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Autore: PetrovasFire    29/12/2016    2 recensioni
La donna stava urlando, gli occhi spalancati e sgomenti, e azzurri. Era la personificazione ciò che la società definiva “bellezza”: alta, slanciata e con le curve al punto giusto, capelli dorati, nessun difetto. Se J doveva essere onesto (e lo era sempre, verso se stesso) pensava che fosse meravigliosa.
La storia è ambientata in "Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno" (The Dark Knight Rises). Una storia su Harley Quinn raccontata attraverso gli occhi del Joker
Genere: Avventura, Erotico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Harley viveva in un quartiere mediocre. Non era né nella parte buona della città, né in quella brutta. Ordinato. Borghese. Quasi di classe. (Classe. Ah!). Erano passate due settimane da quando la legge marziale era stata promulgata e le strade erano ancora in ordine, gli edifici ancora quasi impeccabili, con tutte quelle personcine felici che scostavano le loro tende a fiori per sbirciare dalle finestre.

Harley lo condusse verso un complesso di villette a schiera e gli fece attraversare il cancello di sicurezza del vicinato. Viveva al 13B. Timmy (o era Jimmy? Non gl'importava), stava nella porta accanto, al 13A.

Le ginocchia di Harley si piegarono sulle scale del portico e J se la tirò sulle spalle come un sacco di patate, alzando gli occhi al cielo. Stava proprio sfruttando questa cosa dello shock. E a lui piaceva.

Prendendo le chiavi dalla tasca dei suoi jeans aprì la porta e iniziò ad esaminare il suo nuovo dominio.

C'era un divano molliccio, di pelle rossa, a dominare la stanza. J ci buttò su Harley quasi subito, poi iniziò ad aggirarsi per casa, toccando gli oggetti in giro, aprendo cassetti. Harley lo guardava, non lo perdeva mai di vista, ma non faceva nulla per impedirglielo.

Era un luogo d'intrattenimento piuttosto normale, in truciolato, con un televisore a schermo piatto. Librerie ovunque (anch'esse in truciolato), piene di riviste e DVD e video game e di quelli che sembravano libri universitari. Psicologia, bene bene. La sua bambolina era intelligente, tanto meglio, odiava le persone stupide. Stupide e bugiarde.

C'erano dei trofei sulla mensola accanto alla scala, statuette di plastica dorata su cui era inciso il nome Harleen Quinzel ed anche una medaglia. Perfino una foto di una giovane (ma non molto) e più magra (meno formosa, s'intende) Harley che se ne stava in equilibrio sulla trave. Era flessibile. Buono a sapersi.

J si diresse in cucina e ispezionò anche quella. Niente di straordinario, niente d'interessante eccezion fatta per l'erba nascosta nello scaffale delle spezie, ma hey, sono universitari, giusto? Accese la macchinetta del caffè e s'infilò in tasca un coltello per la carne.

“Le cose stanno così” parlò, tornando nella sala da pranzo. Harley si riscosse nel sentire la sua voce, ma lui pensò che fosse sorpresa più che spaventata. E non era in-te-res-san-te?

Si sedette sul rosso divano morbido, proprio accanto a Harley e decise di non metterle un braccio attorno alle spalle. Di lasciarle la libertà di stargli vicino o meno, solo per vedere cos'avrebbe fatto.

Lei rimase immobile.

“Le persone” continuò J, facendo una smorfia, arricciando il naso “le persone non sono molto gentili. E, eh, ora non stanno fingendo. Non più. Il bello è che io, io, sono meno gentile dalla maggior parte di loro e almeno non mento a riguardo. E tu, Harley, tu sei il tipo di ragazza che gli uomini malvagi adorano rovinare.”

Lei sbattè le palpebre, divenne pallida in viso, ma quegli occhi blu rimasero attenti e lei era sveglia, lui sapeva che era sveglia, che avrebbe capito il significato della sua proposta, e diamine, avrebbe anche potuto fare finta. Quello sguardo tagliente quasi stonava col resto della bambola.

“Quindi! Quindi, quindi, quindi, ciò che faremo è, restare insieme. La città non migliorerà, sono passate solo, quanto, poche settimane? Presto, avrai bisogno di me. Avrai bisogno di me, un cane da guardia, un cane pazzo che tenga lontani i cattivi. Ed io? Beh, io voglio quello che ogni cane vuole. Cibo nello stomaco e una grattatina una volta ogni tanto.”

