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Autore: EcateC    27/12/2016    7 recensioni
La vera storia di Harleen Frances Quinzel, la rigida dottoressa newyorkese che si lasciò sedurre da Joker per diventare la famigerata Harley Quinn, la pagliaccetta bella e simpatica che tutti conosciamo.
Ma da lasciarsi alle spalle una vita di privazioni a conquistare il cuore del super criminale di Gotham c'è una bella differenza, ed è qui che riposa la vera inversione dei ruoli. Provare per credere.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Purple Lamborghini



 

Quando Harleen tornò a casa sulla sua Chevrolet, aveva ancora la testa persa nei meandri dell’Arkham Asylum, precisamente nella cella n. 237.

Quella faccia matta e grottescamente bella tamburellava le sue meningi come un tamburo. Per distrarsi accese la radio, ma purtroppo c’era il telegiornale. Questo annunciava a suon di tromba che il famigerato Capitan Boomerang era stato arrestato nei pressi del Kentucky e condannato alla pena complessiva di  ben tre ergastoli e sessanta cinque anni.

-Sono innocente!- smaniava follemente contro i giornalisti -Non stato io! Io e Pinky e non abbiamo fatto niente di male! Sono innocenteeee!!!!-

Harleen spense la radio e scosse la testa. Se non fosse stata nella città più oscura e pericolosa degli Stati Uniti, avrebbe anche parcheggiato e fatto volentieri una passeggiata chiarificatrice. Ma uscire di sera a Gotham City senza neanche una pistola equivaleva a suicidarsi, soprattutto per una ragazza sola e attraente come era lei.

Andò quindi direttamente a casa, ma appena svoltò l’angolo, notò una lussuosa Lamborghini viola parcheggiata proprio accanto al suo posto auto, nel vialetto riservato al suo condominio. La guardò incredula, possibile che i signori Rivera, di rispettivamente 72 e 79 anni, avessero cambiato auto? 

Guardò gli interni dal finestrino oscurato: la pelle dei sedili sembrava bianca e ricamata, sul cruscotto c’era in bella vista un display sottilissimo e un paio di manette pelose erano agganciate al cambio.

-Dottoressa Quinzel?-

La ragazza si voltò subito, talmente in fretta da farsi quasi male al collo. Davanti a lei un imponente uomo di colore le accennò un sorriso.

-È lei la dottoressa Marleen Frances Quinzel?-

-Harleen- precisò con un fil di voce, terrorizzata.

-Ci siamo capiti. Questi sono per lei- le disse, dandole un girasole fresco e un bigliettino -Buona serata-

-Ah, grazie ma… Scusi, lei chi è?-

Ma il tizio non rispose.

Lo guardò fare dietro front ed entrare nella Lamborghini come se niente fosse, ma invece di sedersi dalla parte del volante, si sedette nel posto del passeggero.

-Entra in casa, bellezza- le disse l’uomo, sporgendosi dal finestrino -Non è saggio per te restare così esposta-

“Chi c’è con lui?” pensò agghiacciata, mentre una terribile consapevolezza le inondò il cervello.

Subito prese a sentirsi osservata. Si guardò intorno, ma il buio imperante le impediva di aguzzare la vista. Possibile che…?

La ragazza fece una corsa fino alla porta, armeggiando disperatamente dentro la borsa per cercare le chiavi di casa. Il panico iniziò ad assalirla nuovamente, proprio come qualche ora prima, quando il Joker l’aveva letteralmente uccisa con lo sguardo. Finalmente trovò le chiavi ed entrò, si catapultò in ascensore e spinse il bottone del quarto piano.

“Ragiona, Harleen” si disse, tenendo stretto il girasole da una parte e il biglietto dall’altra “Non può essere qui. Va tutto bene. Sarà un ammiratore… Magari una delle guardie armate, sì?”

No. 

Sapeva chi era. Eccome se lo sapeva, e ora l’istinto le diceva che era in casa sua ad aspettarla.

Ma il guaio non stava tanto in quello, ma nel fatto che costei si sentiva più elettrizzata che spaventata all’idea di saperlo vicino. Davvero un guaio grosso e molto stupido.

Finalmente uscì dall’ascensore e, sempre col cuore in gola e quei due regali inaspettati tra le dita, entrò nel suo appartamento.

