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Autore: cowslipkkoch_    14/12/2016    2 recensioni
How small the probability is to let me gain the ability to bravely love again? This is destiny's generosity, this is the heart's honesty.
 
destino ( = destiny, kismet ): /de·stì·no/, l'insieme imponderabile delle cause che si pensa abbiano determinato (o siano per determinare) gli eventi della vita; spesso inteso come personificazione di un essere o di una potenza superiore che regola la vita secondo leggi imperscrutabili e immutabili.
 
( raccolta di one shots SuChen )
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, Suho, Suho
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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{ intro: Jongdae deve trovare un nuovo soggetto da fotografare e Joonmyun cerca qualcuno che lo stimoli a scrivere nuove canzoni. }

 

MUSE(s)






Jongdae amava due cose: la fotografia e il mare. Per entrambe, fu amore a prima vista. Non aveva molti ricordi legati alla prima volta in cui ebbe il piacere di toccare la sabbia e sentire la brezza marina picchiare contro la sua pelle, poiché era appena un neonato di ventiquattro mesi, che a malapena riusciva a dire una parola sensata (anzi, non lo sapeva proprio fare), ma da un video, che la madre costudiva avidamente fra le vecchie cassette, si poteva benissimo capire che, per il piccolo Jongdae, quello fu un colpo di fulmine. Sin da quando iniziò a giocare con i granelli di sabbia, osservando ipnotizzato come lei scivolasse fra le sue piccole dita, fino a quando non lo portarono in acqua, dove prese a scalciare le piccole gambe robuste, felice, e divertito dagli schizzi d'acqua, che s'alzavano ogni volta che le gambe uscivano da essa. Diversamente dal suo primo colpo di fulmine con il mare, il ragazzo ricordava perfettamente quando tenne per la prima volta in mano una macchina fotografica e, come detto prima, anche lì fu amore a prima vista... o meglio dire, a primo scatto. Non era nulla di che, quella macchina fotografica. Non era nemmeno vera. Perché Jongdae a quell'età aveva solo sei anni. L'unica macchina fotografica che poteva maneggiare correttamente, secondo il padre, era una di quelle giocattolo, di plastica, che andava a pile, e per immortalare una scena dovevi necessariamente inserire un rullino o proprio non te ne facevi niente, ma andò così: dopo essersi procurato un rullino, da qualche piccolo negozio di fotografia, iniziò a fare scatti a qualsiasi cosa (pure una mosca era un soggetto perfetto da immortalare). Portò il giocattolo a ogni gita che faceva con la sua famiglia, stringendola fra le mani o mettendola dentro uno zainetto, e iniziò a tenerla con sé persino la notte, quando dormiva, finché non ricevette una vera macchina fotografica al suo dodicesimo Natale. Da lì, si aprì il mondo di Jongdae, il quale vedeva solo foto, che riprendevano per la maggior parte delle volte il mare, e il fatto che la sua famiglia andasse sempre a Seogwipo d'estate, non faceva altro che aumentare questo amore platonico per le due cose.




