Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    18/12/2016    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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SCINTILLE 


 
 Il dottor Daimonji fu la prima persona che Fabrizia andò a cercare una volta varcata la soglia del Centro di Ricerche; lo trovò nel suo studio, in compagnia di Midori. L’amica le diede appena il tempo di salutarlo che le saltò al collo, strappandola letteralmente dall'abbraccio dello scienziato, al quale sfuggì un sorriso alla vista delle dimostrazioni d'affetto delle due ragazze. Quando finalmente le due si staccarono, Daimonji riuscì a fare a Fabrizia una carezza affettuosa sui capelli.
– Com'è andata a casa? – le chiese, sapendo che per lei non era stato facile, tagliare i ponti in quel modo.
– Casa? Doc, adesso sono a casa.
– Sei riuscita a fare tutto quello che dovevi? – le chiese Midori.
– Tutto fatto. Ma non ho molta voglia di parlarne, ora. Doc, com'è andata qui? Ho sentito delle battaglie.
– Non sono state delle passeggiate, ma abbiamo un equipaggio decisamente all'altezza. Sono contento che tu sia tornata, avremo bisogno anche di te e Balthazar. È pronto e operativo.
– Beh, almeno lui. Perché io... Doc, lei crede... che davvero sarò in grado di combattere? Io mi sento così... così inadeguata. Mi sono addestrata per un anno, ma quando mi troverò davanti un Mostro Nero vero, invece che generato dal simulatore, cosa farò? Quelli che si sono visti in tv erano... inconcepibili.
– Lo so. Ma se ha imparato Sanshiro in così poco tempo, a maggior ragione te la caverai tu, che hai avuto un addestramento più lungo. Andrà tutto bene, Briz, vedrai. Io ho fiducia in te.  
Fabrizia sorrise alle parole d'incoraggiamento di Doc, che l'aveva chiamata col diminutivo che Jamilah e Midori le avevano affibbiato quando si erano conosciute.
Il dottor Daimonji conosceva altre due o tre lingue, oltre la propria e l'inglese. Una di queste era l'italiano, così ogni tanto Briz poteva togliersi lo sfizio di parlare con lui nella sua lingua madre. Quanto a lei, era cresciuta praticamente bilingue. Sua madre Serena era stata un'ottima professoressa d'inglese e glielo aveva insegnato fin dall'infanzia, anche se poi aveva lasciato il suo lavoro per dedicarsi al suo sogno: aprire un Bed & Breakfast nella loro fattoria. Sogno che si era tragicamente schiantato contro le decisioni del destino.
Oltre a sapere bene l'inglese, Briz aveva anche un'infarinatura di spagnolo e, dopo un anno passato a Omaezaki, stava imparando persino il giapponese: era una lingua bellissima.
Il dottore era un uomo non altissimo, piuttosto corpulento e intorno ai sessant’anni, con una folta barba grigio scuro e i capelli dello stesso colore un po' lunghi, pettinati all'indietro.
L’uniforme dell’equipaggio – calzoni e maglia a collo alto neri, stivali grigi alti al ginocchio e il giubbotto di colore blu scuro – gli dava un’aria più austera di quanto realmente gli appartenesse.
Lui aveva sempre creduto in Briz, molto più di quanto ci credesse lei stessa.
–  Farò del mio meglio, Doc. Ce la metterò tutta – asserì la ragazza di fronte al suo sguardo fiducioso.
– Non ne dubito. Coraggio, rilassati e vieni a conoscere Sanshiro e gli altri. Non ti morderanno, vedrai.
– Spero bene. Non saranno mica dobermann...
Midori la prese sottobraccio e la trascinò fuori, lungo il corridoio che portava alla sala ricreativa comune, dove i ragazzi passavano parte del loro tempo libero. La sua amica era più grande di lei di un paio d'anni, ma di alcuni centimetri più piccolina. Non che ci volesse molto, visto il metro e settantanove di Briz. Aveva l'aria dolce di una ragazzina – accentuata dal colore azzurro acqua della sua uniforme, uguale a quella di Doc – ma lei la conosceva da più di un anno e sapeva quanta forza e determinazione nascondesse dietro il suo sorriso.
Midori era una trovatella: il dottor Daimonji si era imbattuto in lei diciassette anni prima, una bimbetta piangente di circa sei anni che vagava davanti a casa sua, in preda a un'amnesia a quanto pareva irreversibile, poiché tuttora la ragazza non ricordava nulla della sua prima infanzia.
Affidata ai servizi sociali, era risultata sola al mondo, senza famiglia e senza nome. Era cresciuta in orfanotrofio, dove le era stato dato un cognome d’ufficio ben poco fantasioso, Fujiyama, ma il dottor Daimonji era stato nominato suo tutore, rimanendo un punto fisso della sua vita, e l’aveva sempre amata come un padre.
Midori, diventata maggiorenne, era andata a vivere con lui e aveva terminato gli studi. Diplomata in Informatica e laureata in Scienze delle Comunicazioni, entrare a far parte dell'equipaggio del Drago Spaziale era stata una normale ed ovvia conseguenza. Daimonji aveva anche sempre avuto il sospetto che Midori, di giapponese, avesse solo il nome, e che avesse ascendenze europee, o comunque occidentali. Era piuttosto alta per una nipponica, e aveva lunghi capelli lisci di un castano chiaro che nessuna giapponese avrebbe mai potuto avere. Per non parlare dei profondi occhi color zucchero caramellato, dalle lunghe ciglia, che non avevano assolutamente il taglio a mandorla degli orientali.
