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Autore: Elsinor    14/12/2016    6 recensioni
La vita non ti sorride quando sei un Magonò, e il giovane e irriverente Silas lo sa bene, tra Burrobirre, lavori ingrati ed elfi domestici più ricchi di te. Ma se sei un Magonò e ti ritrovi con il soffio di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato sul collo?
È ora di scoprire cosa si può fare senza magia e cosa si può fare con, cosa si può fare da soli e cosa si può fare insieme a qualcuno, specie se quel qualcuno è un mago brillante e vanitoso come Alec Kingsman.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Alanna bussò e rimase in attesa, quasi in punta di piedi, le mani incrociate dietro la schiena. La coda appuntita della pogona la frustava tra le scapole.

Non dovemmo aspettare molto: la porta si aprì dolcemente, rivelando uno stretto corridoio rivestito di carta da parati. Non c'era nessuno dietro, quindi supposi che si fosse aperta da sola.
Invece non avevo guardato abbastanza in basso.
C'era un elfo domestico umilmente rattrappito accanto allo stipite. Non somigliava a Guzzle, che era losco e rugoso, ma aveva una testa tonda tirata a lucido e un naso a patata relativamente piccolo per lo standard degli elfi. Indossava quello che pareva un brandello di tenda, ma era la tenda di una casa elegante, verde smeraldo con frange gialle. Dalle orecchie da pipistrello pendevano nappine presumibilmente della stessa tenda.
«Padrone ha ospiti!» squittì, guardando il tappeto. Non è che gli elfi parlino un inglese fenomenale, ma questo (o questa?) aveva anche uno spigoloso accento straniero «Padrone è occupato!»
«Il padrone vorrà sicuramente vedermi» ribatté arrogante Alanna «corri ad annunciare Alanna Kingsman invece di fare il fermaporta!»
L'elfo (o elfa?) senza alzare lo sguardo emise un breve lamento e trottò via lungo il corridoio. 
Alanna ne approfittò per entrare.
Si voltò verso di me e mi fece un cenno sbrigativo con la mano, così entrai anch'io e mi chiusi dietro la porta. Grazie alle pareti del corridoio ero diventato tutto verde pallido e fiorellini dorati.
Ero un coso verde pallido a fiorellini dorati a cui sarebbe piaciuto avere lo stesso potere di Chip per capire che cazzo aveva in mente Alanna. Ma l'istinto (ancora lui) mi diceva di continuare a seguirla. Alec era lì dentro, e anche Chip era lì dentro.
Il corridoio sfociò in un piccolo soggiorno vecchio stile con tanto di caminetto. C'era anche un telefono (alla faccia di Alec), di quelli strani con la rotella invece dei pulsanti. A destra una rampa di scale, a sinistra due porte. Alanna sarebbe crepata prima di ammettere di non sapere dove andare, così le sussurrai qual era la porta giusta. Come lo sapevo? Istinto.
Lei sfilò la bacchetta di tasca e fece due gesti l'uno dietro l'altro, in modo così fluido che sulle prime pensai avesse fatto un solo incantesimo, cioè quello che spalancò la porta.
Mi accorsi poi che i suoi abiti babbani si erano allo stesso tempo sciolti e trasformati in una lunga veste viola. La familiare mania dei dettagli.
Successe così in fretta che non ebbi tempo di prepararmi a quello che avrei visto in quella stanza.

L'elfo (o elfa) domestico cacciò uno strillo acuto.

Io non cacciai uno strillo acuto, ma appena vidi Alec ebbi la stessa sensazione di quando facendo le scale manchi un gradino.

