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Autore: Padmini    15/12/2016    3 recensioni
Uno sguardo, un legame silenzioso tra due anime.
Sherlock, studente brillante ma solitario.
Gregory, studente più grande, generoso e desideroso di riparare a tutti i torti.
Un gatto e un cane che si incontrano nel cortile di una scuola.
Cosa accadrà tra di loro? Possono due anime così diverse trovare un luogo in cui incontrarsi?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lontananza


 

 

L'assenza attenua le passioni mediocri e aumenta le grandi, come il vento spegne le candele e ravviva l'incendio.
Francois De La Rochefoucauld

 



 

La stanza era candida, immacolata, le pareti, di un tenue azzurro pastello, accentuavano la sensazione di trovarsi sospesi in un dolce cielo dalle candide nuvole. Tutto era predisposto e pensato per dare il massimo comfort, pace e serenità a chi la occupava. Era un'idea molto bella, ma la pratica era molto lontana dalla teoria desiderata dagli arredatori e al suo occupante dava più l'idea di un inferno.

Sherlock, disteso sul letto, si sarebbe mimetizzato perfettamente con l'ambiente circostante se non fosse stato per i suoi ricci capelli corvini e gli occhi di un azzurro intenso, cerchiati da ripetute notti insonni. La sua pelle era se possibile ancor più cerea del solito e tremava come una foglia scossa dal vento.

Gli faceva male tutto, non c'era un solo muscolo del corpo che non fosse dolorante. Non aveva memoria di una sofferenza così profonda, forse solo quella volta in cui era stato selvaggiamente picchiato da Alec … ma quello era un dolore diverso. Tutto il suo corpo si stava ribellando, chiamando a gran voce la droga che lui gli negava. Gli avevano somministrato del metadone, ma lui non ne sentiva l'effetto. C'era un dolore più grande, più profondo, che lo accecava, impedendogli di ragionare o pensare lucidamente. Tuttavia, da quando era stato ricoverato in clinica, un'unica idea girava e rigirava nella sua mente. Era forse quella mosca fastidiosa a farlo star male? Quel pensiero, quell'intenzione, era dolorosa ma necessaria. Era stato categorico e Mycroft non aveva trovato niente da ridire, anche se ogni giorno, quando andava a trovarlo, ripeteva la stessa domanda.

Sherlock aveva gli occhi chiusi, la mente ronzava di mille pensieri come un alveare, perciò non sentì quando il fratello entrò e gli si sedette accanto.

Buongiorno, bello addormentato.” lo prese in giro “Stai meglio oggi?” gli chiese, non perché non fosse evidente la risposta, ma per indurlo a parlare.

Spiritoso ...” mormorò lui a fatica.

Sei sempre sicuro della tua decisione?” gli chiese ancora Mycroft, che nel frattempo aveva tirato fuori la sua cartella clinica “Anche oggi Gregory mi ha chiesto di te.”

Sì.” ripose lui, con maggior slancio “Non lo voglio vedere. Cosa gli hai detto?” chiese poi, sempre debolmente.

Gli ho detto che migliori, che tra qualche settimana sarai già fuori di qui.”

Sherlock alzò un sopracciglio.

Mi prendi in giro?” chiese, quasi urlando e mettendosi a sedere, per poi scoppiare in una crisi di tosse.
“Calmati, fratellino.” lo rimproverò lui, spingendolo nuovamente giù “Non ti sto prendendo in giro. I medici dicono che presto non avrai più bisogno di restare in clinica, la disintossicazione sta procedendo bene.”

Ma …” protestò lui “Io sto male! Mi fa male tutto!”

Il tuo corpo non ha più bisogno della droga, o almeno non ne avrà tra breve. Il tuo problema attuale verrà risolto in un'altra sede. Con mamma e papà abbiamo deciso di tenerti a casa, lontano dal caos, sotto le cure di un medico che verrà a domicilio per le terapie che serviranno, se sarà il caso, e l'assistenza psicologica.”

Sherlock non rispose, come sempre impressionato dall'organizzazione del maggiore. Aveva pianificato tutto, fin nei minimi dettagli probabilmente.

Nella tua idiozia sei stato furbo.” commentò Mycroft “L'aver diluito le dosi al sette per cento ha permesso al tuo corpo di riprendersi con relativa rapidità, per questo uscirai presto dalla clinica … Per quanto riguarda la tua mente ...”

La mia mente non ha niente che non va!” sbottò lui, gracchiando.

