Tutti amano il Natale.
Persino a Morioh, in Giappone, dove quasi nessuno è cristiano, tutti adorano il
Natale. Qui si passa prevalentemente in coppia, o al massimo in famiglia se si
hanno bambini piccoli, ma comunque nessuno viene risparmiato dal clima
natalizio e da tutti i Babbo Natale, i dolci, gli addobbi e le luci che esso
porta con sé già dai primi di dicembre. Tutti, dall’inizio alla fine del mese,
sono affetti dalla sindrome del Natale. Tranne io, ovviamente. Io, Rohan
Kishibe, col Natale non ci voglio avere niente a che fare. Non mi piace, è una
festa importata dall’occidente che non sento mia, e non credo proprio che una
tradizione che nemmeno appartiene al posto in cui vivo possa davvero portare
gioia e amore nei cuori di chi l’accoglie. Tutti quegli addobbi, quei cappelli rossi
e bianchi e quelle luci sono solo, per l’appunto, addobbi; e come tali hanno il
compito di abbellire le cose, metterle sotto una luce fittizia. Tutti sono
buoni e sorridono a Natale, ma sono falsi. Se amo qualcuno, sono buono e sorrido
sempre, non solo a Natale… Anche se questo discorso non fa per me. E se sono
acido, stronzo, se non mostro affetto alle persone a cui voglio bene tutto
l’anno, rimango così anche a Natale; questo sì che è un discorso che fa per me.
È una festività che va contro alla schiettezza e alla sincerità che mi
caratterizzano, distorce la realtà… E sappiamo tutti quanto io ami la realtà. Di
solito mi tengo ben lontano da qualsiasi cosa riguardi il Natale: inviti a
cena, regali, letterine, sorrisi falsi e tutte quelle cose; solitamente per me
dicembre è un mese qualunque, il solito ultimo mese dell’anno in cui si tirano
le somme dell’anno quasi passato, in cui si pensa ai successi, agli insuccessi
e si preparano buoni propositi per l’anno venturo. Niente di più.
C’è stato un Natale, però, in cui nonostante i miei sforzi ho dovuto fare i
conti col Natale. Precisamente ci ho dovuto fare a botte: sì, fare a botte nel
vero senso della parola. Questa storia è degna di nota, e ovviamente è presente
nel mio manga, anche se vestita un po’ diversamente, ed ha avuto anche un
discreto successo. Adesso ve la racconterò esattamente come è andata.
Come ogni anno, arrivati i
primi di dicembre, in concomitanza con lo spuntare di addobbi e luci qua e là
per la città, era arrivata anche la neve. Quel mese ne era caduta più del
solito, ed io ne ero felice: la neve mi piace molto, zittisce la città ed il
suo biancore mi rischiara i pensieri. Era già il 20 dicembre, ed il Natale era
alle porte. Il fervore delle persone verso questa festività era quasi al
culmine, quasi bolliva in pentola dopo giorni e giorni in cui era stato sui
fornelli a scaldare; tutti non vedevano l’ora di cenare con i propri amati, di
mangiare la Christmas Cake, di dare i regali ai propri cari.
Io non vedevo l’ora che finisse e basta.
Era l’imbrunire e stavo tornando a casa dall’ultimo appuntamento dell’anno col
mio agente, abbastanza contento dei risultati che l’ultimo numero del mio manga
aveva ottenuto. Era stato un buon anno per me, nonostante Morioh fosse
diventata un tantino più bizzarra del solito, con conseguente aumento della mia
paranoia generale, e i miei conti bancari avessero giocato un po’ troppo a fare
le montagne russe... Ma a quello ormai mi stavo abituando. Camminai fino a casa
nel silenzio più totale, tra le strade imbiancate di neve fresca – aveva smesso
da poco, ma a giudicare dal cielo quella non sarebbe stata l’ultima neve
dell’anno – e mi godei la tranquillità che trasmetteva.
Entrai in casa, lasciandomi scaldare dal suo tepore, mi tolsi il cappotto e
poggiai la borsa sulla poltrona del salotto. Poiché era tutto ormai in
penombra, accesi la lampada accanto al sofà. Quando la sua luce aranciata
irruppe nella stanza, notai subito con la coda dell’occhio che c’era qualcosa
di strano. Qualcosa non era al suo posto, non era come l’avevo lasciato. Mi
girai verso il caminetto spento e notai subito l’intruso: lo scrutai bene,
sbattendo le palpebre più volte, assicurandomi di averlo davanti davvero. E sì,
era lì davvero: un piccolo pacchetto regalo rettangolare, grande poco più della
mia mano, giaceva sulla cenere in mezzo al caminetto. Mi avvicinai di un passo
e mi piegai sulle ginocchia per guardarlo meglio. La carta era rossa brillante
ed era legato da un nastro argento che terminava in un fiocco, con le due
estremità del nastro che da esso pendevano arricciate. Alcuni bordi sembravano
consumati, ed era leggermente sporco di fuliggine, come se qualcuno lo avesse
fatto cadere dal comignolo sul tetto e si fosse di conseguenza sporcato e
rovinato strisciando sui bordi durante la caduta. Effettivamente, notai in un
secondo momento, un po’ di cenere era volata fuori dal camino, proprio come se
l’impatto del pacchetto l’avesse fatta schizzare fuori.
Inspirai, immobile, senza neanche battere ciglio, come se un minimo movimento potesse
far accadere qualcosa. Era decisamente assurdo. Quel pacchetto in casa mia era
totalmente fuori luogo, era strano, e in più era arrivato lì in un modo
altrettanto bizzarro. Gli ingranaggi della mia mente, dapprima bloccati per la
stranezza improvvisa della situazione, finalmente si sbloccarono e partirono come
un treno, indagando ogni possibilità.
Qualcuno aveva gettato un regalo dal camino, proprio come nella favola di Babbo
Natale. Era piuttosto assurdo, faticavo a collegarlo a qualcosa di sensato e
possibile. Chi mai avrebbe potuto farmi un regalo? La mia cerchia di amicizie
non è che fosse poi così grande. Le uniche persone della città con cui avevo un
qualche tipo di rapporto erano Koichi, Josuke, Okuyasu, Yukako e Tonio
Trussardi. E nessuno di loro mi avrebbe mai regalato qualcosa per Natale, ad
eccezione di Koichi; lui probabilmente un regalo me l’avrebbe fatto, ma non di
certo gettandolo dal comignolo di casa mia. Non era proprio il suo stile.
Poteva essere un regalo di qualche ammiratore, quello sì, ma il modo in cui mi
era stato recapitato restava comunque assurdo. Mi era già capitato in passato
di ricevere regali da fan, ma mi erano sempre stati dati di persona, lasciati
nella posta o davanti casa. Chi mai si sarebbe arrampicato sul tetto di una
villetta di tre piani per buttare un regalino giù per il comignolo?
La favoletta di Babbo Natale non la presi nemmeno in considerazione, e dunque rimaneva
una sola opzione: era uno scherzo. Non sapevo da parte chi, perché, o qual era
l’intento, ma sicuramente era uno scherzo. Magari c’entrava quel duo idiota
Josuke-Okuyasu: me li immaginavo benissimo, quei due, a ridere come matti
mentre organizzavano lo scherzo. Magari erano fuori ad aspettare un qualche
risvolto comico – per loro, sicuramente non per me – della situazione. Sì,
sicuramente c’erano loro dietro ed era un pessimo scherzo.
La tentazione di aprire il pacchetto era tanta. Io, curioso com’ero, feci una
fatica immane ad allontanarmi dal misterioso regalo. Cercai di distrarmi, di
non pensarci, di dedicarmi al lavoro, ma il pensiero, lo sguardo e le gambe mi
riportavano sempre lì al caminetto.
Non resistei più di qualche ora.
Erano quasi le tre di notte. Dopo essermi a lungo girato e rigirato nel letto
senza quiete, mi alzai e mi diressi al piano di sotto, in salotto. Deciso come
non mai, consapevole di star cadendo in una trappola, mi abbassai sulle
ginocchia davanti al camino. Alzai il braccio, pugno chiuso e indice proteso, e
lentamente lo avvicinai al pacchetto. Il tempo attorno a me sembrò fermarsi
mentre il mio indice si avvicinava alla superficie brillante. Avanzai piano,
con delicatezza, come se qualcosa potesse accadere in qualsiasi istante. Alla
fine, sempre con delicatezza, lo toccai. Neppure si mosse, da quanto fu leggero
il mio tocco. Spostai subito il dito in attesa di qualcosa.
