Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: metaldolphin    20/12/2016    4 recensioni
Eccomi di nuovo qui, questa volta con una vicenda di ambientazione un po' diversa per i nostri pirati preferiti.
Tra mari sconosciuti e lo spazio profondo, si troveranno ad affrontare una minaccia inattesa, portatrice di dolore per un intero popolo.
Non è il seguito di una serie anime o del recente film in CG: l'equipaggio dell'Arcadia è quello tradizionale e il Capitano forse è più vicino a quello scostante e duro di Endless Odyssey, ma non è ambientata in quel contesto... è più una vicenda indipendente, se mi fate passare il concetto.
Per chi mi segue dai tempi di One Piece: no, non mi sono sbagliata di fandom, anche se il primo capitolo potrebbe dare una diversa impressione...
Ci tengo a precisare che non è un crossover con Dr. Who, anche se ho preso a prestito il termine "balena astrale" e anche se le creature a cui si fa riferimento hanno punti in comune, differiscono da quelle presentate nella famosa serie di sci-fi.
Per chi mi voglia seguire, e li ringrazio sin da adesso, non resta allora che "tuffarci" in questa nuova storia! ^_^
Genere: Azione, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dottor Zero, Harlock, Miime, Nuovo personaggio, Yuki
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Harlock guardò la madre di Leelaine che si portava sul capo la mano di Kei e vide la pelle rugosa delle sue mani sottili e pallide. Non poteva state ancora per molto in acqua, stava certamente disperdendo troppo calore. Disse qualcosa a Leelaine, quella annuì e mentre la sirena spiegava al suo popolo cosa sarebbe accaduto, lui richiamò l'Arcadia.
La grande astronave si profilò con la sua grande mole a mezz'acqua, contornata dai raggi del sole giallo che la facevano risaltare controluce e mentre il popolo dei sirenidi la fissava con reverenziale timore, Harlock le andò incontro portando con sé Kei. Quando fece aprire il portello della camera stagna vi entrò con lei e lo richiuse dietro sé. Attesero che l'aria prendesse il posto dell'acqua che defluiva veloce e, quando gli giunse al petto, lui sganciò il proprio casco e si voltò a guardarla. Il livello dell'acqua era giunto nel frattempo a metà coscia e la maglietta bagnata le aderiva addosso in pieghe disordinate che ne accentuavano le forme morbide. La fissò turbato in silenzio, fino a che non si accorse che lei tremava, mentre toglieva la maschera. La prolungata permanenza a quella profondità media di una trentina di metri senza una protezione le aveva sottratto molto calore e adesso il getto d'aria che veniva immessa nel locale di ridotte dimensioni, ne accentuava il disagio.
Le chiese se stesse bene e la vide annuire forzando un sorriso, ma era evidente che stava mentendo. Tolse in fretta il proprio scafandro e appena le ultime gocce d'acqua scomparvero, si fiondò con lei all'interno dell'astronave, spronandola tenendole una mano in vita. Era fredda la pelle del suo braccio, quando la sfiorò con l'altra mano e senza dire una parola la guidò alla porta della sua cabina, ne digitò personalmente il codice di accesso e ve la spinse dentro.
Paralizzata dallo stupore, lei lo assecondò anche quando le sfilò la maglietta per spingerla sotto il getto caldo della doccia... e la cosa era indice dell'inizio di ipotermia che l'aveva presa: se fosse stata davvero bene, Capitano o non Capitano, lo avrebbe come minimo allontanato bruscamente. Quella passività non era da lei ed Harlock si rimproverò per non aver compreso prima che lei stesse perdendo energie.
-Vado a prenderti qualcosa di caldo, non muoverti.- le disse e senza attendere risposta corse alle cucine. Che idiota era stato! Per quanto forte, una donna esile come lei faceva presto a perdere calore ed energie.
Tornò portando un vassoio con dello zucchero, del the, una tazza e un contenitore termico con dell'acqua bollente, li poggiò sul tavolo e mise in infusione del the in una tazza, poi tornò da Kei che era rimasta dove l'aveva lasciata, nel vapore che si era accumulato nella cabina.