"Bella addormentata, sveglia!"
Un verso ancora non identificato dal genere umano uscì dalle labbra di Jongdae mentre tirava le braccia sopra il suo capo, per stiracchiarsi, nello stesso tempo in cui inarcava la schiena. Era così traumatico riprendersi da un sonno così profondo, soprattutto se si era stati svegliati da Park Chanyeol, che per la sfortuna di Jongdae era il suo coinquilino da quasi due anni.
"Quando ti stiracchi, sembri un vero gatto", commentò divertito il secondo, guardandolo dalla porta.
"Non fare commenti inutili, Park", sbuffò, mettendosi seduto di malavoglia, "Cosa c'è per colazione?", chiese, prima che l'altro potesse ribattere.
"Omelette", rispose eccitato, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
"Bruciate?".
Chanyeol sbuffò a quel commento, preferendo non rispondere e tornare in cucina, e Jongdae lo seguì poco dopo con un piccolo sorriso stampato in faccia. Come sospettato, le omelette erano bruciate, se non carbonizzate.
"Mi farai morire un giorno di questi", commentò il più basso dal suo posto a tavola, mentre lo "chef" di casa andava a buttare le sue due creazioni fallite.
Ed ecco come quella giornata iniziò per Jongdae, che ogni volta era svegliato dall'amico e poi era messo sotto tortura, dovendo testare i piatti che Chanyeol ogni mattina cercava di fare, prendendo spunto da qualsiasi pietanza di qualche paese straniero, e non c'era volta in cui ne facesse uno decente, fallendo il novantanove per cento delle volte. Il più basso trovava buffo, e anche un po' testardo (forse un po' troppo), il più alto. In due anni trascorsi sotto lo stesso tetto, l’amico non aveva mai rinunciato ai fornelli, nonostante che le sue capacità in quel campo fossero scarsissime, se non nulle, e ogni volta, a ogni pasto, a ogni ora, entrambi si ritrovavano con uno strano gusto in bocca e con le pietanze nemmeno a metà, pronte per essere buttate nella spazzatura o essere servite al gatto grasso della vicina, che a differenza loro accettava di buon gusto quei piatti. Dopo quell'ennesima colazione mancata, in cui si limitarono a bere del latte al caffè, i due si sparsero per il piccolo appartamento, come sempre: Jongdae occupò il salotto, preparando la borsa per il mare, e Chanyeol fece un via e vai fra bagno e camera sua, almeno tre volte, prima di poter fare la sua comparsa in salotto, con lo spazzolino ancora in bocca e il dentifricio che gli sporcava parte del mento.
"Torni in spiaggia anche oggi?", chiese il secondo, poggiandosi contro la porta che dava al salotto.
"Sì. Tu non vieni?", chiese il diretto interessato, sistemando con cura la sua Sony RX10.
"Magari dopo, ora non ci tengo a vedere il fotografo Kim in azione".
Quattro anni. Era da quattro anni che sentiva quel soprannome uscire dalle labbra dell'amico (Jongdae e Chanyeol si conobbero nei primi giorni dell'università e al secondo anno decisero di abitare insieme, così da poter mettere da parte più soldi per le spese universitarie e per quelle che servivano per placare qualche sfizio, che qualche volta, ogni tanto, non faceva mai male), e ormai non sapeva più dirsi se gli piaceva o no quel soprannome. Certo, non era un fotografo, o almeno non ancora, ma sapere che le sue foto erano alla pari di quelle di un professionista faceva piacere, e si sentiva realizzato; dopo quella frase il più alto ricevette solo un piccolo sbuffo come risposta, ma non ci fece caso, preferendo sedersi sul divano piuttosto che stare in piedi.
"Sai dove trovarmi, comunque", accennò il più basso, sapendo che prima o poi anche l'amico avrebbe messo piede nel porto.
"Al porto, dal bar di Minseok", recitò l'altro, alzando gli occhi al soffitto. Jongdae era così monotono e andava davvero negli stessi posti ogni giorno.





Per Jongdae abitare a Incheon era sicuramente una fortuna, non avrebbe mai potuto chiedere città migliore nella quale abitare senza doversi allontanare troppo dalla sua città natale, Seoul. C'era tutto ciò che amava e che gli serviva per vivere al meglio nel suo modo. Un appartamento né troppo lontano dall'università né troppo lontano dal porto e dalla spiaggia, il bar-ristorante di Minseok, amico stretto di Chanyeol, dove prendere il suo frullato preferito durante la giornata e mangiare quando il coinquilino falliva nelle sue creazioni, un porto (per appunto) e la sua amata spiaggia, dove fare il bagno nelle stagioni più calde e dove passeggiare quando fuori non si congelava dal freddo. Alcuni giorni apriva la finestra della sua stanza, si affacciava, sentiva la brezza del mattino sfiorargli la faccia, guardava l'orizzonte, dove si poteva scorgere la striscia blu del mare e pensava che fosse quello il modo in cui aveva sempre voluto vivere, e mentalmente si ricordava di ringraziare in qualche modo il fratello maggiore, che gli aveva dato l'opportunità di trasferirsi lì.
Quel giorno il porto era più calmo del previsto. Non c'erano grandi navi pronte a salpare, per andare chissà dove a consegnare le merci, ma c'era solo qualche nave di media o piccola grandezza che andava al largo, magari per pescare con tutta tranquillità o solo per dirigersi verso un'altra costa più a sud. Il grido dei gabbiani era leggero e lontano, combaciava perfettamente con la calma che regnava, e il filo d'aria spettinava appena i capelli del giovane, che camminava con un sorriso sereno a contornargli il volto e le dita che distrattamente picchiettavano lungo il lato della sua macchina fotografica. Calma, quella cosa sconosciuta, la quale Jongdae non aveva mai potuto assaporare a pieno nella caotica Seoul, dove ogni due per tre c'era qualche clacson a risuonare per tutte le strade e le voci delle persone che si sovrapponevano continuamente. Alcune volte gli mancava tutto quel movimento della capitale, ma non rimpiangeva di essersi trasferito ("Forse tornerò a Seoul quando tutta questa tranquillità mi avrà stancato", diceva sempre alla madre, quando gli chiedeva se avrebbe vissuto lì pure dopo la laurea, ed entrambi sapevano la verità: il ragazzo non si sarebbe mai stancato veramente di vivere ogni giorno in quell’ambiente).
Solitamente, Jongdae si recava al porto a qualsiasi ora per un semplice motivo: scattare delle foto. Il soggetto in una giornata poteva variare come poteva essere lo stesso, e se il soggetto rimaneva lo stesso per ben cinque scatti, il ragazzo a fine giornata sedeva su una panchina, osservava le cinque foto e decideva fra sé e sé quale delle cinque foto era venuta meglio. Era tutto calcolato, nulla era fatto a caso.





