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Autore: Eli Ardux    31/12/2016    1 recensioni
"Ho spesso pensato a come ti avrei detto addio un giorno. La morte è inevitabile, in fondo. Eppure non pensavo sarebbe successo così in fretta. Mi sono spesso immaginata invecchiare al tuo fianco. E sai, ricordare tutte quelle bellissime bugie fa male. Ma fa ancora più male pensare che tu stia leggendo tutto questo mentre io non sarò al tuo fianco. Mi dispiace, Sirius. Mi dispiace provocarti questo nuovo peso. Mi dispiace non averti suscitato un’altra volta un sorriso. O forse ci riuscirò ancora. Forse, tra molti e molti anni, ricorderai ancora quella stramba ragazza che ti ha insultato così pesantamente. Ricorderai ancora, magari, il calore di un abbraccio, quando il mondo inizierà a diventare freddo."
***
Dal capitolo 46
«Non è stata una mia scelta!» Sirius aprì le braccia, esasperato. Entrambi avevano alzato di nuovo la voce. «Sì invece» «Cosa?! Donna ma ti senti quando parli?» La bocca di lui si contorse dalla rabbia. «Calmati per Merlino» Elisa raccattò una borsa appoggiata al suo fianco, sulla panca, gettandogliela. I libri andarono a cozzare contro il braccio proteso dal ragazzo per difendersi, rotolando poi a terra poco più in là. «Non dirmi di calmarmi!»
Sirius x nuovo personaggio
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Timori
 
Novembre portò con sé un nuovo freddo. Le foglie del Platano Picchiatore erano finalmente cadute, donando all’albero un aspetto spettrale.
 
Elisa quella mattina era di buon’umore. Scese a colazione con il sorriso sulle labbra, ansiosa di affrontare la giornata. Quella domenica decise che avrebbe studiato. Era passata ormai una settimana dalla festa. Non sapeva cosa ne pensasse Severus, ma per lei era stato un bel momento, ed era segretamente felice di averlo condiviso con lui.
 
Lily non si era nemmeno troppo arrabbiata. Certo, le aveva tenuto il muso per qualche ora, accusandola di volerle provocare un infarto. Ma, dopo poco, il sorriso era tornato anche sul suo volto. Le cose con James stavano andando troppo bene per qualsivoglia bega. Elisa segretamente ringraziò il ragazzo per la sua presenza.
 
L’amico era stato meno felice. Certo, era stata una serata fantastica, ma la presenza di Mocciosus non era stata certo ben voluta. Elisa lo aveva bellamente ignorato. Remus e Peter non avevano commentato, forse per paura di ferirla. La ragazza gli era grata.
 
Non aveva più avuto modo di parlare con il Serpeverde. Lo aveva intravisto per i corridoi, però, e, benchè lui cercasse in tutte le maniere di evitare il suo sguardo, in cuor suo la ragazza sapeva che una piccola breccia aveva fatto capolino nel suo animo scontroso.
 
Con quei pensieri quella mattina, dopo essersi presentata nelle cucine e aver fatto scorta di cibo, si richiuse in camera tra i libri di scuola. Persino lo studio le sembrava un ottimo passatempo quel giorno.
 
E poi Lily fece il suo ingresso nella stanza. Elisa osservò la rossa catapultarsi al suo interno, passeggiare nella stanza per poi sedersi di fronte a lei.
 
«Ciao anche a te» la salutò divertita voltando una pagina del libro di Trasfigurazione. Il sorriso le morì sulle labbra. «Tutto bene?» Lily le lanciò un’occhiata dubbiosa.
 
«Non è stata colpa tua» iniziò scuotendo la testa. L’ansia iniziò ad attanagliarle lo stomaco. «Lily cosa è successo?» quasi sovrappensiero afferrò la bacchetta al suo fianco. «Non è stata colpa tua» ripetè la rossa trattenendo le lacrime. «Lily» Elisa afferrò l’amica e iniziò a scuoterla fermamente «Cosa è successo?» sillabò lentamente. La rossa rimase a fissarla qualche istante.
 