Sherlock, ti sei iniettato quasi due dosi consecutivamente! Non stai bene! Ho capito perché avevi iniziato a drogarti e anche tu lo sai. Devi solo avere il coraggio di affrontare la questione. Tutto qui. Per questo insisto che tu ti veda con Gregory e gli dica la verità. Ti aiuterà a superare la delusione e il dolore.”

Ogni parola pronunciata da Mycroft era corretta, dolorosamente esatta. Doveva parlare con Gregory. Doveva dirgli la verità. No. Avrebbe dovuto parlare con lui. Avrebbe dovuto dirgli la verità, confessandogli il suo amore non corrisposto … ma non lo avrebbe fatto.

Quando starò meglio lo rivedrò. Non prima.”

La risposta, pronunciata quasi con rabbia, non ammetteva repliche. Mycroft temeva che quella decisione equivalesse ad una fuga e avrebbe portato a peggiorare la sua situazione, ma Sherlock sembrava convinto e difficilmente sarebbe riuscito a fargli cambiare idea.

Come vuoi allora, fratellino.” mormorò. Gli faceva male vederlo così e si sentiva impotente di fronte a quella situazione. Uno o più bulli che lo picchiavano o lo insultavano poteva gestirli … ma il cuore era tutta un'altra faccenda, su cui non sarebbe stato in grado di interferire.

 

 

 

 

Da quanto tempo non vedeva Sherlock? Erano trascorsi già due mesi da quando lo aveva trovato in quella casa abbandonata, sul punto di farsi una seconda dose di cocaina? Quei mesi gli erano sembrati anni, ogni giorno telefonava a Mycroft per avere sue notizie, per essere certo che stesse bene, ma riceveva sempre la stessa risposta: Sherlock non voleva vederlo. Perché? Insomma, erano amici e probabilmente lui era il suo migliore se non unico amico, no? Allora perché non voleva vederlo? Aveva promesso che gli sarebbe sempre stato vicino, che lo avrebbe aiutato nei momenti di difficoltà … ma davvero non capiva perché lui non lo volesse. Si era sempre fidato, no? Cosa era cambiato? Davvero non riusciva ad accettarlo.

Aveva osservato il telefono per un'intera ora, indeciso se chiamare ancora Mycroft, quando sentì qualcosa suonare. D'istinto, preso alla sprovvista, alzò la cornetta.

“Pronto? Sherlock? Sei tu? Sher ...”

Il telefono suonava libero e in quel momento capì che aveva sentito il campanello.

Si alzò di scatto dal letto e corse giù per le scale, sperando di trovare, al di là della porta, il suo migliore amico.

“Sherlock!” esclamò, spalancando la porta, ma ne rimase deluso. Di fronte a lui non c'era Sherlock, ma una donna dai capelli neri e gli occhi, in quel momento stanchi e rossi per un pianto recente, chiari come i suoi. La riconobbe immediatamente, sebbene non la vedesse da tanto, troppo tempo.

“Ciao, Gregory.” mormorò lei “Posso ...”

“Certo, signora Holmes.” eslcamò, spostandosi per farla entrare “Si accomodi.”

Violet entrò in casa con estrema fatica. Era evidente quanto la condizione del figlio avesse pesato sulla sua salute.

“Posso offrirle qualcosa di caldo?”

Si sentiva a disagio. Entrambi avevano un peso sul cuore, ma parlare con la madre del suo migliore amico di ciò che lo affliggeva gli sembrava una montagna impossibile da affrontare. I minuti che trascorse in cucina furono un profondo respiro prima di una prova impegnativa.

Tornò in salotto con il vassoio su cui aveva posato un paio di tazze di tè, una zuccheriera e una ciotola piena di biscotti. Nella stanza risuonò il rumore della ceramica che sbatteva, si accentuò per un istante quando posò il vassoio e cedette il posto ad un silenzio imbarazzato. Fu Violet a romperlo.

“Sai perché sono qui, Gregory?” chiese la donna, sporgendosi per prendere la sua tazza. Il contatto con la ceramica calda sembrò rasserenarla, ma nei suoi occhi era evidente un tormento interiore che doveva averla perseguitata da tanto tempo.

“Sherlock ...” si limitò a rispondere lui, senza toccare la sua tazza, troppo teso per muoversi.

“Esatto.” confermò lei annuendo “Tu hai idea del perché si sia ridotto così?”

