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Autore: Julie Darkeh    19/12/2016    1 recensioni
Eleanor Cole, una giovane canadese appassionata di arte e di libri, si ritrova catapultata in un nuovo ambiente quando arriva a Londra dal padre che non vede da due anni. La sua scomoda situazione familiare non l'aiuta a trovare coraggio per affrontare un intero anno nell'umida Inghilterra e l'incontro con Valentin Virtanen, personaggio tenebroso e dall'oscuro passato della William Blake Art School, sconvolgerà tutto. Nella nuova vita di Eleanor c'è anche Gwen Berry, ex ragazza di Valentin, la quale non ha bei rapporti con quest'ultimo, ma lo tiene sott'occhio insieme alla nuova arrivata sin da subito. Inoltre al caos si aggiunge Stacie Peters, direttrice del giornalino scolastico, una ficcanaso combina guai fiancheggiata dai suoi fidati soci Ralph e Melanie. Insieme trovano sempre un modo per creare scompigli con i loro articoli di gossip e dai quali non è facile scamparvi.
Una storia che comincia come tante, ma che finisce come poche.
Intrecci, misteri da svelare, bugie e amori imperfetti.
Questa è "Baciata dalla luna".
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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4 - Paura ed emozione







Mi batté forte il cuore quando vidi sul cellulare il nome del mio ex ragazzo sotto la bustina lampeggiante gialla. Dopo la mia partenza non mi scrisse spesso, poiché voleva impegnarsi a non pensare troppo alla nostra relazione appena finita, eppure quella mattina ricevetti un suo messaggio. Ero appena salita in macchina ed ero pronta per un nuovo giorno di scuola, ma poco prima di mettere in moto il mio catorcio, aprii quel messaggio e lo lessi.


Ciao Ellie, come stai? Probabilmente da te sarà mattino, qui invece è ancora notte ed io non riesco ad addormentarmi. Da quando ci vediamo su Skype insieme agli altri penso sempre più a te e mi manchi tantissimo. Ti prego, anche se non cambierebbe nulla, ti chiedo di ritornare ad essere una coppia! Fa male non averti qui con me e sapere che tu non sei più mia, perciò ti scongiuro, dammi almeno il piacere di saperti ancora la mia ragazza!

Cercai di non commuovermi dopo aver letto quelle parole, ma i miei occhi si inumidirono contro la mia volontà. Mi feriva pensare che Andy stesse soffrendo così tanto per la nostra lontananza, ma non me la sentivo di accettare la sua proposta. Anzi, la trovavo insensata. Perché saremmo dovuti rimanere una coppia se non potevamo vederci di persona per un anno? Il dolore sarebbe comunque rimasto.

In quel momento riapparve in me un odio verso mio padre e alla sua stupida idea di farmi trascorrere dodici mesi a Londra da lui. Se non fosse stata per quella sua decisione, quella mattina non mi sarei trovata in quella macchina di seconda mano, ma nel mio letto, a casa mia, ad Ottawa.

E dopo il mio risveglio, avrei rivisto Andrew davanti a scuola, come tutte le mie vecchie e solite mattine. Mi si strinse il cuore, ma dovetti rispondere negativamente a quel messaggio di Andy. Mentre digitavo il testo sul touch screen, una lacrima solcò la mia guancia destra, ma l'asciugai subito interrompendo per un attimo la digitazione, poi ripresi a scrivere.

Ciao Andy, anche tu mi manchi moltissimo e vorrei essere lì accanto a te in questo momento, ma non possiamo tornare insieme. Come vedi fa già molto male stare lontani e penso che se fossimo ancora una coppia sarebbe molto peggio, perdonami.