«Questa mattina doveva andare al Ministero per firmare delle carte. Sono le quattro del pomeriggio, ci siamo preoccupati ed abbiamo chiesto. Non ci è mai andato. Non ci è mai arrivato, capisci?» «Chi?»
 
Ti prego fa che non sia lui.
 
La rossa si morse il labbro cercando di non piangere. «Chi, Lily?» Elisa tornò a scuoterla disperatamente.
 
«Sirius. Sirius Black»
 
Qualcosa le sbattè contro la testa. Non sapeva se un mattone o il Platano Picchiatore stesso. Le sembrò di essere al centro di una giostra. Vedeva tutto girare ma lei rimaneva ferma. Deglutì con forza.
 
«Silente lo sa?» Lily annuì decisa. «è andato ad infomarsi» «Gli altri?» «Fanno congetture su dove possa essere. James ha detto che-» ascoltò poco o nulla della risposta.
 
La verità la colpì al cuore come una pugnalata. Non le importava nulla di cosa avesse detto James, né di cosa pensassero gli altri. Le importava di Sirius e di quel dannato sorriso che egoisticamente sperava potesse rivolgerle ancora una volta. Si portò le mani a coprirle il viso. Doveva mantenere la calma.
 
«Non è stata colpa tua» il sussurro della rossa le fece alzare lo sguardo. Ma certo. Era stata una stupida. Colpire lui per ferire lei. Si maledisse per non averci pensato prima.
 
«Non è detto che sia andata così» Lily intuì i suoi pensieri dallo sguardo. «Non può essere andata così» la sua voce tremò.
 
La mora abbassò lo sguardo, sconfitta. Aveva passato anni a sentire il dolore sulla sua pelle inferto da colui che, ora sapeva, non era altro che il suo carnefice.
 
Ma adesso tutto era diverso.
 
Non c’era lei a contorcersi sul pavimento di quella che, un tempo, era stata la sua casa. Non sarebbe stata lei ad urlare, né la vista del fuoco avrebbe influenzato il suo respiro. Questa volta lui avrebbe urlato, lui avrebbe sofferto. Cercò di cacciare la sua immagine riverso sul pavimento, gli occhi sgomenti e il respiro spezzato. Cercò di non immaginare i muscoli doloranti, gli spasmi, il rivolo di saliva, sangue e lacrime riversarsi sul pavimento alla decima cruciatus.
 
Fallì.
 
La rossa le rivolse uno sguardo solidale. «Dobbiamo restare calmi. Silente lo troverà» Elisa rise amaramente a quelle parole. «Silente non può fare miracoli» «Ehi» le braccia di Lily si chiusero su di lei come un abbraccio. Appoggiando la testa sulla sua spalla, la mora pensò a tutto quello che le avrebbe voluto dire. Dalla sua bocca uscì solo un misero singhiozzo strozzato.
 
«Devi andare» dopo qualche attimo si ritrasse, incontrando di nuovo lo sguardo angosciato dell’altra. «James ha bisogno di te» «Hai più bisogno tu» scosse la testa, perentoria. «Lui è il suo migliore amico» La rossa annuì, un po’ più convinta. «Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi»
 
La porta si richiuse alle sue spalle con un leggero tonfo sordo. Non si era nemmeno accorta che si fosse allontanata. Guardò il posto vuoto di fronte a sé, rivivendo nei suoi ricordi la conversazione appena avvenuta.
 
Avrebbe voluto urlare. Avrebbe preferito affrontare lei il dolore, piuttosto che rimanere immobile, seduta su quel letto in quella stupidissima stanza. Con rassegnazione si gettò tra le coperte, osservando il soffito sopra di sé. Per quanto le costasse ammetterlo, aveva ragione: Silente non poteva fare miracoli. Eppure c’era qualcuno che avrebbe potuto.
 
Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Se solo il demone le avesse mostrato… rimase in attesa, cercando dentro di sé la presenza altrui. Non trovò nessuna differenza. L’angoscia sembrava azzannarle l’anima, rendendola un pezzo di carne sanguinante ed inerme. Rimase immobile, sperando di addormentarsi. Magari qualche immagine nel sogno sarebbe comparsa.
 