Pose la domanda con molto tatto, presupponendo che lui non ne conoscesse la risposta. Gregory scosse la testa, desolato.

“No. Non ne ho idea. Ciò che so è che sta male e che si rifiuta di vedermi.”

“Immaginavo ...” sussurrò lei “Infatti sono qui per parlartene ...”

Sorseggiò lentamente il suo tè, mentre Gregory attendeva con ansia che proseguisse.

“Voglio premettere che tu non hai fatto nulla di male, perciò non sentirti in colpa però quello che ti dirò.”

Tremando, Greg prese la sua tazza, ma ancora non bevve. Era impallidito, finalmente stava per scoprire cosa era successo al suo amico e non sapeva se esserne felice o impaurito. Perché poi sua madre gli stava dicendo di non sentirsi in colpa? Forse perché in realtà … doveva?

“A tuo favore posso dire che Sherlock non è mai stato bravo ad esprimere i suoi sentimenti né a gestirli, come hai potuto vedere.”

“I suoi … sentimenti?” una parte di lui, una piccola parte che fino a quel momento era rimasta in silenzio, iniziò a sussurrare la risposta, ma lui la ignorò.

“Sì … Gregory … lui …” Violet sospirò rumorosamente. Era di suo figlio che stava parlando, ma non sapeva da che parte cominciare “Conosco Sherlock, l'ho cresciuto, è come me, per questo andiamo molto d'accordo. Voi due siete amici, tu sei il suo migliore e unico amico … ma c'è qualcosa che non ha detto nemmeno a te ...”

“... a lei sì?” chiese, quasi offeso per essere stato escluso da un segreto proprio da lui.

“Sì. C'è qualcosa che lui non ti ha detto e tu non hai visto.”

“Non … non l'ho visto?”

“Come ti ho già detto, Sherlock non è bravo a esprimere i suoi sentimenti e soprattutto se non vuole farlo, è capace di tenerli nascosti a chiunque … ma non a me e nemmeno a suo fratello.” un altro sospiro “Va bene, te lo dirò senza troppi giri di parole. Gregory … Sherlock … ti ama.”

Se gli avesse dato una botta in testa con una mazza avrebbe ottenuto lo stesso risultato. Violet poso la mano sulla sua.

“Lui … lui mi … non è possibile, non ci credo.”

“Nemmeno lui ci credeva, all'inizio, per questo ha chiesto a me e io l'ho confermato.”

“Come? Perché?”

“Te l'ho detto. Lo conosco meglio di quanto lui conosca se stesso e ho riconosciuto i sintomi, se così si può dire …” rise piano, ma era ovvio che non era allegra.

“I … sintomi?”

“Ti ha dato immediata fiducia, ha sacrificato se stesso per te, numerose volte e il modo in cui ti guardava o sorrideva pensando a te era speciale. L'ho visto sorridere quando gli ho regalato il suo primo paio di pattini. Sorride quando legge qualcosa che gli piace o quando qualcuno lo loda … ma quando pensava a te era diverso, diventava radioso.”

“Aspetti, aspetti un attimo … perché parla al passato? Ha detto che mi ama, no? Mi … mi ama ancora … almeno credo … o no?”

“Non sbagli, Gregory. Lui ti ama, non ha mai smesso, ma questo lo sta uccidendo dentro.”

“Non … non ca-” si bloccò, illuminato dalla soluzione del problema.

“Esatto. Quando hai cominciato a frequentare … come si chiama? Haley?”

“Sì ...” rispose lui debolmente.

“Lui stava per dichiararsi” mormorò “Me l'aveva detto quel giorno. Il giorno successivo sono andata a trovarlo ed era … diverso. Era evidente che qualcosa doveva essere andato storto. Ho pensato che tu lo avessi rifiutato, ma quando mi ha confidato che ti eri fidanzato con la sua compagna di classe, ho capito che non ci aveva nemmeno provato. Ha deciso di rinunciare al suo amore per te in egual misura per il tuo bene e per il proprio. Per te perché non voleva rovinare la tua felicità e per se stesso perché non ha avuto il coraggio di rischiare di soffrire. Così facendo però ha peggiorato le cose. Ha cercato di sopprimere il suo sentimento, ma era così vero, profondo e sincero che è sopravvissuto nonostante tutto … e ora lo sta dilaniando.”

La donna trattenne un singhiozzo. Si sentiva in colpa per non essere riuscita a proteggere suo figlio da se stesso, ma da quando aveva deciso di rinunciare all'amore si era lentamente chiuso, come un riccio, e lei non era più riuscita a entrare in contatto con lui, con la sua anima.

