Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: SherlokidAddicted    30/12/2016    2 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Latte e zollette
 


 
Siamo tornati a casa con l’auto di Mycroft.
Non è stato molto difficile portare Sherlock fino al parcheggio, dato che le sue gambe non avevano subito alcun danno, ma aveva comunque bisogno di sostegno perché le sue forze non erano del tutto tornate a dominare il suo corpo stanco.
Ho preferito che fosse Violet ad aiutarlo a vestirsi, non volevo si sentisse in imbarazzo sotto il mio sguardo, nonostante ciò che Sarah mi aveva fatto notare sul suo comportamento nei miei confronti. Ha indossato la camicia viola.

Quanto amo quella camicia… la indossava alla nostra prima volta, è stato bello sfilargliela furiosamente dalle spalle, mentre la mia bocca si dedicava alla pelle liscia del suo petto.

La manica del braccio destro era arrotolata fin sopra il gomito, per non intralciare il gesso. Per tenere su il braccio i medici gli avevano fornito un tutore. Il suo completo nero comprendeva la giacca che aveva lasciato appoggiata sulle spalle.
Durante il tragitto verso la macchina si era aggrappato al mio maglione con la mano sana e si era lasciato sfuggire un sospiro ogni volta che ci trovavamo sempre più vicini al veicolo scuro, con il quale di solito il maggiore degli Holmes viene a prendermi per comunicarmi qualcosa di urgente.
Dopo essersi accomodato sui sedili posteriori accanto a me, le sue dita non hanno smesso di stringere il mio indumento e quando mi sono girato per guardarlo i suoi occhi erano chiusi e riuscivo a vedere il suo pomo d’Adamo andare su e giù per il nervosismo. L’essere così spaventato non è da lui.
Adesso siamo arrivati all’appartamento, seguiti da Violet. La signora Hudson ci accoglie contenta e ci accompagna al piano di sopra, dove sono sicuro di trovare Siger e Mycroft. Avevano detto di voler preparare qualcosa di speciale per lui, non hanno specificato cosa, forse un pranzo particolare per rimetterlo in forza… mio suocero sapeva essere un ottimo cuoco quando voleva, e dubito che il maggiore degli Holmes si fosse disturbato di muovere un solo dito ai fornelli, quindi forse il suo contributo era supervisionare il tutto, la cosa che sicuramente gli riusciva meglio.
- Ho pulito la casa maniacalmente, e mi sono premurata di farvi la spesa in occasione del vostro ritorno. – Dice la nostra padrona di casa mentre ci fa strada su per le scale. Violet è davanti a noi, io preferisco stare dietro, accanto a Sherlock, tenendo una mano sulla sua schiena per aiutarlo a salire: le sue costole sono ancora fratturate e deve stare attento a come cammina.
- Grazie signora Hudson, è un angelo! Ma non doveva disturbarsi, avrei fatto tutto io da oggi in poi. – Dico mentre Sherlock si guarda incuriosito intorno, superando trionfalmente gli ultimi gradini.
- Oh, non diciamo idiozie! Prendersi cura di Sherlock porterà via del tempo e alle pulizie posso benissimo pensarci io! – Aggiunge poi mentre apre lentamente la porta che ci condurrà al salotto.
Non mi aspetto per niente quello che viene dopo. Ci sono tutti, urlano un allegro e festoso “sorpresa!” non appena io e Sherlock mettiamo piede nella stanza: Lestrade è appena tornato dal lavoro, di sicuro. Non ha perso tempo a raggiungere Baker Street. Molly indossa il suo adorato maglione colorato e un paio di jeans, ha lasciato i capelli sciolti lungo le spalle, adesso il suo viso è ben incorniciato… non ricordo delle volte in cui l’ho vista senza la sua coda di cavallo. Siger è sorridente e felicemente sollevato di vedere il figlio… e credo sia lo stesso anche per Mycroft, anche se sta in un angolino a cercare di contenere l’entusiasmo con l’accenno di un sorriso. C’è addirittura l’infermiera di cui Mycroft ci aveva parlato.
Si sente il rumore di una bottiglia di spumante che viene stappata e subito dopo gli applausi che fanno arrossire vistosamente il volto del mio consulente investigativo. Lo vedo accennare un sorriso di ringraziamento ed io sono felice che loro abbiano avuto questa meravigliosa idea per far sentire Sherlock a casa.
Dopo aver ricevuto il bicchiere di spumante ha iniziato ad ispezionare l’appartamento. Si è soffermato su tutti i dettagli, perfino i più futili: le due grandi finestre, il grande tappeto, le poltrone, le lampade, il caminetto, il teschio poggiato su di esso, il divano e poi… ha guardato con occhio critico lo smile giallo che lui stesso aveva disegnato per noia.
- Sei stato tu. – Mormoro con le labbra vicino al bicchiere mezzo vuoto, prima di mandare giù un lungo sorso.
- Davvero? – Mi chiede stupito, sollevando un sopracciglio.
- Già. –
- E questi? – Indica i buchi causati dalle pallottole.
- Sempre tu, ti annoiavi. –
- Fammi capire bene, io sparavo alle pareti quando mi annoiavo? – La sua voce è stridula, quasi non crede a ciò che era capace di fare. Sembra di scherzare su un’altra persona, non di Sherlock Holmes, ma di qualcuno che non è presente.
Lo vedo scuotere la testa con un sorriso divertito, poi sposta gli occhi sugli appunti, le cartine e le foto attaccate sopra al divano e cerca di decifrare il filo rosso che ha attorcigliato tempo fa alle puntine da disegno per collegare le foto tra di loro. Le x segnavano le facce di alcuni individui sulle immagini, alcuni segni con un pennarello tracciavano un percorso ben preciso sulla mappa.
- Stavi lavorando ad un caso prima dell’incidente. Non lo hai ancora risolto... non hai fatto in tempo. – Dico a voce bassa, facendo ondeggiare il liquido chiaro dentro il mio bicchiere. Lui fa scorrere lo sguardo sulla mappa che aveva messo insieme con le sue mani e il suo infallibile senso di deduzione, ma vede solo confusione adesso.

