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Autore: AlenGarou    23/12/2016    1 recensioni
“La conquista dello spazio.
La scoperta di nuovi pianeti abitabili.
I progetti di terra-formazione.
Gli omini verdi che esibiscono il saluto vulcaniano.
Tutte cazzate!”
Così esordisce Callisto “Cay” Myah nel suo diario personale.
Dopo più di tre mesi di permanenza su Kelper-552 AE, ribattezzato “Viridis”, sa di essere arrivata a un punto morto.
Ad abbatterla non è la mancanza d’interazioni sociali, dato che con lei c’è la sua famiglia con tanto di amici di lunga data al seguito, ma l’opprimente noia che l’assale al pensiero che ogni giorno sarà lo stesso. Svegliarsi, fare il check-up, scendere a fare colazione e passare il resto della giornata a raccogliere campioni.
Cay vorrebbe un po' di autonomia, una finestra di libertà in un mondo governato da rigide regole e protocolli, finché, per puro caso, un pomeriggio non verrà accontentata.
E non per il meglio.
Quante possibilità c’erano di finire sullo stesso pianeta in cui è in missione il proprio ex?
II classificata al contest "Scegli un'abitazione e crea la storia" indetto da M.Namie sul forum di EFP e vincitrice del premio "Miglior mix d’avventura e commedia".
Genere: Avventura, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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O n E

 

 

 

Spensi il datapad e lo gettai sul comodino senza fare caso a dove finiva. Rigirandomi sul letto, mi accomodai distesa sulla schiena, osservando il soffitto spoglio della base. Il ronzio dell’umidificatore spezzava il silenzio disceso nella camera senza il famigliare bit del monitor: un rumore insolente che con il tempo avevo imparato ad ignorare.

Ma non in quel momento.

Ero ancora di pessimo umore, senza una prospettiva, una qualsivoglia speranza di poter migliorare la mia permanenza su quel pianeta sperduto alla deriva nel nulla cosmico. E le urla di mia madre provenienti dall’area comune non mi aiutavano di certo a raffreddare i bollenti spiriti che avevo in corpo.

«Cay! Smettila di bighellonare! Launi ha preparato i yakitori

Nell’udire quella frase, il mio stomaco emise un sonoro borbottio.

Sbuffando, mi misi a sedere, passandomi una mano sul viso. Quando la mia pancia si fece sentire nuovamente, cercai di fare del mio meglio per azzittirla, senza alcun risultato.

Launi era, a mio avviso, il membro più indispensabile della nostra squadra. Era uno scienziato provetto dalle mani d’oro che aveva il potere di trasformare qualsiasi cosa, anche la più bizzarra, in una pietanza commestibile, rendendola degna di una cucina stellata. Nato e cresciuto su uno dei molteplici arcipelaghi della colonia Oceania 2A, aveva conosciuto i miei genitori durante un meeting tra cervelloni e da quel momento avevano collaborato più volte nel corso degli anni.

E io provavo un profondo rispetto per la sua cucina, per cui mi alzai dal letto e mi diressi verso lo specchio a muro per verificare di apparire come un’adolescente normale e non una sull’orlo di una crisi psicotica.

Lo sguardo che mi rivolse il mio riflesso confermò miei dubbi. Avrebbero dovuto imbottirmi di ansiolitici. I miei occhi castani, dalla forma lievemente allungata, mi osservavano stanchi e sconsolati. Non citiamo i miei capelli. Il caschetto blu, di solito in perfetto ordine, era scompigliato e, invece di apparire asimmetrico come dettava la moda, assomigliava a un nido. Le ciocche rosa spiccavano in quel groviglio come piume. Ci mancavano solo delle uova e avevo trovato il giusto travestimento per Halloween.

Sbuffai, cercando di domarli come potevo con le dita. Rimpiangevo ancora di non avere un Modificatore a portata di mano, in modo da cambiare il rosa con un altro colore, magari meno evidente per la gioia dei miei genitori. Ma ehi, avrei dovuto rimanere così per più di un anno. E dire che ero abituata a cambiare colore una volta a settimana… ok, in realtà più di una.