“Non ci credo. Non è possibile. Noi siamo amici!” protestò Gregory, in preda al panico.

“È proprio per questo motivo che non hai visto ciò che lui prova per te. Mi dispiace, ma sei stato cieco. Proprio per questo lui non vuole più vederti, il solo pensare a te è doloroso.”

“No ...”

“Non sarà per sempre, Gregory … Ci vorranno degli anni, ma riuscirà ad andare oltre. Nel frattempo ha bisogno di stare solo, di non pensare più a te.”

“Ma ...” protestò Greg, ma Violet lo fermò con un gesto deciso della mano.

“Non devi sentirti responsabile per ciò che gli è successo, né cambiare i tuoi sentimenti se ti senti in colpa. Nessuno ne è responsabile se non Sherlock. Lui ha deciso di ignorare i suoi sentimenti, lui ha preferito rifugiarsi nella droga piuttosto di affrontarli … e ora lui dovrà pagarne il prezzo.”

Il silenzio calò nuovamente nella stanza come la sera senza stelle che li osservava fuori dalla finestra.

Il viso di Gregory era bianco come il latte ma i suoi occhi erano rossi di pianto trattenuto.

“Avrei dovuto vederlo … avrei dovuto capirlo … Sono stato un idiota!”

La mano di Violet era ancora sulla sua, la strinse per rassicurarlo.

“È inutile che tu stia male per lui. Non ha bisogno di questo. Lascialo solo, per il momento. Quando starà meglio … quando sarà pronto, verrà lui a cercarti.”

L'espressione di Violet si addolcì e questo sembrò tranquillizzare Greg. Il suo desiderio di rivedere Sherlock era sempre forte, ma in quel momento capì che non era il caso. Affrontarlo avrebbe significato metterlo con le spalle al muro, peggiorando la situazione.

“Ho capito ...” disse infine, stringendo a sua volta la mano di Violet “Voglio aiutarlo e lo farò. Se stargli lontano è l'unico modo per farlo … così sia.”

Violet sorrise di più. Vide qualcosa negli occhi di Gregory, ma non disse nulla. Non lo conosceva così tanto da poter affermare che ricambiava l'amore di suo figlio senza saperlo, ma almeno era certa che gli fosse davvero affezionato. Chiunque altro lo avrebbe mandato affanculo o sarebbe andato da lui per fargli sputare il rospo di persona, ma Gregory aveva consapevolmente scelto di aspettare e restare sul filo del rasoio.

“Sherlock è fortunato ad averti come amico. Deve semplicemente rendersene conto.”

Gregory annuì.

“La ringrazio.”

Violet si alzò e gli strinse ancora la mano.

“Ci vedremo ancora.”

 

Gregory osservò la madre di Sherlock uscire di casa ancora intontito. Gli sembrava di essere stato travolto da uno schiacciasassi. Sherlock lo amava. Sherlock lo amava e lui non se ne era reso conto. Come aveva detto Violet, non era facile decifrare il suo cuore, ma davvero era impossibile? Davvero si era fatto sfuggire quei dettagli che avrebbero potuto fargli vedere la verità? Lei gli aveva detto che non sarebbe servito a nulla cambiare i propri sentimenti per il senso di colpa, ma non poteva fare a meno di pensare che, chiuso in una scatolina di velluto blu, c'era il colpo di grazia che avrebbe potuto ucciderlo dal dolore. Non aveva accennato nulla a sua madre, non voleva correre il rischio che lei, pur così intelligente e sensibile, lo dicesse a lui per errore.

Stava con Haley da anni, avevano litigato, si erano separati ed erano tornati a cercarsi e infine Gregory aveva deciso che non avrebbe voluto nessun altro al suo fianco se non lei. Salì in camera, aprì il cassetto della scrivania e prese la scatolina. L'aprì e ammirò il sottile anello che brillava nella penombra.

Le avrebbe chiesto di sposarlo. Erano entrambi molto giovani, ma Greg stava per entrare nella polizia ed era certo del suo futuro, lo vedeva con Haley al suo fianco. Nella fotografia che si era sviluppata nella sua mente, al posto di Sherlock c'era un grosso vuoto, che nessuno avrebbe potuto mai riempire se non lui. Lo avrebbe lasciato così, in attesa che lui volesse tornare, come un gatto randagio nella notte.

   
 
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