Accese subito la luce e si guardò intorno, ma tutto sembrava normale. Andò in camera da letto, tutto era in ordine e perfettamente a posto come l’aveva lasciato la mattina prima di partire. Stessa cosa valeva per la cucina, il bagno e il salotto. Non c’erano stanze a soqquadro, cassetti ribaltati o tende divelte… Niente di niente.

“La terrazza!” si illuminò, carica di adrenalina. Aprì la porta finestra e si fiondò fuori con il respiro mozzato, ma non vide nessuno. Si guardò intorno, girò su sé stessa più volte, guardò perfino verso il cielo, come se Joker potesse volare come Superman.

-Mr. J?- sussurrò verso il nulla, ma nessuno rispose. Perfino la Lamborghini viola non c’era più.

Harleen rientrò in casa con un’espressione allibita. Si sedette sul divano e lì rimase per cinque minuti, ammutolita.

Non sapeva cosa le fosse preso.

Era come se qualcuno avesse preso il suo posto nella centralina del suo cervello, perché aveva davvero sperato di trovarsi in casa un criminale sadico e pluriomicida.

“Che mi sia venuta la sindrome di Burnout?”  si auto psicanalizzò “Ma no, non ho un calo della soddisfazione lavorativa…” 

Ma come scorse il biglietto e il girasole che giacevano dimenticati sul tavolo, corse subito da loro e smise di pensare. Scartò il biglietto, più curiosa che mai.

 

 


 Mia dolce Dott.ssa Quinzel,
 le dispiacerebbe prepararmi  un pudding e portarmelo  domani? Sono stanco di  mangiare guano di  pipistrello.
 Sogni d'oro,
 J.

 

 

“Oh, mio Dio” pensò, coprendosi la bocca con la mano.

 

                       
                                                                             
                                                                                                             ***





-Non è possibile- esclamò il PM, incredulo -Ha scritto davvero così?-

-Sì, sì, testuali parole- esclamò Antony Arkham, con in mano il breve referto - Sono piuttosto sgomento anch’io-

-Ma come ha fatto a indurlo a parlare? Nessuno ci era mai riuscito prima…-

-La vado a chiamare-

Fuori, seduta nervosamente di fronte all’ufficio del suo neo direttore, Harleen disegnava delle piccole spirali sul suo taccuino di pelle, tesa.

Nessuno si era accorto di niente, nessuno le aveva fatto il terzo grado quando era entrata in ufficio e ancora nessuno pareva essersi accorto che si era truccata un po’ più del dovuto. In realtà, per lei indossare il rossetto rosso era come indossare un completino di pelle panterato, dato che non era abituata a certe simili esternazioni.

Infatti, da quando il suo primo e strano incontro con lui era terminato, lei non riusciva più a pensare ad altro. Pensava ai suoi occhi azzurri, ai segreti che celavano e alla facilità con cui le avevano scavato dentro durante quei brevi minuti. In una sola  seduta, lui aveva indovinato molte più cose di lei che lei di lui in anni di studio. 

Perchè Harleen, all’apparenza, era conscia di sembrare perfetta. Era bella, era intelligente, aveva alle spalle una buona famiglia ed era sempre stata la prima, in tutto. Era la prima nei corsi universitari, nelle gare di ginnastica ritmica, nel corso di spagnolo, nella carriera… In tutto.

Giusto nel campo sentimentale e sociale aveva qualche lacuna, che lei minimizzava con un semplice “Non ho tempo, non mi piace nessuno”.

Eppure, malgrado tutto questo oro apparente, dentro di lei c’era un profondo grigiore, la rigidità del senso del dovere e della solitudine.

Depressa” aveva detto Joker dopo solo una volta che l’aveva vista e diavolo, ci aveva preso. Nessuno si era mai accorto di come si sentiva realmente, né i suoi genitori, troppo impegnati a vantarsi della loro figlia impeccabile, né le sue “amiche”, troppo invidiose per volerle bene.

Possibile che ci volesse un criminale schizofrenico per capirla?

A pensare a lui le veniva da sorridere. L’aveva divertita, incuriosita, innervosita, spaventata ed entusiasmata, il tutto legato a una sedia e in meno di mezz’ora.

Chissà cosa le avrebbe fatto provare se lui fosse stato libero e se avessero avuto più tempo a disposizione… Il pensiero la fece arrossire rovinosamente.