Midori aprì la porta, ed entrarono tutti e tre nella sala comune. Su una parete c'era un grande televisore a LED, al momento spento, corredato di un impianto home theater e una Playstation di ultima generazione. Di fronte ad esso c'erano poltroncine e divanetti. Un modernissimo stereo di notevoli dimensioni occupava l'angolo alla loro sinistra e in fondo, sotto alla vetrata che dava su un’ampia terrazza, c'erano persino un vecchio gioco del calcetto e un flipper.
Sulla destra c'erano alcuni tavolini e una zona bar; seduti a un tavolo c'erano quattro giovani, diversissimi l'uno dall'altro. Si alzarono tutti in piedi quando videro entrare le ragazze.
Briz non ebbe difficoltà a capire quale fosse Sanshiro: intorno ai venticinque anni, doveva essere alto più di uno e ottanta – cosa notevole per un giapponese – e sfoggiava un bel fisico atletico messo in risalto dai pantaloni neri e dal giubbotto rosso scuro della sua uniforme. Capiva perché Midori ne fosse rimasta affascinata: i capelli bruni erano un po' mossi e spettinati, e gli occhi marroni avevano un'espressione amichevole e vagamente divertita come il suo sorriso. Fu il primo ad andare loro incontro e a tenderle la mano.
– Ciao, io sono Sanshiro. Midori, dove la tenevi nascosta la tua amica?
– Smetti di fare il buffone – lo rimproverò lei con un sorriso – Lei è Briz ed è arrivata ora dall'Italia.
Sanshiro sgranò gli occhi e un'espressione sorpresa sostituì il sorriso, mentre lei gli stringeva la mano. Sembrò pensarci sopra qualche secondo, poi disse, quasi sottovoce: – Wow. Il pilota di Balthazar. Avevo sentito parlare di Briz, ma non avevo capito che fosse un nome femminile.
– È solo il diminutivo di Fabrizia, che non è comunissimo nemmeno in Italia, si usa di più al maschile. Sono contenta di conoscerti. E ti faccio i miei complimenti per come hai combattuto contro i Mostri Neri. Sei stato grande.
– Grazie, ma ho ancora molto da imparare. Spero di essere davvero all'altezza. Rispetto a te e agli altri, io sono l'ultimo arrivato, qui. Sono entrato giusto il giorno precedente alla prima battaglia. Ragazzi, vi presento la pilota del leone Balthazar – disse rivolgendosi agli altri tre, che si fecero avanti.
Il primo era alto un po' meno di lei, un ragazzone bruno sorridente e pacioccone, col naso a patata e un paio di sopracciglioni marcati, dall'aria tranquilla ma sicura di sé, che avrebbe messo a suo agio chiunque. A dispetto del fisico piuttosto corpulento, Briz lo trovò carino.
– Salve, sono Bunta Hayami, il pilota del Nessak.
Mentre gli stringeva la mano, Briz pensò che il mezzo d’appoggio che pilotava fosse adattissimo a lui: aveva le sembianze di un plesiosauro, simile a Nessie, il mostro di Loch Ness, a cui si erano ispirati per il nome; era specifico per le esplorazioni e le missioni subacquee.
Nel guardare gli altri due piloti, non le fu difficile collocarli nei loro ruoli. Pensando al Bazzora, che ricordava un triceratopo robot, si rivolse a un giovanottone imponente dall'aspetto un po' rozzo, con un zazzerone ispido di capelli scuri e scompigliati, gli zigomi pronunciati e il mento importante. Aveva pensato che Sanshiro fosse alto per un giapponese, ma questo lo batteva di un bel po' di centimetri, senza contare che sembrava un incrocio tra un bisonte e un armadio a sei ante! Si sentì una nanerottola al suo cospetto, il che era tutto dire!
– Tu... guidi il Bazzora, vero? – gli chiese, quasi sicura di non sbagliare.
–  Già. Come hai fatto a capirlo?
– Ehm... dalla stazza? – azzardò lei.
– Fantastico, hai il senso dell'umorismo. Credo che andremo d'accordo. Sono Yamatake, ex lottatore di sumo – ridacchiò l'omone.
– Sumo, eh? Okay. Questo spiega tutto! – esclamò Briz, squadrandolo dal basso con un sorriso, mentre lui le porgeva una mano grande quanto una pala. Quando se le strinsero, quella di Fabrizia, che non era propriamente una manina di fata, scomparve letteralmente sotto alle dita di Yamatake, grosse come salsicce.
– E quindi tu, – disse rivolta all'ultimo componente del gruppo – suppongo sia il pilota dello Skylar.
– Supposizione esatta. Fan Lee. Lieto di conoscerti.  
Un altro sorriso e un'altra stretta di mano. Come si poteva dedurre dal nome, Fan Lee non era giapponese, ma cinese. E anche lui ricordava nel fisico il suo mezzo da battaglia, che sembrava un agile e scarno pterodattilo. Alto, magro e dai tratti spigolosi, probabilmente prossimo ai trent'anni e con i capelli molto corti, Fan Lee non era decisamente un bello nel senso classico del termine, però aveva un fisico agile e scattante, e dalla sua persona trasparivano lealtà e forza d'animo. Ma nel suo sguardo si leggeva anche, a tratti, una profonda malinconia, nonostante il sorriso. Per qualche strano motivo, Briz si sentì molto vicina a lui, come se, pur non sapendolo, condividessero un doloroso passato.