Una volta aver risposto al messaggio e aver infilato il cellulare nella tasca dei jeans, misi in moto la macchina ed uscii dal garage. Durante il viaggio in auto pensai senza sosta a come si stesse sentendo Andy in quel momento nel letto di camera sua. Lo immaginai piangere tra le coperte come feci io le prime notti passate a Londra e sentii una stretta nella gola. Non volevo arrivare a scuola con gli occhi umidi e le guance rosse, perciò mi impegnai a trattenere le lacrime e a scacciare via tutti quei pensieri tristi. Se Stacie mi avesse vista in quello stato, mi avrebbe fatto sicuramente delle domande, per poi dire ancora che finirò tra le pagine del giornalino. Era meglio evitare.
Arrivata nel cortile della scuola, parcheggiai al solito posto, lontano da quello di Valentin. Quel mattino, quando gettai un'occhiata al quel posteggio che dovevo evitare, vidi la macchina blu: Valentin era tornato.

Dentro di me cominciò ad agitarsi la mia solita e maledetta ansia. Non avevo voglia di incrociarlo per i corridoi e di sentire il peso del suo sguardo su di me. Per quanto volessi far finta che non esistesse, non riuscivo ad ignorarlo. Avevo visto Valentin solo il primo giorno di scuola e l'inquietudine che provai in quella giornata stava per ripresentarsi nel mio corpo e nella mia mente.
Prima di scendere dalla macchina controllai se Andrew avesse risposto al mio messaggio e con mia sorpresa notai che non ricevetti nulla. Pensai che forse fosse riuscito ad addormentarsi, ma poi ne dubitai. Probabilmente lo delusi, ma ciò che gli scrissi era quello che pensavo davvero. Per quanto potesse farmi male, non mi pentii di quel messaggio.
Scesi dalla macchina e mi guardai intorno mentre raggiungevo i gradini davanti all'entrata della scuola. Nonostante ci fosse la sua auto, Valentin non era nei paraggi. Mi feci qualche domanda al riguardo, ma poi non volli più pensarci. Sperai soltanto di non incontrarlo durante la giornata, ma le mie furono soltanto delle speranze perse quando vidi Valentin nell'aula di pittura mentre preparava il cavalletto, la tela e i colori ad olio.

Ero uscita dalla classe per andare al bagno e, quando passai davanti all'aula di pittura, la prima persona che vidi fu proprio quel finlandese, poiché era in fondo all'aula, di fronte alla porta lasciata aperta. Rimasi là ferma ad osservare i suoi movimenti: con una mano teneva la foto di un paesaggio e con l'altra cominciò a tracciare sulla tela con una matita i primi schizzi.

- Mi raccomando ragazzi, adesso siete al quinto anno, perciò mi aspetto da voi dei paesaggi degni di grandi pittori! - disse la professoressa di pittura mentre passeggiava tra i cavalletti degli studenti con le mani incrociate dietro la schiena.
Valentin era così concentrato mentre disegnava che sembrava quasi un'altra persona. Una di quelle calme, professionali e pacate. Non avrei mai detto che ad un ragazzo scapestrato come lui piacesse così tanto svolgere un'attività tranquilla come disegnare e dipingere.
Notai anche che i suoi capelli scuri e spettinati erano poco più corti dell'ultima volta che lo vidi, ma aveva alle orecchie gli stessi orecchini tondi del primo giorno di scuola. Gli occhi erano contornati di nero e mi sbalordii nel vedere che Valentin si truccasse. La volta scorsa non c'era nessun segno di trucco sul suo volto.
La camicia rossa che indossava era in contrasto con la maglietta nera dal colletto ampio che stava sotto. I jeans chiari gli stavano leggermente larghi e su un fianco scendeva una piccola catena argentata. Ai piedi portava degli enormi anfibi neri.

- Signorina, le serve qualcosa? - mi chiese la professoressa notandomi fuori dalla porta. Tolsi immediatamente la mia attenzione da Valentin e guardai la donna sorridermi.

- Ehm, no, mi scusi, stavo solo... guardando come lavorate - le risposi imbarazzata e indietreggiando.

- Oh, sei la ragazza nuova del quarto anno, vero? Puoi entrare, se vuoi - mi propose la professoressa indicando con un dito il fondo dell'aula, quasi come se avesse indicato Valentin che, mentre cercavo di svignarmela, si accorse della mia presenza.