"Questa no, no, no no―".
"Jongdae?".
"Questa nemmeno e... oh mio Dio, cos'è questa roba?".
"Kim Jongdae!", esclamò Chanyeol, avvicinandosi di più all'amico.
"Cosa?!", quasi urlò Jongdae di rimando, attirando l'attenzione di alcuni clienti, che si girarono verso di loro.
"Ragazzi, non urlate", arrivò Minseok, cercando di sorridere gentilmente verso i clienti del suo stesso bar.
"Non è colpa mia se Chanyeol non la smette di chiamarmi", sbuffò il ragazzo con la macchina fotografica in mano, tornando a studiare tutti gli scatti che quel giorno aveva fatto.
"Non è colpa mia se sto raccontando a Jongdae cosa mi è successo a lavoro e lui m’ignora perché deve controllare le sue stupide fo― guardalo! Lo sta rifacendo!", rispose questa volta il più alto dei tre, indicando poi l'amico, che con un gesto della mano gli fece capire che ne aveva abbastanza.
"Ormai lo so che il ragazzo dalle labbra carnose e dalla pelle ambrata scappa via da te perché lo spaventi con il tuo brutto sorriso―".
"Ah, voi due, smettetela. Chanyeol, Jongdae ha ragione: sorridi in modo inquietante quando ti interessi a una persona; Jongdae, Chanyeol non ha tutti i torti: per una volta staccati dalla macchina fotografica quando ti racconta qualcosa, anche se è la stessa cosa", riferì il terzo arrivato con un tono tranquillo, di chi ne sapeva molto (e a dirla tutta, Minseok ne sapeva davvero molto, data l'amicizia con entrambi i ragazzi).
Sul tavolino in cui sedevano ci fu una bolla di silenzio che durò pochi minuti, con Chanyeol che beveva il suo frappè, Jongdae che osservava da lontano la sua Sony RX10 (poiché l'aveva appoggiata per fare un favore ai suoi amici) con fare nervoso e Minseok che si rigirava i pollici, mentre si guardava intorno, tanto per accertarsi che tutto filasse liscio durante la sua piccola pausa-non-pausa.
"Ho un problema", la bolla di silenzio scoppiò proprio con quella frase da parte di Jongdae.
"Quale? Che sei ossessionato dalla fotografia? Perché sì, è un problema e fatti curare―".
"Taci!", ringhiò lui contro il coinquilino.
"Che caratterino", borbottò egli, prendendo la cannuccia fra le labbra.
Minseok, che osservò quella breve scenetta in silenzio, provò con tutto se stesso a non scoppiare a ridere o a non sospirare, esasperato, preferendo poggiare i gomiti sul tavolino lucido e rivolgersi al primo, "Di che problema si tratta?".
"Stamattina sono andato al porto per scattare delle foto, no? Ne avrò fatte dieci e tutte e dieci non mi piacciono. Non mi piacciono!".
Il più piccolo dei tre saltò sulla sedia, come per dire "L'avevo detto!", ma fu fermato da uno sguardo minaccioso di Minseok, che silenziosamente lo convinse a non dire niente e a non peggiorare le cose. Era bello vederli discutere fra loro su un argomento non troppo serio, il maggiore non poteva nascondere che si divertiva ed erano molto meglio di qualsiasi film comico, ma voleva assolutamente evitare che uno di questi battibecchi avvenisse nel suo stesso locale... a dirla tutta non doveva nemmeno essere lì con loro, quindi era un motivo in più per evitare tutto ciò. Nello stesso tempo, Jongdae si era bellamente accasciato sul tavolino e le mani stavano stringendo in modo possessivo la sua macchina fotografica, come se, in quel modo, all'improvviso l'ispirazione potesse colpirlo come un treno in corsa.
"Forse dovresti smetterla di scattare foto tutti i giorni ma ogni tanto", mormorò il più alto, con la paura che da un momento all'altro potesse arrivargli un pugno dritto nel naso.
"E ti serve un nuovo soggetto da fotografare!", aggiunse il barista, annuendo insieme a Chanyeol.
Il terzo alzò lo sguardo, poggiando il mento contro il materiale freddo del tavolino e passò lo sguardo da un volto all'altro, dubbioso, "Niente più foto al mare ogni giorno?".
Un altro cenno e Jongdae tornò con la fronte attaccata al tavolino. Stava vivendo un incubo.