Tolsi qualche piega dalla canotta bianca della divisa che mi era stata assegnata, cercando di non badare alle linee rosa che la decoravano ai lati. Ogni base aveva una sua particolare tenuta e ogni persona aveva delle decorazioni di diverso colore a seconda del proprio compito. In questo caso, le mie equivalevano a: peso morto.

Inutile dire che non era nemmeno quella la cosa peggiore. Il tessuto era una particolare fibra sintetica che si adattava a ogni forma del corpo, facendomi assomigliare a una tavola. Avevo preso da mamma una corporatura esile e asciutta, ma ogni volta che mi lamentavo con lei di questo, mi rispondeva semplicemente: “l’unica curva che conta è quella del cervello”.

Facile a dirsi per lei, dato che era una scienziata di fama interplanetaria.

Senza indugiare oltre, mi diressi verso la zona comune, situata nel cuore della base Gamma.

Il Gamma era una struttura all’avanguardia che baciava con lo sguardo il grande lago della vallata, Atlas. Diversamente dalle altre basi, oltre a non essere costruita sulla terraferma ma su un’isoletta artificiale, i suoi ambienti si espandevano a raggio sopra le acque cariche di minerali, come prolungamenti del cuore circolare del complesso. Ogni sezione aveva uno scopo a sé, divise tra appartamenti, laboratori, cucina, area comune e persino una piccola palestra. Alimentare tutto il complesso avrebbe richiesto fin troppa energia per cui, per mantenere in funzione ogni singolo raggio in completa autonomia, avevamo installato sul tetto diversi panelli solari. L’unico collegamento con la terraferma consisteva in un ponticello che, giuro su Hawkins, prima o poi sarebbe crollato. Ma devo ammetterlo, non era male vivere in quella struttura... non con la vetrata panoramica della mia camera che dava direttamente sul lago. Credo di aver intasato il modem di foto.

Entrai nell’area comune passando per il piccolo giardino interno allestito nel centro della base e trovai i miei genitori ancora al lavoro sulla tavola già apparecchiata, mentre osservavano un modellino 3D proiettato dal datapad di mia madre.

««Secondo le ultime analisi, circa il 67% dell’acqua del pianeta si trova sottoterra. Per il momento abbiamo scoperto nuovi bacini lungo i monti Ida, per un totale di 34 siti. E la maggior parte sono grandi come uno Stato. È davvero un peccato non poterli studiare più a fondo.»

«La sonda che cosa ha rilevato nell’ultimo monitoraggio?» domandò mio padre, bevendo un sorso di tè.

«Ultimo è la parola chiave. La sonda è arrivata fino a 5.970 m di profondità, dopo di che è stata fatta a pezzi.»

«A pezzi?» da dietro gli occhiali, lo sguardo di mio padre s’illuminò dalla sorpresa.

«Io ve l’ho detto che era un azzardo. Per quel che ne sappiamo là sotto potrebbe esserci anche il Kraken» esclamò la donna dai lunghi capelli neri che fece la sua apparizione nella sala con una grande ciotola di riso fumante tra le mani.

Per poco non scoppiai a ridere e Hako mi fece l’occhiolino. Hako era l’assistente di mia madre e sua amica di vecchia data. Dagli eleganti lineamenti orientali e la battuta sempre pronta, era tanto fragile quanto letale. Cintura nera di karate, da piccola mi aveva dato qualche lezione di autodifesa, ma quando i miei furono convocati dalla preside perché ero stata fin troppo entusiasta di mostrare le mie mosse da ninja ai miei compagni, fummo costrette a darci al combattimento clandestino. Questo finché non divenni troppo pigra.

«Hako, non ti ci mettere anche tu» sbottò mia madre, scostandosi un ciuffo biondo scuro dal viso.

«Suvvia. Launi non vi ha ancora raccontato tutte le leggende sui mostri marini che si tramandano da generazioni?»

«Qualcuno ha detto “mostri marini”?»