Le cose promettevano bene, Fabrizia cominciò a rilassarsi. Nessuno di loro si era lasciato sfuggire commenti negativi sul fatto che era una donna, o sulla sua giovane età. Chiacchierò con loro, Midori e Doc per qualche minuto, osservando i suoi compagni d'avventura.
Tutti indossavano la stessa uniforme nera con stivali grigi, e i giubbotti nella foggia erano tutti uguali, come quelli del dottor Daimonji, di Midori e di Sanshiro – con la cerniera sul lato sinistro del petto e le mezzelune imbottite color grigio argento sulle articolazioni delle spalle e dei gomiti – ma erano tutti di colori diversi. Erano fatti di un innovativo materiale sintetico, che alla vista e al tatto sembrava simile alla pelle e aveva la particolarità di mantenere costante la temperatura del corpo, indipendentemente dalla stagione.
Quello di Fan Lee era nero, quello di Bunta verde, mentre Yamatake sfoggiava un improbabile color arancione. Tutti portavano anche un alto cinturone con una grossa fibbia di metallo su cui era incisa la sagoma di un drago dalle ali spalancate.1 Al cinturone era agganciata una fondina con una pistola: un fulminatore laser.
Fabrizia girava le spalle alla porta e non la sentì aprirsi. Per puro caso si voltò da quella parte, in tempo per veder entrare nella stanza un giovane che si distingueva da tutti gli altri. In quella profusione di teste brune e occhi più o meno a mandorla, quella zazzera di capelli biondo scuro dai riflessi rossicci, un po' lunghi sulle orecchie e dietro al collo, spiccava notevolmente; per non parlare dei ciuffi che gli tumultuavano sulla fronte e gli celavano a tratti gli occhi.
Il ragazzo si appoggiò alla parete e incrociò le braccia, guardandosi intorno con l'espressione seria e le sopracciglia leggermente aggrottate. L'intuito suggerì a Briz che quell'atteggiamento, un po' scostante e indifferente al resto del mondo, gli fosse abituale.
Quando i loro sguardi si incontrarono, per alcuni lunghissimi secondi rimasero a fissarsi. Briz si ritrovò a guardare in due profonde pozze azzurre, e per un attimo, chissà per quale assurdo motivo, sentì il cuore arrivarle in gola.
Midori si accorse di quegli sguardi intrecciati, e si convinse di aver visto scoccare una scintilla.
Poi gli occhi del giovane si spostarono altrove, con apparente indifferenza.
– Midori... – ansimò Fabrizia senza fiato, aggrappandosi al braccio dell'amica – ma chi diavolo è quel figaccione biondo che è appena entrato?
– Briz, facci due conti! Non ti eri accorta che mancava qualcuno all'appello? Il Drago Spaziale non si guida mica da solo. È il Capitano Pete Richardson dell'USAF, l’Air Force degli Stati Uniti.
– Mmm. Sembra a me o ha l'aria un po'... non so... ombrosa?
– No, non ti sembra soltanto. Direi che ombroso è un aggettivo che gli si addice alquanto. In realtà non sono ancora riuscita a... inquadrarlo. Non sta molto in compagnia, parla poco ed è piuttosto freddino e ironico con tutti. Ha anche trovato da dire con Sanshiro, che per poco, all’inizio, non ha mollato tutto! Ma è spettacolare il modo in cui riesce a far fare al Drago tutto quello che vuole. Doc dice che non avrebbe potuto trovare nessuno migliore di lui, per questo compito.
– Beh, se lo dice Doc, non ho motivo di dubitarne.
– Comunque, non lasciarti intimidire troppo dal suo atteggiamento di superiorità. Lo chiamiamo Capitano perché è il grado che ha nell’Air Force, ma qui è assolutamente alla pari con te e Sanshiro. Anche lui prende ordini da Doc, a meno che non gli venga dato esplicitamente il comando in battaglia.
Briz annuì, e studiò il giovane ancora per un po', mentre parlava con il dottor Daimonji.
Pete era un po' più alto di Sanshiro, muscoloso ma non in modo esagerato, con un volto dai lineamenti marcati ma regolari, il naso diritto e una fossetta sul mento appena accennata. L’abbronzatura creava un contrasto assolutamente piacevole con il colore dei capelli e con gli occhi chiari, che erano ornati da ciglia lunghe e scure. Il colore azzurro cupo della sua uniforme gli donava decisamente.
Eh, sì! Briz dovette ammettere che era passato un bel po' di tempo, dall'ultima volta che aveva posato lo sguardo su un così bell'esemplare maschile del genere umano. Le ricordava un po’ i protagonisti degli anime giapponesi degli anni settanta e ottanta che le piacevano tanto, e che aveva conosciuto guardando i vecchi DVD dei suoi genitori.
Non che fosse interessata a relazioni che andassero al di là di amicizia e cameratismo, sia chiaro. Aveva già dato, in quel senso, e ne aveva avuto più che abbastanza; per lei era un argomento chiuso e archiviato, aveva ben altro a cui pensare, che queste stupidaggini.