Niente. Il mio tocco non produsse niente. Ci riprovai di nuovo, stavolta un po’
più deciso. Con l’indice toccai di nuovo il pacchetto, spostandolo di qualche
millimetro, e ancora non ci fu reazione di alcun tipo. Inspirai e aprii la
mano, avvicinandola al pacchetto; lo presi in mano delicatamente, quasi si
potesse sgretolare al tatto. Sembrava un pacchetto qualsiasi, innocuo, rigido e
un po’ pesante per le sue dimensioni. Avrei voluto scuoterlo per capire meglio,
ma non me la sentivo di rischiare. Lo avvicinai a me, sempre con cautela, e lo
guardai meglio. Sì, proprio un comunissimo pacchetto regalo natalizio.
Non mi fidavo ancora, ma le interiora mi tremavano dalla curiosità e non potevo
aspettare un secondo di più. Mi spostai davanti al tavolino al centro della
stanza, poggiando su di esso il pacco, e presi le due estremità del nastrino
argentato. Preciso e delicato come se stessi eseguendo una rischiosissima
operazione chirurgica, tirai le due estremità del nastrino. Il fiocco si disfò
e fui in grado di rimuovere il nastro dal pacchetto rigido. Individuai il
piccolo pezzo di scotch che sigillava la carta rossa, lo sollevai lentamente
con l’aiuto di un’unghia e lo rimossi. La carta si allentò, pronta ad essere
rimossa con facilità. Inspirai, deglutii, mi bagnai le labbra; incredibile come
un piccolo e banale pacco regalo mi stesse mettendo sotto pressione. Però tutto
sommato mi piaceva; adoravo la sensazione di star per scoprire qualcosa che mi
aveva stimolato la curiosità in modo così strano e violento… Chissà se mi
sarebbe piaciuto anche una volta scartato.
Finalmente lo scartai e mi trovai tra le mani una scatoletta bianca
rettangolare. Sorrisi, sentendo la curiosità che si muoveva come un drago
famelico nella mia pancia. Aprii con delicatezza la scatola e, sempre con
calma, non fidandomi ancora completamente, la inclinai per guardarci dentro.
Era una palla di vetro, una di quelle con la neve che cade se le scuoti; vista
dall’alto sembrava che al suo interno ci fosse Babbo Natale.
Feci scivolare il contenuto della scatola sulla mano e lo poggiai sul tavolo.
Guardai, sempre più schifato, la neve finta cadere sulla piccola scultura di
Babbo Natale sorridente al centro della sfera. Sorrideva, il Babbo, con i
baffoni e la barba che gli ricoprivano metà della faccia; mi sorrideva come se
fosse la persona più felice sulla terra. Io non sorridevo affatto.
Notai solo in un secondo momento che sul suo piedistallo rosso decorato di
bianco c’erano sei fori, come se dovesse uscirci della musica. Girai la palla
di neve tra le mani e sul retro trovai anche il bottone. Non mi fidavo,
probabilmente stava proprio lì lo scherzo: un bellissimo bottone tutto da
premere, trappola perfetta per Rohan Kishibe, curioso e incapace di resistere
alle tentazioni, specialmente quando si tratta di bottoni misteriosi.
Maledizione, mi dissi, mi hanno proprio fregato. Premetti il
bottone, che scattò rimanendo premuto, rigirai la sfera di vetro e guardai Babbo
Natale negli occhietti neri. Dopo una manciata di secondi partì una musica che
riconobbi subito: la famosa canzone natalizia “Santa Claus is coming to town”, cantata
da un coro di bambini.
Guardai ancor più schifato di prima la sfera mentre i bambini cantavano allegri
la canzone:
“Faresti
meglio a guardarti attorno,
faresti meglio a non piangere,
faresti meglio a non mettere il broncio
e ti dirò perché:
Babbo Natale sta arrivando in città.
Sta scrivendo una lista,
la sta controllando due volte,
scoprirà chi è stato buono e chi cattivo.
Babbo Natale sta arrivando in città.”
La
canzone si fermava lì e dopo qualche secondo ripartiva, ripetendosi
probabilmente all’infinito. Mi fermai a pensare guardando la sfera mentre la canzone
si ripeteva una, due, tre volte; giunto al limite della sopportazione scattai
all’improvviso e premetti nervosamente il bottone per far smettere quella
tortura. Inspirai, gustandomi il silenzio della casa. Che strano. Aprire il
pacco aveva in gran parte soddisfatto la mia curiosità, ma non aveva risolto il
mistero. Non c’era nessun biglietto, nessun indizio che potesse farmi capire
chi era il mittente. E perché regalarmi una cosa del genere? Chiunque mi
conoscesse almeno un briciolo sapeva quanto detestassi quel genere di cose.
Forse era qualcuno a cui stavo antipatico… Ma perché farmi un brutto regalo
quando esistevano così tanti modi per vendicarsi o fare un torto a qualcuno? Nemmeno
quell’idiota di Josuke se ne sarebbe potuto uscire con un regalo simile.
Non sapevo se tutto ciò era una scelta casuale o ragionata, ma il mio intuito
mi suggeriva che tutto aveva senso, anche se al momento mi sfuggiva. Anche la
scelta della canzone mi fece trasalire: quel pezzo di testo era inquietante, se
esaminato a dovere. Mi sembrò un bruttissimo presagio e mi turbò più del
dovuto. Insomma, sapere che Babbo Natale stava arrivando in città, che dovevo
guardarmi attorno perché lui sapeva…
No, okay, fermati. Nella mente, con
voce imperiosa, mi ordinai di smettere. Una stupida palla di neve con una
stupida canzone di Natale cantata da dei stupidi bambini stonati non poteva
essere un cattivo presagio. Era solo un brutto scherzo di pessimo gusto che il
giorno seguente avrei gettato nella spazzatura. Dovevo smetterla con quei voli
di fantasia: non tutto era una minaccia, l’incipit di una storia misteriosa ed
inquietante o un attacco Stand. Non stavolta.
Mi alzai, voltai le spalle a quella schifezza natalizia, intento a tornarmene a
letto, stavolta per rimanerci. All’improvviso, però, dopo un passo appena,
sentii uno strano e flebile rumore che mi fece inchiodare. Era un click, come di un ingranaggio che scatta;
rumore che, guarda caso, proveniva da qualcosa alle mie spalle.
Giusto il tempo di voltare di qualche centimetro il viso verso la palla di
vetro e la vidi implodere, il vetro infrangersi e schizzare dappertutto assieme
all’acqua che conteneva. L’onda d’urto mi scaraventò a terra, dove rimasi per
una manciata di interminabili secondi. Quando mi rialzai, col fiato che mi
mancava, sentii un forte dolore pungente sparso per tutta la schiena, il collo
e le gambe e mi resi conto che avevo dei vetri conficcati dappertutto nella
parte posteriore del corpo. Imprecai, in preda al fiatone, e mi guardai
attorno: i residui della palla di neve erano schizzati dappertutto nella
stanza, ora tappezzata di vetri, gocce d’acqua, pallini di neve finta e cocci
del piedistallo rosso. La lampada da terra vicina al tavolo era caduta,
fortunatamente senza rompersi, e giaceva a terra accesa. Sul tavolo c’era solo
qualche rimasuglio di acqua, fili di rame e parti metalliche che fino a poco
prima avevano composto l’aggeggio canterino.
Avevo parlato troppo in fretta.
Deglutii, colpito improvvisamente da un malessere. Non un malessere fisico,
nonostante le schegge di vetro conficcate ovunque e la testa che mi doleva; era
un malessere psicologico, un turbamento che prese il quasi totale controllo di
me. Ero immobile, seduto a terra con la testa rivolta verso il tavolo
bruciacchiato, e mi resi conto che quella palla di neve era stata un
avvertimento. Qualcosa sarebbe successo: qualcuno stava architettando qualcosa,
e non potevo escludere che potesse trattarsi di un attacco Stand. Proprio come
la prima impressione mi aveva suggerito poco prima, la scelta della canzone non
era stata casuale. Dovevo guardarmi attorno, perché “Babbo Natale” stava
arrivando in città. Quell’esplosione, che avrebbe potuto ferirmi seriamente se
solo fosse esplosa un minuto prima, quando il mio viso era a pochi centimetri
dalla palla di vetro, non era un semplice scherzo. Era solo l’inizio. Me lo
sentivo, tutto ciò era un avvertimento. Dovevo stare attento, perché qualcuno
mi aveva preso di mira; ero sulla lista di quel “Babbo Natale” che stava
arrivando in città.
Ma un avvertimento di cosa? Chi era “Babbo Natale”, e cosa era venuto a fare a
Morioh? Riguardava solo me o la città intera era in pericolo ancora una volta?
All’improvviso qualcuno si mise a bussare alla porta. Sussultai, destandomi
dalla trance paranoica in cui ero caduto. Non risposi, non mossi un solo arto,
ma quel qualcuno non smetteva di bussare forte; sembrava quasi che stessero
prendendo a pugni il portone di casa. Dopo un minuto circa smise e ci fu
qualche istante di silenzio, scandito solo dal mio cuore palpitante. Chi mai
poteva essere, nel cuore della notte, a bussare così insistentemente? Faceva
parte dello scherzo?