Ma il sonno non arrivò.
 
Pensieri lugubri le inniettarono la mente di immagini oscure. Cadaveri e detenuti si alternavano nei suoi pensieri. I corpi, riversi sul pavimento e spesso sanguinanti, avevano il suo volto.
 
Una lacrima si infranse sul cuscino. Lei non avrebbe potuto fare nulla. Non avrebbe mai sentito la sua voce canzonarla un’altra volta, né sussurrarle parole di conforto. Non avrebbe mai più potuto urlargli contro quando le cose sarebbero diventate troppo grandi e la paura avrebbe corroso la sua anima. Non gli avrebbe più ricordato di quanto fosse stato idiota e di quanto lei lo volesse al suo fianco.
 
Una risata umida le scosse lo sterno. Altre lacrime scivolarono lungo le sue guance.
 
Il sole tramontò presto, quel giorno. O forse scomparve come tutte le altre volte, ma i suoi occhi si appannarono presto, confondendo la realtà. Aspettò ferma, immobile, sperando che lui aprisse quella porta per dirle che, per diamine, tutto era stato solo uno stupido scherzo. Eppure non osava sperare in così tanto.
 
I suoi occhi si erano asciugati da un bel po’ quando Lily spalancò la porta della stanza. Con uno scatto Elisa si gettò fuori dal letto, bloccandosi l’attimo dopo vicino al baldacchino. Senza accorgersi afferrò con forza il legno, stringendolo. Le sue nocche divenirono bianche. Il viso preoccupato di Lily si aprì in un sorriso sollevato.
 
«L’hanno trovato»
 
Le parve di respirare di nuovo. Un maciglio era stato appena tolto dal suo stomaco, non c’erano altre spiegazioni. Senza aggiungere parola le due si catapultarono fuori dalla stanza.
 
«Cosa-» «Mangiamorte» Elisa si bloccò sulle scale, osservando l’altra fare altrettanto poco più in là. «Sta bene» la rassicurò riprendendo a camminare. Lei la seguì, nonostante fosse riluttante.
 
«Non sembrava fosse una cosa seria. È stato solo pestato un po’» «Perché lo avrebbero fatto?» «Il ministero ha una teoria» le due oltrepassarono il ritratto velocemente. «L’azione sembrerebbe dettata più da ripicca che per altro. Pensano possano essere stati dei fanatici» Elisa annuì convinta. «è ferito?» Lily si lasciò andare ad un verso esasperato. «è solo pieno di lividi. Forse hanno usato qualche cruciatus, nulla di più»
 
La mora si morse il labbro con forza. Lily non aveva decisamente mai provato sulla propria pelle una cruciatus per definirla con tanta leggerezza.
 
«Dove-» «Silente lo ha trovato in un magazzino poco lontano dal Ministero. A quanto sembra lo hanno ingannato. Questa cosa non piacierà a Bagnold»
 
Arrivarono in Sala Grande prima del previsto. Un grosso gruppo di curiosi aveva accerchiato qualcuno. Elisa si avvicinò lentamente, ascoltando i discorsi da sopra il brusio.
 
«Non ci sono proteste che tengano. Lei deve andare in Infermeria» «Sto bene Madama» «Professoressa!» la donna si lamentò con la collega. «Ma quindi cosa è successo?» la voce di una ragazzina tra la folla riscosse dei commenti di assenso. «Degli imbecilli hanno solo voluto pestarmi» scherzò la voce di Sirius ridendo.
 
Rideva, lui.
 
«Ehi amico, non essere modesto. Silente ti ha trovato svenuto» al commento di James un coro di sorpresa si alzò tra i ragazzi. «Ma non è nulla di che-» la sua frase fu bloccata dal ragazzino più vicino a lei che, notando il loro arrivo, si scansò di getto.
 