Quando si affacciò nel piccolo ambiente, lei istintivamente si coprì portandosi un braccio sul seno ed allungando l'altro sul bacino. La pelle del viso arrossata dal calore dell'acqua nascondeva quello dato dall'imbarazzo, ma lei elargì lo stesso un timido sorriso, ormai completamente tornata in sé.
-Grazie. Posso farcela anche da sola adesso.- gli disse. Lui si limitò ad annuire con un cenno del capo ed uscì dalla cabina doccia e poi dall'alloggio. Rimase fermo nel corridoio dietro la porta ormai chiusa, restìo ad allontanarsene, il forte impulso di tornare indietro e abbracciarla per accertarsi che stesse veramente bene. Sollevò la mano per digitare il codice di accesso, ma in quel momento l'astronave fu scossa da un'esplosione inaspettata che lo mandò a sbattere sulla paratia opposta; ripresosi, abbandonò il suo proposito e corse in plancia per cercare di capire cosa stesse accadendo, Kei se la sarebbe di certo cavata.
Nessuno li aveva visti tornare a bordo e Yattaran lo accolse sorpreso: -Capitano! Cosa ci fai qui?
Lo fissò con gli occhi sgranati. Quando era iniziato l'attacco, Harlock stava aiutando Kei e non aveva avuto il tempo di mettere altro che gli stivali, sulla nera tuta che era solito indossare sotto allo scafandro per le immersioni: non portava i cinturoni con le armi, tantomeno l'usuale mantello.
-Non adesso, Yattaran... Cosa succede?- chiese in allarme.
-Sembrano bombe di profondità, ma non abbiamo ancora trovato con precisione la fonte. Sembrerebbe la traccia elettromagnetica di un paio di grosse astronavi. Qua sotto i deflettori non funzionano!
-Mettimi in comunicazione con gli altri!- ordinò Harlock.
-Subito, Capitano!- veloce, il primo ufficiale dell'Arcadia mise in collegamento la plancia con gli uomini rimasti all'esterno con i sirenidi.
Stavano tutti bene, per fortuna l'Arcadia era sufficientemente lontana e si erano rifugiati nuovamente nel tempio, avendo i sirenidi avvertito in anticipo quella odiata presenza.
Quella notizia rasserenò Harlock, ma una nuova esplosione squassò l'astronave e un allarme risuonò lontano.
Prima che il Capitano chiedesse un rapporto sui danni, un pronto Yattaran disse: -Niente di grave, una paratia esterna lesionata, i robot sono già sul posto.
Un allarmata Kei si affacciò in plancia. Guanti a parte, era in perfetta uniforme e sembrava essersi ripresa dalla momentanea ipotermia. -Cosa succede? Chi ci attacca?
-Non lo sappiamo.- le rispose un perplesso Yattaran.
-Torno fuori.- disse seria al Capitano, a metà tra una domanda e un'affermazione, ma lui scosse il capo; non voleva lasciarla uscire e saperla allo scoperto, anche se pareva proprio che il bersaglio sembrava fosse l'Arcadia. Quell'impulso ad averla vicina in ogni caso tornava a farsi prepotente, nonostante tutto... Cercò di archiviarlo nei recessi della sua mente, non era quello il momento di stare a pensare, doveva agire.
-Torniamo in superficie.- ordinò Harlock e i presenti si diressero verso le postazioni di competenza.
Maestosa come un enorme cetaceo che si portava in superficie per respirare, l'Arcadia emerse e poi continuò la sua corsa nell'atmosfera, lasciandosi dietro le scie d'acqua che ancora scaricava da tutti i punti in cui si era raccolta nella sua permanenza sottomarina, pronta a combattere contro un nemico sconosciuto.