Batté le mani, poi allargò le braccia. Che ne dici?

Harley lo fissava e stava tremando di nuovo, e seriamente, aveva bisogno di superare in fretta questa cosa dello shock. “Non indorare la pillola” disse con quella voce di miele. “Niente eufemismi. Dì le cose come stanno.”

J gettò la testa all'indietro e rise allegramente perché la brava Harley, gli piaceva, gli piaceva.

Gli sorrise, incerta, come un uccellino che sbatte le ali nella sua mano e lui le prese il volto tra le mani, notando solo allora il sangue rappreso sulle sue dita, linee di bianco si notavano sulle articolazioni dove la crosta si era sgretolata. J poggiò la fronte contro quella di lei, i loro respiri si fondevano, la sua lingua si mosse per toccare le cicatrici per poi sfiorare le labbra della ragazza. Lei si immobilizzò.

“Ecco come faremo, Harley. Tu, uh, mi scopi quando, quando voglio. Io uccido chiunque ti guardi di storto. Io prendo il cibo, tu lo cucini. Tu ti prendi cura di me, io mi prendo cura di te. Saremo partner, capisci?”

Il respiro di Harley stava accelerando di nuovo. Sarebbe potuta svenire a breve, se non avesse smesso di rantolare. Era paura? Era eccitata? Entrambe le cose?

Nessuna delle due?

J mise un braccio attorno a lei e lei si strinse a lui, le mani stringevano il cotone della sua maglietta, sgualcendolo, stropicciandolo come lui avrebbe voluto fare con lei, marchiare la sua pelle.

“Sei un assassino, non è così?” disse Harley sul suo petto. “Voglio dire, prima che tutto andasse a puttane. Eri già un assassino.”

Joker sorrise. “È sempre stato un inferno, bambola. È solo che adesso puoi vedere i demoni con più chiarezza.”

Le mani di lei stringevano la sua maglietta, le sue unghie corte gli graffiavano la pelle. La lasciò pensare, le lasciò un momento. Non voleva spingerla a fare qualcosa di cui si sarebbe pentita, soprattutto visto che non avrebbe potuto ucciderla se fosse diventata seccante. Avrebbe sempre potuto abbandonarla, pensò, ma poi si sarebbe annoiato mentre aspettava che Bane e Batsy finissero di giocare. (Batman avrebbe tirato fuori qualcosa dal suo mantello all'ultimo minuto, Joker non aveva alcun dubbio. Era quello che Batman faceva in fondo).

Harley si spostò, poggiandosi alla spalliera per guardare J in faccia. Lui si girò da una parte e dall'altra e scrollò le sopracciglia, dandole la possibilità di studiarlo come lui aveva fatto con lei.

“Sì, okay” disse alla fine. “Immagino che qualsiasi cosa sia successa prima non importi. Tanto presto salteremo tutti in aria in ogni caso.”

J rise e Harley con lui, la sua risatina che si trasformava inesorabilmente in una risata isterica.

Era bella.

-l-

Dormirono sul divano morbido. Harley si addormentò dopo che J le fece bere una tazza di caffè e decise che sarebbe stato con lei. Non voleva che scappasse via, così si allungò accanto a lei sul margine esterno dei cuscini del divano, un braccio e una gamba attorno a lei, per essere certo che si sarebbe svegliato qualora lei avesse provato a svignarsela.

Si addormentò al suono dei sospiri di Harley sul suo collo, il suo tremolio finì alla fine e lui si svegliò con delle dita tra i capelli.

Harley era appoggiata su un gomito mentre faceva scorrere una mano sulla sua testa. “Hey” gli disse quando si accorse che era svegli. “Scusa.”

Abbassò la mano, allontanandosi da lui per quanto lo spazio ristretto del divano lo permettesse, il che non era molto. Non lo era affatto.

J si voltò, premendo il cazzo contro la sua coscia. Era molle ora, ma non lo sarebbe statto a lungo. “Continua” le disse.

Harley riprese ad accarezzargli i capelli e si succhiò il labbro inferiore. Era nervosa. J non voleva che lo fosse. Le persone noiose erano noiose. Tutti erano nervosi, spaventati, a causa sua. Tutti tranne Batman, e non gli sembrava che Batman si sarebbe offerto di fargli un pompino molto presto, quindi.