«Caposcuola» il saluto quasi militare che rivolse alla rossa le fece intuire il regime che Lily doveva aver instaurato. Il richiamo risvegliò anche gli altri curiosi. La folla si scansò di lato, permettendo loro la visione all’interno del cerchio.
 
Sirius stava in piedi grattandosi la nuca. Il suo viso, decorato da inquietanti ematomi giallastri, era contratto in una smorfia divertita. James, al suo fianco, sedeva al tavolo di Grifondoro insieme a Peter, osservando la scena. Remus, poco più in là, cercava di convincere un’adirata Madama Chips.
 
«La Caposcuola è tornata signori» James accolse la rossa con un sorriso. La sua figura rimase in disparte. Quasi nessuno aveva notato la sua presenza. Quasi nessuno, per l’appunto.
 
Il viso di Sirius si tramutò in una maschera di sorpresa. «Ciao» lei rimase lì ad osservarlo. Sembrava stare bene, nonostante un occhio attento avrebbe potuto benissimo notare come il suo peso fosse portato sulla gamba destra. Persino la sua postura appariva un po’ sbilenca. Il viso bluacelo, poi, non migliorava certo la visione.
 
«Ciao?» le sopracciglia di lei si alzarono con prepotenza. Le sarebbe volentieri piaciuto prenderlo a pugni, andando ad aggiungere dei lividi a quelli già presenti. Lei aveva passato ore a pensare a cosa sarebbe successo, aveva passato in rassegna tutti i possibili scenari orribili in cui avrebbe potuto essere stato coinvolto. E poi lo ritrovava lì, in Sala Grande, a raccontare di come lo avessero preso a pugni. Gli occhi di tutti i presenti si spostarono verso di lei.
 
«Riesci a farti rapire e poi dici ciao?» «ma io non-» «Hai idea-» Elisa lo interruppe facendo qualche passo avanti «di come sia stato? Hai idea della paura-» «Non è stata una mia scelta!» Sirius aprì le braccia, esasperato. Entrambi avevano alzato di nuovo la voce.
 
«Sì invece» «Cosa?! Donna ma ti senti quando parli?» La bocca di lui si contorse dalla rabbia. «Calmati per Merlino» Elisa raccattò una borsa appoggiata al suo fianco, sulla panca, gettandogliela. I libri andarono a cozzare contro il braccio proteso dal ragazzo per difendersi, rotolando poi a terra poco più in là. «Non dirmi di calmarmi!» L’urlo isterico terrorizzò un ragazzino del primo anno al suo fianco che, silenzioso, fece qualche passo indietro.
 
«E cosa vuoi che ti dica?!» lei fissò il ragazzo urlare, furioso. «Vuoi che ti dica che ha fatto male? Eh? Vuoi che ti racconti la paura o magari l’angoscia» il ragazzo aveva fatto alcuni passi indietro, allontanandosi.
 
Alle sue spalle intravide Madama Chips indicare vittoriosa nella sua direzione a quelle parole.
 
«O forse vuoi che ti dica-» il ragazzo si era riavvicinato. Le mani erano a poco centimetri dalla sua testa, quasi fosse indeciso se afferrargliela e scuotergliela. «-quanto ogni fottuto colpo fosse nulla in confronto a questo fottuto istante. E sai perché?» il ragazzo si allontanò quel tanto da guardarla, le braccia abbandonate lungo i fianchi «Perché cosunque succeda tu, bipolare del cazzo, riuscirai sempre a farmi sentire un emerito idiota» Sirius sorrise tristemente, scuotendo la testa.
 
«E a me questa bipolare del cazzo piace»
 
Elisa strinse le labbra, cercando di pensare. Eppure non le venne nulla da dire.
 
«Ma questo alla fine non conta, no? Tanto cosa vuoi che-» la frase fu lasciata a morire nel silenzio mentre la ragazza, con uno scatto, si aggrappava al collo dell’altro. E sotto gli occhi stupiti di una folla sorpresa, Elisa baciò Sirius con quanta forza avesse in corpo.
 
