse prendendo in giro, Sherlock si chiedeva cosa avesse detto di così allarmante. Nessuno dei due riusciva ad arrivare ad una risposta concreta. Il moro riusciva a vedere la sua agitazione, non poteva sentire il battito del suo cuore ma immaginava che fosse accelerato, notando il suo respiro. Ebbe quasi timore che stesse per avere un attacco di panico, ma constatò presto, per fortuna, che non fosse quello il caso.

«Non mi stavo riferendo a quella parte, ma all'altra.» Provò a spiegarsi allora John, notando le sue evidenti difficoltà nel capire al volo da dove nascesse tanto stupore. Sherlock lo guardò muovendo appena il capo, continuando a non capire, «La parte sull'amore.»

Gli faceva uno strano effetto solamente pronunciarla, quella parola: amore. Se poi pensava al fatto che era stato Sherlock il primo a parlarne, allora arrivava a domandarsi se tutti quegli ultimi minuti non si fossero svolti semplicemente in un sogno. Forse si sarebbe svegliato da un momento all'altro e ci avrebbe riso su. E poi... stava sorridendo? Da quando? Se ne rese conto solo in quel momento e cercò di tornare serio, ma gli angoli della bocca tornavano meccanicamente a incurvarsi verso l'alto contro ogni suo comando. Tutto quello lo rendeva inavvertitamente felice.

«Allora?»

John provava a spiegarsi, ma Sherlock continuava a non capire quale fosse il punto. O dove stesse il problema. Cosa c'era che non andava in quello che aveva detto? Credeva di essersi spiegato bene così come credeva di aver fatto un ragionamento giusto, pensava che l'altro ne sarebbe rimasto colpito, certo, ma non sconvolto fino a quel punto. Notò il suo sorriso e cominciò a capire quello che aveva detto. Tornò quindi improvvisamente a concentrarsi sulla sua camicia, abbassò lo sguardo osservando i bottoni, uno per uno, sentendosi con la schiena al muro.

«Cosa volevi dire?»

John non aveva intenzione di lasciarlo scappare, certo, lo immaginava, e d'altronde glielo aveva anche detto. Gli si era parato di fianco, tanto che riusciva a sentire il suo respiro sulla sua spalla. Cosa voleva dire, gli chiedeva. E come poteva saperlo lui, Sherlock Holmes, così impreparato sul campo umano, che non sapeva neanche cosa volesse dire, esattamente, la parola amore. Però qualcosa la sapeva. Per esempio, sapeva di non riuscire a non pensare al viso di John fra le sue stesse mani, la prima volta che si erano baciati. Ricordava come le sue labbra morbide e calde si muovevano sicure sulle sue, facendolo sentire un completo disastro. Lui che era così inesperto voleva sentirsi all'altezza di John Watson, voleva diventarlo. John, poi, lo aveva preso per i fianchi, ricordava di essere letteralmente impazzito per quel gesto.

Ed ogni giorno impazziva, quando, dopo esser tornati a casa con l'ennesimo caso risolto tra le mani, entrambi eccitati ed euforici, si abbandonavano ai loro istinti, al loro desiderio e alla passione più sfrenata, una passione che Sherlock non avrebbe mai pensato di provare. Ma sapeva anche che tutto quello non accadeva solo per della semplice euforia, c'era tanto altro sotto. Tante emozioni mai provate, non sapeva neanche cosa fossero o come chiamarle. Si domandava, tante volte ultimamente, se fosse quello l'amore, il più grande dei sentimenti, il più narrato nei libri. Ma come poteva ottenere una risposta certa a quella domanda? Poteva dire di sentirsi incredibilmente felice, felice come mai era stato nella sua vita. Solitamente c'erano l'eccitazione per un caso importante e la soddisfazione provata grazie al suo lavoro, ma ora c'era anche qualche altra cosa. C'era John, a casa con lui, nel letto insieme a lui. Al mattino si svegliava tra le sue braccia. La prima volta era rimasto infastidito da quel gesto e glielo aveva detto senza problemi, ma la mattina dopo, quando lo aveva trovato girato dall'altra parte del letto si era sentito come incredibilmente vuoto, di nuovo. Così aveva provato ad abbracciarlo lui, e non era stato facile.

«Andiamo, John. E' davvero così importante, dirlo? Tu sai.»

Era arrivato ad abbottonare metà camicia, quando John lo fermò afferrandogli entrambe le mani. Sherlock alzò il viso, stupito e colto alla sprovvista da quel gesto, mentre il dottore restava con lo sguardo puntato sulle mani del suo amante – era così liberatorio dirlo – e sul suo petto scoperto. Lui sapeva, sì. Lo aveva sempre saputo con molta probabilità, fu palese solo in quel momento. Tutto quello che aveva fatto per lui, il modo in cui inconsapevolmente si erano presi cura l'uno dell'altro, era chiaro come la luce del sole. Era davvero un idiota, era una delle prime cose che gli aveva detto Sherlock, e gli dava ragione. Solamente un idiota avrebbe ignorato un legame del genere, un tale sentimento che era nato in entrambi e che cresceva ormai di giorno in giorno, da anni. Decise che non era così importante, sentirselo dire. Non ne aveva bisogno, lui, non se Sherlock avesse continuato a dimostrarglielo.