Dalla cucina comparve un omone dalla pelle scura e i capelli neri tenuti stretti in una coda di cavallo. Le maniche della sua giacca erano arrotolate, esponendo i tatuaggi tribali che gli segnavano gli avambracci. I suoi occhi neri brillarono dalla curiosità mentre posava sul tavolo una teglia piena di leccornie, ma non fece in tempo ad aprir bocca che mio padre lo fermò.

«Grazie, Launi, ma credo che le leggende dovranno aspettare. Altrimenti il pranzo si fredda» aggiunse poi repentinamente.

Hako gli diede una gomitata allegra e Launi le fece l’occhiolino.

Erano come il giorno e la notte, ma avevo la netta sensazione che tra quei due fosse sbocciato qualcosa. O, almeno, sarebbe sbocciato nel prossimo futuro, nel vederli insieme.

Feci il giro della tavola bianca e mi accomodai al mio solito posto davanti a Hako. Senza indugio, mi servii una grossa porzione di spiedini e di riso basmati, ignorando le occhiate di disapprovazione di mia madre.

«Cay, lo sai che tra un’ora dobbiamo uscire. Cerca di non ingozzarti.»

«Sì, capo» risposi, un attimo prima di spazzolare il piatto.

Grazie alla cucina di Launi ero riuscita a mettere su qualche bel chilo e le camminate nella natura selvaggia avevano tonificato il mio corpo divenuto da anni sedentario. Tuttavia, l’unica donna di tutta la base ad avere delle curve da urlo, rimaneva Jessica StarQueen, un’avvenente attrice tutta modifiche appesa sul muro della camera di Jonathan, l’ultimo componente del team, nonché tecnico informatico.

Non che fosse il solo a cavarsela con i computer, ma quasi tutte le sonde a nostra disposizione erano sue e non aveva preso bene la morte di Betty. Aveva dichiarato al pianeta intero le sue intenzioni di vendetta contro la creatura abissale che l’aveva fatta fuori.

Già, per aver poco più di venticinque anni, era un tipo alquanto… strano.

«Hako, ti dispiacerebbe richiamare Jonny dal suo antro oscuro?»

Hako alzò gli occhi al cielo, rivolgendo a mio padre uno sguardo stizzito. «Lo sai che non si muoverà da lì finché non avrà riparato la sonda. Dagli tempo di elaborare il lutto.»

«Oh, andiamo. Sono i rischi del mestiere» commentò mia madre.

«Guardate che vi sento!»

Tutti ci girammo verso la zona degli appartamenti, dove la voce di Jonathan era riecheggiata attraverso l’altoparlante della porta.

«Beh, gli terrò qualcosa da parte per dopo» si limitò a dire Launi con un’alzata di spalle.

Mia madre sospirò. Ormai eravamo una grande famiglia e anche se Jonathan era nuovo, gli volevamo bene… Nonostante le sue stranezze. Ammetto che alcune volte m’inquietava, ma forse perché non ero abituata a uomini che passavano gran parte del loro tempo davanti a un monitor a modificare codici e a ingurgitare una bibita energetica dietro l’altra.

Pranzammo in silenzio per qualche minuto, dopodiché mi feci avanti per attuare il mio piano.

«Mamma, posso portare con me l’hoverboard oggi?»

Mio padre alzò gli occhi verso di me, mentre una pallina di riso gli scivolava via dalle bacchette.

«L’hoverboard? Non credo sia una buona idea.»

«Andiamo, papà! Da quando sono arrivata non ho mai fatto un giro.»

«Tuo padre ha ragione» m’interruppe mia madre. «Non solo rischi di farti male a causa della vegetazione, ma potresti attirare su di te i Chrysaetos, che Hubble non voglia!»

C’era da dire che con i Chrysaetos era quasi riuscita a convincermi. Avete presente quei grandi e cattivi volatili che nei film di fantascienza abbattono elicotteri come se niente fosse? Ebbene, immaginateli dorati e ricoperti di piume invece che scaglie, con un becco colmo di denti affilati ed eccoli qui. Generalmente si trovavano nei monti Ida, ma la sicurezza non era mai troppa. Alcuni esemplari erano stati avvistati nella vallata.

