Capitolo sette.
« I don't know what it is that I like about you, but I like it a lot.
Won't let me hold you, let me feel your lovin' charms. »
Led Zeppelin, Communication
Oltrepassando il muretto, notai che c'era una figura
dai lunghi capelli biondi che mi dava le spalle, seduta sulla solita panchina.
Sorrisi, pensando che avessi fin troppa fortuna.
Cacciai in tasca le sigarette, e col blocco
sottobraccio, mi avvicinai a lei di soppiatto.
“Buh!” esclamai quando le fui dietro.
Astrid fece un balzo di all'incirca cinque metri,
accompagnando il tutto con un urletto.
“Gabriel, ma sei tu! Mi hai spaventato.” esclamò a voce stridula, voltandosi
per guardarmi. Io risi di cuore, e con un balzo mi sedetti accanto a lei sulla
panchina.
“Volevo solo divertirmi.” mi giustificai. “Come stai?” chiesi, con una
gentilezza inedita.
“Bene. Tu?”
“Solita vita, solita noia.”
“Capisco.” commentò, spallucciando.
Astrid fece un sorrisetto. “Allora, oggi che mi
dirai?” chiese.
“Che ho diciassette anni, diciotto fra un po' di tempo.”
“Io ne ho sedici.” disse lei. “Quasi diciassette.”
La guardai, e pensai che sembrava molto più grande, per essere una sedicenne.
In fondo era solo una ragazzina. Ma, beh, l'età è una cosa molto relativa.
Annuii. Lei mi guardò, ed evidentemente notò il mio blocco da disegno, che
tenevo ancora sottobraccio.
“Cos'è?” chiese, indicandolo.
“Questo? Niente.” dissi, facendo il vago.
“Dai, fammelo vedere.” continuò, sorridendo.
“Ma io..”
Ero riluttante. Non facevo vedere i miei disegni a nessuno, a malapena a Lucas.
Ma improvvisamente non riuscii a dire di no, ed Astrid
mi sfilò delicatamente il blocco da sotto il braccio. Se lo poggiò sulle
ginocchia, e lo aprì.
Vidi i miei disegni passare in rassegna uno ad uno.
Astrid rimase in silenzio mentre li guardava, e con aria attentisima, come se
fosse un critico d'arte e li stesse studiando. Quando i disegni furono finiti,
richiuse il blocco e me lo consegnò.
“Bellissimi disegni, davvero. Hai talento. Non sapevo fossi un artista.”
commentò infine, con un sorriso.
Ricambiai il sorriso, sentendomi ineditamente in imbarazzo. “Grazie, ma non
sono un artista, disegno per passatempo. Sono solo abbozzi, schizzi.”
“Per me sono dei validissimi disegni.”
Non dissi nient'altro, sentendomi grato verso i suoi confronti. All'improvviso
Astrid frugò in una borsa di tela verde che portava a tracolla, e ne uscì fuori
un block-notes ad anelli con la copertina di un viola prugna, che mi mise sulle
ginocchia.
La guardai interrogativa, e lei mi sorrise. Sembrava che volesse che lo
guardassi, così lo aprii lentamente.
C'erano dei bellissimi disegni, a matita o a china nera, e degli acquerelli.
Davanti a me si materializzarono visi, paesaggi, oggetti e fiori, ad ogni
pagina.
Erano meravigliosi: mi sembravano molto più belli dei
miei.
Quando finii, richiusi il block-notes e glielo
consegnai, così come lei aveva fatto con me. “Stupendi. Li hai fatti tu?” dissi
alla fine.
Annuì. “Sì. Adoro disegnare. Evidentemente abbiamo qualcosa in comune.”
“Già. Con la differenza che tu sei bravissima..”
“Beh, anche tu lo sei.”
Ci scambiammo dei sorrisi. Incredibile, possibile che anche a lei
piacesse disegnare? Era l'unica persona che conoscevo che coltivasse la mia
stessa passione.
“Magari,” continuò lei, “qualche volta possiamo anche fare qualcosa a quattro
mani.”
“Ma certo.” mi affrettai a rispondere.
“Bene.”
Non avevo mai incontrato nessuno che amasse disegnare quanto me, e soprattuto
che ne capisse qualcosa, e parecchio. Questa cosa mi piacque.
Con la coda dell'occhio vidi Lucas fare capolino sul muretto.
Evidentemente mi aveva visto mentre parlavo con Astrid
e voleva origliare qualcosa, lo scemo.
“Gabriel, adesso devo andare. Sai, i bambini mi aspettano.” disse.
Annuii. “Certo. Allora a presto.”
Astrid si alzò dalla panchina. Strinse per un attimo
la tracolla della borsa.
“Magari.. magari uno di questi giorni puoi venire in
camera mia, avrei un sacco di disegni da mostrarti.”
Camera sua? Risposi con un sorriso, e Astrid se ne andò, i capelli che si
muovevano con lei.
***
Qualche giorno dopo, io ed Astrid ci trovavamo nella sala comune. Aveva portato
tutti i disegni di cui mi aveva parlato.
“Questo l'ho fatto all'incirca un anno fa, non ricordo bene,” mi stava dicendo,
riguardo un acquerello. “anche perché non mi è mai piaciuto il risultato.”