-Dottoressa? Può accomodarsi-

Harleen scattò in piedi e ringraziò la segretaria con un cenno freddo. Entrò nell’ufficio del direttore e per la seconda volta si trovò davanti anche il Pubblico Ministero; con loro c’era anche una guardia che aveva scortato Joker al fresco.

-Buongiorno, dottoressa, prego si accomodi pure- iniziò il direttore con tono discorsivo -Ho letto il suo primo referto, l’ho sottoposto all’autorevole attenzione del dottor Rogers e sarò franco, siamo tutti abbastanza sconcertati da quello che ha scritto-

-Sconcertati?- si allarmò Harleen, pensando subito al peggio.

Il direttore aprì il plico e si schiarì la voce -Da bambino mi trattavano male. Nessuno rideva alle mie battute e la cosa mi rendeva molto, molto, molto e molto triste- 

L’uomo alzò gli occhi su di lei e la guardò da sopra gli occhiali, in attesa.

-Ehm, qualcosa va?-

-Dottoressa, credo che lei non abbia capito con chi abbiamo a che fare. Nessuno, nemmeno il nipote di Sigmund Freud in persona, è mai riuscito a carpirgli una parola, e lei in venti minuti gli ha fatto dire un concetto basilare e personalissimo della sua infanzia-

Harleen aprì la bocca, non ci aveva pensato…

-Beh, ecco, forse aveva voglia di parlare?- tentò, incredula lei per prima -A me non è parso così criptico o sfuggente. Mi sembrava un paziente come gli altri-

Che bugia atomica.

-Il Joker un paziente come gli altri!- ghignò infatti il direttore -Le sembra normale uno che ha eluso per tre volte le nostre più stringenti misure di sicurezza? Le sembra normale un paziente che per tre volte è uscito da qui passando dalla porta principale come se niente fosse?-

-Beh, in realtà quattro, anzi cinque, se non contiamo… No, niente- la ragazza si interruppe, beccandosi un’occhiataccia.

-Ora, io sono consapevole della sua bravura e professionalità, ma capisce bene che mi risulta un po' difficile credere nella della bontà della sua dichiarazione-

-Mi sta accusando di aver falsificato un documento medico?- esclamò Harleen con un filo di voce, sgomenta.

-‘Falsificato’, che parola grossa… Al massimo di averlo un po’ pompato-

La volpe e l’uva. Chissà quante volte Antony Arkam aveva tentato di psicanalizzare Mr. Joker…

-Io non ho pompato proprio niente- sentenziò a denti stretti -Ho riportato esattamente quello che lui mi ha detto, e lei non si deve permettere di muovermi accuse simili, ha capito?-

-Cerchiamo di mantenere la calma, per cortesia- intervenne il Pubblico Ministero, alzandosi in piedi  con imponenza -Nessuno sta accusando nessun altro, perché, come saprete bene, per formulare un’imputazione occorrono dei mezzi di prova fondati, e non delle presunzioni mosse dalla sfiducia e prive di qualsivoglia requisito di gravità, precisione e concordanza. Dico bene, Dottor Arkham?-

-Sì, vostro onore…-

-Bene. Ha qualche prova sulla malafede della dottoressa da sottopormi?-

-No, ma...-

-Ottimo. Torni pure dal suo paziente, dottoressa Quinzel. E mi raccomando continui a lavorare con la stessa passione e sollecitudine che sta dimostrando, farà molta strada-

Se quell'uomo le era stato fin da subito simpatico, ora Harleen lo adorava. Gli sorrise riconoscente -Grazie mille, dottore- esclamò la ragazza rincuorata e, accennando un saluto al viso fiammeggiante del direttore, uscì finalmente da quell’ufficio soffocante.

Non si era resa conto che un energumeno la stava seguendo…

-Dottoressa? Salve- la guardia, una montagna di muscoli con i capelli rasati e l'espressione un po' ottusa, le prese la mano -Io sono Arnold, la tua guardia del corpo. Sappi che non devi temere niente qui, io ti proteggerò da qualsiasi male, compreso quello stronzo che hai in cura-

-Ah, grazie…- esclamò la donna, ritraendo subito la mano -Ma non ce ne sarà bisogno-

-Se vuoi ti do il mio numero, così rimaniamo sempre in contatto?-

-Ehm… Magari dopo, non ho con me il cellulare-

-Dammi il tuo numero, lo registro io nel mio e ti faccio uno squillo?- insistette, testardo come un mulo.