‒ Rohan! Ti prego, aprimi! So che sei in casa, vedo la luce! Maestro, per
favore! ‒
Sgranai gli occhi. Era la voce di Koichi, ansimante e terribilmente preoccupata,
quasi fosse sull’orlo del pianto. Cosa poteva mai essere successo? A quell’ora,
poi?
Mi alzai, le schegge di vetro che mi pungevano ancora addosso, e non con poco
sforzo riuscì ad arrivare alla porta d’ingresso. L’aprii quanto bastava per
mettere fuori solo il viso, e l’aria gelida mi investì la faccia. Mi trovai
davanti Koichi imbacuccato in un giubbino gonfio, con tanto di sciarpa,
cappello e stivali da neve, sudato, col fiatone e gli occhi spalancati
dall’ansia. Cercai di sembrare tranquillo.
Non ero ancora sicuro di voler raccontare ad anima viva l’accaduto.
‒ Koichi, cosa c’è? Stai bene? ‒
‒ Rohan! Ti prego, fammi entrare, devo raccontarti una cosa! ‒ Gridò
Koichi.
‒ Non puoi raccontarmela domani? È notte fonda, stavo giusto per andare a
dormire. Ho lavorato per cinque ore ininterrot… ‒
‒ No! ‒ Mi interruppe strillando. ‒ È una cosa gravissima.
Penso ci sia un portatore di Stand che sta ferendo delle persone! ‒
Quelle parole mi colpirono. Probabilmente ciò che aveva da raccontarmi si
collegava a quello che mi era accaduto, così decisi di farlo entrare. Avrei
dovuto raccontargli tutto e sinceramente non mi andava molto, ma se aveva visto
qualcosa e poteva aiutarmi a trovare il colpevole, andava fatto.
‒ Va bene, entra. ‒ Spalancai la porta e mi feci da parte per farlo
entrare. La vista si aprì direttamente sul salotto, un cimitero di vetri e
schizzi d’acqua, la lunga lampada stesa per terra ancora accesa. Koichi lo notò
subito e si fermò sulla soglia sgranando gli occhi.
‒ Anche io devo raccontarti qualcosa… ‒ Sospirai amaramente.
___
Raccontai a Koichi
l’accaduto, confessai il mio pessimo presentimento a riguardo e lui me ne diede
conferma. Mi aiutò a togliere le schegge di vetro di dosso, nonostante i miei
continui rifiuti, e poi finalmente ci sedemmo a parlare, io sulla poltrona, lui
in pigiama sul divano davanti a me. Nonostante le ferite delle schegge fossero
minuscole bruciavano da impazzire, ed il fatto di starci seduto sopra poi
peggiorava la situazione. Tuttavia, sopportai in silenzio ed ascoltai con
curiosità crescente ciò che Koichi aveva da raccontarmi.
‒ Circa un’ora fa mi sono svegliato per fare pipì. Prima di rimettermi a
letto mi sono fermato alla finestra per guardare fuori; mi piace osservare la
strada notturna innevata e immobile, lo faccio quasi ogni sera. Stavo per
tornare a dormire quando ho notato qualcosa di strano sul tetto di una casa in
lontananza. C’era una persona vestita da Babbo Natale, con tanto di sacco in
spalla, che ha gettato qualcosa nel comignolo della casa. All’inizio ho pensato
di avere un’allucinazione, non si vedeva molto bene essendo notte fonda, ma no,
la persona era lì, nel suo costume, in piedi sul tetto! E non è tutto: dopo
aver gettato il regalo, mentre quel Babbo Natale stava scendendo dal tetto
tramite la grondaia, il sacco gli è quasi scivolato dalle mani, e un regalo che
c’era dentro è caduto su un vaso, che è a sua volta caduto facendo rumore. Un
cane è uscito dalla porta per animali all’ingresso della casa e si è messo ad
abbaiare e ringhiare come un matto, allora Babbo Natale è risalito in tutta
fretta e si è messo a guardare il cane finché il regalo che gli era caduto poco
prima è esploso. Non ha fatto molto rumore e non è esplosa con del fuoco come
una comune esplosione, ma ho chiaramente visto l’oggetto rettangolare
infrangersi in mille pezzi e colpire il cane, che ha mugolato ed è scappato
via. Babbo Natale ha colto l’occasione, è corso dall’altra parte del tetto fino
a sparire dalla mia visuale. Penso sia scappato gettandosi dal tetto. Le luci
della casa si sono accese per qualche minuto, poi si sono spente ed è tornato
il silenzio di prima. Ho pensato di tornare a dormire e raccontarlo l’indomani
agli altri, ma proprio non sono riuscito a chiudere occhio. Dovevo
assolutamente avvisare qualcuno, ma non potevo chiamare Josuke o Okuyasu e
svegliare le loro famiglie nel cuore della notte. Non potevo nemmeno usare il
telefono a dire il vero, perché mia madre ha il sonno leggero e mi avrebbe sicuramente
sentito. Così mi sei venuto in mente tu: so che spesso stai sveglio di notte
per lavorare, allora mi sono buttato dalla finestra, rimbalzando grazie al mio
Stand, e sono corso qui. ‒
Inspirai, ora nervoso, avendo trovato conferma alle mie supposizioni. ‒
Sta accadendo di nuovo. C’è di nuovo un nemico in città. Diamine, ma cos’ha
Morioh di tanto allettante per i pazzi? Perché sempre qui? ‒
Koichi annuì con la testa, la sua espressione incredibilmente preoccupata. ‒
È una calamita per portatori di Stand. O meglio, noi lo siamo. Sai, no, ci
attraiamo a vicenda… ‒
‒ Sì, sì, lo so. ‒ Quella storia dei portatori di Stand che si
attraggono a vicenda cominciava a stancarmi. Possibile che attirasse sempre e
solo nemici?
‒ Comunque non siamo certi che sia un portatore di Stand. Anche se le
dinamiche delle esplosioni sono strane e non sembrano comuni, non possiamo
darlo per scontato. ‒ Continuai.
‒ Cosa facciamo, Rohan? ‒ Mi chiese Koichi in tono pietoso.
‒ Direi intanto di ragionarci per bene. Penso di aver capito, più o meno,
il piano di questo Babbo Natale. Come mi ha suggerito tramite la canzone, ha
scritto una lista, sa chi è stato buono o cattivo. Sappiamo che fa esplodere i
regali, e non credo proprio che stia prendendo di mira chi è stato buono.
Secondo me sta facendo questi regali esplosivi a chi è stato cattivo, come una
sorta di vendetta. ‒
Koichi annuì di nuovo. ‒ Ha senso. Sta agendo al contrario: il Babbo
Natale della favola porta regali ai bambini buoni, mentre lui li porta a chi è
stato cattivo, come una sorta di punizione. ‒
‒ Esatto. Sono certo che quello che è successo a me accadrà a tutti
coloro che stanno ricevendo regali da questo Babbo Natale. ‒
‒ Dobbiamo agire in fretta, allora! Dobbiamo trovarlo e salvare tutti
coloro che hanno ricevuto i regali prima che li scartino! ‒ Gridò Koichi.
‒ Calmo, calmo. ‒ Lo ammonii alzando un braccio. ‒ Io non ho
saputo aspettare, ma credo e spero che gli altri sfortunati prescelti sapranno attendere
fino a Natale per scartarli, come da tradizione. Non si fa così? Non si aspetta
la mattina del 25 per aprire i regali? ‒
‒ Sì, di solito fa così. Effettivamente quasi nessuno li apre prima del
25. L’attesa dell’apertura dei regali è parte integrante della tradizione
natalizia… ‒
‒ Bene. È ormai il 21, abbiamo tre giorni per trovare il colpevole e
salvare il Natale. ‒
‒ Salvare il Natale… ‒ Ripeté Koichi. Si notava che non sapesse se
ridere o piangere.
‒ Non è così che dicono in quei film occidentali? Salvare il Natale?
‒
Alla fine rise. ‒ Sì, dicono proprio così. ‒
Dopo qualche momento di ilarità, il clima tornò serio. Negli occhi di Koichi
brillò quella determinazione che di lui avevo sempre ammirato.
‒ Dobbiamo metterci al lavoro, Maestro. Dobbiamo capire chi diavolo è
questo Babbo Natale. Tu sei sulla sua lista, quindi sei stato cattivo con lui.
È un punto di partenza. Con chi sei stato cattivo, Rohan? Pensaci bene. ‒
Scoppiai in una risata fragorosa. ‒ Con tutti, Koichi. Mi conosci.