- No no, davvero, grazie - dissi indietreggiando ancora e morendo dalla vergogna. - Io in realtà stavo andando in bagno- ammisi e la signora si mise a ridere teneramente. Già mi stava simpatica, era una donna solare e gentile. Non era la stessa professoressa che insegnava arte nella mia classe, altezzosa e severa.

- Okay, ti lascio andare allora.

- Magari do un'occhiata un'altra volta, grazie ancora, salve! - la salutai e, prima di andarmene, lanciai d'istinto uno sguardo a Valentin, il quale mi fece un occhiolino e mi sorrise. Io me ne andai facendo finta di nulla e ripresi a raggiungere il bagno a passo spedito. Sentii le risa dei ragazzi di quinta e mi imbarazzai tremendamente, ma arrossii di più quando mi apparve nella testa Valentin farmi l'occhiolino. Quegli occhi dello stesso colore di cui splende l'acqua pura e dolce di un fiume mi avevano ancora trafitto. Accostati a quel contorno nero sembravano ancora più freddi e accesi di un faro nella notte.
Detestavo sentire quelle palpitazioni in gola e nello stomaco, poiché mi promisi di non dare importanza a quel ragazzo, ma quando i miei occhi incrociavano i suoi, il mio cervello si spegneva e il mio cuore, invece, si riempiva di vita. Ciò che Valentin riusciva a trasmettermi era qualcosa di anomalo, inspiegabile, un misto di paura ed emozione. Nonostante tutto, ero ancora decisa ad ignorarlo ed ero sicura che, se fossi andata avanti di quel passo ad auto controllarmi, col tempo non mi sarei mai più sentita il petto in subbuglio.


*  *  *


    Stavo cominciando a non poterne proprio più delle occhiatine e dei mille modi per rimorchiarmi di Victor. Non ho mai conosciuto un ragazzo più pesante di lui.
    Alexandra, la mia compagna di banco, mi scrisse qualcosa sul quaderno aperto di storia con una matita.

    Quando a Victor piace una ragazza, per la poveretta non c'è più possibilità di respirare!

    Purtroppo me ne accorsi anch'io. Nessun altro sapeva essere pensate quanto lui. Superava persino mio padre, anzi, piuttosto di sentire la voce irritante di Vic, preferivo subire una sfuriata di papà!
    Non riuscivo a seguire la lezione di storia e a prendere appunti perché sentivo gli occhi di Victor poggiati addosso. Purtroppo stava seduto nella fila di banchi accanto alla mia e lui non ce la faceva proprio a far finta che io non esistessi.

    - Puoi smettere di fissarmi, per favore? - gli bisbigliai.

    - Puoi smettere di essere bella, per favore? - mi rispose lui per farmi intuire di avergli chiesto una cosa impossibile. Non sapevo se vomitare per il disgusto o piangere per il forte disagio che mi stava assalendo in quel momento.
    Alex cercò di trattenere una risata ed io, invece, cercai di trattenermi dal volerle dare un ceffone. Se avesse continuato ancora per lungo a ridere, le avrei strappato quel caschetto nero che aveva in testa.
    Mancavano pochi minuti e presto saremmo potuti tutti tornare a casa. Il peso dell'ultima ora, sommato agli sguardi di Victor e ai miei pensieri ingarbugliati tra loro, diventò qualcosa di insopportabile e non vedevo l'ora di sentire la campanella suonare. La mia mente si divideva tra Vic, Andrew, Valentin e la lezione di storia che seppi seguire solo fino a un certo punto. Il mio cervello rischiò di andare in fumo: il messaggio di Andy, le occhiate di Vic e le emozioni datemi da Valentin mi stavano confondendo le idee. Se la mia testa avesse avuto una spina, in quel momento, l'avrei staccata immediatamente dalla presa.