-Wilson, stai al tuo posto- esclamò alle loro spalle un uomo, con la faccia antipatica e i capelli biondicci -Tenente Griggs, al suo servizio dottoressa- esclamò tronfio, porgendole la mano.

-Harleen Quinzel- rispose, stringendogli la mano.

-Allora è vero- disse, guardandola meravigliato -Hanno davvero affidato il Joker a una ragazza?-

-Che cosa assurda, eh?- gli domandò, sarcastica.

-Beh, sa, quelli come lui le ragazze se la mangiano a colazione, e non è un modo di dire- ghignò, ammiccando verso le altre guardie -Comunque siamo qui per proteggerla, dottoressa, le garantisco che Joker non le torcerà neanche un capello finché ci sarò io-

-Allora sono in una botte di ferro- esclamò Harleen con un mezzo sorriso, prendendo la sua valigetta e iniziando a camminare.

Griggs forzò una risata -La biondina fa la spiritosa... Andiamo-

E dopo l’inizio un po' disastroso, la giornata per la dott.ssa Harleen Frances Quinzel si concluse nel migliore dei modi: in compagnia del suo super criminale.

Dopo aver atteso pazientemente che il suo paziente fosse inchiodato alla sedia coi lacci e la camicia di forza, la dottoressa arrivò alla porta, scortata come sempre da Arnold, che la guardava come se volesse mangiarla, Griggs e da altri tre uomini armati e ben piantati.

-Bene, dottoressa, valgono sempre le raccomandazioni dell’altra volta. Appena si accorge che lui…-

-Spingo il pulsante- lo anticipò lei, impaziente di entrare.

-Esatto, e se ritiene opportuno…-

-Gli pratico un’iniezione di benzodiazepine, lo so-

-Perfetta- esclamò Griggs, facendole il segno dell’okay.

-Sono laureata, tenente, conosco il mio lavoro-

Ma, malgrado questo, Harleen entrò nella camera n. 237 senza neanche una siringa nella valigetta.

 

 

-È arrivato il mio triste amore?-

La ragazza arrossì e sorrise spontaneamente. Con un moto di coraggio e il cuore che batteva forte, avanzò e si sedette di fronte a lui.

-Che cos’è quello!?- esordì Joker di punto in bianco, con una faccia stralunata

-Che cosa?- Harleen si spaventò

-Quello che ha nella bocca… Quello lì…-

-Il rossetto?

-Un sorriso?-

E il sorriso della dottoressa Quinzel si ampliò, adornato dalle sue gote rosse.

“Scemo” scarabocchiò nel suo taccuino.

-Vedo che non ha portato il mio pudding- disse, guardandole le mani -Perché non ha portato il mio pudding, dottoressa? Non le è piaciuto il girasole?-

Lui aveva la bocca dischiusa e la ispezionava con occhi attenti, come se avesse il potere di leggerle nel pensiero. 

-No, non è quello…- rispose, sentendosi quasi in trappola, con le spalle al muro.

-E allora?-

-Come fa a sapere il mio indirizzo? Come fa a comunicare con l’esterno? Chi guidava la macchina ieri sera? Non era il tizio con cui ho parlato, vero?-

-Dio, quante domande! Mi fa venire il mal di testa, dottoressa Quinzel- soggiunse con un’esasperata espressione di sofferenza -E, comunque, no, non lo dica neanche. Già è molto che gli abbia permesso di salirci, non gli farei mai montare Violet o un’altra delle mie ragazze. Sono molto geloso, può scriverlo nel referto-

-C’era lei su quella macchina?- insistette la dottoressa con un filo di voce, ma Joker ribaltò la testa.

-Quella macchina ha un nome! Le piacerebbe se io mi riferissi a lei dicendo “quella donna” o “quella pollastrella”?- le domandò con tono ovvio -No, ovvio che no. Io mi riferirei a lei chiamandola dottoressa Quinzel, o Harleen se fossimo in confidenza-

La dolcezza con cui aveva pronunciato il suo nome la fece rabbrividire. Ma lei sapeva che lui stava recitando, anche lo sguardo di velluto con cui la carezzava, i suoi sorrisi eloquenti e i complimenti sporadici erano finti.