«Prometto che rimarrò a bassa quota» insistetti io, alzandomi e iniziando a sparecchiare i piatti ormai vuoti. «Solo per un po', giusto per svagarmi…»

L’occhiata che mi lanciò mia madre fu piena di significato. «Lo so a cosa stai pensando, ragazzina, ma no. Ricordati che siamo qui per un motivo.»

«Non capisco cosa intendi» mi difesi, nonostante avessi iniziato a sudare freddo.

«Oh, sono così sola. Vorrei tanto avere un amico…» m’imitò.

Fortunatamente i piatti erano di una speciale plastica o li avrei ridotti in frantumi quando mi caddero dalle mani nel pulitore. Mi voltai con il viso in fiamme.

«Sei entrata nel mio datapad! Questa è violazione della privacy!»

«Potrei dirti la stessa cosa» ribatté mia madre. «Non credere di essere così furba. Come se non sapessi che è stata Hako a insegnarti i principi dell’hackeraggio

«E tu come lo sai?»

«Perché…»

«Sono stata io a insegnarli a tua madre. E Jenna, ti prego, non mettetemi in mezzo alle vostre discussioni di famiglia» sentenziò lei, sorseggiando il suo tè come se nulla fosse.

«Non essere così dura con lei, cara» mi difese mio padre. «Dopotutto rimarremo qui ancora per molto ed è normale che abbia voglia di vedere qualche faccia nuova.»

Mia madre gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma per un attimo parve pensierosa, come se stesse rimuginando qualche diabolico piano.

Alla fine sospirò. «E va bene. Vedremo di trovare una soluzione in proposito.»

«Evviva!» mi sporsi a battere il cinque a Launi ed a Hako.

«Ma non pensare di averla fatta franca. Ci aspetta una bella chiacchierata, signorina.»

Tutto l’entusiasmo di quel momento si spense. «Oh, santa Hack…»

 

 

 

Con l’hoverboard ripiegato e fissato allo zaino, seguivo mia madre e Hako nei meandri foresta, rimanendo saggiamente dietro la mia madrina per scampare alla furia materna. Per esperienza sapevo che era meglio girarle alla larga fino a sera, ma la curiosità mi stava uccidendo a ogni passo.

Quando eravamo uscite dal Gamma, mi era stato subito chiaro che ci saremo inoltrate in un settore completamente nuovo. Non accadeva da un paio di settimane e la cosa mi eccitava e inquietava un pochino, soprattutto dopo la discussione che avevamo avuto.

Inutile dire che quel pianeta era il luogo migliore dove nascondere dei cadaveri. O forse era Elios 45 con i suoi pozzi acidi?

Persa nei miei pensieri, inciampai su una radice e per poco non crollai lunga distesa per terra.

«Cay…» mi ammonì mia madre udendo le mie imprecazioni, senza distogliere lo sguardo dal sensore.

«Sto bene» borbottai, spazzolandomi le ginocchia doloranti. Gli abiti in dotazione erano fatti apposta per la ricerca, a prova di schizzi di acido e sostanze varie, ma non erano molto adatti per le gite campestri, che mia madre adorava. Grazie al cielo avevo messo in valigia dei ricambi più consoni, ma non per questo sicuri.

«Si può sapere il perché tutta questa strada?» le chiesi, leggermente stizzita.

Hako ridacchiò e mi mostrò il suo computer da polso. Secondo la mappa eravamo nel settore D30 e questo voleva dire che…

Feci per saltare dalla felicità, ma Hako mi bloccò e mi tappò la bocca con una mano. Dal suo sguardo, potei capire che si trattava di una fortuita circostanza, dato che avevamo esplorato i settori dall’altra parte di Atlas e che quindi eravamo alla ricerca di nuove piante. Tuttavia non potei fare a meno di sorridere vittoriosa.

La distanza che ci divideva dal Beta era ridotta.

«Verifica» esclamò a un certo punto mia madre, facendoci sussultare entrambe. «I vari campioni botanici raccolti nei settori adiacenti al lago presentano una minima variazione nella composizione biochimica in base alla loro locazione, nonostante la specie sia la stessa; secondo te a cosa è dovuto?»