I sensori, non più disturbati dal moto ondoso, rilevarono subito il nuovo attacco e i pirati risposero di conseguenza. Presto la battaglia aerea entrò nel vivo e l'Arcadia si trovò in difficoltà, perché al limite indefinito tra l'atmosfera e lo spazio, si era trovata contro tre grandi astronavi minacciosamente armate fino ai denti.
Sarebbe stato davvero uno spettacolo strano ad un eventuale spettatore esterno, perché le astronavi che si davano battaglia portavano le stesse insegne piratesche, ma combattevano su fronti opposti. Ad un certo punto, l'astronave che sembrava essere a capo della piccola flotta si mise in contatto con la plancia dell'Arcadia e sul grande schermo apparve una vecchia conoscenza di Harlock.
Aspetto trasandato, fisico possente, una gran barba nera e il viso sfregiato da una vistosa cicatrice verticale, sottolineata da graffe metalliche poste ad intervalli regolari su un lato del viso, dal cuoio capelluto alla mandibola (in quel punto priva di barba), il capitano della Rapace scoppiò a ridere rumorosamente non appena vide lo sguardo duro di Harlock.
-Harlock! Non ti sarai messo a far concorrenza ai tuoi colleghi! Avevo immaginato che ci fossi tu dietro a quell'assurdo propagarsi di quelle notizie relative ad un improbabile contagio portato da quei pesci! Mi stai rovinando gli affari... Potevi dirlo che volevi entrare in questo giro, ci si veniva incontro!- esclamò ridendo rumorosamente.
L'interpellato assottigliò lo sguardo, la bocca prese un piega disgustata, il tono di voce usato particolarmente duro: -Sai benissimo che non appartengo alla vostra stessa feccia, Hammer. E non sono qui per il vostro stesso scopo, hai fatto male al solo pensarlo. E pagherai anche per questo.
Di solito Harlock rispettava i nemici che lo meritavano, ma con quella classe di malviventi c'era poco da considerare, alla luce di quanto avevano fatto: stavolta non si erano dati alla semplice razzia di merci, ma ad un traffico assimilabile a quello di esseri umani. E Hammer era un nemico temibile anche per l'Arcadia.
-Stai attento, non vorrei danneggiare troppo quella tua bella nave, signor pirata!- rispose il nemico con finta riverenza. La bocca di Harlock prese una piega ancor più dura, ma non diede corda all'avversario.
Vedendosi pressoché ignorato, Hammer si alterò maggiormente e gli gridò: -Il tuo aristocratico culo lo farò a strisce, stavolta!- terminò minaccioso, e dall'Arcadia il Capitano ordinò di chiudere la comunicazione, ancora una volta senza abbassarsi a rispondere.
Data la mancanza della parte di equipaggio rimasto sulla troppo lontana Ombra di Morte e di coloro che invece erano sott'acqua con i sirenidi, i cannoni laser furono coperti dagli uomini che solitamente manovravano in plancia, di conseguenza il movimenti dell'Arcadia risultarono leggermente più impacciati.
Al timone Harlock diede il meglio di sé, ma all'ennesimo colpo che li sfiorò, Kei annunciò: -Capitano, deflettori all'ottanta per cento! Reggeranno non più di altri quattro colpi, a questo ritmo!
Lui strinse i denti. Doveva essere più veloce, più efficiente. La Rapace fece nuovamente fuoco su di loro, ma ruotando furiosamente il timone a tutta dritta riuscì ad evitarlo. Chi invece non fece in tempo fu una delle due navi appoggio, che trovandosi improvvisamente scoperta, fu vittima del fuoco amico. Uno dei due motori saltò in aria, e dovette allontanarsi lasciandosi dietro una scia scura, ormai ridotta quasi all'impotenza. Ammarò sgraziatamente sotto di loro, ma non rimase a galla abbastanza a lungo perché una nuova esplosione la dilaniò, lasciando poche speranze su eventuali sopravvissuti.
Ma restavano ancora due navi a fronteggiarlo e non avrebbero commesso di nuovo lo stesso errore, Harlock lo sapeva. Strinse il legno della ruota e impresse una rotazione veloce al timone, movimento che fece virare la nave per farle ritrovare il giusto assetto.