Sherlock Holmes che non capisce la mappa di un caso...

Si tratta di un furto alla banca del suo amico Sebastian, lo stesso del caso del banchiere cieco. Nessuno capiva come questo qualcuno fosse entrato nel caveau e come avesse fatto a prendere tutto quello che poteva senza lasciare tracce abbastanza importanti per incastrarlo. Il “furto perfetto” lo aveva chiamato Sherlock, mentre sistemava le foto dei sospettati. I percorsi segnati sulla cartina erano le possibili via di fuga che il ladro avrebbe potuto prendere quella notte. Le vie cerchiate in rosso erano invece quei luoghi che Sherlock credeva fossero possibili nascondigli.
So che aveva scoperto qualcosa il giorno dell’incidente, che aveva avuto un lampo di genio sul caso e che era così euforico della scoperta che aveva lasciato stare la mappa degli indizi per scappare al piano di sotto (almeno così mi ha raccontato la signora Hudson, che aveva assistito all’urlo entusiasta che aveva lanciato all’improvviso mentre studiava ogni singolo dettaglio di quel caso). La troppa felicità lo ha reso distratto mentre si addentrava sempre di più sulla strada per chiamare un taxi e poi… il furgone, e sapete tutti come è andata a finire.

Non sapremo mai cosa Sherlock avesse scoperto.

Le sue dita sfiorano delicatamente la scritta che aveva scarabocchiato lui stesso sulla cartina “il ladro invisibile”, prima di riprendere a parlare: - Le indagini stanno comunque proseguendo? – Nel preciso istante in cui pone quel quesito mi accorgo che Greg ci sta ascoltando, forse dall’inizio della conversazione.
- Alla cieca. – Dice infatti, addentando uno degli stuzzichini che la signora Holmes aveva preparato per l’occasione. – Non abbiamo prove sufficienti e stiamo brancolando nel buio, se non scopriamo qualcosa il caso potrebbe essere archiviato. – Sherlock annuisce, addolorato dalla notizia, poi abbassa lo sguardo e tossicchia appena per schiarirsi la voce. – Ma non devi pensarci adesso. Sei qui, stai bene e stai guarendo, conta questo. – Continua l’ispettore, accennando un sorriso confortante verso di lui, che però non ricambia. – Adesso, se non vi dispiace, devo cercare di corrompere tua madre per la ricetta di questi stuzzichini, sono ottimi! – E detto ciò si allontana verso la cucina.
L’espressione affranta sul viso di mio marito non è cambiata. Devo fare qualcosa per distrarlo e in fretta.
- Vorresti vedere la tua stanza? – Chiedo, riuscendo fortunatamente a smuoverlo da quella situazione.