Ma nel rifarsi un po' la vista ogni tanto, che male c’era, dopotutto?
In quel momento si rese conto che Pete stava discutendo con il dottor Daimonji, e l'espressione algida e indifferente era stata sostituita da un atteggiamento decisamente più alterato.
– Cosa? – lo sentì esclamare.
E quella parola, da sola, bastò a farle capire di cosa stessero parlando: di lei.
Gli occhi di lui la squadrarono dall’alto in basso e viceversa: una scansione accurata che sembrò registrare ogni più piccolo particolare. Poi le andò incontro a passo deciso.
Briz prese un bel respiro, mettendo insieme l’aria più battagliera che riuscì a trovare, e si drizzò in tutta la sua altezza per prepararsi ad affrontarlo. Per qualche strano motivo, aveva capito subito che, con il Capitano, la faccenda non sarebbe stata semplice come con gli altri.
Yamatake, che aveva seguito la scena, evidentemente aveva avuto la stessa sensazione.
– Ops. Guai. Guai grossi – commentò, preoccupato.
Pete si fermò di fronte a Briz. Lei alzò gli occhi di alcuni centimetri – cosa che non le era mai capitata tanto spesso come quel giorno – e li affondò in quelli di lui. Fu come scrutare in due abissi di ghiaccio. Si sentì gelare, ma per niente al mondo glielo avrebbe fatto capire. Prese un respiro e si armò della sua corazza di aggressività e ironia, in attesa della prima frecciata. Che arrivò, puntuale e scontata.
– Ti prego! Non dirmi che tu sei davvero il pilota di Balthazar! – esordì Pete.
– Ma buongiorno anche a te, Capitan Richardson! Okay, non te lo dico. Sei più contento, così?
Pete guardò il dottore, come se lei non avesse nemmeno parlato: – È una ragazza! – esclamò.
– Va là!? Te ne sei accorto? Complimentoni! – non poté fare a meno di ribattere Briz.
Il giovane la guardò di nuovo, scosse la testa con un sospiro esasperato, e si rivolse di nuovo a Daimonji: – Doc! Ma è una bambina!
Briz decise che era davvero troppo. Lo afferrò per un braccio e lo fece voltare di nuovo verso di lei.
– Scusa, ti dispiace? Punto primo: io sono qui! Piantala di parlare di me come se non ci fossi! Punto secondo: ha parlato Matusalemme! Ma ti sei visto? Avrai giusto un paio d'anni più di me!
Gli altri ragazzi si scambiarono sguardi stupiti, ma anche divertiti. L'unico a cui era capitato di alzare la voce con Pete, era stato Sanshiro. In realtà avevano tutti un po' soggezione di lui, e non si aspettavano che proprio Fabrizia gli avrebbe tenuto testa in quel modo. In pochi secondi, quasi tutti si resero conto che quella ragazzina, alta e impertinente, avrebbe dato filo da torcere al glaciale Capitano Richardson.
Pete prese il polso di Briz tra il pollice e l'indice, e le staccò con deliberata lentezza la mano dal suo braccio.
– I casi sono due: o tu sei più vecchia di quel che sembri, o gli anni di differenza fra di noi sono più di un paio. Ne ho ventisei, fanciullina. Almeno io sono maggiorenne, e anche da un po’!
– Fanciullina ci chiami tua sorella! E, giusto per la cronaca, sono maggiorenne anch'io, da tre anni. E so che ti sembrerà strano, ma pensa! Ho persino la patente!
Tra i presenti cominciò a sentirsi qualche risatina soffocata e qualche commento.
– Oh, oh. La bambina ha un caratterino – si fece sentire la voce di Bunta.
– Mi sa che Non-sbaglio-mai-Richardson ha trovato pane per i suoi denti – ghignò Sanshiro.
– Ragazzi... Non credo che questo sia un bene – sospirò Midori, preoccupata.
Fabrizia e Pete continuavano a guardarsi in cagnesco. Non c'era più traccia di quella scintilla, che Midori avrebbe giurato di aver visto quando i due si erano guardati la prima volta; quando lui non aveva ancora la più pallida idea di chi fosse Briz, né lei di chi fosse Pete.
E intanto l'alterco tra i due continuava.
– Perché c'è una come te a guidare una potenza come Balthazar?
– Perché non mi piace niente, il modo in cui dici una come te?
– Ma perché diavolo nessuno si è preso la briga di dirci che sei una ragazza? Anzi... una ragazzina.
– Magari volevo farvi una sorpresa! Agli altri è piaciuta. Come mai a te no?
– Forse perché io sono un po' più realista. Non stiamo giocando.
– Cosa ti fa pensare che invece io lo stia facendo?
– Beh... mi viene da chiedermi: te ne eri accorta che la guerra è cominciata? Perché, dovunque tu fossi, te la sei presa comoda a tornare, dolcezza!
– Ehi, biondone! Dolcezza con chi!? Per chi mi hai presa? Guarda che io non sono mica una di quelle fighette che sicuramente ti cascano ai piedi quando guardano i tuoi begli occhi blu!
– E tu cosa credi, che mi inchinerò a te soltanto perché sei una donna? Che poi... donna... è una parola grossa, per descriverti!
– Ma come ti permetti?! Brutto idiota di un maleducato!