Era incredibile come una cosa così piccola, per Jongdae, fosse gigante. Dal momento in cui Chanyeol e Minseok gli vietarono severamente di girovagare per il porto con la macchina fotografica, il mondo gli cadde addosso. La cosa fu ancora più devastante quando, tornato a casa, il coinquilino gli prese la sua adorata Sony RX10 e la nascose (proprio come se lui fosse un genitore e il più basso, il bambino che vuole giocare piuttosto che fare i compiti), e qualora iniziasse a cercarla, comunque, il più alto appariva dal nulla e gli faceva fare altro per occupare la mente.
E ora Jongdae si trovava lì, seduto sulla sabbia, solo, a guardare il sole tramontare mentre la brezza del mare gli spostava le ciocche dei capelli che fuoriuscivano dal cappuccio, alzato fin sopra la testa. Osservò le nuvole che passavano davanti al sole, scure, in contrasto con il tono chiaro del cielo, e senza accorgersene aveva già il telefono in mano, pronto per scattare una foto. Click. Aprì la galleria e schiacciò sulla nuova foto, la osservò più e più volte e alla fine si convinse che nemmeno quella era venuta bene. Quella nuvola era troppo bassa, quell'altra troppo grande, il mare sembrava nero, il sole lì nemmeno si vedeva, e altri problemi che si fece fra sé e sé. Schiacciò sull'icona per cancellarla e sospirò pesantemente, arrendendosi al fatto che doveva veramente cambiare il soggetto delle sue foto.
Jongdae stava giusto camminando lungo la riva quando sentì per la prima volta quella dolce melodia uscire dal nulla, per un attimo pensò che fosse tutto frutto della sua mente, ma pian piano capì che non era così, che quella melodia era vera e nemmeno tanto lontana. Ci vollero un paio di minuti, comunque, prima di trovare la fonte. Si guardò intorno e poi, lì, seduto a gambe incrociate sulla sabbia, poco più lontano da lui, lo vide. Notò subito due cose: il modo in cui le sue dita si muovevano sulle corde e la sua espressione, seria, che esprimeva tutto fuorché soddisfazione. Jongdae si sentì improvvisamente vicino a quel ragazzo, completamente sconosciuto, poiché sentiva di avere il suo stesso stato d'animo in quel momento: entrambi erano insoddisfatti di ciò che stavano facendo, e proprio come Jongdae, lo sconosciuto nonostante tutto provava e provava, senza accennare a un miglioramento; la melodia cessò, il fotografo se ne accorse solo quando si riscosse dai suoi pensieri, e in un attimo vide come il ragazzo si era fermato e come lo stava osservando, quasi impaurito.
"Tu! Non― non fermarti!", esclamò Jongdae, ad alta voce, così da farsi sentire, improvvisamente agitato. Non voleva fermarlo, non voleva che quella dolce melodia cessasse.
"Avrei dovuto fermarmi da molto..", disse lui, e il primo non seppe dire se gli stava rispondendo o parlava fra sé e sé.
Senza nemmeno accorgersene, si era fatto più vicino e l'altro aveva poggiato la chitarra sulla sabbia, vicino a lui. Non parlarono per un po' e Jongdae accolse l'occasione per tornarsi a sedere, con le braccia buttate sulle gambe, mentre ascoltava il suono del mare e il grido dei gabbiani. In qualche modo quel ragazzo lo incuriosiva, da una parte perché sembrava insoddisfatto di qualcosa quanto lui e dall'altra perché non l'aveva mai visto al porto. In quattro anni in cui abitava a Incheon, aveva avuto modo di conoscere tutti quelli che, giornalmente, visitavano il porto, per una ragione o l'altra, ed era assurdo quanto vero, ma aveva pure fatto in modo di conoscere i proprietari della maggior parte delle piccole barche che stavano lì. Tutti conoscevano Jongdae e Jongdae conosceva tutti, tranne il tipo con la chitarra, e nessuno avrebbe creduto al fatto che fosse lì per le vacanze, poiché l'estate era finita e oltre agli abitanti nessuno si azzardava a mettere piede in spiaggia, soprattutto a quell'ora; il cielo ora si stava facendo più scuro, e il fotografo a malapena riusciva a vedere in modo decente i dettagli che componevano il viso del secondo.
"Che cosa ci fai qui?", gli sfuggì, e volle colpirsi dritto in bocca.
Notò come egli girò il volto verso di lui, con un piccolo e strano sorriso stampato sul volto, prima di rispondere "Cercavo un po' d'ispirazione", e non sembrava per niente turbato o infastidito, "Tu?".
"Cercavo un po' d'ispirazione", ripeté e non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, che si aggiunse a quello dell'altro.
, si disse nella mente, siamo nella stessa situazione.