Chissà come si sente inadeguato ed inutile in questo momento.

Oh, Sherlock…

Il mio Sherlock.

Subito dopo ci ritroviamo a camminare verso lo stretto corridoio, superando i nostri amici che se la ridono tra di loro, bevendo e smangiucchiando una delle ottime creazione di Violet, poi, arrivati davanti alla porta aperta della camera, Sherlock si ferma e comincia a guardarsi intorno curioso, deglutendo vistosamente, facendo quindi concentrare la mia attenzione sul suo nervoso pomo d’Adamo.
- Non dormi molto di solito, dicevi che ti rallentava e preferivi fare esperimenti sul tavolo della cucina fino a tardi. – Lui non risponde, si limita a compiere qualche passo verso l’armadio e spalanca una delle due ante. La sua mano scorre tra gli abiti perfettamente stirati e appesi alle apposite grucce, sfiorando camicie e giacche. I suoi occhi si soffermano sullo specchio appeso all’anta. La vista del suo viso leggermente tumefatto lo fa rabbrividire e preferisce distogliere lo sguardo e richiudere l’armadio con delicatezza. Subito dopo si siede sul letto ed accarezza la stoffa della trapunta verde, senza smettere di seguire con gli occhi il movimento della sua mano sulle pieghe delle lenzuola.
- Tu dove dormi? –

Dormo qui con te, Sherlock. Tutte le notti, incollato al tuo corpo snello, avvolgendolo con le mie braccia, poggiando la fronte contro la tua nuca, respirando il dolce profumo del tuo bagnoschiuma preferito, sfiorando la tua pelle liscia con la punta delle dita e guardandola rabbrividire al passaggio della mia mano. Dormo con te, in questo letto, stringendoti e lasciandomi stringere, come se avessimo paura di perderci, mormorandoti parole dolci che so che ti fanno scivolare via lo stress, dandoci la buonanotte con un bacio pieno di promesse. E non smettendo un attimo di cercarci, perché senza quel contatto reciproco e intimo non possiamo dormire sogni tranquilli e sereni. Sogni di cui entrambi siamo i felici protagonisti.