Harley doveva smettere di essere spaventata di lui. Ora.

Le accarezzò la schiena e strofinò la guancia contro il suo seno, canticchiando una melodia (non riusciva a ricordare quale fosse. Non importava.).

Harley strinse le braccia attorno alle sue spalle e iniziò a cullarlo. Lui glielo permise. Lasciò che fosse gentile, lasciò che lo coccolasse. Non era esattamente a proprio agio, con quel tocco delicato, tutto quel toccarsi, qualsiasi tocco che non finisse nel sangue, ma non gli dispiaceva neanche.

Gli faceva accapponare la pelle, sì, ma non sarebbe stato abbastanza perché ci si abituasse nella condizione in cui si trovava, perché fu allora che il mondo era arrivato e l'aveva cambiato.

Iniziò a strofinare i fianchi contro la sua coscia e lei s'irrigidì, poi emise un lungo sospiro.

"Hey," le sussurrò all'orecchio. "Hey, non aver paura. Non aver paura di me. Non devi. Uh, okay?"

“Ci proverò” sussurrò di rimando, niente bugie sul non essere spaventata, perché di certo lo era e Harley era una che non mentiva.

J si mise supino, facendo in modo che lei fosse sopra di lui. Voleva guardarla, voleva che fosse lei a fare tutto il lavoro. Le puttane che aveva avuto nei tempi passati preferivano la pecorina, così non avrebbero dovuto guardarlo in faccia.

Oh, mettevano su un bel teatrino, si vestivano bene per farlo felice, parlavano di quando fosse grosso, troppo per farlo in qualunque altro modo, ma lui sapeva la verità. Erano disgustate da lui.

Ma non la sua Harley. Lei teneva quegli occhioni da bambina fissi sulla sua bocca per tutto il tempo. E quando finalmente si era chinata in avanti per barciarlo, facendo scorrere la lingua sulle sue cicatrici, quasi riuscì a credere di poterle piacere.

Lei però non lo disse e andava bene. J non sapeva ancora se potesse davvero crederle e non voleva che iniziasse a mentire ora, non ora che le cose andavano così bene.

-l-

“Cosa ci faceva una cosetta dolce come te là fuori, così vicina allo Stretto?” le chiese più tardi, parlando più a se stesso che ad Harley.

Stava facendo un solitario sul tavolino da caffè, ammazzando il tempo mentre aspettava il buio e Harley si stava mettendo lo smalto alle unghie dei piedi. Era di fronte a lui, sul divano, il piede appoggiato sul tavolino. Non indossava nient'altro che la sua maglietta e ogni volta che si abbassava per dipingere quelle piccole dita, a J si offriva per qualche secondo la vista di quei ricci castano chiaro che aveva tra le gambe. Lo stava tentando. Il suo corpo era l'unica arma che aveva contro di lui, per quanto ne sapesse (per quanto entrambi ne sapessero), e lo stava sfruttando.

“Sei una cosa dolce anche tu, sai” disse lei, invece di rispondere alla domanda. “Mi stringi mentre dormo, mi prepari il caffè, mi porti in braccio oltre la soglia di casa.” Sbatté le ciglia guardando verso di lui e J sbuffò. “Una ragazza potrebbe innamorarsi così.”

Ha già detto che gli piace Harley?

“Innamorarsi” storse la bocca, la lingua a toccare le cicatrici. “Tu mi ami, Harley?”

"Questi sono affari miei, Mister J."

J strinse gli occhi. Lei stava ghignando. “Mi piaci,” mormorò lui, passandosi una mano tra i capelli.

Harley alzò gli occhi al cielo. “Non devi sembrare così sorpreso.”

“Anche se è, uh, sorprendente?”

"Hey!" Harley strillò tra le risate. La sua faccia. “Sono una che piace, sai!”

"Oh, lo so, Harley." Strinse i denti. “Sei una che piace molto. E che piace leccare, anche. Ecco perché hai bisogno di me.”

Abbandonando le carte da gioco, J si piegò sul tavolino e leccò la gamba di Harley dalla caviglia al ginocchio. Urlò e lui si tese a darle un rovescio per aver osato, aver avuto il fegato di aver paura di lui dopo che lui le aveva detto di non esserlo...Ma poi l'urlo si trasformò in una risata e lui si rilassò. Non era spaventata. Soffriva il solletico.