Gli lasciò andare le mani e, piano, cominciò a distruggere il lavoro che l'altro aveva fatto fino a quel momento, prendendo a sbottonargli la camicia. Alzò quindi il volto e lo guardò intensamente, mentre gliela lasciava scivolare lungo il corpo, giù fino al pavimento. Sherlock lo guardava sorpreso e, perché no, affascinato da quella strana e inaspettata piega che aveva preso quella discussione.

«Ti amo anch'io.»

Il cuore di entrambi prese a martellare all'impazzata dopo aver accolto a braccia aperte quella dichiarazione. Si sentivano incredibilmente bene, liberi e appagati. Finalmente felici, insieme, dopo anni di solitudine. John gli andò dietro, prese a lasciargli dolci e piccoli baci sulla spalla sinistra, nuda, inebriandosi del profumo della sua pelle. Sherlock aveva chiuso gli occhi, godendosi quel momento, fino a quando l'altro non gli sfilò via la cinta, così velocemente che faticò ad accorgersene.

«John», lo chiamò, in un piccolo gemito «il cliente...»

Non voleva fermarlo, in alcun modo. Forse era anche troppo tardi, per quello, constatò avvertendo sulla sua stessa pelle, da quanto gli stesse attaccato, l'eccitazione dell'ex soldato. In realtà non sapeva neanche lui perché aveva aperto bocca e adesso si malediva mentalmente per averlo fatto. Girò allora il volto verso sinistra, arrivando a sfiorargli il viso, invitandolo in quel modo a continuare, a lasciar perdere quello che aveva detto e magari a intimargli anche di chiudere la bocca con autorità. John lo notò e si sporse, così da lasciargli un bacio fugace a fior di labbra.

«Aspetterà.»

Commentò con filosofia, lasciando ben intendere che quello, al momento, era l'ultimo dei suoi pensieri. Anzi, che aveva un solo pensiero, e ben preciso, per la mente, che era poi lo stesso di Sherlock. Il detective si voltò soddisfatto e gli afferrò il volto, chinandosi poi leggermente prima di baciarlo con passione. Ormai aveva imparato, gli ci era voluto poco in verità e John si era rivelato un ottimo insegnante.

«E Mrs. Hudson?»

Gli domandò, dopo essersi staccato di pochi millimetri, divertito e curioso di sapere la sua risposta. Sentirsi così al centro del mondo, del suo mondo, tanto desiderato da fregarsene altamente di tutte le altre persone che li circondavano, faceva davvero male al suo ego già di per sé smisurato, ma John si disse che se ne sarebbe preoccupato in seguito, per quella volta lo avrebbe lasciato fare.

«Oh, sono certo che capirà da sola che sia meglio lasciarci in pace, per un po'.»

Affermò, alludendo alle parole che gli aveva detto poco prima. Sherlock rise, la bocca ancora che sfiorava le labbra di John, i respiri che si confondevano, i cuori che martellavano esaltati, all'unisono, come se fossero lo stesso muscolo. E per loro che erano ormai diventati una persona sola, non c'era neanche da stupirsi. Si completavano a vicenda, il cuore e la mente. Holmes e Watson, sembrava ormai impossibile e impensabile immaginare l'uno senza l'altro. Fin dal loro primo incontro avevano sentito di potersi fidare l'uno dell'altro, decidendo quindi di lasciarsi guidare da quell'assurda sintonia che si era creata fin dal primo istante. Così tanto fuoco ardeva in entrambi, così tanto che il sentiero che li avrebbe portati alla distruzione era stato davvero difficile da evitare. E invece, alla fine, magari contro ogni aspettativa, stando insieme erano riusciti a salvarsi a vicenda. Holmes e Watson, il consulente investigativo e il dottore, abbracciati in un morsa piena di elettricità e passione, che altro non sanciva se non il loro amore finalmente dichiarato.


Angolo dell'autrice:
Non ho molto da dire. Questa idea mi era venuta in mente settimane fa, ma l'avevo accantonata dopo poco per mancanza di ispirazione e voglia di scrivere (soprattutto). Poi è arrivato il trailer di sabato e mi sono imposta di scrivere qualcosa di leggero e di allegro, con qualche spruzzata di fluff qua e là per cercare di smettere di pensare all'ansia provocata da quei 40 secondi di video. Immagino stiamo tutti sulla stessa barca ^^'' quindi spero che vi sia piaciuta questa OS e che sia stato un modo per distrarvi dall'imminente S4, una boccata d'aria fresca in mezzo a tutto l'angst che ci aspetta fra meno di 20 giorni insomma.
Fatemi sapere il vostro parere se vi va, adoro confrontarmi con i 'lettori', dico davvero e le critiche sono ben accette. Un grazie a chiunque abbia letto :)
Un bacio,


PS. Il personaggio di Mary (e/o quello della bambina) non viene mai nominato volutamente: può non essere mai entrata nella vita di John, così come può essere morta o altro, lascio alla vostra immaginazione campo libero (anche se credo non sia molto importante ai fini di questa storia ;))

  
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