Ci riflettei un attimo. Era impossibile che fosse qualcosa dovuto all’aria o alla composizione del terreno alla luce degli ultimi esami, per cui l’opzione rimaneva solo una. Abbastanza facile, dato che eravamo lì per quello. «All’acqua» risposi.

«Esatto. Abbiamo trovato diverse tracce di minerali nel loro metabolismo, a volte con valori del tutto diversi. Questo vuol dire che sono presenti zone con grandi depositi sotto di noi, almeno in proporzione tale che l’acqua non riesce a discioglierli a dovere. Quindi, le piante dimostrano lievi mutazioni in base alla loro locazione rispetto alla falda acquifera. Abbiamo già mandato i campioni alle basi Alfa e Delta, in modo che possano studiare i minerali.»

Era tutto molto interessante, peccato che si fosse dimenticata di un particolare dettaglio. «Quindi è probabile che ci siano minerali ancora sconosciuti?»

Mia madre annuì, mentre digitava qualcosa sul datapad e si chinava ad esaminare un fiore arancione dai petali lunghi e arricciati.

«E così quelli delle altre basi ti fregeranno il premio Galileo e non potremmo nemmeno decidere un nome.»

Mia madre si voltò, lanciandomi un’occhiataccia. «Cay, non lo facciamo certo per la fama, noi…»

Un suono agghiacciante risuonò nella vallata.

Hako fu la prima a reagire. Si portò una mano al fianco, dove teneva la fondina della pistola a impulsi e scrutò attentamente l’ambiente circostante. Io e mia madre c’immobilizzammo per un attimo, all’erta. Lentamente, allungai la mano dietro di me per sganciare l’hoverboard dallo zaino e con uno scatto lo distesi, facendolo tornare operativo.

«Cay!» sbottò mia madre. «Che diavolo pensi di fare?»

Il lamento echeggiò nuovamente. Non c’erano dubbi: si trattava di un animale ferito.

«Vado a dare un’occhiata.»

«Callisto, no! Non siamo equipaggiati per questo genere di cose.»

«Tua madre ha ragione» commentò Hako, ancora in allerta. Fece un passo verso di me. «È meglio se torniamo alla base e contattiamo la squadra di soccorso di Beta. Loro sapranno cosa fare.»

«Ma potrebbe morire! Non è così lontano» sibilai.

Mia madre mi colse alla sprovvista. Uno scatto repentino posò una mano sull’hoverboard, bloccandomi. «Non sappiamo che cosa sia e inoltre sarebbe solo la selezione naturale. Mi dispiace Cay, ma abbiamo delle priorità.»

«Tu, semmai!» sbottai.

Non so come, forse grazie all’addestramento di Hako, riuscii a liberare la tavola e a partire sotto lo sguardo attonito delle due donne. Il rumore delle eliche coprì le imprecazioni di mia madre che non me l’avrebbe fatta passare liscia, sempre se fossi tornata tutta intera.

 

 

Era difficile muoversi attraverso la rigogliosa vegetazione. Dovevo schivare costantemente rami e liane e per poco non caddi dalla tavola quando questa rimase impigliata in una sorta di ragnatela di cui non tenevo a scoprirne la provenienza. Mia madre mi avrebbe bastonata per una tale incoscienza, ma non mi fermai.

Dovetti fermarmi un paio di volte, sia per ripulire l’hoverboard dal fogliame, sia per ascoltare il lamento. Dopo un paio di virate, riuscii a trovare la piccola radura dove l’animale si era fermato. Atterrai e ripiegai l’hoverboard, facendo attenzione a non compiere movimenti bruschi.

Mi bloccai.

Era la prima volta che vedevo un esemplare del genere dal vivo e per un attimo ne rimasi affascinata.