    - Per domani fate il riassunto di queste tre pagine appena affrontate - ci dettò il compito il professor Cowen ed io, dopo essermi risvegliata dai pensieri, presi il diario. Scritti i compiti, mi alzai dal banco e cominciai a preparare lo zaino. Fu un enorme sollievo quando sentii la campanella suonare e corsi subito fuori dall'aula, poiché avevo bisogno d'aria.

    - Ellie! Aspetta un attimo! - mi richiamò Victor ed io mi fermai nel bel mezzo del corridoio sbuffando e roteando gli occhi al cielo. Ero stufa di sentire quella dannata voce pronunciare il mio nome e al momento in cui vidi Vic avvicinarsi a me, le mie ginocchia cominciarono a tremare per l'agitazione, ma come sempre provai a camuffarla.

    - Che cosa vuoi ancora? - gli chiesi, ormai priva di pazienza, piegando la testa da un lato e sbattendo le braccia sui fianchi.

    - Io non so più che fare - mi disse lui fingendosi disperato.

    - Sapessi io... - gli risposi ironica, ma in fondo avevo ragione. Ero io che non sapevo più che fare con lui.

    - Davvero, non so più cosa fare per piacerti!

    - E' semplice, perché non sparisci? - gli proposi e lui scoppiò a ridere. Eppure ero sicura di non aver sparato una battuta divertente.

    - Oltre che bella sei anche simpatica - mi disse lui. - Sul serio, cosa posso fare per piacerti? - insistette lui ed io in quel momento avrei voluto suicidarmi.

    - Non lo so, okay? Non potrai mai piacermi, mettitelo in testa! - sbottai ad alta voce e alcuni ragazzi del corridoio posarono la loro attenzione su di me.

    - Io non mollo - continuò Victor ad importunarmi. Mi suonò come una minaccia, quella frase.

    - Senti, vuoi davvero fare qualcosa? Scrivimi una poesia, va bene? Ecco! - gli suggerii la prima cosa che mi venne in mente solo per farlo contento; così, soddisfatto della risposta, se ne sarebbe finalmente andato, pensai.

    - Sarà fatto - mi garantì lui ed io alzai un pollice in segno di approvazione. Fatto questo, gli diedi le spalle e lo salutai senza neanche guardarlo in faccia.
    Chissà che schifezza mi avrebbe scritto quell'idiota, mi chiesi. Ero proprio pronta a farmi qualche risata, per poi vomitare sulla poesia e buttarla nella pattumiera.

    - Sei una ragazza tutto pepe tu, eh? - vidi l'alta figura di Valentin Virtanen affiancarsi a me quando sentii quella voce soavemente profonda. Perfetto, pensai. Ci mancava solo lui.

    - Da dove sbuchi? - gli chiesi continuando a camminare verso l'uscita della scuola e lui avanzava a passi svelti accanto a me.
    - Ero a pochi metri da te, ma tu non mi hai visto perché eri impegnata a conversare con quel coglione - mi rispose Valentin estraendo da una tasca della giacca di pelle un pacchetto di sigarette e un accendino.

    - Hai visto e sentito tutto, non è così?
    - Già, è stato un vero e proprio spettacolo - fece il simpatico lui. - Anche ad Ottawa rispondevi così ai ragazzi? - mi chiese ridacchiando. Aprì il pacchetto di sigarette e ne tirò fuori una. Credevo che stesse per ricominciare a fumare dentro la scuola, ma per fortuna, invece, quella sigaretta la tenne spenta tra le dita.

    - Solo quando era necessario.

    - Pensi che quello lì, prima o poi, ti scriverà davvero una poesia? - mi chiese Valentin indicando con un pollice dietro di sé.

    - Non lo so, se non la scrive è meglio - gli risposi sinceramente. In quel momento smisi di camminare e Valentin fece lo stesso. Lo guardai, interrogativa. I suoi occhi erano qualcosa di sensazionale, ma mi impegnai a reprimere ciò che si era appena creato nel mio petto.

    - Tu perché mi stai parlando? - gli domandai, confusa.