‒
Koichi si abbandonò allo schienale del divano, probabilmente rendendosi conto
che, vista la mia attitudine generale, capire chi fosse il colpevole indagando
tra le persone con cui ero stato cattivo era come quando avevamo cercato Kira
indagando su metà degli abitanti di Morioh: un lavoro lungo e quasi impossibile
da portare a termine.
‒ Non credo riusciremo a capirlo così. Dobbiamo piuttosto uscire a
cercarlo e beccarlo in flagrante. ‒ Dissi deciso. ‒ Mi sembra
veramente l’unico modo veloce ed effettivo di agire. Morioh sarà anche grande,
ma se coinvolgiamo gli altri dovremmo farcela. ‒
Koichi sbadigliò. ‒ Sì, è il modo più veloce. ‒
‒ Torna a casa, Koichi. È tardissimo e sembri stanco morto. ‒
Dissi, quasi premuroso. Era bianco come un cadavere, visibilmente infreddolito
e aveva gli occhi stanchi.
‒ Sì. Sono stanchissimo. ‒ Disse sbadigliando.
Ci alzammo e gli porsi la giacca e la sciarpa. ‒ Domattina spiega tutto
agli altri. Appena uscite da scuola venite al Cafè Deux Magots, vi aspetterò
lì. Va bene? ‒
Il ragazzo s’imbacuccò come lo avevo trovato fuori dalla porta e annuì. ‒
Va bene, gli dirò tutto. ‒
Gli aprii la porta e fui di nuovo investito da un’ondata di aria gelida. La
strada innevata e buia era muta, dormiente, i passi di Koichi sul mio porticato
di legno gli unici rumori nella notte.
‒ A domani allora. Grazie Rohan, scusa del disturbo. Buonanotte. ‒
‒ A domani. Notte. ‒ Lo salutai con un gesto della mano. ‒
Sta’ attento. ‒
Tornai in casa, completamente infreddolito, con la parte posteriore del corpo
che mi pungeva dalla testa ai piedi, e osservai il salotto davanti a me. I
pezzi di vetro erano ancora ovunque, ma non avevo intenzione di raccoglierli in
quel momento. Ero stanco, ferito e sovrastato dai pensieri, volevo solo andare
a dormire. E così mi stesi nel letto, rigorosamente a pancia in giù,
maledicendo il Natale, Morioh, la legge d’attrazione degli Stand e la mia
curiosità fino a cadere in un sonno leggero e pieno di sogni confusi.
‒‒‒
Fuori aveva ricominciato a
nevicare da poco ed io ero seduto davanti ad un cappuccino all’interno del Deux
Magots. Attendevo da una decina di minuti quando finalmente i ragazzi
entrarono. Il primo a varcare la soglia fu Koichi, e dietro di lui giunsero
subito Yukako, Okuyasu, Josuke e perfino Mikitaka.
‒ Dovevi portare per forza anche l’alieno? ‒ Chiesi in un sussurro
a Koichi. Quel fuori di testa mi irritava oltremodo.
Koichi rise. ‒ Sarà la nostra risorsa più utile, vedrai. ‒
Salutai il gruppetto con un cenno del capo, e presto furono tutti seduti
attorno al tavolo.
La cameriera prese le ordinazioni dai ragazzi e poi fummo liberi di parlare.
‒ Koichi ci ha raccontato tutto. ‒ Cominciò Josuke. ‒ Nessuno
di noi ha visto niente, ma oggi chiedendo un po’ a scuola sono saltati fuori ben
tredici ragazzi che in questi giorni hanno trovato regali davanti casa o nel
camino. Gli abbiamo detto di non aprirli e di avvisare più gente possibile di
non farlo perché è uno scherzo pericoloso, ma non so se ci hanno creduto.
Comunque tutti stanno aspettando il giorno di Natale per aprirli, quindi
abbiamo un po’ di tempo. ‒
Koichi prese a parlare subito dopo Josuke. I suoi occhi brillavano, quasi fosse
ansioso di mostrarmi dei progressi. ‒ Grazie a questi ragazzi siamo
arrivati a una conclusione. ‒ Disse, fermandosi poi per aprire lo zaino
che reggeva sulle gambe. Ne tirò fuori un foglio e lo poggiò sul tavolo,
rivolto verso di me. Era la mappa di Morioh, sulla quale era scarabocchiato
qualcosa in diversi colori.
Prese così a spiegarmi.
‒ I pallini blu sono le case delle vittime a noi note. I cerchi rossi
indicano le zone ed il giorno in cui sono state colpite. La zona verde, invece,
è quella che secondo noi verrà colpita stanotte. ‒ Posò l’indice sul cerchio
numerato col 17. ‒ A tre di loro che abitano nella zona tra il negozio
Family Club e il tempio Jozenji è stato consegnato il regalo la notte del 17
dicembre. Altri quattro ragazzi, che abitano vicino a Josuke, Okuyasu e la
roccia Angelo lo hanno ricevuto il 18. La notte del 19, invece, è toccata alla
zona vicina all’autostrada e al Grand Hotel, nella quale tre ragazzi hanno
ricevuto il regalo. E poi, come ben sappiamo, ieri notte il Babbo ha preso di
mira la zona tra casa nostra e la drogheria Owson, vicino al vicolo fantasma di
Reimi, dove altri tre ragazzi hanno ricevuto il regalo. È chiaro che stia
agendo per zone. Ha già coperto gran parte della città, per quanto ne sappiamo.
La zona più vicina a quella di stanotte è quella della stazione di Morioh, che
abbiamo cerchiato di verde. Possiamo supporre che stanotte agirà lì, sempre se
qualcuno della sua lista ci abita. In caso contrario dovremo agire alla cieca
per il resto di Morioh, e allora sì che sarà difficile. ‒
Guardai per un po’ la mappa, stupendomi sinceramente del lavoro brillante
svolto dai ragazzi. Sapevo che, nonostante tutto, erano svegli… Ma stavolta si
erano superati, avevano svolto davvero un buon lavoro. Ovviamente non glielo
feci notare.
‒ Benissimo. Potremmo cominciare l’investigazione dalla stazione, allora.
Siamo in sei, copriremmo gran parte della zona se ci dividiamo. ‒
‒ Non sappiamo se Babbo Natale è un portatore di Stand, ma sicuramente è
pericoloso. Forse sarebbe meglio dividerci in coppie. ‒ Disse Josuke.
‒ Sì, anche secondo me. ‒ Assentì Okuyasu.
‒ Anche per me. ‒ Disse Yukako.
‒ Sì, è meglio non rischiare. ‒ Si unì Koichi.
‒ Io approvo. L’unione fa la forza, non è così che si dice qui? ‒
Disse Mikitaka.
Sospirai, sopprimendo la voglia di strapparmi i capelli che quel ragazzo mi faceva
venire.
‒ D’accordo. Allora direi di trovarci alle undici in stazione. Venite
tutti a piedi, non si sa mai che qualcuno riesca a beccarlo in strada. Va bene?
Riuscite tutti a trovare un modo di non farvi scoprire dai vostri genitori?
‒
Anche se un po’ restii, non amando l’idea di sgattaiolare fuori dalle loro
finestre col rischio di farsi scoprire – ad eccezione di Okuyasu che viveva
praticamente solo e Mikitaka, che oltre a continuare a blaterare frasi solenni
su quanto fosse giusto rischiare per salvare “Padre Natale” e riportare il
mondo alla normalità, diceva di poter ipnotizzare la madre adottiva e quindi
uscire in tutta tranquillità a qualsiasi ora ‒ alla fine tutti
acconsentirono. Mi inventai una scusa per andarmene e li lasciai finire le loro
consumazioni tra di loro, ben contento di tornarmene a casa e farmi una
passeggiata solitaria e tranquilla sulla neve prima della caccia.
___
Guardai l’orologio da polso
nel momento in cui scoccarono le undici. Ero già alla stazione di Morioh da
cinque minuti buoni, arrivato come sempre in anticipo dopo una lunga camminata
di altrettanti dieci. Devo ammettere, però, che passeggiare di notte mi era
piaciuto più di quanto mi sarei aspettato. Il silenzio tombale della città
dormiente, il buio, stemperato solo dalla luce bluastra dei lampioni… Sembrava
quasi un sogno di cui io ero protagonista come una sorta di fantasma. Anche se
fantasma non ero proprio: anzi, mi ero sentito vivo come non mai in quei dieci
minuti. Io, l’unica fonte di vita pulsante e di rumore in mezzo a delle strade
che parevano morte nella loro stasi glaciale e immota. Mi aveva dato
un’ispirazione pazzesca, tanto che maledissi l’impegno preso e desiderai tanto
trovarmi nel mio studio con delle tavole bianche tutte da riempire.