La creatura piangente non era altri che un cucciolo di Lycaon Cristatus; un maschio, a giudicare dal piumaggio vivace e dalla lunghezza delle piume alla fine delle grandi orecchie tremanti. Era il perfetto incrocio tra un licaone e un pavone, solo grande quanto un pony. E gli esemplari adulti in fatto di dimensioni non scherzavano, dato che potevano raggiungere la stazza di un aereobus. A quel pensiero mi riscossi dal torpore in cui ero caduta. I Lycaon solitamente vivevano in gruppi famigliari, composti dai genitori e dai cuccioli, per cui rimasi stupita dal fatto che fosse da solo.

Il cucciolo gemette ancora, questa volta con maggiore veemenza. Mi aveva visto.

Presi coraggio e mi avvicinai il più lentamente possibile, portando le mani avanti per calmarlo. In fondo era un cucciolo e per di più ferito. Non c’era nulla di cui preoccuparsi, giusto?

«Buono… Non foglio farti del male…»

Feci ancora qualche passo e mi accorsi del grosso taglio che aveva su una zampa. Non sembrava profondo, ma continuava a sanguinare. E questo non era affatto un bene, non in un habitat selvaggio come quello.

Riuscii a portarmi abbastanza vicino da toccarlo. Invece di un ispido pelo, le mie dita sprofondarono in una coltre di soffici piume. Il cucciolo inizialmente s’irrigidì, ma finì per gemere docilmente. Doveva essere esausto.

«Bravo... Bravo… E ora come faccio a spostarti da qui?»

Ragionai. Avrei dovuto portarlo alla base Beta, ma la Gamma era più vicina e avevamo un’unità di pronto soccorso fornita per ferite del genere. Il problema principale era come trasferirlo. L’hoverboard non avrebbe potuto sopportare il suo peso e…

Un ringhio selvaggio risuonò nei dintorni.

Cercando di mantenere il controllo di me, mi allontanai lentamente dal cucciolo, esattamente nel momento in cui dalla vegetazione comparve un Lycaon adulto e piuttosto incazzato.

Vedendo il genitore, il cucciolo prese ad agitarsi ancora di più e ciò non fece che peggiorare la situazione.

Non riuscii nemmeno ad azionare l’hoverboard.

Tutto accadde in una frazione di secondo.

Chiusi gli occhi, preparandomi psicologicamente a essere sbranata, ma invece di sentire la pressione delle zanne sulla mia carne, avvertii solo il caldo respiro dell’animale.

Presi coraggio e sbirciai con un occhio, rimanendo esterrefatta.

Davanti a me era comparso un ragazzo, facendomi da scudo contro Lycaon. Indossava un’uniforme nera di stampo militare in dotazione alla base Beta dalle decorazioni verdi; la sua identità era celata dal casco che gli ricopriva interamente il viso.

«Stai… Immobile» sibilò il giovane senza voltarsi, la voce leggermente modificata dal microfono.

Non riuscii nemmeno ad annuire, figuriamoci mettersi a ballare la samba.

Il ragazzo fronteggiò il maschio adulto di Lycaon senza battere ciglio. Aveva in dotazione un hoverboard più piccolo e moderno del mio, che lo manteneva sollevato da terra quel tanto che serviva per essere al livello del muso dell’animale. E, lasciatemelo dire, quel prototipo era davvero di ultima generazione. In un momento più pacifico, avrei fatto di tutto per farci un giro.

Come se avesse capito di essere di fronte a una preda più difficile, la bestia indietreggiò, arricciando le labbra per mettere in mostra le zanne acuminate come avvertimento. Il ragazzo rimase impassibile di fronte a quella minaccia e, senza alcuna esitazione, mosse il braccio per estrarre qualcosa dalla tasca laterale della divisa. Un fischietto.

Ero troppo basita per commentare, dato che mi sarei aspettata una pistola ad impulsi o come minimo uno scudo difensivo. Invece, il mio salvatore disattivò la parte inferiore del casco, rivelando una mascella squadrata ricoperta da un velo di barba castana, e si portò lo strumento alle labbra.

Emise un fischio musicale prolungato, seguito da due più brevi. L’animale smise di ringhiare, ma rimase ancora guardingo.