La seconda nave fece fuoco nuovamente, riuscendo a sfiorare la prua ancora una volta e facendo gridare a Kei: -Siamo al sessantacinque per cento! La torretta numero tre è fuori uso!
Un altro colpo squassò l'Arcadia.
-Quarantadue per cento!
-Capitano, sono andati anche i cannoni della uno.- disse con un'irreale calma Yattaran, sempre fiducioso nel suo superiore.
Harlock, dal canto suo, aveva sempre confidato nella sua nave e rispose con un cenno e proseguì in silenzio a manovrare in quella lotta impari.
 
 
Non sapeva se ce l'avrebbero fatta, ma era certo che il suo destino lo avrebbe portato a morire su quella nave, in quella plancia, a quel timone, in una battaglia identica, forse proprio da lì a poco.
Era pronto ad affrontare il peggio, poi il suo occhio si posò sul profilo di Kei... terminare così la sua vita era davvero ciò che desiderava? Avrebbe accettato quel destino? Anche adesso che aveva capito che poteva esserci qualcos'altro di importante per cui lottare? Perché si era reso conto che poteva continuare a sforzarsi di ignorare i suoi sentimenti, ma questi non sarebbero cambiati e quella ragazza ne era il centro... Non poteva arrendersi e portare alla morte tutti i presenti, lei men che meno.
In un gesto quasi disperato continuò la manovra di evasione, ma la Rapace fece fuoco ancora una volta.
Stavolta dovettero afferrarsi a qualcosa per non essere scaraventati sul pavimento e Kei annunciò: -I deflettori sono quasi andati! Prepariamoci al peggio!- ma nella sua voce stranamente non c'era paura: credeva che in qualche modo ce l'avrebbero fatta... era sempre così, la simbiosi tra l'Arcadia e il suo Capitano le davano l'inspiegabile certezza che quella volta non sarebbe stato diverso.
Harlock la fissò ed annuì, in realtà sapeva che  non c'era molto altro da poter fare. A differenza di Kei si rendeva conto che, volente o nolente, quella sarebbe stata la loro ultima battaglia e sarebbe morto con un rimpianto troppo grande da portare nel cuore. Strinse i denti e le tese la mano: -Kei, vieni a tenere l'Arcadia con me!- esclamò cercando di tenere il tono saldo.
Lei lo guardò sorpresa, sgranando gli occhi chiari, ma obbedì. Gli altri non sembrarono farci caso, ma Yattaran, di nascosto, sorrise con una punta di amarezza. Stavolta per loro non c'era nulla da fare, capì che  quello era l'ultimo gesto del Capitano per la donna amata prima della fine.
Kei corse al timone e poggiò le mani sulle caviglie di legno, il cuore che sembrava volerle sfondare il petto e mille domande che le confondevano la mente. Era certa che il Capitano non avesse bisogno di aiuto, allora perché volerla lì, in quel momento in cui sembrava tutto perduto? Poi però lui strinse le mani sulle sue e la avvolse di sé, in un gesto muto, ma chiaro come il mare limpido di quel pianeta.
Anche lei comprese. Harlock doveva essere certo che l'Arcadia non aveva speranza di riuscita e quello era il suo modo di esprimere qualcosa che aveva forse accennato, senza mai palesarlo davvero. Spinse lievemente le spalle contro il petto di lui, nel tentativo di approfondire quel contatto da troppo tempo desiderato e che adesso la avrebbe accompagnata in quegli ultimi momenti.
Seppe che se era finita lo voleva, più di ogni altra cosa e avrebbe cercato di percepirlo fino alla fine, quel calore che nonostante tutto le dava sicurezza anche in quel disperato frangente.
E poi...