Eppure era solo seduto su una poltroncina con una tazza da tè in mano.
Sembrava illeso.
Si era voltato educatamente per vedere chi entrava, e appena inquadrò Alanna cambiò espressione.
«Dovevo immaginarlo che c'entrasse anche lei.» disse come se la sorella fosse una fetta intera di limone nel suo tè.
«C'entra anche lei?» ripeté quello che doveva essere Egon Hoffmann in un tono interrogativo delicatamente divertito. Riconobbi la voce pacata e affabile, praticamente senza accento, la figura snella e i capelli biondo chiaro. Da quel che avevo capito era probabile che avesse l'età di Alec o anche di più, ma aveva un aspetto quasi adolescenziale: il viso liscio, due occhi blu acuti, un naso lungo e le labbra piccole, sottili e femminee.
Stava in piedi appoggiato di schiena a una scrivania con sopra in bell'ordine piume, calamaio, pergamene, un paio di libri e un fermacarte di giada. Chiaro che la stanza era il suo studio: c'erano scaffali colmi di libri alle sue spalle e altri sulla parete di destra, mentre a sinistra una vetrinetta andata in frantumi. Delle fragili ante erano rimasti solo i frammenti affilati ancora attaccati alla cornice, le mensole dietro avevano ceduto e quel che c'era sopra doveva essere franato al suolo.
Era l'unico punto di disordine nell'ambiente altrimenti immacolato, e forse per questo avevano cercato di coprirlo con una sorta di tovaglia. Peccato che dalla tovaglia spuntava un bel pezzo delle gambe di mio cugino, e a giudicare dalla forma, il resto del suo massiccio corpo si trovava lì sotto.
Niente panico: era vivo. Istinto.
L'elfo o elfa domestica, che immaginai avesse spazzato i cocci con paletta e scopino e sistemato Chip alla meglio, ci fissava ora con gli occhioni pallidi spalancati e le mani sul viso.
Squittì un'insalata di parole incomprensibili che Egon Hoffmann capì, e a cui rispose brevemente nella stessa lingua.
«Vai pure, Dingel.» aggiunse in inglese, forse a beneficio del pubblico. Lei trotterellò via dalla stanza, passando accanto ad Alanna e lanciandole un'occhiatina spaurita. Passò pure di fianco a me, ma non mi notò.
«Benvenuta, Alanna.» proseguì Egon, sempre affabile.
«Ciao, Egon.» rispose lei, aprendo finalmente bocca. Aveva un tono indifferente, come se avesse spalancato a forza la porta di una stanza a caso.
Lui fece un gesto lieve con la mano, indicando sé stesso e Alec: «Ti prego, risolvi il nostro dubbio: c'entri qualcosa con questa storia? Se potessi aggiungere una domanda ti chiederei anche di quell'iguana.»
«Pogona. Anche detto drago barbuto.» lo corresse Alanna senza batter ciglio «Quale storia? Io sono venuta per vedere te.»
Il suo tono di voce cominciava a essere vagamente seduttivo (credo) ma non fu quello che mi colpì. Mi colpì il ricordarmi all'improvviso che, se Alanna aveva una pogona in spalla, Alec non aveva Ratbert. Però c'era la valigetta ai piedi della poltrona in cui era seduto.
«Grazie,» ribatté Egon senza traccia di ironia «ma non vedo come tu abbia fatto a sapere che ero in città.»
«Io so tutto: non credi che qualche tuo amico possa essere passato in Sartoria?»
«È possibile» annuì educato Egon «stavo giusto cercando di convincere tuo fratello ad avere maggior fiducia nelle combinazioni del Fato.»
«E come al solito cerchi i modi più perversi per ottenere quello che vuoi.» commentò Alec scrollando le spalle e bevendo il tè. Sapevo di non dovergli buttar giù la tazza (istinto) ma lo stesso gli diedi mentalmente del coglione.
«Perversi?» protestò Egon, però sembrava sempre delicatamente divertito «Sei tu a esserti presentato qui con quel grosso idiota Legilimens che ha cercato con poca grazia di violare la mia mente. Ti avrei spiegato tutto con calma senza dover rompere le mie porcellane.»
«Mi piacerebbe che avessi per me la stessa considerazione che hai per delle porcellane (che non sono neanche tue, ma dei Babbani che chissà come hai tolto da questa casa). Mi restituiresti la bacchetta, in quel caso.»
«Non credo proprio.» replicò sorridendo Egon.
«Hai la Pastoia?» intervenne curiosa Alanna, per la prima volta rivolgendosi ad Alec. Stava guardando le sue gambe che pendevano dalla poltrona.
«Purtroppo sì» rispose Egon al posto suo «è l'unica cosa che lo trattiene dal correre a tirarmi il collo. Ho pensato fosse più rispettoso dell'Incarceramus e meno drastico di una Maledizione.»
Vidi le spalle di Alanna tremare mentre tratteneva la risata.
«Veniamo a noi, Alanna» proseguì Egon, e stavolta un po' della sua delicatezza se ne andò, lasciando il tono di chi è abituato a comandare «è stato Lucius Malfoy a dirti di me?»
Alanna stava ancora ridacchiando, ma alzò le spalle e rispose: «Ti pare il caso di parlarne davanti a questo spione filobabbano?» accennò ad Alec.
«Oh, lo sa. Non ha voluto dirmi dov'era la bacchetta, ma ho fatto un Incantesimo di Appello ed è spuntata fuori dalla tasca dell'idiota lì sotto» indicò col capo Chip «l'ho impacchettata e rispedita dal proprietario poco fa. Il gufo è già in viaggio, e finalmente il nostro amico di famiglia sarà di nuovo intero.»
Ecco fatto.
Tutta la fatica per impedire alla bacchetta di ricongiungersi col Mangiamorte era andata a puttane, senza neanche che potessi non dico fare qualcosa, ma almeno assistere.
L'errore era stato non infilare nei calcoli il Mangiamorte all'altro capo della sfera, quello che, a meno di non sbagliarmi di grosso, mi stava davanti in quel momento: Egon Hoffmann.















Angolo dell'autrice: abbastanza scioccante, questo capitolo? Un nuovo personaggio è entrato in scena, un vecchio personaggio è steso sotto un telo, un altro impastoiato a una poltrona e un'altra non si capisce a che gioco sta giocando. La dannata bacchetta è volata al legittimo proprietario, tutto è bene quel che...ah, no. Siete scioccati? Siete perplessi? Commentate e non mancate di leggere il prossimo capitolo!
   
 
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