Il ragazzo ripeté la sequenza, facendo tendere le lunghe orecchie del Lycaon, e ne eseguì un’altra, composta principalmente da fischi distinti in una determinata sequenza musicale.

Dopo qualche istante, il Lycaon sembrò capire che non consistevamo in una minaccia per lui e il suo piccolo e si ritrasse in una posizione rilassata. Permise persino al ragazzo di fargli dei grattini sul muso, in mezzo ai grandi occhi blu. Tuttavia, quando vide che ero ancora dietro di lui, le sue pupille si dilatarono dalla diffidenza.

«Bravo Astreo» commentò il giovane, mentre il Lycaon andava ad assistere il cucciolo.

«Aspetta… lo conosci?» sbottai, la voce ancora un po' acuta per l’adrenalina che mi scorreva nelle vene.

Il ragazzo si voltò verso di me. Nonostante avesse ancora il visore davanti agli occhi, potei immaginare il suo sguardo infuriato dal tono con cui mi parlò.

«Sì, ma non conosco te.» Solo allora estrasse una pistola ad impulsi, avendo pure la faccia tosta di puntarmela contro. Come se fossi io l’animale assetato di sangue!

«Identificati!»

Stavo per rispondergli a tono, magari con qualche bell’insulto, quando mi resi conto che non stavo indossando la divisa della base Gamma. Il che equivaleva sì a un bel problema.

«Io sono…»

«Cay!!!»

Mia madre e Hako sbucarono dalla vegetazione senza alcun preavviso, spaventando nuovamente il Lycaon. Nonostante fosse stato sgarbato, non riuscii a non ringraziare mentalmente quel soldato quando si protese a calmare nuovamente la creatura prima che saltasse addosso alla mia famiglia.

 «Grande Giove!» sbottò Hako, afferrando mia madre per metterla al sicuro dietro di lei.

Il giovane, impegnato a dare qualche buffetto sul collo del Lycaon, girò appena la testa per squadrarci. Un sorrisetto divertito gli comparve sul viso.

«Buon pomeriggio, signora Myah. La trovo davvero in splendida forma.»

Mia madre incrociò le braccia al petto, cercando di apparire imponente e sicura di sé.

«Gallen Stryker! Era una pistola quella che stavi puntando contro mia figlia?»

Certo, era preoccupata per me quando fino a qualche secondo prima stava per essere sbranata. Che donna. Ma…

Per poco non mi cadde la mascella dalla sorpresa nel riconoscere quel nome.

«Un momento!!!»

Cinque paia di occhi si voltarono verso di me.

«Tu sei…»

Senza smettere di sorridere, il ragazzo protese la mano verso l’orecchio destro, facendo scomparire il resto del casco. Al suo posto, rimase un viso che conoscevo bene. Parecchio bene.

«Ciao CayCay. Noto con piacere che sei sempre pronta a cacciarti nei guai.»

Rimasi senza parole.

Non so come, ma alle mie spalle udii mia madre sospirare. «Ti chiedevi se eri l’unica giovane su questo pianeta. Ebbene, ecco la tua risposta.»

Le mie gambe furono sul punto di cedere.

Non solo mi ritrovavo bloccata su un pianeta sperduto, ma mi ritrovavo bloccata con il mio ex.

E non solo.

Era un membro effettivo della base Beta.

 

 

 

 

 

Eccoci qui con una nuova storia. Lo so, è un po' pasticciata e non molto descrittiva, ma ehi! È il mio primo tentativo in prima (vi risparmio i porconi).

Ringrazio Sagas per la recensione e tutti quelli che hanno aggiunto la storia nelle seguite, preferite, ricordate ecc. XD I pareri sono sempre apprezzati, specialmente in questo esperimenti sbilenco.

Un ringraziamento speciale va a Marina Merisi, che come al solito sopporta i miei schizzi e mi ha aiutata nella revisione. Inutile dire che ha già formato la sua ship improponibile ahahah (E io la mia).

Rimanete sintonizzati per il seguito, che dovrebbe comparire come per magia la prossima settimana.

Spero che Viridis vi piaccia e buone feste a tutti ^^

  
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