Un'ombra immensa spense il sole che illuminava la plancia dalla grande finestra e un corpo grande più dell'Arcadia stessa colpì la Rapace, gettandovisi contro con tutta la sua mole, incurante dei colpi di cannone che lo prendevano di mira. Poi ne comparve un altro e un altro ancora, fino a che il cielo fu ingombro di corpi enormi, affusolati e avvolti dall'acqua che riuscivano a trattenere chissà come. Il branco di balene astrali annientò le due astronavi nemiche, ma non sfiorò la già malridotta Arcadia, circondandola in maniera protettiva in un irreale silenzio.
La battaglia terminò così, con l'arrivo di quel branco così singolare, che non era stato minimamente rilevato dalla strumentazione di bordo, e tutti i presenti sul ponte di comando corsero alla fino alla finestra ad ammirare quello spettacolo. Solo Kei e il Capitano rimasero indietro, al timone. Lui le aveva lasciato le mani, ma non si era mosso, restandole vicino, e lei si era staccata solo un poco, per girarsi fino a poterlo guardare, gli occhi lucidi. Erano salvi: adesso lui cosa avrebbe fatto, dopo essersi esposto tanto? Forse nulla... Nella ferma convinzione di voler tenere i piedi per terra, la ragazza si convinse che lui avrebbe ignorato quel momento, passandoci sopra come se non fosse accaduto: era la cosa più probabile, conoscendo la sua riservatezza, meglio non farsi illusioni.
Invece Harlock rimase lì a fissarla e lei ricambiò quello sguardo, ferma e fiera. Poi gli lesse qualcosa di inaspettato e nuovo nell'occhio, le venne spontaneo sorridergli e lui rispose di rimando. Sorrideva raramente, ma quando lo faceva quell'espressione era capace di far impallidire le stelle, per lei. E quando si chinò per assaggiarle le labbra, Kei pensò davvero di poter morire, mentre ricambiava quel bacio, inatteso quanto desiderato.
Non approfondirono quel primo contatto, non lì in plancia. Ma la strinse a sé e le carezzò i capelli, prima di tornare ad espletare il dovere che il suo ruolo gli imponeva. Non dissero nulla, in quel momento c'era altro di cui occuparsi e lo sapevano entrambi.
Con la ragazza accanto, Harlock contattò i suoi uomini rimasti sott'acqua, per rassicurarli sull'esito della battaglia di cui avevano udito le esplosioni e il gruppo dei sirenidi poté finalmente considerarsi al sicuro.

Le balene astrali si immersero non appena furono raggiunte dal resto del branco, che entrò con irreale calma nell'atmosfera del pianeta. Erano eleganti, nonostante la gigantesca mole, e i loro movimenti, anche se misurati, disturbarono la superficie dell'oceano: le onde che ne risultarono bastarono a far ondeggiare l'Arcadia che Harlock aveva fatto adagiare sul mare. Ordinò ai suoi uomini di cominciare ad occuparsi dei danni riportati in battaglia e corse ad indossare nuovamente lo scafandro, tallonato da Kei, risoluta a seguirlo.
Prima di mettere il casco le chiese se si fosse davvero ripresa.
La ragazza annuì calorosamente: -Con lo scafandro non avrò problemi.- poi ripensò a quella frase di Leelaine su di lui e sul "suo bacio guarisce" e le venne da ridere, perché quel fugace contatto le aveva dato un’energia inaspettata. Harlock la fissò perplesso, ma non disse nulla, attese che anche lei sigillasse il casco e poi scesero in acqua. Dato che l'Arcadia non era sott'acqua non ci fu bisogno di usare la camera stagna, così si lasciarono scivolare fino sulla superficie dell'oceano per poi immergersi e quindi dirigersi verso la direzione che già conoscevano.
Delle balene astrali non vi era traccia. Erano entrate in acqua nel punto in cui la scarpata sottomarina sprofondava rapida nell'oceano, dove gli abissi erano adatti alla loro gigantesca mole e potevano nuotare liberamente. Misteriosamente silenziose come erano apparse, erano svanite, dalle gelide profondità del mare stellare a quello fatto d'acqua tiepida e salata.
   
 
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