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Autore: Kitsunelulu    18/12/2016    0 recensioni
Orlando ama l'arte, le piante, il sole, i dolci. Marco odia tutto, per primo se stesso.
C'è qualcosa nel loro passato, tuttavia, che li accomuna.
Storia di due rette parallele che si incontrano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era dicembre e mentre mi trascinavo a scuola una sensazione di gelo sulla pelle mi aveva fatto sobbalzare. Guardai in alto e scorsi tanti piccoli fiocchi bianchi scendere dal cielo e farsi poi sempre più grandi. Ondeggiavano come buste nel vento e la loro caduta era lenta, così lenta da non lasciare alcun dubbio: nevicava. Un bagliore di meraviglia sbocciò nei miei occhi e gli angoli della bocca si sollevarono istintivamente in un sorriso entusiasta. Subito cercai lo sguardo di mia sorella e vi trovai, come mi aspettavo, lo stesso bagliore, quello che brilla negli occhi di qualsiasi bambino alla vista della prima neve d’inverno. Quel semplice vialetto da casa a scuola si trasformava lentamente in qualcosa di diverso dallo stesso che percorrevamo ogni mattina con gli zaini in spalla, ed anche la nostra destinazione cambiava: neve significava niente scuola, così corremmo verso casa con un’energia che nessuna mattina aveva mai visto attivarsi così presto. La mamma ci accolse con un sorriso divertito e dopo averci preparato una cioccolata si affrettò a coprirci il più possibile, due paia di guantini, due sciarpe, due cappellini uguali, prima che l’entusiasmo ci avesse definitivamente trascinati via a giocare. Com’era bello, era la felicità massima a cui un bambino potesse aspirare allora. In quella mezzora di preparazione la città era ormai diventata un grande parco giochi bianco e freddo. Lilia correva più di me e immaginai una super-bambina che grazie al potere della neve potesse volare. Raggiunta la piazzola dove lei mi aspettava, la super-bambina sparì e tornò Lilia.                       
La mattinata fuori scuola sembrò eterna e quando a mezzogiorno tutti i bambini, noi compresi, tornarono nelle loro case, tanti divani e coperte furono pronti ad accoglierli e farli riposare fino a una nuova sessione di gioco. Continuò a nevicare per tutta la notte e un’altra mattinata di gioco fu assicurata. Un altro fiocco di neve cadde lentamente e finì sul mio viso.
Che buffo, anche oggi un fiocco di neve è caduto lentamente sul mio viso. Per un attimo il bagliore si accende e cerco uno sguardo vicino, ma non trovo nulla. Mi guardo intorno e vedo tante persone che camminano disinvolte, chi apre l’ombrello, chi si ripara sotto un balcone. Niente bambini nei paraggi, niente vialetto che porta a scuola, niente Lilia. All’improvviso sono arrabbiato con chiunque mi circonda. Arrivo finalmente nell’aula della lezione e vedo le solite facce stanche, desiderose che quest’ultima settimana prima della pausa natalizia passi velocemente. Un mormorio inonda il legno dei banchi. “Ah, non vedo l’ora di tornare a casa!”; “Come passerai la vigilia? Se non hai piani…”; ”Spero che il mio ragazzo si sia ricordato di farmi un regalo…”; “Marco!” una voce familiare distoglie il mio udito dal brusio indefinito. Poco lontano scorgo Irene. “Buongiorno, sono felicissima! Hai visto che neve fitta che c’è?” Si siede di fianco a me e poggia la borsa invadendo la mia parte di banco. “Se continua così tra qualche ora si potrà giocare per bene!”.  “Buongiorno”, rispondo. Irene è una ragazza bionda, molti ragazzi ci provano con lei, non è brillante ed è così invadente che per tenersene alla larga non basta chiudersi a chiave nel bagno dei maschi. Effettivamente l’unica persona che riesce a rivolgermi la parola al di fuori di un contesto formale non poteva che essere la persona più estroversa del corso. Generalmente non è una compagnia spiacevole ma inizia a diventare fastidiosa quando tenta di includermi in qualche gruppo di amicizie più ampio (fortunatamente giunti al terzo anno sembra averci rinunciato definitivamente). Non so cosa la spinga a considerarmi suo amico nonostante la mia palese insofferenza per i rapporti sociali che invece lei ama.
 “Dopodomani finiscono le lezioni e posso tornarmene a casa finalmente. Ho l’aereo giovedì, tu?”
“Io non torno a casa, te l’ho già detto, no?”
“Ah, già! Scusa ma me n’ero dimenticata. Comunque non ti chiedo il perché, figurati se me lo diresti anche se te lo chiedessi..” mi rivolge un sorriso provocatorio.
“Beh, vedi che alla fine non sono così difficile da capire? Hai imparato come ci si comporta con me.”
“Ci ho messo tre anni ma ce l’ho fatta.” Sorride.
Conversiamo del più e del meno finché il professore entra in aula. Ascolto distrattamente la lezione e prima che me ne accorga è già finita. Non so per quale motivo le lezioni, nel periodo di Natale, sembrano sempre più corte. Appena uscito mi accorgo che ha smesso di nevicare. In quelle quattro ore la poca neve che avevo visto alle 8 si era ormai sciolta ed aveva lasciato posto ad una fanghiglia grigia. Anche l’entusiasmo della mattina si era ingrigito e sciolto. Cammino verso casa a passo svelto e dopo quindici minuti a piedi la raggiungo. Intorpidito dal calore, mi lancio sul divano dove il mio laptop mi attende.
Se dovessi descrivere il mio appartamento dovrei partire dal presupposto che per potersi permettere di non dividere l’affitto con dei coinquilini bisogna rinunciare a diverse cose, come ad esempio una cucina spaziosa o un balcone. Infatti, nei pochi metri quadri che lo compongono, c’è spazio solo per un piccolo soggiorno illuminato da una finestra, un cucinino ed un bagno. Il mio letto è il divano, che aprendosi diventa un comodo materasso a due piazze. Subito sotto la finestra c’è la scrivania dove studio. E’ piccolo ma confortevole e sempre in disordine. Il color mogano del divano è nascosto dalle tre coperte a fantasia che lo ricoprono, mie migliori amiche durante l’inverno. E’ qui che passo la maggior parte del mio tempo, parlando solo a me stesso. Mi stendo, e ignorando la fame che inizia a farsi sentire ripenso a come passare le vacanze natalizie. Dovrò darmi da fare per non impazzire: venti giorni senza contatti con altri esseri umani sono una gioia fin troppo grande per uno come me, ma sono senz’altro la via più facile per dimenticare definitivamente come ci si comporta nella società. Cerco di ricordare come ho passato le vacanze scorse e quelle precedenti. Il primo Natale in questa nuova casa lo passai con mia madre che insistette per venirmi a trovare, nonostante io avessi fatto di tutto per non tornare a casa e non vedere facce conosciute. Fu triste e dovetti aspettare giorni prima di riprendermi dalla depressione che ne conseguì. Il secondo Natale riuscii a passarlo da solo ma non fu tanto meglio. Il senso di colpa per aver chiuso definitivamente i rapporti con la mia famiglia mi tormentava e guardare la felicità di tutti circondarmi costantemente contribuì a farmi sentire più solo e disperato che mai. Questo sarà il terzo natale che passo in questa città. Sono cambiato molto in tre anni e la mia famiglia è ormai un ricordo lontano.
Sono sicuro che quest’anno sarò pronto a non badare a quanto gli altri siano felici. 
Starò bene.
   
 
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