– Ragazzi! – tuonò la voce di Daimonji, zittendoli all'istante e facendoli girare verso di lui – Sentitemi bene, voi due! Non ci siamo! La guerra è là fuori, e che ne scoppi un'altra qui dentro è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno! Pete, fattene una ragione: abbiamo bisogno di Briz! È la figlia dello scienziato che ha progettato e costruito Balthazar!
– Ah, fantastico. Un regalo di compleanno di papà, eh? – fu il commento pieno di sarcasmo di Pete – Come ti ho già detto, questa è una guerra vera, mica il set di Star Wars!
– Ma dannatissimo bastardo, figlio di put… – Midori la afferrò da dietro appena in tempo, interrompendo l'insulto, e  trattenendola prima che gli si scagliasse contro per spintonarlo.
– Zitta, Briz! Calmati. Avanti, respira... E lascia perdere – le disse sottovoce.
Fabrizia rimase a guardare il suo avversario ansante, con gli occhi che mandavano lampi. 
– Non osare, mai più, parlare di mio padre – sibilò a bassa voce – Se il dottor Daimonji ha fiducia in me, dovrai averla anche tu, cafone presuntuoso. E se non ti piaccio... amen! È un problema tuo!
Le parole offensive sembrarono scivolare addosso al giovane, come se non le avesse nemmeno sentite.
– Ma perché tu? Non poteva imparare chiunque altro a guidare Balthazar? 
– No! - rispose Doc bruscamente, al posto di Briz – Come ho scelto Sanshiro, per via delle sue doti particolari, per lo stesso motivo ho convocato Briz: è l'unica persona al mondo in grado di usarlo per combattere.
– Oh, ma vieni! Un'altra con i superpoteri – commentò Pete quasi tra sé, alzando gli occhi al cielo.
– Che ti succede, Capitan America? Sei invidioso? Li volevi anche tu, poverino?
– Briz! – la richiamò Doc.
– Non ho nessun super potere – sbuffò Fabrizia con voce stanca, passandosi una mano tra i capelli – È solo che io... non guido Balthazar. Io sono Balthazar!
– Uhmm…  Dovrei sentirmi impressionato, da una frase ad effetto come questa?
– Certo che no. Anche perché non ho nessuna intenzione di stare a spiegartene il senso. Probabilmente nemmeno capiresti.
– Cerca di non sottovalutarmi troppo, Briz, o come diavolo ti chiami.
– Mi risulta che finora sei tu, quello che sottovaluta.
– E va bene. Se il dottor Daimonji si fida di te, vedrò di provarci anch'io.
– Uh, che concessione! Quale terribile sforzo ti sarà costata!
– Non lo immagini nemmeno...
Briz guardò la sua amica e disse: – Midori, avevi detto che il qui presente Capitan Richardson era ironico, ma non hai reso l'idea. È decisamente sarcastico!
– Perché, c'è differenza? – chiese lui.
– Tra ironia e sarcasmo? Più o meno come tra un sospiro e una scor... voglio dire, un versaccio volgare!
– Tsé! E poi il sarcastico sarei io? – commentò Pete con un sospiro esasperato e tendendole la mano di malavoglia.
Si vedeva da lontano un miglio, che fu un gesto dettato solo dal senso del dovere. Briz gliela strinse con la stessa mancanza di entusiasmo, prima che cambiasse idea. Tutti guardarono le loro mani, che si presero e si lasciarono velocemente, come se quel contatto fosse durato anche troppo, per i loro gusti. Ma i loro occhi continuarono a sfidarsi.
Sì, perché quella che era scattata tra di loro, era davvero una sfida in piena regola, lo capirono tutti.
Le scintille riapparvero per qualche secondo, ma non somigliavano a quelle che Midori credeva di aver visto all'inizio. Neanche un po'. Questi due si odiavano, altroché!
– Credevo che Briz fosse un nome da maschio – commentò Pete.
– Non sei l'unico che l'ha pensato – ribatté lei, guardando Sanshiro che, poco prima, aveva detto esattamente la stessa cosa – Però solo tu ne hai fatto una questione di stato.
– Ma che razza di nome è Briz? Sembra quello di un cane – la provocò Pete, ignorando il suo commento.
– Il tuo invece è il banalissimo e comunissimo nome da americanaccio ignorante e pieno di sé. Qualunque cosa tu mi dica, io te la rigiro indietro! Vogliamo continuare su questo tono ancora per molto?
– Okay, fanciullina. Piantiamola qui e dimmi come ti chiami davvero.
– E dàgli! Ti ho già detto di non chiamarmi così!
– Io ti chiamo come mi pare, fanciullina!
– Gnnn, mi sale il crimine! – ringhiò lei – Mi chiamo Fabrizia Cuordileone! Lionheart, nella tua lingua.
– Caspita. Tutto un programma! Con un cognome del genere dovrai stupirmi con effetti speciali.
– Lo farò, bel pupone! E senza farla cadere tanto dall'alto! – replicò lei con una sicurezza che era ben lungi dal provare. Gli voltò le spalle e sibilò sottovoce, in spagnolo, scuotendo appena la testa:
– Cabròn.
Poi si rivolse agli altri: – Ragazzi, è stato un piacere conoscervi e sarà un onore combattere al vostro fianco. Ma ora devo andare a salutare un altro paio di amici che non vedo da un po'. A domani! – e così dicendo sollevò le braccia e agitò le mani in un saluto scanzonato. Dopo di che infilò la porta alla svelta.