    - Sai, ho notato che non parcheggi più al mio posto, così ho pensato “La canadese è una brava ragazza, perchè non fare amicizia con lei?” - mi rispose Valentin senza sciogliere quel sorriso pieno di malizia che aveva stampato in faccia. Intuii che la sua era soltanto la prima scusa che gli venne in mente.

    - Vuoi che ti risponda io?

    - Meglio di no, credo che potrei sentire qualcosa di sgradevole - disse il ragazzo e mi colpì quanto fosse sveglio.

    - Vedo che hai capito.

    Io e Valentin arrivammo in cortile insieme senza più dire nemmeno una parola. La situazione diventò davvero imbarazzante, dato che io non sapevo proprio che dire. Il ragazzo, trovatosi ormai fuori dalla scuola, accese la sigaretta e cominciò a fumare. Le nuvole di fumo mi invasero le narici ed io tossii. Non ho mai sopportato quell'odore.

    - Potresti gentilmente allontanarti? - gli chiesi infastidita e lui ridacchiò. Non capivo perchè quel ragazzo avesse sempre da ridere.

    - Tranquilla, stavo giusto per andare - mi disse lui cominciando ad incamminarsi. - Anzi, ti andrebbe una sigaretta? - mi propose riaprendo il pacchetto e si fermò.

    - Ti sembro una che fuma? - mi indicai e aggrottai le sopracciglia.

    - No, per questo ti ho appena chiesto di provare. Almeno ti rilassi un po' – Valentin mi fece un occhiolino e alzò un angolo della bocca.

    - Lascia perdere, odio il fumo – gli rivelai e lui alzò le spalle rassegnandosi.

    - Okay, come vuoi – annuì. - A domani, Eleanor - mi salutò infine ed io arricciai il naso. Per quale motivo avrei dovuto parlare ancora con lui il giorno dopo?

    - Sì, ciao - lo salutai di fretta e gli diedi le spalle dirigendomi per il verso opposto al suo.

    - Comunque - riprese Valentin a parlarmi costringendomi a voltarmi ancora verso di lui. - La prossima volta che mi becchi in giro o in aula di pittura, salutami! Penso che sia abbastanza noioso rimanere solo a fissarmi - mi suggerì facendomi un occhiolino, poi fu lui a darmi le spalle, e nella sua camminata rividi ancora Andrew. Scossi la testa per eliminare la sua immagine dai miei occhi e feci rimbombare le ultime parole di Valentin nelle mia mente. Morii dall'imbarazzo quando mi resi davvero conto di cosa mi disse il finlandese. Speravo che si fosse dimenticato di quel momento in cui l'osservai mentre faceva il disegno preparatorio per il dipinto, e invece gli rimase impresso nella mente.
    Ad un tratto sentii delle voci a me familiari poco lontane da me. Mi voltai a destra e vidi Stacie, Ralph e Melanie spettegolare lanciandomi qualche occhiata furtiva. Era chiaro: quei tre mi avevano vista con Valentin Virtanen e sicuramente avevano sviluppato delle nuove idee per il loro stupido giornale. Avrebbero davvero riempito tutto il loro inserto di gossip con il mio nome e quello di Valentin? Se l'avessero fatto davvero, i problemi sarebbero fioccati in men che non si dica.

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    Buonasera lettori!

    Comincio questa nuova settimana con un nuovo capitolo, che ve ne pare? Stavolta incontriamo qualche scena interessante perché finalmente il nostro Valentin torna a scuola! Questo vuol dire soltanto una cosa: per Eleanor comincia da ora un periodo piuttosto intenso e presto capirete in che modo, ma non soltanto per colpa (o merito?) del tenebroso Val...

    Non parlo più perché odio gli spoiler, quindi... STOP.

    Il simpaticissimo NVU mi procura qualche imperfezione estetico come sempre e la cosa mi disturba parecchio, ma spero che non sia così anche per voi e che la storia possa piacervi e prendervi ugualmente. 

    Ringrazio quei pochi che seguono la storia, spero di non deludervi in futuro.

    Kisses and heartgrams, 

    Julie Darkeh.

   
 
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