- La… la mia stanza è di sopra. – Dico poggiando il bicchiere vuoto sul comodino e prendendo subito dopo posto accanto a lui. Starò facendo la cosa giusta nel volergli lasciare i suoi spazi? – Ma dormirò sul divano, così che mi sarà più facile raggiungerti nel caso di un’emergenza. Dal piano di sopra potrei anche non riuscire a sentirti. –
- Su quel divano? Scherzi? Sembra così scomodo! –
- Figurati, ci ho dormito altre volte. –
- Non voglio che dormi su quel coso. –
- Perché no? –
- Perché non dormiresti. – I suoi occhi si puntano nei miei e li vedo lucidi mentre le sue pupille scattano velocemente sul mio viso. Deglutisce e si porta una mano sul torace, a tastare delicatamente le costole doloranti, in un inutile tentativo di alleviare l’incessante dolore. – In ospedale facevate i turni, tu e i miei genitori, su quella sedia malandata. Non vorresti un letto comodo? –
- Preferisco tenerti d’occhio più da vicino. – Dico osservando la sua mano che massaggia piano quel punto dolorante. – Credo sia ora del tuo antidolorifico. – Annuncio mentre mi alzo dal letto, facendo strusciare le gambe contro la trapunta ruvida.
- John… - Stavo per raggiungere il corridoio ma la sua voce mi ha fermato. Mi giro, in modo da poter essere faccia a faccia con lui ed aspetto una qualche reazione da parte sua, che non tarda affatto ad arrivare. – Mi chiedo quanto tu ci tenga a me per dover sopportare di dormire su una sedia e un divano scomodo. – Si aspetta una mia risposta, a giudicare dal suo sguardo indagatore… ma la realtà è che non ne trovo una adeguata e giustificabile. Non posso di certo uscirmene con un “perché ti amo”, o almeno non ancora.
Mi limito ad accennare un sorriso e me ne esco dicendo soltanto “prendo le pillole”.
La festa va avanti senza intoppi. Dopo aver dato gli antidolorifici a Sherlock, lui sembra aver dimenticato la conversazione che avevamo affrontato in camera da letto, ma non ho idea se ci stia ancora pensando senza farsi notare, se stia cercando da solo una risposta o se semplicemente lo abbia rimosso.
È stato comunque abbastanza felice di trascorrere quelle ore in nostra compagnia, tra aneddoti divertenti che lo riguardavano, abbuffate abbondanti di succulenti antipasti preparati con amore da Violet e bevute allegre, brindando alla sua salute.
L’argomento principale è stato il caso dello studio in rosa. Lestrade ed io siamo stati molto accurati nello spiegargli i dettagli, a partire dal ritrovamento del corpo e dal nostro primo incontro, fino alla morte (secondo Greg inspiegabile… beh, tutti sappiamo a chi sia dovuta quella morte) del tassista assassino che offriva alle sue vittime la scelta fra due pillole.
Poi abbiamo parlato del modo inquietante con cui Mycroft si era presentato a me, spaventandomi e prelevandomi con l’auto nera, facendomi credere che fosse un tipo con cattive intenzioni. Quando abbiamo raggiunto questo argomento, il diretto interessato non si è scomposto dal suo angolino, poggiandosi pigramente al manico dell’ombrello.
Sherlock mi ha chiesto se avessi scritto di questo caso nel blog e io gli ho promesso che glielo avrei letto, un caso a settimana, proprio come avevamo stabilito in ospedale, mentre lui era disteso su quel maledetto letto. In fondo è stato uno dei casi più seguiti e amati sul mio sito web!
Oh, gli ho detto che anche lui ha un blog tutto suo ed è rimasto incuriosito quando gli ho spiegato che i suoi argomenti trattavano i duecentoquaranta tipi di tabacco, i diversi tipi di terriccio e le proprietà tessili della lana. Soprattutto quando Mycroft mi ha corretto, esclamando “Duecentoquarantatré, John!”, facendo così ridacchiare il detective al mio fianco.
Ovviamente, dopo tutto questo baccano, la mia testa sta per esplodere, mentre Sherlock sembra soltanto un po’ stanco ma felice. Tutti sono andati via, lasciando quel tepore di serenità nell’aria. Lui è seduto sulla sua solita poltrona, ma non accavalla le gambe e non distende le braccia sui braccioli come faceva sempre, poggiandosi comodamente con la schiena. Al contrario, adesso è teso, la sua schiena dritta, le gambe piegate ed unite e la mano sana sul ginocchio.
- Ti piace qui? –
- Sì, è accogliente. –
- E gli altri come ti sembrano? –
- Sono stati gentili, mi sono divertito a sentire quella storia su Jennifer Wilson, solo che… - Il suo tono è felice all’inizio, ma poi si è fatto flebile e sussurrato mentre inizia a giocherellare con la stoffa ruvida dei suoi pantaloni, prendendola fra pollice ed indice per strofinarla. – Beh, non me lo ricordo, è stato come sentire una bella storia che ha vissuto qualcun altro, tutto qui. – Io annuisco con un sospiro pesante e mi accomodo sulla poltrona di fronte.