Lo sconosciuto in questione si presentò come Kim Joonmyun, Jongdae scoprì che era un anno più grande di lui, aveva studiato musicologia a Seoul e si era trasferito a Incheon quando capì che le strade di Hongdae non erano più per lui.
"Sei ancora un artista di strada?", chiese Jongdae col suo fare curioso, mentre si mordeva un'unghia distrattamente.
"No", rispose con una piccola risata Joonmyun, "Lavoro in un negozio di musica poco lontano dal porto".
Il minore si ricordava vagamente di un negozio di musica poco lontano dal porto, e quando chiese il nome, si sentì un completo idiota, perché il maggiore lavorava proprio in quel negozio. Ci era andato un sacco di volte con Chanyeol, per prendere chissà quanti CD di artisti di cui ormai si sentiva poco e niente, come aveva fatto a non vederlo? Ora, oltre a non saper fare più foto, non si accorgeva neppure delle persone. Fu piacevole parlare con lui, comunque. Sin da subito trovarono una cosa in comune e da completi sconosciuti iniziarono a parlare come due amici di vecchia data. Per quelle ore che passarono insieme nessuno dei due, si ricordò che avevano dei problemi con le rispettive passioni; quella sera, come gli fece notare Chanyeol (il quale si fece trovare stravaccato sul divano e con un pacchetto di patatine sulla pancia), tornò più tardi del previsto e nemmeno se ne accorse.
"Dove sei stato?", chiese curioso.
"Non sono affari tuoi", rispose semplicemente, prima di chiudere la porta della sua camera a chiave.

Il coinquilino rimase a fissare il vuoto per un paio di minuti, prima di chiudere gli occhi in due fessure e grattarsi il mento. Sbagliava o il più basso sorrideva un po' troppo, per essere uno cui era stata tolta la sua cara e amata macchina fotografica?





Per qualche motivo, come poté presto notare Jongdae, nessuno sapeva dell'esistenza di Joonmyun, nessuno lo conosceva.
"Kim Joonmyun?", ripeté confuso Chanyeol, quando il coinquilino gliene parlò per la prima volta nella metropolitana, dopo essere usciti dall'università, "Mai visto, né nel porto né nel negozio di musica", affermò.
"Sicuro che nel negozio di musica ci lavori un certo Kim Joonmyun?", poi fu pure il turno di Minseok, il quale sembrò confuso quanto Chanyeol, quando un giorno l'amico lo nominò, "Non l'ho mai sentito nominare dal proprietario".
Venne una sera in cui Jongdae si credette pazzo, poiché proprio nessuno aveva mai sentito parlare di Kim Joonmyun e nessuno aveva mai visto un ragazzo che suonava una chitarra in spiaggia, da solo, o un ragazzo di nome Joonmyun lavorare nel suddetto negozio di musica, eppure lui poteva giurare di averlo visto, di averlo sentito e di averci parlato, come faceva con qualsiasi altro essere umano presenta al porto.
Che ora avesse pure le allucinazioni e vedeva gente nella sua stessa situazione?






