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Autore: EvrenAll    19/12/2016    1 recensioni
Risi.
Risi forte quando seppi che Lui aveva chiesto di me.
Soddisfatta, ma non incredula: non avrebbe potuto non precipitare anche Lui e non desiderarmi.
Lui...
Sarebbe stato capace di riempire la mia vita di Rosso?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rinascita - Prima Seduta
(Fix You -Coldplay)









 

3 luglio 1987


 

10.07
 

Era persa, dalla sera prima non riuscivo a farla tornare sulla terra. Non aveva dormito, quella notte, alzandosi ogni paio d’ore, uscendo in terrazza e tornando ogni volta dentro a svuotare il posacenere quasi pieno.

Avevo provato a distrarla, ma lei non voleva scendere dalle sue nuvole.

-Elizabeth, cosa fai?-

Continuò a svitare il tappo della bottiglia di sambuca, senza dar segno di avermi sentito, poi, una volta aperta, mi guardò e sorrise.

-Sono le 10.10-

-Un po’ presto per bere- le andai alle spalle e le baciai la testa.

-È questa: l’ora perfetta del giorno perfetto- rise piano, smettendo solo perché volevo rubarle un bacio.

Come temevo.

-Hai bevuto altro?-

Non poteva essere sobria.

-No- ridacchió, mentendo spudoratamente.

Presi la bottiglia e la richiusi.

-Axl io non ce la faccio senza un po’ di alcol in corpo oggi-

-Oh, si, ce la fai benissimo-

Si lasciò scivolare a terra mentre la svuotavo nel lavabo.

-William-

-No Elizabeth, se il patto è che tu non lasci che mi autodistrugga, beh, non permetterò che lo faccia tu-

-William, ti prego-

Appoggiai la bottiglia vicino ai fornelli e mi avvicinai a lei.

Era orrendo, il suono dei singhiozzi che cercava di soffocare; mi guardava negli occhi, con i suoi pieni di lacrime, pregandomi di farle dimenticare che stava vivendo, pregandomi di cancellarla.

-Non voglio sentire, non voglio pensare, e invece non riesco a farne a meno- squittì, abbassando il viso e lasciando che venisse coperto dai suoi capelli: una tenda nera che la separava dal mondo.

-Puoi spegnere la musica?...-

-Non c’è musica-

-Spegnila!- sbottò, poi si rannicchiò, come per nascondersi.

Le presi i polsi usando una sola mano e le baciai la testa, accarezzandola con l’altra.

-Non c’è musica- sentii le sue mani correre su di me e stringere convulsamente la mia maglietta.

-Non posso bere?- chiese, più piano, nascosta sul mio collo.

-Solo acqua o succo di frutta-

-Fumare?-

-Ti prenderai davvero il cancro, Elizabeth- sospirai.

-Almeno possiamo fare l’amore? Fare l’amore tutto il giorno?-

Mi guardò, implorandomi ancora.

Aveva gli occhi cerchiati per la notte insonne e per il trucco sfatto della sera prima, umidi, come le sue guance. Sulla carnagione, ancora più pallida del solito, erano evidenti le chiazze rossastre dovute all’emozione, e le labbra, tremanti. Le aveva mangiucchiate, spellandole quasi a sangue, ma mi mettevano voglia di prenderle, subito.

Nonostante agli occhi di chiunque altro sarebbe apparsa solo una ragazzina disperata, io sì, avrei fatto l’amore con lei tutto il giorno, pur di farle dimenticare il dolore, ma ero sicuro che non sarebbe stata la giusta medicina.

-Quando torniamo-

-Da dove?-

-Da un posto-

Non avrebbe accettato se glielo avessi detto in faccia.

-Vestiti, Biancaneve, dobbiamo fare un sacco di cose oggi-

Le baciai la fronte e mi alzai.

-Mi aiuti?-

La sollevai piano, senza proferire parola.

Entrai con lei nella doccia e la aiutai a lavarsi.

Mi soffermai sui suoi capelli e sulla sua schiena, passandole le mani sulla pelle cicatrizzata, massaggiandola, cercando di darle sollievo, ma inutilmente: non era il corpo in pericolo, era la sua mente.

L’acqua calda metteva ancora di più in rilievo il rossore della sua ferita: partiva da metà schiena, e si espandeva come fosse essa stessa fuoco. Una delle lingue terminava sulla sinistra, oltre la spina dorsale, una raggiungeva quasi il collo, la terza e più alta invadeva la spalla terminando sull’inizio della clavicola destra. La scapola era distrutta, lì sì, la pelle era più spessa.

La abbracciai.

Era la mia ragazza, e la ragione per cui avevo deciso di smettere di fare troiate troppo eclatanti, come farmi di coca. L’avevo ferita inutilmente, avevo giocato con lei un po’ troppo.