La stazione era ovviamente vuota, le porte chiuse e le luci spente. Non
sarebbero passati treni fino alle cinque di mattina. Mi sedetti ad aspettare su
una panchina, ficcando le mani guantate nelle tasche del giubbotto ed
affondando la faccia nella sciarpa di cachemire.
Finalmente qualcuno mi raggiunse. I primi furono Koichi e Yukako, imbacuccati
in grosse sciarpe e cappotti come lo ero anch’io, e dopo qualche minuto ci
raggiunsero anche Josuke, Okuyasu e Mikitaka. Avevano tutti la faccia stanca tranne
Mikitaka, ancora in divisa scolastica, con una semplice sciarpetta leggera addosso,
che si ergeva fiero, fresco come una rosa e mi sorrideva ogni volta che lo guardavo.
‒ Ho portato un dono che vi farà molto piacere. ‒ Disse Mikitaka mettendosi
a ravanare nello zaino di scuola. Perché mai se lo era portato dietro, poi?
Estrasse un thermos e dei bicchierini di plastica che porse ad ognuno di noi.
‒ Caffè per tutti. ‒ Disse sorridendo e versandone un po’ ad
ognuno. Gioii del calore che mi procurò alla mano mentre lo versava: dovetti
ammettere ‒ solo a me stesso, chiaramente ‒ che quel ragazzo,
quando voleva, era intelligente.
‒ Che tu sia benedetto, Mikitaka! ‒ Esclamò Josuke, guardando il
caffè che si riversava nel suo bicchiere come se fosse acqua in mezzo al
deserto.
‒ Aspetta… ‒ Koichi fermò il bicchiere sulle labbra appena dopo
aver fatto il primo sorso. ‒ Questo è puro caffè, vero? Non è… Parte di
te, no? Non l’hai creato tu col tuo potere, vero? ‒
Sgranai gli occhi. Sinceramente non avevo pensato che il potere del ragazzo gli
permetteva di trasformarsi in qualsiasi oggetto, incluso il caffè che stavamo
bevendo.
‒ Ditemi che non ho appena bevuto qualche parte del corpo di Mikitaka…
‒ Implorò Okuyasu.
Yukako tossì, quasi strozzandosi col caffè che aveva appena ingerito. ‒
Che cosa?! ‒ Esclamò.
Mikitaka rise. ‒ Oh, no, tranquilli. È puro caffè al cento per cento,
preparato dalla mia mamma terrestre. L’ho ipnotizzata per farmelo preparare
prima di uscire. ‒
Inspirai, sconcertato dalle sue frasi assurde. Le diceva spesso, ma non
riuscivo mai ad abituarmici. Bevemmo tranquilli il caffè e finalmente potemmo
aprire la caccia.
‒ Dunque, dividiamoci in coppie: io e… ‒
Volevo continuare dicendo “io e Koichi”, ma Josuke mi interruppe. ‒ Tu e
Mikitaka, io e Okuyasu, Koichi e Yukako. ‒
‒ Cosa? ‒ Esclamai. ‒ Io e Mikitaka? ‒ Non sarei andato
a caccia di Babbo Natale con Mikitaka nemmeno sotto tortura. Già mi sentivo
male dopo qualche minuto passatogli vicino, figuriamoci starci in coppia
durante un’investigazione che poteva durare ore.
‒ È la cosa più logica. Vuoi dividere una coppietta, per caso? O venire
con me? ‒ Mi sfidò il capellone.
Sentii l’imbarazzo di Koichi e Yukako e la loro voglia di sprofondare nella
neve. Maledissi la ragazza, più di quanto avessi fatto sin da quando l’avevo
conosciuta. Perché diavolo se l’erano portata, quella pazza? Guardai Mikitaka.
Per quanto fosse un malato di mente, era sempre meglio di Josuke o di quello
stupido di Okuyasu.
‒ No, grazie. Vado con Mikitaka. ‒ Bofonchiai.
L’alieno esultò. ‒ È un onore, Kishibe Rohan. Ho sempre voluto conoscerla
meglio. ‒
‒ Tanto non avremo molto tempo da trascorrere assieme. ‒ Sorrisi
malefico, travolto da un’idea improvvisa.
‒ Che vuoi dire? ‒ Chiese Josuke.
‒ Puoi trasformarti in qualsiasi cosa, no? ‒ Chiesi a Mikitaka.
‒ Sì, in qualsiasi cosa che non sia più potente o complessa di me. ‒
Il mio sorriso si ampliò. ‒ Un uccello è più potente di te? ‒
Mikitaka corrucciò le labbra. ‒ Temo di sì. È generalmente più veloce di
me. Non mi è possibile trasformarmi in esseri viventi più forti di una formica,
o un verme, una farfalla, già una mosca è troppo elaborata, oppure… ‒
‒ Sì, sì, ok. ‒ Lo fermai, sentendo che la lista si sarebbe fatta
lunga.
‒ E un traliccio, invece? La semplice struttura ferrea di un traliccio è
troppo complessa? ‒
‒ Oh, no! ‒ Sorrise. In un lampo il suo corpo diventò come di pongo
bluastro, si tese alzandosi in aria, dividendosi in vari rami, e in meno di
cinque secondi un traliccio alto una ventina di metri si palesò davanti a noi.
Tutti alzammo il viso, stupiti. La sua voce, un tantino più metallica del
solito, giunse da un punto impreciso della struttura. ‒ Da qui riesco a
vedere gran parte della zona di caccia. Lei è molto intelligente, maestro di
fumetti Kishibe Rohan. ‒
Koichi rise. ‒ Rohan, sei un genio! ‒
Sfoggiai un sorriso migliore che potevo. In realtà era una cosa abbastanza
ovvia da pensare e mi sorpresi di non esserci arrivato prima.
‒ Però non vedo nessuno al momento. La città è immobile. Padre Natale non
è su nessun tetto. ‒
‒ Magari non si è ancora messo all’opera. Quando l’ho visto era notte
fonda, forse ci toccherà aspettare un po’. ‒ Disse Koichi.
‒ Beh, io non intendo stare qui ad aspettare. ‒ Dissi. ‒ Sarebbe
meglio se andassimo comunque in giro a cercare. Se Mikitaka avvista qualcuno,
può sempre trasformarsi in una tromba e suonare l’allarme. Col silenzio che
c’è, la sentiremmo anche a chilometri di distanza. ‒
‒ Maestro, sei una riserva di idee geniali stasera! ‒ Esclamò
Koichi.
‒ Solo stasera? ‒ Feci io, strizzando l’occhio a Koichi, sguazzando
allegramente nella vanità.
Josuke sbuffò. ‒ Beh, allora dividiamoci. Mi si stanno congelando le
chiappe. ‒
Koichi tirò fuori da una tasca la mappa scarabocchiata che mi aveva mostrato
quel pomeriggio e fece cenno a tutti di avvicinarsi.
Ci dividemmo le zone: io dovevo rimanere nei dintorni della stazione, Josuke e
Okuyasu s’incamminarono verso i grandi magazzini Kameyu, mentre Koichi e Yukako
andarono ad investigare nella zona dietro la stazione.
Attorno alla stazione c’erano molte villette ‒ tra cui quella gialla in
cui il ladro di incubi Alistair Pearce aveva allestito la sua mostra, nel
febbraio di quell’anno ‒ quindi dovevo tenere gli occhi ben aperti. Guardai
il traliccio piantato lì totalmente a caso davanti all’entrata della stazione: stonava
tantissimo, non aveva nemmeno i fili, ma anche se Babbo Natale lo avesse visto,
dubito avrebbe pensato che potesse essere un suo nemico. Perfino io stentavo a
crederci. Decisi di allontanarmi un po’, visto che la zona che dovevo coprire
era abbastanza ampia.
‒ Mikitaka, se vedi qualcuno trasformati in una tromba e fai più rumore
possibile, capito? ‒
‒ Sissignore! Tutto chiaro! ‒ Mi rispose il traliccio.
Sospirai, ben lieto di allontanarmi dal ragazzo, e m’incamminai.
Ancora una volta eravamo solo io ed il silenzio. Mi aggiravo di soppiatto,
senza fare il minimo rumore e senza mai staccare gli occhi dalle case e dai
tetti che riuscivo a scorgere in lontananza. Camminai per un bel po’, il viso
cominciò a indolenzirsi per colpa del freddo, soprattutto la punta del naso, ma
il mondo intorno a me continuava a rimanere intoccato, immobile ed immerso nel
silenzio.