- Forse hai bisogno di passare del tempo sui luoghi in cui hai vissuto i momenti più importanti della tua vita. Quando starai meglio con le costole e il braccio ti ci porterò sicuramente. – Lui mi sorride sollevato, poi rilassa appena le spalle e si poggia con la schiena alla poltrona.
- John… -
- Sì? –
- Vorrei tanto una tazza di… - Esita, come se non si ricordasse cosa viene dopo, come se non avesse mai imparato il termine che aveva intenzione di usare. Vedo il panico nei suoi occhi farsi sempre più grande, fargli tremare le gambe. – Di… è caldo, la gente lo beve per rilassarsi… - Mormora quelle parole quasi incomprensibilmente, tanto che devo sporgermi per capire cosa stia dicendo. Il dottore aveva detto che ci sarebbero stati dei momenti di confusione, momenti in cui non si sarebbe ricordato nomi di cose semplici come queste. – Lo beve il pomeriggio… alle cinque… - Non dico niente perché vorrei che lo ricordasse, vorrei che ragionasse e che trovasse da solo quella parola… ma il suo sguardo smarrito e spaventato, lucido e pieno di imminenti lacrime mi dicono proprio che non ne è in grado. – John… - Mi guarda e sussurra il mio nome come una supplica, con la voce tremante e debole.
- Una tazza di tè? –
- Sì… sì, quella. – Sussurra, tirando su con il naso, mentre si passa una mano sotto all’occhio sinistro, nell’intento di asciugarsi una lacrima. – Con un po’ di latte e due… due… - Serra gli occhi e si sforza di pensare, ma so che è allo stremo e non ci riesce, quindi intervengo nuovamente.
- Due zollette? – Annuisce senza aprire gli occhi, continuando a stringerli, forse per cacciare indietro tutte le altre lacrime. Non voleva piangere, né sembrare debole davanti a me… o forse davanti a tutti. Le sue dita raggiungono immediatamente i suoi occhi chiusi e cominciano a stropicciarli, come a voler cacciare via il suo senso di inadeguatezza. Ma riesco comunque a sentire i suoi singhiozzi mentre mi avvicino al fornello per mettere il bollitore sul fuoco. Probabilmente ha sentito il mio sguardo addosso, cosa che purtroppo non ho potuto evitare, quindi si alza frettolosamente, con il rischio di provocarsi delle fitte alle costole, e si posiziona davanti alla finestra, prestando attenzione alla strada.
Mi soffermo sulle sue spalle, fasciate dalla camicia stretta, in grado di mettere in risalto ogni dettaglio di quella schiena perfetta. Si alzano e si abbassano lentamente al ritmo dei suoi respiri profondi.
Mi immagino le sue dita picchiettare nervosamente e le sue palpebre strette. Riesco addirittura a vederlo tremare, ma non capisco se per la rabbia o per la paura. Una volta, in questi casi, era meglio lasciarlo solo e fargli scaricare i nervi, non disturbarlo o ti avrebbe attaccato verbalmente senza alcuno scrupolo, insultando ogni cosa ti stesse a cuore pur di allontanarti, ma adesso… adesso non so come potrebbe reagire se solo mi avvicinassi per consolarlo.
Beh, di solito stava così quando era annoiato o quando non riusciva a risolvere un caso nei tempi che lui stesso si era prestabilito, stavolta il movente è decisamente più grave e significativo. Non dovrebbe respingermi, non dovrebbe attaccarmi, probabilmente accetterà di essere consolato.
Poco dopo, la sua tazza di tè fumante è pronta, con il latte e le zollette. Sherlock è ancora di fronte alla finestra, i respiri profondi e veloci non sono andati via e per un attimo ho paura si tratti di un attacco di panico… e sicuramente lo è. Mi avvicino, stringendo il manico della tazza e facendo passi ampi e lenti. Mi fermo proprio davanti alla sua schiena e sollevo lo sguardo verso il cumulo di ricci sulla sua nuca. All’improvviso non so cosa fare, perché non riesco ad immaginarmi la sua reazione se solo provassi a consolarlo com’ero solito fare prima che tutto questo casino accadesse. Ma era l’unico modo per calmarlo tempo fa, quindi prendo un respiro profondo e lascio la tazza calda sul tavolo poi, con mani tremanti, cingo i suoi fianchi. Lui sussulta, non aspettandosi un simile gesto da parte mia e per un attimo ho paura che possa scappare via, ma quello che fa dopo mi sconvolge positivamente. Con la mano libera cerca subito la mia sul suo fianco e fa in modo che le nostre dita si intreccino teneramente, e a quel punto, dopo aver capito che non ha alcuna intenzione di respingermi, avvolgo totalmente i suoi fianchi tra le braccia, facendo attenzione a non premere troppo. La sua mano si stringe ancora di più alla mia e il suo capo si abbassa, mentre io poggio timidamente la fronte contro la sua spalla tesa.
Vedo da sopra la sua spalla i suoi occhi chiusi e le pupille muoversi convulsamente sotto le sue palpebre, le goccioline di sudore scendere dalle sue tempie e riesco perfino a vedere quanto le sue palpitazioni siano aumentate dalla vena pulsante sul suo collo.