Nonostante i lividi, le labbra di Sirius erano morbide come le ricordava. Cercò di imprimerci tutta la rabbia e la paura in quel contatto. Incredibilmente, le sembrò che il messaggio fosse ricambiato.
 
Le sembrò di camminare in paradiso. Effettivamente, non stava più toccando terra.
 
«Beh, questo cambia parecchie cose» la voce roca del ragazzo le sfiorò la guancia. Con più della delicatezza necessaria la rimise a terra.
 
«Smettila di ridere» gli sussurrò mesta lei punzicchiandogli la pancia. Il viso di Sirius, a pochi centimetri ancora dal suo, si aprì in un sorriso divertito. «è così sbagliato sentirsi felici in questo momento?»
 
«VOI»
 
I due si voltarono spaventati verso la voce. James incombeva su di loro come una nuvola di inquietudine. «Tu mi devi delle spiegazioni. Adesso» il ragazzo afferrò l’altro strattonandolo. «Ahia sono ferito» «Oh lo vedo» «Temo che il tempo per chiarire lo troverete in Infermieria» li interruppe la Mcgranitt con un sorriso tirato. Ad Elisa non sfuggì l’occhiata che le lanciò. «Su su forza» li spronò con un veloce gesto della mano.
 
«Ci vediamo dopo?» Elisa si voltò per incontrare lo sguardo speranzoso di Sirius. Vedendola annuire, un sorriso sincero naque sul suo viso. «A dopo» le stampò un veloce bacio per poi venire letteralmente trascinato alla porta da Madama Chips.
 
 
 
***
 
 
«Sei un’infame» Alice la guardò con sguardo accusatorio, scuotendo con lentezza la testa. Elisa sbuffò esasperata.
 
«Stavate insieme da così tanto e non ce lo hai mai detto?» «Mi avresti ucciso Lily» la rossa tacque a quel commento. La mora terminò l’ultimo boccone di torta al cioccolato. Dopo gli eventi di quel pomeriggio aveva particolarmente fame.
 
«Io ti capisco» la voce di Frank fece voltare il gruppo di ragazze. «A me non sarebbe piaciuto essere il centro di tanti pettegolezzi» fece notare loro con un occhiolino. Fu il turno di Alice di sbuffare.
 
«Tu non capisci» lo riprese con sguardo truce. «Ha portato Marlene al ballo… era un modo per depistarci, vero?» «In realtà gliel’ho detto io» la corresse l’altra con un sorriso dispiaciuto. «Dopo averlo insultato, ovviamente» «Ecco perché Piton» Alice le puntò un dito contro «Era tutto calcolato» «Non è del tutto vero» precisò Elisa osservando la rossa con la coda dell’occhio.
 
«Diciamo che mi serviva un pretesto per farlo arrabbiare» «Ricordami di non mettermi mai contro di te» Frank ridacchiò, continuando ad abbuffarsi di budino. «Andiamo a trovarli?» la voce di Lily la richiamò. «Avevi detto che vi sareste visti» le fece poi notare. «Oh giusto» si ricordò al momento «Vieni anche tu?» La rossa annuì, convinta.
 
Le due, dopo aver salutato gli amici, si diressero verso l’infermeria. Fecero la strada in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri. Solo a metà percorso Lily prese parola.
 
«Mi piace» «Cosa?» la mora si passò stancamente una mano tra i capelli. Doveva farsi una doccia e urgeva assolutamente prendersi qualche ora di sonno in più.
 
«Lui»
 
Si bloccò nel mezzo del corridoio, comprendendo solo allora il nocciolo del discorso. «Oh» Lily, qualche passo più avanti, la osservò mordendosi il labbro. «è una cosa tanto brutta, vero?» «Direi che è una cosa fantastica» la corresse l’altra riprendendo a camminare.
 
La rossa arrossì chinando il capo. «Non lo so» «Già confusa?» la canzonò l’altra svoltando l’ennesimo angolo. «Ho paura che questa cosa sia più grande di me» ammise Lily dopo qualche minuto di silenzio. Elisa si bloccò ancora. Questa volta, però, prese l’amica per le spalle.
 