La possibilità che Babbo Natale avesse finito di portare i regali la notte
precedente era alta, così come quella che avessimo sbagliato zona. Era
probabile che in quel momento fosse da tutt’altra parte di Morioh, e quel
pensiero mi faceva innervosire. Continuai a sperare di sentire un suono di
tromba da un momento all’altro, finché non fu un altro suono che sentii. Era un
suono debolissimo, quasi impercettibile; sembrava il rumore di un ramicello
rotto, e pareva provenire proprio da una piccola distesa boschiva dietro le
case che mi stavano affianco. Mi immobilizzai, arrestando quasi anche il
respiro, e attesi una manciata di secondi. Il rumore si ripeté una, due, tre
volte a distanza di qualche secondo l’una dall’altra. Era proprio il rumore di
rametti calpestati, e ciò significava che qualcuno si stava avvicinando ad una
delle case che avevo di fianco. Poteva benissimo essere un animale, ma in ogni
caso non potevo rischiare di farmi vedere. Avanzai di qualche passo verso il bidone
della spazzatura della villetta e mi ci accucciai dietro. Non era un
nascondiglio perfetto, ma era sicuramente il migliore che trovai in quei pochi
secondi che avevo a disposizione. Non riuscivo a vedere da lì se la casa aveva
un comignolo, ma se non lo avesse avuto, allora Babbo Natale avrebbe lasciato
il regalo davanti alla porta e lo avrei potuto vedere. Guardai l’orologio: era
mezzanotte e un quarto e decisi che se non si fosse fatto vedere entro un
minuto, sarei uscito dal nascondiglio a cercarlo. Non ce ne fu bisogno. Dopo
qualche secondo udii dei rumori metallici e degli scricchiolii e capì che si
stava arrampicando sulla grondaia della casa che avevo di fianco. Era una
piccola villetta di un solo piano, con finestre simmetriche che fornivano
l’appiglio perfetto per arrampicarvisi. Non ero certo un atleta, ma il mio
equilibrio e la mia agilità non erano male, così decisi di tentare. Mi misi in
piedi sul piccolo davanzale della finestra, cauto e attento a non fare alcun
tipo di rumore, alzai le braccia, tirandole il più possibile, e riuscì a
poggiare le mani sulla grondaia fredda e innevata. Dopo un bel respiro
richiamai tutta la forza che avevo in corpo e mi sollevai con le braccia. Quasi
scivolai, sentii la presa affievolirsi, ma alla fine riuscii a piegarmi in tempo
e appoggiare la punta dei piedi sul tetto. Quando alzai lo sguardo lo vidi
accanto al comignolo, Babbo Natale esattamente come Koichi lo aveva descritto:
tuta rossa, barba lunga, cappello, grossi stivali neri e sacco in spalla. Si
accorse di me, che ero ancora appollaiato al limite del tetto, e si fermò
immobile. Aveva un pacchetto in mano identico a quello che avevo trovato io il
giorno prima. Il cuore cominciò a palpitarmi forte nel petto; finalmente lo
avevo davanti. Mi chiesi come era possibile che Mikitaka non avesse ancora
suonato l’allarme, visto che quella zona rientrava sicuramente nella sua
visuale. Lo guardai, immobile e senza dire una parola, pronto a scattare in
qualsiasi momento.
Dopo una manciata di secondi interminabili, improvvisamente si mosse. Mi lanciò
il pacco regalo, che mi avrebbe colpito direttamente in faccia se non fossi
stato pronto a zompare in avanti. Il pacco cadde sulla neve, proprio al limite
del tetto dove ero io fino ad un secondo prima, ed esplose a meno di un metro
da me, ancora incartato. Nonostante ciò, l’onda d’urto mi fece quasi cadere ed
i detriti mi colpirono lo stesso. Mi arrivarono delle schegge di vetro nella
schiena – di nuovo! – e sentì un male atroce. Nemmeno il giubbotto pesante che
avevo addosso riuscì a bloccarle, le sentì chiaramente bucarmi la schiena
proprio come il giorno prima.
‒ Maledetto! ‒ Gli gridai tra i denti, e mi alzai pronto ad
andargli addosso.
Babbo Natale scattò via, mettendosi a correre sul tetto fino ad arrivare alla
parte opposta. Lanciò il sacco verso la boscaglia sul retro della casa e si
gettò un secondo prima che potessi agguantarlo. Guardai giù e lo vidi rotolare
sulla neve, rialzarsi e correre via con un’agilità tremenda.
Non potevo sprecare l’occasione: se non lo avessi preso in quel momento,
probabilmente non lo avrei preso mai più. Non proprio sicuro di ciò che stavo
per fare, mi buttai anche io; atterrai con forza sul suolo innevato, rotolando
per attutire un po’ il colpo proprio come aveva fatto Babbo Natale, sentendo il
dolore causato delle schegge aumentare a dismisura. Mi alzai in piedi, lo vidi
correre veloce verso la boscaglia e scattai anche io all’inseguimento. Stavamo
correndo nella rada boscaglia affianco ai binari, purtroppo nella direzione
opposta a quella che portava vicino ai grandi magazzini Kameyu dove stavano
Josuke e Okuyasu. Nella direzione dove stava correndo quel criminale purtroppo
c’erano ben poche abitazioni. Accelerai il passo più che potei, ma Babbo Natale
aveva una decina di metri di vantaggio e non sembrava dare cenni di stanchezza.
Udì il suono di tromba di Mikitaka: finalmente aveva capito, anche se
maledettamente in ritardo. Babbo Natale non sembrò badarci: correva come un
maratoneta sulla neve, nonostante il sacco che aveva sulle spalle sembrasse
pieno e pesante. Lo vidi infilarci una mano ed estrarne un pacco, che senza
voltarsi mi scagliò contro. Mi spostai per schivarlo, senza smettere di
correre, ma il pacco esplose a metà del volo. Mi protessi il viso e la testa
con le braccia, e fui di nuovo colpito da una scarica di schegge di vetro.
Dannazione, se avessimo continuato ancora a lungo prima o poi mi avrebbe ferito
seriamente. Qualche scheggia di vetro la potevo sopportare, nonostante
pungessero e bruciassero come l’inferno e nonostante sentissi il sangue colarmi
sotto i vestiti, ma più se ne aggiungevano e certamente meno potevo durare.
Babbo Natale non dava cenno di voler rallentare nemmeno un po’, mentre io,
avendo perso qualche secondo per colpa dell’esplosione, mi facevo sempre più
lontano. Pregai affinché gli altri mi raggiungessero in fretta. Correvamo da sì
e no due minuti, cominciavo ad accennare stanchezza, tra fiatone e dolore alle
braccia e alla schiena, ma cercai ancora una volta di radunare le forze. Vidi Babbo
Natale infilare le mani ancora una volta nel sacco. Non poteva colpirmi di
nuovo: già stavo male così, non potevo sopportare altre maledette schegge. Ma
come potevo fare? Il raggio dell’esplosione era ampio, le schegge di vetro
finivano dappertutto; se mi fossi fermato, avrei perso Babbo Natale per sempre.
Non potevo proprio.
Il maledetto lanciò il pacco. Un’idea improvvisa mi travolse: poteva
consentirmi la vittoria o farmi perdere una mano, era altamente rischioso, ma
preso dall’adrenalina decisi di correre il rischio. Proprio come se mi trovassi
in una partita di pallavolo, davanti ad una palla che stava superando la rete
invadendo la mia parte di campo, saltai alzando il braccio e con la mano aperta
colpii il pacco più forte che potevo, rispedendolo in avanti. Babbo Natale mi dava le spalle, quindi per
mia fortuna non poteva vedere cosa stavo facendo, e così fece esplodere il
pacco ignaro che fosse a poco più di un metro da lui. Io nel frattempo mi
fermai e mi godei la scena: il pacco esplose e le schegge di vetro si
scagliarono sul criminale che cadde a terra, lasciando la presa al sacco che
cadde affianco a lui. Non esitai un secondo in più, scattai verso di lui e gli
fui sopra.
‒ Avresti fatto meglio a guardarti attorno anche tu. ‒ Gli dissi in
ansimante tono di scherno mentre mi sedevo sulla sua schiena e gli bloccavo le
mani dai polsi.
‒ Chi sei? ‒ Gli gridai. ‒ Perché fai tutto questo? ‒
Aveva parte del viso schiacciato al suolo, attorno a noi era buio e non
riuscivo a vederlo per intero, ma quel poco che vidi mi inquietò. Aveva delle
stranissime sembianze. La barba, l’unica cosa che mi sembrava normale, non mi
parve finta come invece avevo ipotizzato fino a prima. Gli occhi erano strani,
neri come la pece; anche la bocca era piuttosto insolita, s’intravedeva appena
tra la folta barba bianca, ma sembrava non avesse le labbra, solo una piccola
fessura. Il naso all’insù era appuntito ed il suo cappello, la cosa più
bizzarra di tutte, non era un cappello normale, sembrava parte integrante della
sua testa. Non aveva capelli, il copricapo rosso e bianco gli circondava il
capo dalla fronte alla nuca come se fosse incollato. Le orecchie, che uscivano
dal cappello, erano appuntite come quelle di un elfo. Queste erano tutte cose
che non avevo notato poco prima, quando lo avevo avuto ad una decina di metri
di distanza, sul tetto. Deglutii, ancora col fiatone, inquietato dalle sue
strane sembianze. Non sembrava opporre resistenza alla mia stretta, e decisi
che era giunto il momento. Chiamai Heaven’s Door, ma con mia grandissima
sorpresa non riuscii ad aprirlo come un libro. Ci provai due, tre, quattro
volte, ma non funzionò. Babbo Natale rimaneva a terra, cosciente ma immobile,
con gli occhi spalancati e la bocca serrata.