Se prima Jongdae andava matto per le fotografie e non riusciva più a staccarsi dalla sua Sony RX10, ora non riusciva più a togliersi dalla testa un pensiero fisso: Kim Joonmyun. Quel chitarrista era semplicemente... surreale, e non perché nessuno credeva alla sua esistenza (anzi, forse anche per quello), ma perché era semplicemente qualcosa di troppo complicato, era un qualcosa che il fotografo non era in grado di sostenere pienamente e con tutte le sue forze. Un giorno si presentava in spiaggia? Nel pomeriggio seguente non c'era più. Il minore gli chiedeva il numero di telefono? Il maggiore s’inventava di tutto e di più per non darglielo. Pensava di dire una cosa giusta e sensata? L'altro sembrava infastidito. Diceva qualcosa di sbagliato e senza senso? Joonmyun non sembrava poi tanto stranito e infastidito.
Nonostante il cambio di stagione e il freddo, comunque, i due continuarono a vedersi nello stesso punto (sempre se il maggiore lo degnava della sua presenza), e quel pomeriggio Jongdae ebbe l'onore di impugnare per la prima volta la chitarra del ragazzo, facendo passare le dita a corda a corda, delicatamente.
"Sai suonare la chitarra?", chiese Joonmyun, mangiando una merendina al cioccolato.
"No", rispose Jongdae, sinceramente.
Come quella negazione si disperse nell'aria, il chitarrista fu dietro al fotografo, e le mani altrui guidarono dolcemente e delicatamente le proprie, facendo sì che, messe in una posizione corretta, facessero uscire delle timide note, le quali si disperdevano per l'aria di quel freddo pomeriggio di dicembre. Dopo quel momento in cui il minore suonò la chitarra, grazie alla guida del più grande, entrambi tornarono seduti come prima, con la chitarra abbandonata in un angolo, e ripresero a parlare di tutto ciò che passava nelle loro menti, senza che i pensieri avessero per forza una connessione fra loro. Quella sera, sulla via che portava al suo appartamento, Jongdae pensò che conversazioni così semplici e fluide, dove poteva dire di tutto e di più, senza doverci pensare più di due volte, potesse averle solo con il maggiore, e ricordando come lo aveva aiutato a suonare la chitarra o a come quella sera lo guardava, con quegli occhi dolci e piccoli, che gli provocavano sempre uno strano calore all'altezza del petto, si disse che sì, pazzia o meno, era fortunato ad essere l'unico che conosceva Joonmyun.





Dopo circa quattro lunghi mesi, quando il sole tornò a farsi vedere di più e certi pomeriggi iniziarono a essere più caldi, Jongdae si trovava nuovamente sulla via che portava alla spiaggia. Per il ragazzo quelli erano stati i mesi più lunghi e stressanti di tutta la sua vita, e non perché non poteva più scattare foto con la sua Sony RX10 (anzi, si era completamente dimenticato di quel problema, ormai aveva smesso di cercarla ovunque), ma perché quando la temperatura iniziò ad abbassarsi in modo rilevante, dovette dire addio ai suoi incontri con Joonmyun. Era stato difficile ammetterlo, o sentirlo dire da Chanyeol, ma in quei pomeriggi vuoti, che dedicò completamente allo studio e alla cucina (se al non-più-fotografo era stato vietato di toccare la macchina fotografica, al coinquilino era stato severamente vietato di toccare i fornelli), il minore si rese conto che sì, c'era dell'interesse nei confronti del chitarrista, e gli mancava tutto di lui. La sua voce, i suoi sorrisi e le sue risate, il modo in cui certe volte guardava profondamente l'orizzonte, le sue dita che distrattamente accarezzavano le corde della chitarra e i suoi silenzi.