“Tutto finto”  pensava, peccato solo che la passione che destavano in lei era vera e autentica.

-Sta di fatto che non ha risposto alla mia domanda, mr. J- continuò lei senza demordere, cercando di mantenere il contatto visivo -Si trovava in quell’auto sì o no?-

Ma l’uomo scoppiò a ridere, di nuovo.

-Ma secondo lei, se fossi stato là dopo sarei tornato qui ad auto rinchiudermi!?-

-No, ma…-

-No, infatti- le sorrise ampiamente, avvicinandosi col busto verso di lei -Se fossi stato là, sarei salito in casa sua e mi sarei infilato nel suo letto a farle il solletico, fino a farla tremare per le risate… Lei soffre il solletico, dottoressa?-

-No- rispose la ragazza in automatico, senza pensarci sul serio.

-Ah, beh, allora avremmo dovuto fare qualcos’altro- sorrise, facendole l’occhiolino.

Ma Harleen impugnò forte la penna e arrossì, a quel punto poteva anche chiedergli qualsiasi cosa.

-Sa dove abito, sa come arrivare a casa mia, sa che sono sola, che non so difendermi… Mi ucciderà quando uscirà da qui?-

-Oh, no, mia cara. Le ho già detto cosa farò- si sporse con il busto, inclinando il capo -Mi infilerò nel suo lettino caldo e la farò ridere a crepapelle...-

 

Tum tum tum tum…

 

Harleen sentiva il suo cuore sul punto di scoppiare. Ma non era la paura quella che animava le sue emozioni, era un altro sentimento, ugualmente forte da mozzare il fiato.

-Non ho paura di lei, mr. J-

-Certo, perchè non vede l’ora che accada-

-Si crede così irresistibile?-

-Sì- rispose e sorrise di nuovo, mostrandole la fila di denti argentati

Harleen guardò l’orologio, avevano solo venti minuti di tempo, dato che i primi dieci li avevano persi a parlare di niente. Cercò di schiarirsi le idee e rimanere lucida, cercando di razionalizzare il lavoro.

-Ora le faccio una domanda, e per favore mi risponda sinceramente. Che cosa prova quando fa del male alle persone?-

Joker inclinò il capo e ci pensò su, alzando appena un po' lo sguardo -Potere, pace e piacere-

“Interessante” pensò Harleen.

-E il potere le sembra che venga dal didentro o da fuori, come se le fosse conferito da qualcuno?-

-Da fuori-

“Ma certo. Non lo trova in se stesso e perciò lo cerca all’esterno”

-Capisco- gli disse solo, senza cambiare espressione.

-Sono molto grave, dottoressa?- 

-Un po’- gli rispose sorridendo -Giusto perché sfoga il suo malessere facendo del male alla gente. Quindi, se io ora le togliessi la camicia di forza e la slegassi dalla sedia, lei mi assalirebbe?-

Lui la guardò fissamente, inspirando aria dal naso.

-Sì, ma non nel senso che crede lei-

-E in che senso?-

-Sono tre mesi che sono chiuso qua dentro in completa solitudine, non so se mi spiego-

-Ah, certo- rispose Harleen, con tono severo -Ma si contraddice, l’altra volta mi aveva detto che era un gentiluomo, si ricorda?-

-E infatti lo sono, perché non coarterei la volontà di nessuna qui… Dico bene, Harleen?- 

Le fece un sorriso pungente che degradò presto in una risata maligna e spezzata. 

La ragazza lo guardò ridere, indignata e offesa. 

Lo odiava. Era superbo, pieno di sé, iroso, prepotente e maschilista. Senza contare che era un assassino pericoloso. Lo odiava.

Ma era anche simpatico, brillante, intelligente e dannatamente sexy.

Ecco la verità, pensò incredula, perfino con i capelli verdi e i denti incapsulati le appariva fisicamente attraente. Com’era possibile? Harleen non si riconosceva, non aveva mai provato un tale trasporto per un uomo, figuriamoci poi per uno così, che a rigor di logica doveva essere agli antipodi del suo tipo ideale.

E invece…

No. Basta” gridò a se stessa “Ti stai rendendo ridicola, Harleen, reagisci!”