All’improvviso, mentre cercavo di aprirlo come un libro per la quinta volta,
tutti regali che erano all’interno del sacco accanto a noi esplosero
all’unisono, colpendomi con una micidiale scarica di schegge di vetro. L’onda
d’urto mi scaraventò via dal corpo di Babbo Natale, facendomi atterrare con
forza sulla neve. Cercai di alzarmi in piedi, ma il dolore delle le centinaia
di schegge che mi avevano trafitto ebbe la meglio. Nonostante la vista
annebbiata, vidi Babbo Natale alzarsi in piedi e riprendere la sua corsa; provai
ad alzarmi una seconda volta, ma ormai le forze mi avevano abbandonato. L’esplosione
mi aveva colpito anche in viso, trafiggendomi guance, naso e fronte che ora
sanguinavano copiosamente. Mi abbandonai sulla neve tra versi di dolore,
riponendo la mia ultima speranza nell’arrivo dei ragazzi.
E alla fine, con mio immenso conforto, li sentii arrivare. Spostando
leggermente la testa vidi Koichi, Yukako e Okuyasu correre verso di me, preceduti
da Josuke che volava a tre metri da terra su un deltaplano che poco dopo mi
atterrò di fianco.
‒ Ma che diavolo… ‒ Sussurrai nel dolore. Il deltaplano si
trasformò in Mikitaka, e allora capì tutto.
‒ Cosa ti ha fatto? Dove è andato? ‒ Mi chiese Josuke mentre
venivamo raggiunti dagli altri.
Koichi si accucciò di fianco a me, esaminando il corpo pieno di vetri e sangue.
‒ Mi ha fatto esplodere tutti i regali addosso. Non sono riuscito a
leggerlo con Heaven’s Door… È andato là… ‒ Riuscì, nonostante il dolore,
ad alzare il braccio ed indicare il punto verso cui era scappato.
Koichi assunse un’espressione addolorata. ‒ Diamine, Rohan, sei pieno di
vetri addosso! Anche in faccia! Presto, Josuke, curalo! Io cerco di raggiungere
Babbo Natale. Mikitaka, diventa un deltaplano, presto! Okuyasu, seguici, dovrai
cancellare più spazio possibile tra noi e Babbo Natale! Yukako, vieni anche tu!
‒
‒ Arrivo! ‒ Gridò Okuyasu, scattando in direzione del criminale
assieme a Yukako.
Josuke mi toccò una gamba, vidi apparire Crazy Diamond e nel giro di qualche
secondo ogni dolore sparì. Le schegge di vetro si staccarono dal mio corpo, i
tagli guarirono ed io tornai come nuovo. Anche i vetri si ricomposero, tornando
ad essere ben sei palle di vetro natalizie uguali a quella che avevo ricevuto,
che una volta ricomposte mi caddero attorno.
Finalmente tornai in piedi, coi vestiti tutti insanguinati, e vidi Koichi
sfrecciare sul deltaplano. ‒ Andiamo! ‒ Gridai a Josuke che mi
seguì scattante. Corremmo per un minuto circa, solo qualche metro dietro agli
altri; eravamo quasi alla fine del bosco, altre case cominciavano a vedersi in
lontananza, quando Babbo Natale tornò nella nostra visuale. Grazie a The Hand,
che si era messo a cancellare lo spazio senza sosta, quel maledetto avanzava di
un metro e retrocedeva di tre.
‒ Yukako, prendilo! ‒ Gridò Josuke al mio fianco.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. I suoi capelli si allungarono a
dismisura, fino a raggiungere Babbo Natale, e gli avvilupparono le caviglie e
facendolo cadere a terra. Si dimenò, cercando inutilmente di liberarsi dalla
presa.
‒ Koichi! Tocca a te! ‒ Gridò Yukako.
Koichi zompò giù dal deltaplano e chiamò il suo Stand, che apparve e giunse
assieme le mani.
‒ Facciamo fuori il Babbo Bastardo? ‒ Chiese con pungente
divertimento il piccolo Echoes.
Koichi sorrise. ‒ Echoes Act 3: FREEZE!
‒
Il grido di Koichi echeggiò nella boscaglia, e Babbo Natale smise di dimenarsi.
Ora che eravamo certi non si sarebbe più mosso, Yukako mollò la presa alle
gambe e gli corremmo attorno.
Babbo Natale era immobile con gli occhi spalancati e la bocca chiusa, proprio
come quando gli ero stato sopra poco prima.
‒ Non vi sembra strano? ‒ Chiesi. ‒ Non sembra neanche umano…
‒
‒ È vero! ‒ Esclamò Okuyasu avvicinando la faccia. ‒ Sembra
un alieno… ‒
‒ Amici, non vorrei rovinarvi la festa, ma… Io non vedo nessuno. ‒
Disse Mikitaka.
Tutti voltammo lo sguardo su di lui, scioccati.
‒ Non lo vedi? ‒ Chiesi. ‒ Non lo vedi?! ‒ Indicai il
criminale per terra.
‒ No. Vedo solo la sua orma nella neve e il suo sacco. ‒
‒ Vuol dire che è uno Stand! ‒ Esclamò Koichi dopo qualche secondo
di silenzio. ‒ Mikitaka non vede gli Stand! Per questo ci ha detto di
aver suonato l’allarme perché ha visto Rohan correre dietro a “qualcosa” che
gli è sfuggito di vista, ma che gli sembrava un sacco! Per questo il cane, la
sera in cui l’ho visto io, ha abbaiato al regalo che gli è caduto e non a lui!
‒
Spalancai la bocca. ‒ Ecco anche perché non riuscivo a leggerlo con
Heaven’s Door. ‒
‒ Ma… ‒ Balbettò Josuke.
‒ Se questo è lo Stand… ‒
‒ Dov’è il portatore? ‒ Yukako completò la frase. Tutti ci girammo,
cercando una qualsiasi forma di vita nella boscaglia. Oltre a noi, gli alberi
spogli ricoperti di neve e le case in lontananza non c’era niente e nessuno.
‒ Ho un’idea. ‒ Se ne uscì Josuke dopo un po’. Si avvicinò a Babbo
Natale, chiamò Crazy Diamond e senza attendere un solo secondo di più gli fece
piombare addosso una violenta scarica di pugni sulla schiena. Mentre Babbo
Natale veniva malmenato senza emettere un suono, udii dei versi provenire dalla
boscaglia.
‒ Là! ‒ Indicai il punto del bosco dal quale avevo udito i versi.
‒ Koichi, resta. È fuori dalla tua portata. ‒ Lo ammonì Josuke.
Koichi annuì. ‒ Fate attenzione. ‒
Yukako restò con Koichi e noi corremmo più avanti. Alla fine lo vedemmo: era un
ragazzino giapponese dai capelli scuri, steso a terra dietro un albero,
impossibilitato a muoversi per via di Act 3 Freeze.
Josuke si chinò a guardarlo: era cosciente, ma sembrava esausto. Un rivolo di
sangue gli tingeva il mento.
‒ Io ti ho già visto… ‒ Sussurrò Josuke. ‒ Vieni a scuola con
noi, non è vero? ‒
‒ Koichi, ritira l’attacco e venite qui! ‒ Gridai.
Il ragazzo fece come richiesto e ci raggiunse assieme a Yukako; appena vide il
ragazzo sgranò gli occhi.
‒ Hisato Kimura? ‒ Gridò. ‒ Sei tu dietro a tutto questo?!
‒
‒ Oi, lo conosci? ‒ Chiese Okuyasu.
‒ Sì, è più piccolo di noi di due anni. Ci ho parlato qualche volta a
scuola… ‒
Hisato si tirò su a sedere, visibilmente dolorante.
‒ Fai un solo passo falso, ragazzino, e giuro che ti ammazzo. ‒ Lo
ammonì Okuyasu, minaccioso.
‒ No, no… ‒ Sussurrò il ragazzo. ‒ Quei pugni mi sono
bastati. ‒
Koichi si avvicinò a lui. ‒ E così sei un portatore di Stand, Hisato?