“Maledizione, lo so che questa somiglia tutta a una dannatissima fuga, ma se non me ne vado di qui, finisco per dare di sclero!” pensò agitata.
Midori le andò dietro, seguita a poca distanza da Doc.
– Hai detto che non eri ancora riuscita a inquadrare Pete, vero? – disse Briz, all'amica che teneva il passo di fianco a lei – Perché io, invece, ho già trovato in quale categoria collocarlo!
– E... sarebbe? – incalzò Midori, già paventando la risposta.
– Bello e stronzo!!!
Il dottor Daimonji, dietro di loro, scosse la testa. Aveva immaginato, conoscendo sia Pete che Fabrizia, che qualche scintilla ci sarebbe stata. Ma le cose erano andate molto peggio di quel che aveva temuto.
 
 *********
 

Midori e Fabrizia imboccarono un sentiero, che spariva in un boschetto situato a circa mezzo chilometro dal Faro. In una radura fra gli alberi sorgeva una costruzione di legno nella quale Briz aveva alloggiato tre amici, venuti con lei dall'Italia circa un anno prima.
Il primo dei tre le corse incontro lungo il sentiero e quasi la travolse, abbaiando prima e uggiolando poi.
– Atlas! Bestione, stai calmo. Anch'io sono felice di rivederti.
Il pastore belga, dal folto pelo lungo e nero, si rovesciò sulla schiena e si lasciò coccolare, con la lingua penzoloni.
– Vergognati! Grande e grosso e guarda come ti comporti! Midori ti ha trattato bene, eh? Sei diventato un ciccione!
Briz si rialzò e il cane la imitò e la seguì. Un paio di nitriti salutarono le ragazze e Fabrizia allungò il passo.
Una grande tettoia ombreggiava la larga parete della costruzione, sulla quale si apriva un portone che dava in un ampio corridoio interno che la attraversava fino sul retro, su cui si apriva un'uscita posteriore. Sulla sinistra del corridoio c'erano due porte: una era la selleria, che custodiva selle, finimenti, e un piccolo frigorifero e un armadietto contenenti farmaci per uso veterinario e materiale da primo soccorso; l'altra era chiusa a chiave. Di fronte ad esse, sulla destra del corridoio, si aprivano le porte di due box, entrambe con la parte inferiore chiusa. Al di sopra, si affacciavano i musi di due cavalli: uno era talmente nero che il mantello aveva riflessi bluastri; l'altro era pezzato, con la testa scura e la fronte attraversata da una lista bianca che finiva in mezzo alle froge. Aveva la criniera lunga e ondulata, nera ma striata di bianco, come la coda.
– Obi-wan! Indy! Mi siete mancati, fratellini! Siete bellissimi, non vedevo l'ora di rivedervi!
– Li ho cavalcati a turno ogni volta che è stato possibile, e Sakon e Jamilah mi hanno aiutato: abbiamo fatto dei turni per dargli da mangiare e tenerli puliti. Ma ci ha dato una mano notevole anche Hakiro Kobayashi,2 il ragazzino che abita a pochi chilometri da qui e che hai contattato tu.
– Grazie, sapevo di poter contare su di voi – disse Briz, abbracciando il muso nero di Obi-wan. Poi aprì i box e condusse i due equini nel grande recinto sul retro, lasciandoli liberi di scorrazzare.
Si appoggiò allo steccato e osservò i suoi cavalli: Indy, il pezzato, era sempre stato suo, mentre Obi-wan era appartenuto a suo fratello Alessandro. Non avrebbe mai ringraziato abbastanza il dottor Daimonji per aver capito quanto quegli animali fossero importanti per lei, e per averle permesso di portarseli dietro dall'Italia e messo a disposizione quella vecchia costruzione in legno, che poi aveva fatto adattare a scuderia.
Organizzare il loro trasferimento in Giappone non era stato uno scherzo, un anno prima: due cavalli e un cane non erano esattamente una coppia di criceti. Briz aveva affrontato quel lungo viaggio insieme a loro, nella stiva dell'aereo, ma ne era valsa la pena. Atlas, Obi-wan e Indy erano tutto ciò che le restava del suo passato.
Midori vide la sua amica assorta. Sapeva che ogni tanto le accadeva di perdersi nei ricordi e di diventare malinconica. Non che se ne stupisse: con quel che le era capitato, era il minimo. Per fortuna, guardandosi alle spalle, vide qualcosa che l'avrebbe distratta.
– Ehi, Briz. Guarda chi arriva.
Dal sentiero giungevano chiacchierando due persone. Fabrizia li riconobbe immediatamente.
Sakon Gen era alto, snello e ben fatto, con la pelle chiara, gli occhi a mandorla di un marrone scurissimo e i capelli lunghi, dal taglio irregolare, neri e mossi; le sopracciglia erano sottili e il naso lievemente aquilino: nel complesso, un giovane piuttosto bello. Nelle sue fattezze si intuiva l'incrocio di etnie dei suoi genitori: padre giapponese e madre australiana. Possedeva un quoziente intellettivo eccezionale, intorno al 340, forse il più alto presente sulla Terra, e un carattere talmente sereno e pacato, che instillava tranquillità anche in chi gli stava vicino. Il giubbotto grigio della sua uniforme era perfettamente in stile con la sua indole seria e modesta.