In modo forse un po' troppo frettoloso scese dalla piccola scalinata che dava al mare e un sospiro di sollievo uscì dalle sue labbra appena sentì le scarpe affondare nella sabbia. Gli era mancato quel posto, eccome se gli era mancato. S'incamminò verso il luogo in cui era solito incontrarsi col maggiore, e più si avvicinava e più sentiva il cuore battere velocemente.
"Jongdae?".
Quella voce; si girò, e con sua grande sorpresa beccò Joonmyun, che lo guardava dall'alto, ancora sul marciapiede del porto, e di certo non gli sfuggì il sorriso che illuminava il viso altrui. Era felice.
"Joonmyun! Che ci fai lì?", chiese sorpreso, dato che solitamente era in spiaggia, e non lì.
"Scrivevo", rispose semplicemente, picchiettando la matita contro il quaderno.
Non aveva mai visto il chitarrista scrivere, da quando si erano incontrati, e ciò gli fece corrugare le sopracciglia. Nemmeno si accorse che, ben presto, il maggiore lo raggiunse e in pochi minuti furono uno al fianco dell'altro, e, lì, in quel modo, poté notare un'altra cosa: tra le mani non stringeva un semplice foglio, ma svariati fogli, e nessuno di essi era legato ad un altro. La cosa gli puzzava un po', poiché sapeva che l'altro possedeva un quaderno dove teneva insieme tutti i testi che sapeva suonare e mai l'aveva visto con dei fogli così disordinati in mano; si sedettero nel loro posto, a gambe incrociate, e Jongdae guardò attentamente Joonmyun, mentre stava sistemando i fogli dentro uno zaino, il quale era posto di fianco la chitarra.
"Che cosa sono quei fogli?", chiese, preso dalla curiosità, mentre l'altro chiudeva lo zainetto e lo lasciava lì.
"Oh, nulla di che", rispose con un semplice sorriso.
Quella non fu l'unica volta in cui il minore vide l'altro con quei fogli in mano, e spesso, quando stavano in silenzio, vedeva che l'altro scriveva e scarabocchiava su quei pezzi bianchi, e certe volte, quando riusciva a sbirciare, i suoi occhi riuscivano a distinguere delle note musicali, prima che esse potessero venir coperte dal braccio altrui. Sinceramente, non sapeva come prendere tutto ciò. Da una parte era incuriosito. L’altro sembrava seriamente preso da ciò che stava facendo (e con l'espressione concentrata era piuttosto attraente, dovette ammetterlo), ma dall'altra provava una strana sensazione, sentiva come se non volesse sapere nulla dei fogli e di tutte quelle note a lui sconosciute. Un giorno, quando furono, di nuovo, sommersi dal silenzio, Jongdae si fermò più del solito a osservare il profilo di Joonmyun, e notò come la luce di quella sera definiva perfettamente i dettagli del viso altrui. Le mani si mossero in automatico verso le tasche dei jeans, un brivido famigliare gli percorse la spina dorsale e in modo frettoloso aprì la fotocamera. Click.
"Oh...".
"Mh?", mugolò distrattamente il maggiore, alzando lo sguardo sul minore.
"Niente hyung, niente", rispose velocemente il diretto interessato, bloccando con medesima velocità il cellulare.
Solo quando il maggiore tornò sui fogli e sulla sua chitarra, il fotografo decise di sbloccare nuovamente l'apparecchio e velocemente studiò la foto appena scattata.
Stupendo.






"Oggi devo fare una cosa, e tu sei coinvolto".
Furono queste le prime parole di Jongdae, quando s’incontrò due giorni dopo con Joonmyun; quella mattina, quando si svegliò, furono due le notizie che il fotografo portò a Chanyeol: uno, voleva riprendere in mano la sua Sony RX10, dopo quasi cinque mesi, e due, gli avrebbe fatto conoscere una persona speciale. A differenza del coinquilino, comunque, il chitarrista reagì normalmente a ciò che gli disse il minore.
"Di cosa si tratta?"
"Devi fare da modello".

Il maggiore non seppe precisamente cosa aspettarsi, dopo quell’affermazione, ma non si tirò indietro e accettò con un caldo sorriso quella richiesta. Non suonava male, dopotutto; la prima indicazione che gli fu data, fu quella di essere “normale”, di comportarsi come se nel frattempo non fosse inquadrato da una fotocamera, e il ché fu particolarmente difficile, poiché, secondo il suo parere, non era per niente fotogenico.

“Rilassati”, continuava a dire Jongdae, dietro alla sua Sony RX10, dopo un altro scatto.

A un certo punto il chitarrista, con quaderno e chitarra in mano, si girò verso il minore, così da potergli lanciare l’ennesima occhiataccia, e lì le dita di Jongdae non smisero di schiacciare il pulsante; la stessa sera, appena tornato a casa, il fotografo si buttò sul divano e accese la Sony RX10, così da poter osservare le foto scattate in spiaggia, e più le guardava e più sentiva il cuore scoppiare dalla felicità.

L’ho trovato.

 

“Ora tocca a me fare una cosa, e tu sei parzialmente coinvolto”.