-Io credo che più che il divertimento, sia il controllo il suo obbiettivo, mr. J- esclamò con voce irritata -Lei distrugge tutto, vuole creare il caos perché nel caos riesce a rifugiarsi e a trovare il controllo di sé e degli altri che tanto brama. Perché nel suo mondo, mr. J, tutto può spezzarsi al di fuori di lei, non è vero? Si è corazzato così bene nella sua maschera che ha dimenticato se stesso e si è lasciato sopraffare dalle sue paure. Si è imprigionato con le sue stesse mani e non se ne rende neanche conto-

Joker fischiò e rise -MI PIACE QUESTA DOTTORESSA!- gridò alle guardie, torcendo il collo all’indietro tra mille risate -Molto meglio di quei poveri eunuchi che mi affibbiate ogni volta! Potrei anche innamorarmi di lei se continua così, lo sa dottoressa?-

-Ho colto nel segno?- gli domandò Harleen, rimanendo seria.

Joker rise ancora, scuotendo la testa -No, no, no, no- sussurrò appena, talmente piano e veloce che quasi si mangiò le parole -No, no, no, ha travisato tutto, ma mi dia tempo, riuscirò a farle capire che chi si lascia sopraffare è lei, mia adorata dottoressa Quinzel, non io. Io sono felice- le scoccò un sorriso ampio -Sono libero. È lei che alimenta l’ipocrisia del mondo indossando una maschera che non le appartiene e vivendo come un’automa. Io non ho corde nel collo, non ho paura di sbagliare, di non sentirmi all’altezza… Lei non si sente all’altezza di tante cose, eppure è più in gamba di tante persone che ho conosciuto. E perché permette che ciò accada? Perché sostiene il sistema e si lascia sopraffare da se stessa. Una volta che si libererà dalle sue catene mentali e smetterà di seguire le regole, otterrà la libertà e il potere che è dentro di lei, ma prima di allora rimarrà l’impeccabilmente depressa dottoressa Harleen Frances Quinzel, che cerca ristoro nei criminali internati come me-

Harleen l’aveva ascoltato, persa negli occhi trasparenti di lui. Senza rendersene conto, si era sporta con il busto, e la distanza che li separava era diventata davvero minima. Joker sorrise e le guardò fissamente le labbra, ciondolando con la testa prima a destra e poi a sinistra. Le sue intenzioni erano chiare, voleva baciarla, e quando Harleen si sporse appena verso di lui, il suo sorriso si ampliò inumanamente. 

-Io non sono depressa…- gli sussurrò angosciata, ma lui inclinò lentamente la testa verso destra e le stampò un bacio leggero e molto delicato; dopo si fermò un attimo e ripeté la stessa cosa verso sinistra.

Harleen rimase ferma, svuotata di ogni pensiero. C’erano solo quelle labbra fresche e sottili, la cui dolcezza mal si confaceva con la brutalità del loro proprietario.

-Dottoressa Quinzel, si sta innamorando di me?- le domandò sulla bocca, ghignando.

-E lei?-

-Io sì, gliel’ho detto…-

Harleen, che stava quasi riprendendo conoscenza, lo guardò negli occhi, e poi con la coda dell’occhio notò un piccolo particolare che la fece rabbrividire: la telecamera puntata contro di lei come un cane da caccia sulla preda e la scritta in lettere cubitali che recitava “area videosorvegliata”.

“Merda” pensò, mentre lui si leccava le labbra “Merda!”

-Portami il pudding la prossima volta che torni. Posso darti del tu, vero?-

-Non se ne parla-

-Di che cosa? Del pudding o del tu?-

Ma la ragazza uscì e sbatté la porta alle spalle, appena in tempo prima di scoppiare in lacrime.

Si lasciò scivolare sul muro, coprendosi gli occhi piangenti con le mani. Le guardie armate accorsero subito verso di lei, ma era come se Harleen avesse la testa dentro a una bolla.

“Dottoressa! Dottoressa, cosa le è successo!?”, “Chiamate un medico! Sta male…”

 

 

 

 

 
Note
Ops, non credo che la Waller ne sarà molto contenta, che ne dite? ;)
Quanto mi diverto a scrivere queste cose! Forse vado un po' veloce, ma per me il gioco di seduzione di Joker si è consumato in poche sedute... Come vedete infatti lui è molto diretto, non lascia nulla al caso ;)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che i personaggi siano coerenti con quelli del film, sappiate che sono sempre pronta ad accettare critiche e consigli! Un bacio e grazie in anticipo.
   
 
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