È decisamente un attacco di panico.

Mi sposto quel tanto che basta per finire davanti a lui, le braccia ancora attorno ai suoi fianchi e la sua mano adesso poggiata sul mio avambraccio. La fronte si scontra delicatamente con la sua, ma non accenna ad aprire gli occhi e le sue pupille non smettono di muoversi, né la sua bocca smette di reclamare ossigeno. Le mie dita si spostano quindi ad incorniciare il suo viso e a sollevarlo appena, i miei pollici carezzano piano le sue guance pallide di paura e solo a quel punto posso vedere le sue palpebre schiudersi, liberando più lacrime di quante me ne aspettassi.

Non sono abituato a vedere uno Sherlock così tanto fragile.

Adesso è il suo braccio che cinge il mio fianco e le sue iridi sono tuffate nelle mie, i nostri sguardi incatenati mentre io cerco di trasmettergli attraverso il linguaggio del corpo tutta la sicurezza e l’affetto possibile. Le mie mani che accarezzano sembrano dirgli “sono qui, non sei solo e non lo sarai mai”, i miei occhi invece dicono “va tutto bene, adesso passa”.
E il messaggio arriva forte e chiaro, perché dopo alcuni minuti Sherlock torna a respirare normalmente, non trema più e l’unico sintomo del panico rimastogli sono le lacrime che ancora non smettono di sgorgare.
- Vuoi una bella notizia? – Sussurro, attirando completamente la sua attenzione. Lui annuisce velocemente ed io accenno un minuscolo sorriso prima di riprendere a parlare. – Ti sei ricordato del tè con il latte e le due zollette. Tu lo prendevi sempre così. – Sembra sollevato dalla notizia, perché ricambia il sorriso e per poco non ridacchia fra le lacrime.
- Davvero? –
- Davvero. – Mormoro in risposta, asciugando con il palmo delle mani le sue guance rigate dalle lacrime. E ciò che fa dopo fa saltare un battito del mio cuore, perché ha immerso la testa all’incavo del mio collo e mi sta stringendo con forza. So cosa vuole dire, ormai ho imparato il linguaggio del corpo alle perfezione, soprattutto il suo. Mi sta chiedendo di non lasciarlo, e mi sta ringraziando per le mie ultime parole.
Quella sera arriva in fretta. Sherlock era così stanco e stremato emotivamente che si è addormentato non appena la sua testa ha toccato il cuscino del suo letto comodo, con l’aiuto di Janet, l’infermiera che ho avuto modo di conoscere alla festicciola. Mi ha dato tutte le indicazioni per le medicine da somministrare e poi è andata via.
Guardarlo mentre dorme così profondamente mi fa sentire piccolo ed insignificante e mi riporta indietro ai giorni del coma.

Ho forse paura che non si risvegli?

John, non pensarci.

Dovrei alzarmi da questo letto e raggiungere il divano, devo lasciarlo dormire e non posso perdermi a fissare il suo viso angelico e rilassato, sperando che la sua memoria riaffiori in quei momenti in cui su questo stesso letto ci coccolavamo prima di sprofondare nel mondo dei sogni.
Spengo l’abatjour sul comodino ed esco con passi leggeri dalla stanza, lasciando la porta leggermente socchiusa, così che possa sentire in caso di emergenze. Quando arrivo in salotto mi blocco a guardare il punto esatto in cui Sherlock si era lasciato andare a quel maledetto attacco di panico. Il solo pensiero di averlo visto così sofferente e fragile mi attanaglia e mi scava dento, creando un vuoto colossale nel mio cuore, un buco profondo e inquietante, pieno soltanto di paura e tristezza… e non posso trattenere le lacrime mentre mi raggomitolo sul divano.

Per quanto tempo ho cercato di trattenermi?

E per quanto speravo ancora di riuscire a mantenere la calma?

Questo pianto silenzioso contribuisce alla mia emicrania e, anche se vorrei dormire data la mia stanchezza, non ci riesco perché nella mia testa continuo a ripetere quella supplica, quella preghiera disperata quasi quanto il mio pianto irrefrenabile:

Ti prego, fai che stia bene.




Note autrice:
Sono stata più veloce questa volta, giusto perchè vorrei lasciarvi un capitolo in tempo per la prima puntata di Sherlock... ed anche perchè le feste mi terranno occupata. Per non parlare dello sclero per la quarta stagione.
Spero possa piacervi e che possiate apprezzare.
A presto!
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: SherlokidAddicted