Ma lei mi aveva perdonato ed era rimasta.

Le dovevo il mondo.


Partimmo dopo esserci vestiti, diretti verso casa sua.









 

14.01
 

-Siamo in un cimitero, Will?-

Rimasi in silenzio tenendole la mano, finchè giungemmo alla lastra di granito davanti a cui ero stato insieme a suo padre il pomeriggio del Natale precedente.

-Eccoci-

-Perchè mi hai portata qui?- bascicò.

-Non c’eri mai stata, Ellie-

Inclinò la testa, abbassandola per nascondere un tremolante sospiro.

Strinse forte la mia mano per un attimo prima di lasciarla, quindi si avvicinò fino a sfiorare la fotografia.

-Ciao mamma-

Proferì in un soffio.

Uno, due, dieci, venti, trenta secondi di silenzio interrotti solamente da respiri pesanti.

Assicuratomi che ce la faceva a stare in piedi da sola feci qualche passo indietro.

Si stavano incontrando di nuovo. Madre e figlia.

Sperai che il suono della ghiaia sotto le scarpe non coprisse le sottili parole di aria che si stavano scambiando: volevo credere che tornando lì sarebbe finalmente riuscita ad affrontare sua madre e quello che era successo in modo diverso.

...e magari superarlo.

Strana riunione familiare.

Puntai gli occhi addosso a lei.

Cercai di osservarla tralasciando la preoccupazione che provavo, la paura che i suoi armadi potessero rimanere abitati dai soliti scheletri e lei perseguitata dalle sue ombre buie.

Dopo il primo attimo di sorpresa ed analisi si era abbassata fino ad appoggiare le ginocchia sulla pietra ed era scoppiata.

Mi feci forza per non soccorrerla.

Ce la poteva fare.


Ce la puoi fare.


Rimase china, per qualche minuto, piangendo, mentre le sue labbra si muovevano come se stesse bisbigliando qualche parola. Le sue spalle tremavano, scosse dai singhiozzi che quasi non le lasciavano il tempo di respirare.


Dopo quel che sembrò un’eternità, si asciugò le lacrime e rizzandosi, portò una mano al petto sospirando profondamente.

Finalmente calma, finalmente in pace.

Portai una mano alla bocca, nascondendo un sorriso di soddisfazione: stava funzionando.

Stava meglio, ed il merito era anche mio.


Mia.


Quando si voltò verso di me, sembrava più leggera.


Si avvicinò, congedandosi dalla tomba con una lieve carezza, e mi strinse di nuovo la mano.

-Avevi ragione-

Mormorò a bassa voce appoggiandosi al mio petto.

Ora non avevo più scuse per nascondere la mia espressione.

-Come sempre-

La circondai con un braccio stringendola a me e lei sospirò, riempiendo i polmoni di aria nuova.


Ed ora il resto.












 

18.37


-Dove siamo?-

-Ci vuole il migliore per te-

-Axl, dove siamo?-

-A Los Angeles, tesoro-

Mi teneva ancora per mano. Avevo parcheggiato sotto il suo appartamento e poi avevo iniziato a camminare con lei, impedendole di salire e di protestare.

-Grazie- sbuffò e si passò la mano libera sul viso.

-Ho mal di testa, Will-

-Perchè hai pianto troppo e bevuto troppo…-

La avvicinai di più e poi mi fermai davanti al negozio.

-Ci siamo-

Alzò lo sguardo sulla vetrina e spalancò appena le labbra, incredula.

-Ricordi, ne avevi parlato qualche tempo fa. Ora credo che tu sia pronta-

-Credevo che non mi avessi ascoltato- sussurrò.

-Tu sottovaluti il mio potere-

Sorrisi tra me e la strinsi.

Solo perchè la stavo facendo stare bene ed avevo la sua pelle e tutta lei a portata di lingua, ciò non voleva dire che avessi dimenticato quello che aveva detto.

-Avanti, entra-

Le tenni la porta e lei mi precedette all’interno, guardando i quadri e le foto alle pareti.

-Io non so cosa fare Axl… Non c’è un significato, non c’è un senso-

-Sì, c’è, devi solo fidarti ...prendilo come un regalo da parte mia-

La strinsi da dietro e le baciai una spalla, prima che il proprietario si avvicinasse a noi.

Ci continuavo a pensare da quando eravamo saliti in auto e un’idea si era impadronita di me in maniera prepotente: era suo, avevo chiaro in testa quello che volevo per lei, quello che lei era.

-Ti amo, lo sai?- mormorò.

Risi piano.

-Spero me lo dirai anche quando sarà finito-









 
  
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