Il giorno dopo il maggiore si presentò con questa frase, e il minore non sapeva proprio cosa aspettarsi dall’altro – nulla dire che la curiosità s’impossessò del suo corpo in un battito di ciglia, anche perché era “parzialmente coinvolto”. Si sedette a gambe incrociate davanti al chitarrista, il quale, nel frattempo, prese la chitarra e la sistemò sulle sue gambe, altrettanto incrociate. Una dolce melodia si disperse per l’aria, e già ai primi pizzichi di corda la riconobbe. Era la stessa melodia che Joonmyun stava suonando quando s’incontrarono per la prima volta; il fotografo non aveva mai avuto modo di ascoltare la voce del più grande, con l’aggiunta della chitarra, e ciò che stava sentendo era semplicemente straordinario. Non aveva mai avuto modo di sentire una voce così pura e limpida, e più le parole uscivano dalle labbra altrui, e più sentiva che avrebbe potuto fermarsi per ascoltarlo per sempre.

“Che cos’era questa?”, chiese stupidamente Jongdae, a fine della canzone, quando il suo sguardo s’incrociò con quello dell’altro.

“La tua canzone”, rispose Joonmyun.

Lo sguardo confuso impresso sul viso del minore parve troppo ovvio, a quanto pare, per questo l’altro prese il suo quaderno e, dopo averlo sfogliato per un po’, lo porse al diretto interessato, il quale prese l’oggetto in modo dubbioso. Lì, prima che il testo e lo spartito con le note potessero iniziare, nell’angolo, c’era scritto a matita un piccolo “per la mia musa ispiratrice, KJD”. Non disse niente, con le gote improvvisamente in fiamme, completamente sorpreso da ciò che i propri occhi vedevano, e con un gesto frettoloso aprì la giacca, prima di poter estrarre dalla tasca interna una piccola busta gialla, che porse all’altro.

“Che cosa è?”.

“Aprila”, lo spronò.

Presto la busta in questione fu aperta e delle foto scivolarono da essa, finendo nella sabbia tiepida. Joonmyun le prese, e Jongdae poté vedere come gli occhi altrui si spalancarono alla vista di tutti quegli scatti, che fece solo il giorno prima. Nel retro, scritto a pennarello blu, c’era un piccolo “il mio nuovo soggetto preferito” – scritta che, poi, fu letta del diretto interessato.

“Io–”.

Quella frase non trovò mai un continuo, perché, come il maggiore alzò lo sguardo, le sue labbra andarono a toccare quelle del minore, che lo sorprese in un piccolo, dolce bacio.

 

 

Quel lontano giorno di fine autunno, entrambi si erano recati in spiaggia per un motivo in comune: erano bloccati dalla loro stessa passione, privi d’ispirazione. Nello stesso giorno, però, conobbero la loro musa ispiratrice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tempo era l’ideale per trascorrere il tempo in spiaggia, quel giorno d’estate, e il bar di Minseok era colmo di gente recatasi lì per prendere una bibita rinfrescante, fra un bagno e l’altro; Jongdae tirò a sé Joonmyun, che, svogliato, l’aveva seguito fin lì dal negozio di musica in cui lavorava.

“Muoviti!”, diceva in un lamento, mentre tirava il fidanzato dentro il locale.

Si fecero largo fra la gente, facendo attenzione a non spingere coloro che in mano tenevano chissà quale drink, e il fotografo cercò velocemente il proprietario del posto e il coinquilino, i quali dovevano essere per forza lì, uno soprattutto. Li trovarono dopo pochi minuti, entrambi al bancone, mentre il più alto rideva con gusto per qualche cosa di divertente.

“Eccovi!”, esclamò Jongdae, appena li raggiunsero.

Minseok e Chanyeol si girarono, appena giunse alle loro orecchie la voce del nuovo arrivato. Le loro espressioni, inizialmente, erano normali, poi, quando notarono una quarta e nuova presenza, sui loro volti apparve il completo stupore.

“Minseok, Chanyeol, lui è il mio ragazzo”, annunciò con fare fiero il fotografo, stringendosi al fianco del maggiore.

“Piacere, sono Kim Joonmyun”, si presentò il diretto interessato.

Se prima erano stupiti, ora lo erano ancora di più e il coinquilino del terzo aveva la mascella a terra, contemporaneamente al proprietario del bar, il quale aveva gli occhi che a momenti uscivano dalle orbite.

“Allora era vero”, mormorò Chanyeol.

  
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