Contrastava parecchio con la ragazza che lo accompagnava: un cespuglio di riccioli, di un castano scurissimo, coronava un volto color cioccolato al latte. Aveva il naso piccolo leggermente schiacciato e una bocca sorridente, dai denti bianchissimi e le labbra carnose. Ma la cosa più incredibile, su quei tratti che richiamavano indiscutibilmente l'Africa, erano gli occhi: grandi e con ciglia nere lunghissime, ma di un intenso color acquamarina che creava un contrasto meraviglioso con la pelle scura, almeno quanto il suo giubbotto rosa pallido. Quanto a miscuglio di razze, anche Jamilah Nyong'o non scherzava: suo padre era kenyota mezzosangue, sua madre neozelandese. Erano rimasti a vivere ad Auckland, la città da cui proveniva anche Sakon e in cui viveva sua madre. Il padre di Sakon, che era stato un noto archeologo, era morto anni prima, durante una spedizione nel deserto del Sahara.
Mentre Jami stava ancora studiando per la seconda laurea, Sakon si era già laureato due volte, e da diversi anni. Ma lui, come diceva Jamilah, non faceva testo. Era un fuoriserie: non ci si laurea in Ingegneria Aerospaziale a sedici anni e in Astrofisica a diciannove scarsi, col massimo dei voti, se non si è qualcosa di più di un fenomeno. Senza contare altri vari master e dottorati nelle più disparate materie tecnico-scientifiche. Non per niente Jamilah lo aveva conosciuto all'Università in qualità di suo professore, nonostante la giovane età.
Ora Sakon aveva ventisette anni, e lei, che ne aveva ventiquattro, stava imparando talmente tanto, facendogli da assistente, che a volte pensava di non avere spazio a sufficienza nella sua testa, per tutte quelle nozioni. Timore totalmente infondato, visto che anche Jami aveva una mente sveglia e un'intelligenza comunque superiore alla norma. Anche lei aveva già una laurea in Astrofisica ed era a pochi passi da quella in Ingegneria Aerospaziale. Lei era convinta che non sarebbe mai arrivata a eguagliare la mente di Sakon; intanto però, era orgogliosa che lui, in quanto Ingegnere Capo, esperto nella manutenzione e nel funzionamento del Drago Spaziale e custode di tutti i suoi segreti, avesse scelto proprio lei come assistente. Qualcosa doveva pur significare.
Fabrizia andò loro incontro e li abbracciò. Anche loro le erano mancati, in quell'ultimo periodo.
– Briz, ma che è successo? Ha detto Doc che avete fatto scintille, tu e il nostro Capitano – disse Sakon.
– Scintille? È già un miracolo se non abbiamo appiccato un incendio. E poi ha cominciato lui! Mi odia.
– È solo perché non ti conosce. Quando avrà visto Balthazar in azione, cambierà idea.
– È proprio questo il problema, Sakon! Tutti vi aspettate grandi cose da me! Cuordileone: un nome una garanzia. Io adesso sono terrorizzata! E comunque, per far colpo su Capitan America, dovrei come minimo vincere questa guerra da sola.
– No! Non lo avrai davvero chiamato Capitan America! – chiese Jami, ridendo.
– Beh, lui mi chiama fanciullina e... Dio, che orrore: dolcezza! Ma ti rendi conto! A me!
– Oh, sì, effettivamente sono offese imperdonabili – scherzò Sakon.
– Dai, ma fanciullina con chi!? E poi detto con quel tono di condiscendenza e compatimento, come se lui fosse il Padreterno! Secondo me ha dei problemi con le donne. E poi... ha osato nominare mio padre!
– Sì, beh, so che questa è una cosa che ti scoccia parecchio. Ma qualcosa mi dice che gli hai davvero tenuto testa. Chiamarlo Capitan America è parecchio ironico...
– Già, per non parlare di biondone o bel pupone – intervenne Midori.
– Bel pupone? A Pete? No, dai, non posso crederci! – esclamò Jamilah, facendo tanto d'occhi.
– Oh, ma se è per questo Briz gli ha detto di molto peggio. Cose del tipo: cafone presuntuosobrutto idiota di un maleducato... – cominciò a elencare Midori, contando sulle dita – Ah, un dannatissimo bastardo e un figlio di put... che sono riuscita a interrompere in tempo. Ah, e vogliamo parlare di cabròn? Ma lui non ha raccolto, probabilmente lo spagnolo non lo capisce.
– È ovvio, che non lo ha capito. È già un miracolo se parla correttamente la sua, di lingua! – esclamò Briz.
– Già, dimenticavo – aggiunse Midori – Gli ha detto anche che il suo nome è quello tipico e banalissimo dell'americanaccio ignorante e pieno di sé!
– Oh, senti, lui mi aveva appena detto che Briz è un nome da cane!
–  Oddio... – commentò Sakon, senza altre parole, portandosi una mano alla fronte.
Midori continuò il suo resoconto citando l'ultima affermazione della ragazza: – E ha detto anche, per fortuna solo con me, che il suo giudizio sintetico su di lui sta in due parole.
– Gesù, Giuseppe e Maria… non oso chiedere – sussurrò Jamilah, tra il divertito e il preoccupato.