«Siamo sempre piccoli, Lily. È un mondo talmente vasto che in suo confronto siamo semplicemente briciole. Non lasciare che la paura ti blocchi» «Da quando tu hai più esperienza di me in queste cose?» Elisa si staccò dall’altra con un ghigno «Non ce l’ho infatti» riprese a camminare ancora una volta. La porta dell’infermeria, dall’altra parte del corridoio, sembrava più vicina che mai. Quando vi giunsero davanti, la mora si girò verso l’amica un’ultima volta.
 
«Io improvviso» e con teatralità aprì la porta.
 
La stanza pareva più affollata del solito. Quattro ragazzi osservarono il loro arrivo. «L’orario delle visite è terminato» le riprese subito la voce di Madama Chips. Elisa cercò di indossare la miglior faccia contrita che avesse a disposizione.
 
«Sono solo preoccupata per-» «Solo cinque minuti» ordinò categorica la donna scomparendo nel suo ufficio.
 
«Da quando sei diventata così bugiarda?» Sirius, seduto sul letto poco più in là, la osservò avvicinarsi. I suoi lividi non erano molto migliorati, constatò dopo poco. «Già, è una cosa che le viene molto bene, a quanto pare» James le sorrise freddamente. O almeno ci provò.
 
«Lo stavi consolando eh? Brutta-» «Non era una bugia» lo interruppe lei con sguardo falsamente sofferente. «Lo stavo davvero consolando» James scoppiò a ridere, seguito subito dagli altri.
 
 
***
 
 
«Mi sto annoiando» «Lo hai già detto tre volte» Sirius sbuffò spazientito, appoggiandosi alla staccionata di fronte a sé. Della neve cadde a terra a quel gesto. La ragazza si sistemò meglio il mantello, cercando per quanto possibile di proteggersi dal freddo.
 
«Dovresti andare» le fece notare poi il Grifondoro indicando davanti a sé. Elisa scosse lentamente la testa, guardando nella direzione indicatagli. Una ragazzina Tassorosso iniziò a ridacchiare istericamente quando l’unicorno al suo fianco sbuffò, nervoso.
 
«Hai poi deciso dove passerai le feste?» lei scosse la testa nuovamente. Sirius respirò a fondo. «Pensavo di tornare a casa con James» le sopracciglia di lei si alzarono automaticamente. «Sai, sua madre non sta… non sta molto bene» spiegò cercando di sorridere. Fallì.
 
«Non ci sono problemi» «Sicura? Non voglio che tu stia da sola» Elisa sorrise un po’ più allegra. Benché non avesse proprio voglia di passare quel Natale da sola le piaceva l’idea che lui si preoccupasse. «Non mi succederà nulla» lo rassicurò pizzicandogli giocosa la pancia. Nonostante indossasse un pesante mantello, il ragazzo si spostò ugualmente.
 
«E così partite tra quanto?» Sapeva benissimo quando ma fece comunque finta di non saperlo. «Tra tre giorni» Sirius si fece di nuovo più vicino. Con la coda dell’occhio intravide poco più in là James discutere animatamente con Remus.
 
«Professore» Kettleburn si voltò stralunato. Il ragazzo con gli occhiali emerse dalla folla di studenti per lo più maschi al di fuori del recinto. «Posso toccarne uno anch’io?» Remus, dietro di lui, scosse la testa, esasperato.
 
«Mi dispiace signor Potter ma temo che anche solo la presenza di tanti alunni di sesso maschile li infastidiscano» «Ma da lei si sono fatti prendere» protestò il diciassettenne con sguardo critico. «Si fidi, signor Potter: lei non vuole venire a conoscenza di come me li sia procurati» I ragazzi si lanciarono degli sguardi perplessi.
 
Proprio in quell’istante un piccolo unicorno trotterellò nella loro direzione. Elisa si piegò sulle ginocchia, allungando una mano. Il puledro avanzò ancora, un po’ dubbioso. Quando la mano di lei sfiorò il manto oro dell’animale, la ragazza sorrise. Accarezzò delicatamente il muso, soffermandosi con particolare attenzione sul naso morbido. Il piccolo nitrì. Molti musi si voltarono nella sua direzione. Elisa intravide con la coda dell’occhio molte orecchie rizzarsi.
 