La gamba mossa dagli spasmi finì contro la boccetta di smalto (rosso) e J ci mise le dita dentro, spargendolo sul tavolino da caffè, per poi disegnarci una faccina sorridente alla punta del piede di Harley. Così bella. La sua mano desiderava afferrare il coltello. Avrebbe dovuto intagliare la faccina lì, facendone una corrispondente sull'altro piede, ma col sangue questa volta. Allora Harley avrebbe avuto paura di lui? Avrebbe fatto meglio a non averne.

Vide il coltello e rimase completamente immobile, mentre diventava pallida in viso.

"Mister J?" lo chiamò con quella dolce, lieve voce.

Premette la punta del coltello contro la sua pelle. “Ferma.”

"J?"

Spinse la punta un po' più affondo e guardò sgorgare la prima, bellissima, goccia di cremisi.

"J!" gli diede uno schiaffo sulla mano e ora era incazzata, e non era, non era semplicemente adorabile? Ha hee hoo. Ha. Ha. Hee. Ha.

“Hai detto che non mi avresti fatto del male!” Si arrabbiò, il volto che da bianco diveniva rosso, quegli occhioni blu come pietre, come proiettili.

Sbagliato!” Joker ringhiò, la voce profonda e pericolosa, dura come un ringhio. Strinse la presa sulla caviglia, forte abbastanza da frantumarle le ossa. Harley s'irrigidì e Joker

le sorrise, ripetendo in un tono più colloquiale, tranquillo. “Sbagliato. Ho detto che non ti avrei uccisa, bambolina. Non ho mai detto nulla riguardo al, uh, farti del male.”

Fece schioccare i denti attorno alle consonanti, la lingua che guizzava fuori ad assaporare l'aria, come quella di un serpente. Aveva un sapore...acre.

"Oh," disse Harley dopo un lungo silenzio nel quale si guardavano l'un l'altra, Joker che guardava questa bugia, questa bugia che Harley aveva detto a se stessa, mentre le veniva strappata via. Stava andando così bene, ma mentire a se stessi è la cosa più facile. Joker avrebbe dovuto saperlo, anche se lui non lo faceva più.

"Già. Oh."

Joker si mise in attesa, delle urla, dei pianti, delle preghiere, del ridursi di Harley a quello che erano tutti gli altri. Proprio. Come. Tutti. Gli. Altri.

Fece un lungo respiro, stringendo la mascella, lo sguardo che andava da una parte all'altra della stanza, prima di tornare nuovamente su di lui. “Bene. Se hai intenzione di tagliarmi a fettine, almeno sterilizza il coltello prima. Non sarà divertente scoparmi con una gamba in decomposizione per l'infezione. E fallo dove ci sia più carne e meno ossa, per favore, Mister J. Devo essere in grado di muovermi, correre se mi dici di farlo.”

Cosa.

La bocca di J si spalancò di sorpresa e Harley stava sogghignando verso di lui, il volto teso e gli occhi che brillavano e ha ha ha hee hoo hee ha he ha hehehe ha.

"Harley. Dolcezza." Lasciò la sua caviglia e si allungò per baciarla, poi sfregando le guance contro le sue, le sue cicatrici contro il suo viso. Gli piaceva quella sensazione.

“Vuoi guardare un film?” cinguettò Harley. “Non so per quanto ancora avremo l'elettricità. Faremo meglio ad approfittarne finché c'è.” trattenne il respiro.

J scrollò le spalle e mise via il coltello. “Sì okay.”

Harley scelse V per Vendetta e si misero comodi sul divano, Harley per metà appoggiata sulle sue ginocchia. Il modo in cui si rilassava contro di lui con tale fiducia, la sua pelle calda e il suo respiro regolare, era stranamente calmante. Non aveva mai avuto un animale domestico prima. Non che si ricordasse almeno.

Lui guardava il film e Harley guardava lui e lui sapeva che, per lei, (e un po' anche per lui), il film parlava di loro.

"Sono Joker," le disse, mentre scorrevano i titoli di coda. "Sono Joker, sono, sono Joker. Io sono Joker."

Non c'era motivo di non dirlo, ora.

"Lo so, Mister J," mormorò Harley, strofinando la guancia contro il suo petto nudo.

 

  
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