– Beh, ma ho detto la verità! – si difese Briz con innocente candore – È davvero bello e stronzo!
 Sakon e Jamilah si guardarono e scossero la testa.
– Ahiahiai... – fu il commento di Sakon – La vedo davvero dura. Ma molto, molto dura.
 
* * * * * *
 
Più tardi, Midori accompagnò Fabrizia alla clinica del Centro.
Il dottor Toshiro Watanabe e la dottoressa Yumiko Mori la salutarono con calore.
Toshiro era un medico cinquantenne alto e asciutto, con gli zigomi pronunciati e una perfetta, lucidissima pelata. Briz si era sempre tenuta per sé, che il dottore le sembrava il disegno animato della pubblicità del MastroLindo.
Yumiko era una bella donna di circa quarantacinque anni, con qualche filo argentato, nei capelli nerissimi, che le dava un'aria signorile e distinta. A lei ricordava Michelle Yeoh, un'attrice americana di origine orientale che le piaceva molto.
Quando Midori se ne fu andata, i due medici sottoposero Briz ad una visita approfondita per verificare che le sue condizioni psicofisiche fossero al top, per poter reggere, nel prossimo futuro, lo stress da battaglia. Soprattutto quello a cui l'avrebbe sottoposta la NGC, la Neuro Genetic Connection, ovvero il sistema sperimentale di combattimento ideato da suo padre, che le permetteva non solo di guidare Balthazar ma, in un certo senso, di diventarlo. 
Al Centro erano in pochissimi a sapere in cosa consistesse realmente questa Connessione NeuroGenetica, e Briz voleva che le cose non cambiassero. Era una faccenda sua. Era già troppo la frase che si era lasciata sfuggire, sull’onda della rabbia, con quello scassapalle di uno yankee.
La dottoressa Mori si occupò anche delle analisi del sangue e di controllare il piccolo dispositivo a rilascio ormonale continuo che le aveva impiantato da tempo nella parte interna del braccio sinistro, appena al di sopra dell'incavo del gomito. Era l'ultimo passo fatto, l'ultimo sacrificio che Briz aveva dovuto chiedere al suo fisico.
Quel fenomeno naturale che appariva circa ogni ventotto giorni in tutte le donne del mondo, interferiva con la NGC, come aveva scoperto a sue spese durante uno dei primi addestramenti: aveva avuto un collasso.
Naturalmente non poteva permettere che ciò succedesse in battaglia. Non c'era molto da stupirsi se ultimamente aveva cominciato a sentirsi poco femminile, ancora più di quando era un'adolescente lunga, secca e occhialuta, con i capelli corti e dritti.
Quel dispositivo le aveva tolto quella cosa che, per tutte le donne del mondo, era una gran rottura di scatole ma, allo stesso tempo, la quintessenza della femminilità: Fabrizia non aveva più il ciclo mensile da quasi un anno.
                                                      
> Continua…
 


Nota dell’autrice (fulminata come una lampadina)
1 Ho cambiato le divise dell'equipaggio perché, a dirla tutta, quelle originali della serie anni settanta, con la calzamaglia e la mutanda al di sopra, tipo Superman, nel 21° secolo... non si possono proprio guardare, via!
 
2 Hakiro. Questo è un personaggio che ho intenzionalmente e spudoratamente stravolto, sminuito e relegato a un ruolo estremamente marginale. Nell’anime era un bambinetto di una decina d’anni, figlio del guardiano del Faro (che nessuno ha mai visto) e che faceva inspiegabilmente, almeno per me, parte dell’equipaggio. Io lo odiavo, perché lo reputavo totalmente inutile. La truppa del Drago, di tutto avrebbe avuto bisogno, fuorché di una mascotte che tutto ciò che faceva era mettersi nei guai e creare ulteriori casini. Tutto ciò per dire che non avrei proprio saputo come trattarlo. Così, molto vigliaccamente, l’ho praticamente segato! (Però gli ho messo il cognome, Kobayashi, di uno dei suoi creatori.)

Ma se è per questo non esisteva nemmeno un Centro di Ricerche, la base vera e propria era il Drago stesso, che si portava in giro per il mondo (ed eventualmente nello spazio) tutto ciò che serviva. L’equipaggio “viveva” nel Drago, che è lungo circa 400 mt. Ma io soffro di claustrofobia, e a me ‘sta cosa dava l’ansia (e pure a Fabrizia, porella, abituata a vivere all’aria aperta).
Scusate la lunghezza del capitolo, spero i prossimi di riuscire a farli più corti. Magari li spezzerò. Ma non vi prometto niente…
Ringrazio di cuore chi si è soffermato a leggere, spero che continuerete.


Ma la mia gratitudine più sincera va a MiciaSissi che mi ha recensita (e incoraggiata a pubblicare), e a Divergente Trasversale (ora Kamony) che oltre a vincere la palma della mia prima recensione, mi ha persino messa tra le seguite. Non me l’aspettavo. Vi adoro!
E chiunque voglia lasciare un commento è il benvenuto.
Io vi lascio la mia rivisitazione a pastelli del Capitano “bello e stronzo” Pete Richardson, Se non s’è capito, è per lui che avevo un debole, a quei tempi. Fabrizia, per ora, molto meno…
Hasta la vista! 


Pete-Richardson
  
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