Perché stavi cercando di fare male alle persone? ‒
‒ Koichi… ‒ Hisato lo guardò. ‒ Stand, dici? È così che si
chiama questo potere? Io l’avevo chiamato Last
Christmas. Beh, comunque stavo solo cercando di vendicarmi di alcune
persone… Lo scorso Natale, che è anche il giorno del mio compleanno, ho scoperto
di avere il potere di far implodere nel momento che desidero gli oggetti che il
mio…. Stand, o quel che è, tocca, e siccome quel coso aveva le sembianze di
Babbo Natale, ho deciso di entrare nel personaggio e scrivere una lista, ma
anziché premiare chi era stato buono con me, ho deciso di punire chi in qualche
modo era stato cattivo… ‒
Mi avvicinai al ragazzo ricolmo di rabbia. ‒ Ah sì? E cosa ti ho mai
fatto io? Non so neanche chi sei! ‒ Gli gridai addosso.
Hisato Kimura mi guardò con disprezzo. ‒ Kishibe Rohan… Seguo da sempre i
tuoi fumetti, ti ammiravo così tanto… Fino a quando sono venuto a chiederti un
autografo. Me l’hai fatto e poi mi hai sbattuto la porta in faccia, mi hai
trattato come un pezzente! Ci sono rimasto malissimo! ‒
Trattenni a stento una risata. Non era il primo fan a cui avevo riservato un
trattamento simile. Ma mi si può comprendere, no? Quando un bambino viene a
suonarti alla porta insistentemente, nel bel mezzo del lavoro, distruggendoti
la concentrazione, e non si accontenta di un autografo…
Josuke si portò una mano sulla faccia e Koichi sospirò. Probabilmente se lo
aspettavano.
‒ Koichi. ‒ Continuò Hisato. ‒ Tu invece sei sempre stato
gentile con me. Mi dispiace che tu sia amico di Rohan e che sia rimasto
coinvolto in questa storia. ‒
Inspirai, sopprimendo la voglia di dargli un calcio in faccia. Non amavo
affatto la violenza sui bambini, dunque mi trattenni.
‒ Senti, Hisato. ‒ Disse Okuyasu. ‒ Devi ritirare l’attacco.
Se non lo fai tu, dovremo farlo noi con le cattive. ‒ Mi guardò.
Sicuramente intendeva che avrei dovuto agire con Heaven’s Door. Feci un cenno
col capo, come a dirgli che avevo capito.
Hisato annuì. ‒ Fatto. ‒
‒ Sicuro? ‒ Chiese Koichi.
‒ Sì. I miei regali non esploderanno più. Ve lo giuro. ‒
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, ma io non mi fidai. In un baleno chiamai
il mio Heaven’s Door e il ragazzo cadde a terra incosciente, diventando un
libro umano.
Mi chinai e sfogliai le pagine sulla sua faccia.
‒ Dice il vero. Lo scorso Natale, il giorno del suo compleanno, ha
scoperto di avere uno Stand che ha chiamato Last Christmas. Ha scritto una
lista di persone cattive per un anno intero, attendendo il Natale seguente per
vendicarsi… ‒ Sfogliai ancora qualche pagina. ‒ E ora ha ritirato
l’attacco. I suoi regali sono innocui. Scusate, ma io vorrei prendere qualche
ulteriore precauzione. ‒
Accanto alla frase “... così ho ritirato ogni effetto esplosivo dai regali che ho portato”
scrissi “e non voglio farli esplodere mai più.”
Tornai in piedi e ritirai lo Stand, facendo tornare normale il ragazzo, che non
si accorse di niente. Si poggiò una mano alla testa. ‒ Che dolore.
‒ Si lamentò.
Koichi lo aiutò ad alzarsi. ‒ Ce la fai a tornare a casa? ‒
‒ Sì. Abito là. ‒ Disse
Hisato indicando le uniche due case in lontananza.
‒ Mi raccomando, Hisato. ‒ Gli sorrise Koichi. ‒ Lo Stand è
un dono, non sprecarlo per delle vendette che alla fine ti si ritorceranno
contro sempre. ‒
Hisato abbassò la testa. ‒ Sì. Ho imparato la lezione. ‒
Koichi sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. ‒ Bene. Ci vediamo a
scuola, allora. Se hai bisogno, sai dove trovarci. ‒
Parla per te, pensai. Anche se sapevo
bene che, dopo che gliel’avevo sbattuta in faccia, alla mia porta non sarebbe più
tornato.
‒ Certo. Grazie, ragazzi, e scusatemi… ‒ Sussurrò Hisato.
‒ Sta’ tranquillo. ‒ Gli disse Josuke sorridendo.
Hisato abbozzò un sorriso e ci voltò le spalle, incamminandosi verso casa.
Lo osservammo allontanarsi per un po’, poi Koichi sospirò forte. ‒ Hisato
Kimura. Un ragazzo così timido, silenzioso ed introverso… Chi l’avrebbe mai
detto… ‒
Anche Josuke sospirò. ‒ Purtroppo capita. Avere uno Stand a volte ti fa
compiere azioni cattive. Ma non dobbiamo preoccuparci, abbiamo salvato il
Natale, ragazzi! Morioh è salva ancora una volta! ‒
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, e persino io trattenni a stento un
sorriso.
‒ Si è già fatta l’una. Torniamocene a casa... ‒ Dissi
incamminandomi, seguito subito dagli altri.
Dopo qualche minuto, Josuke si fermò improvvisamente, e noi con lui. Lo
guardammo assumere un’espressione confusa. ‒ Forse avrei dovuto curarlo…?
‒ Si chiese, portandosi una mano sulla nuca. ‒ Insomma, l’ho preso
a pugni sulla schiena… Gli è anche uscito sangue dalla bocca… ‒
‒ Nah. ‒ Dissi io agitando una mano. ‒ Va tutto benissimo
così. ‒
Tutti scoppiammo a ridere, scaricando la tensione accumulata quella sera. Effettivamente
qualche pugno il ragazzino se lo era meritato. Ce ne tornammo così a piedi alle
nostre case, stanchi ma soddisfatti, finalmente tranquilli. Morioh era salva
ancora una volta.
___
Arrivò il 25 dicembre, il
tanto atteso Natale. Come sempre per me era un giorno qualunque; ero solo più
tranquillo del solito, dopo aver sconfitto “Babbo Natale” e aver scongiurato la
vendetta di Hisato Kimura. Ero appena rientrato a casa da una breve spesa che
stavo smistando in cucina, quando il telefono di casa squillò.
‒ Pronto? ‒
‒ Ciao Rohan. ‒ Era Koichi. ‒ Sono appena tornato da scuola. Oggi
abbiamo parlato con gli studenti che hanno ricevuto il regalo: stanno bene,
sono contenti della palla di vetro natalizia e si chiedono chi mai possa
avergliela regalata. Abbiamo fatto un po’ la figura degli scemi, visto che
qualche giorno fa gli abbiamo ordinato di non aprirla dicendo che era uno
scherzo pericoloso… Ma almeno il Natale è salvo. ‒
‒ Beh, è il prezzo da pagare. Sono contento che tutti stiano bene.
‒ Stranamente lo ero davvero; avevo provato quelle dannate esplosioni più
di una volta, e non era stato molto bello. Ad eccezione di qualche persona, non
lo auguravo a nessuno.
‒ Anche io. Ora devo andare, mia mamma ha appena preparato la Christmas
Cake. Buon Natale, Rohan! ‒
Esitai qualche istante, ma alla fine mi sfuggì un sorriso dall’altra parte
della cornetta. Dopo ciò che avevamo fatto per salvarlo, un augurio non poteva
non essere detto. E poi era pur sempre Koichi, lui una buona giornata la
meritava per davvero.
‒ Buon Natale anche a te, Koichi. ‒
Riattaccai subito, un po’ in imbarazzo per aver augurato Buon Natale a qualcuno
per la prima volta dopo tantissimo tempo, e mi voltai a guardare la Christmas
Cake che avevo appena comprato. Non ero solito fare queste cose, anzi, le
detestavo, ma quella volta me lo meritavo proprio. Era un piccolo regalo che mi
ero fatto per aver salvato il Natale, per aver permesso al bene di trionfare
ancora una volta. Alla fine, per quanto potessi essere acido, stronzo e
vanitoso, era anche grazie a me se a Morioh si dormivano sonni sereni.
Poggiai la Christmas Cake sul bancone della cucina e presi un coltello.
‒ Buon Natale… ‒ Ripetei ad alta voce, affondando il coltello nella
torta. ‒ Sì, buon Natale! ‒
FINE
Spero
che la storia vi sia piaciuta!
Vi invito a lasciarmi un vostro parere qui su EFP o sugli altri miei social:
Twitter, Tumblr, Facebook, Ask.
Vi auguro delle serene feste e un felice anno nuovo!
♡
credits per la mappa di Morioh