“A me piace, invece.”
Niente camera sua, niente privacy, – poiché c'erano altre persone sedute nei
tavoli attorno al nostro – ma ero sicuro
che le piacessi, altrimenti non m'avrebbe mai chiesto di rivederci. Ma
non sapevo perché, ogni volta che ero in suo compagnia mi dimenticavo di
sedurla per portarla a letto, come facevo di solito con tutte le altre donne.
Magari Lucas aveva ragione! Stavo diventando frocio.
Eppure era piacevole ascoltarla, e cosa mai provata, volevo sapere di più di
lei, e questo di certo non m'importava e non mi era mai importato, con le
altre. Ma Astrid era diversa, e di certo non era una che la dava al primo che
passava; stavo iniziando a conoscerla e a capirla. Invece lei, probabilmente,
pensava che fossi un bastardo maniaco. Beh, mica aveva tutti i torti. Ma
davvero, ero fatto così.
“Tu sei molto religiosa, Astrid?” chiesi all'improvviso.
La sua mano andò automaticamente al crocifisso che portava al collo.
“Beh, la mia famiglia lo era e quindi ho ricevuto un'educazione adeguata.”
ripose lei, passandosi fra le dita la catenina.
Annuii, come se capissi perfettamente. Perché usava quell'imperfetto? E a
differenza di tutti, lì dentro, sembrava parlasse con rispetto della sua
famiglia. Chissà quel era la sua storia.
“Quindi credi in Dio.” aggiunsi, giusto per dire qualcosa.
“Certo.”
“Capisco.”
Calò il silenzio, mentre Astrid cessava di torturare la sua catenina.
“E tu, perché no?” chiese poi lei.
Presi fiato. “Penso che sia tutta una finzione per tenerci buoni, o qualcosa di
simile. Ci impongono un'entità superiore proprio per tenerci sotto controllo.”
Annuì. “E' interessante. Non avevo mai conosciuto qualcuno che fosse ateo.”
“E io qualcuno che ci credesse.”
All'improvviso, Amanda e una sua amica ci passarono accanto. Lei mi guardò
sprezzante, e poi il suo sguardo si posò su Astrid, la quale venne studiata a
lungo. Quando s'allontanarono, vidi Amanda sussurrare qualcosa all'orecchio
dell'amica.
Astrid se ne accorse. “E quella chi era?” mi chiese, curiosa. Non sembrava per
nulla infastidita.
“Una.” risposi annoiato, e con aria estremamente vaga.
“Sembrava che ce l'avesse con te.”
“Infatti ce l'ha con me. Ma non m'importa nulla, francamente.”
Ci fu una pausa. “Corrono strane voci su di te, Gabriel.” esordì lei.
“Cioè?” chiesi.
“Beh, io non sono esattamente una piena d'amici, ma ho sentito dire da alcune
ragazze del mio dormitorio che sei una specie di Dongiovanni senza scrupoli.”
Scrollai le spalle. Erano cose che già sapevo. “E allora?”
Astrid alzò un sopracciglio. “Non neghi?”
“Non c'è niente da negare, perché è vero.”
Mi guardò, sorpresa. “Ah.” commentò soltanto.
“E' piuttosto eccitante sapere che voi ragazze parliate di me, piuttosto.”
dissi sorridendo maliziosamente.
Astrid restò seria.
“Quindi.. sei andato a letto con delle ragazze qua
dentro? Che stanno qui?”
“Alcune volte.” dissi distrattamente, con un tono che significava velatamente trilioni
di volte.
“Perché?” chiese.
Rimasi sorpreso e perplesso da quella domanda. “Beh! E' come spiegare perché il
cuore batte, o perché respiriamo.. è naturale.”
Scosse piano la testa. “Non dico quello. Cioè, che gusto ci provi ad andare con
ogni ragazza, e per di più sapendo che poi sparirà tutto in poche ore e non ti
rimarrà più niente?”
Ma che razza di domande erano? Incredibilmente, però, trovai difficoltà a
formulare una risposta.
“Ascolta, Astrid. In questo posto ci si annoia molto. Quindi: o fumi, o vai a
letto con qualcuno, o ozi, o ti suicidi.” risposi, corrugando la fronte. Astrid
mi guardò ad occhi sgranati.
La mia parte sadica prevalse, e mi accorsi che vederla così sorpresa per quella
risposta era divertente. E poi, pensai che dovesse imparare come andavano le
cose lì dentro.
Era una vera e propria giungla, un inferno. Si metteva in atto la famosa legge
di Darwin: il più forte sopravvive. Ed io, lì dentro, ero considerato uno dei
più forti.
“Non avevo torto, sei davvero una ragazzina innocente.” commentai, ghignando.
“Io sono assolutamente normale.” ribatté, orgogliosa.
“Beh, rispetto alle altre qui, non lo sei.”
“Meglio così, Gabriel.” soffiò, annuendo.
Apprezzai il suo desiderio di essere unica ed
originale. Sicuramente era molto meglio che essere la solita pecorona.
Pausa. “Sai che sei l'unica persona che mi chiama per nome?” osservai solo in
quel momento.
“Ti infastidisce?”
“Per niente.”
Sorrisi.