«Sai» lentamente si alzò, tornando all’altezza del ragazzo. «a volte è divertente essere me» La ragazza emise un fischio basso e lungo. Gli unicorni si guardarono straniti. Poi, quasi richiamati da una magia, si avvicinarono, lenti, abbandonando le ragazze che, scioccate, li osservavano allontanarsi.
 
Elisa scavalcò con un balzo il recinto, andando a sua volta incontro agli animali. Quando il primo unicorno le sfiorò il viso con il naso, un brivido freddo le corse lungo il collo. Quasi sovrappensiero passò la mano sul suo collo, sentendo il calore sotto i suoi polpastrelli.
 
«Ehi James! Non volevi mica…» il Grifondoro strabuzzò gli occhi nella sua direzione. Poi, molto lentamente, scavalcò a sua volta lo steccato. Il branco lo studiò diffidente. Quando mosse i primi passi nella loro direzione l’unicorno più vicino sbuffò scuotendo la testa, innervosito.
 
«Shh va tutto bene» l’animale fu richiamato dal suo sussurro. Elisa gli passò una mano sul muso, cercando di calmarlo. James si mosse con un’accortezza invidiabile. Solo quando le fu al fianco Elisa si voltò.
 
«Dai accarezzalo» «Potter, Stevenson. Cosa diamine state facendo?» Ignorarono la protesta del professore. «Non credo sia una buona idea» Sorrise alla sua titubanza. Cercando di non fare movimenti bruschi la Grifondoro si allungò per afferrare la sua mano.
 
James la lasciò fare. Sempre con la medesima fermezza gliela allungò nella direzione dell’unicorno più vicino che, pigramente, scosse la coda. «Non credo sia una buona idea» James ripetè la frase in un sussurro. Lei sorrise, comprensiva. «Stai calmo, loro sentono quello che provi tu» James chiuse gli occhi. Il luccicchio del corno di fronte a sé risplendé prepotentemente sotto le sue palpebre.
 
 
***
 
 
«Ho toccato un unicorno!» «Ramoso se non la smetti ora vengo lì e ti picchio» Elisa sorrise divertita allo scambio di battute. La felicità di James permeava l’aria intorno a lui, rendendola scoppiettante e briosa.
 
«Come diamine ci sei riuscita?» Peter le si affiancò, guardandola ammirato. «Ci riesco e basta» Un gruppetto di Tassorosso li superò velocemente, indispettite. Probabilmente non avevano preso molto bene la loro ultima interruzione.
 
«Gli animali sono più facili delle persone»
 
 
***
 
 
Come preannunciato i ragazzi partirono tre giorni dopo.
 
Fu abbastanza triste vederli uscire dal castello con i loro bagagli e fu ancora più difficile osservare le occhiate che Sirius continuava a lanciarle. Non gli andava di lasciarla sola, glielo aveva ripetuto più volte mentre di sera, in Sala Comune, i ragazzi si divertivano con gli scacchi. Elisa aveva sospirato a quei sussurri, conscia che le cose non sarebbero certo cambiate. Avrebbe compiuto diciassette anni e li avrebbe festeggiati come al solito: un libro e una sana coperta. Non aveva bisogno di nient’altro.
 
Neppure Lily sembrava felice all’idea di partire. Tornare dalla sua famiglia quell’anno sembrava per l’amica un supplizio insopportabile. A nulla erano valsi gli incoraggiamenti: Petunia, anche a molti chilometri di distanza, sapeva rendere l’atmosfera tetra e grigia.
 
Le vacanze, contro ogni previsione, furono per Elisa una  vera pacchia. La solitudine, che pareva osservarla da lontano come una coltre oscura, non la intaccò minimamente. Passò le sue giornate nella più completa calma, leggendo e studiando. Ebbe persino il tempo per allenarsi e, benchè non lo facesse da molto, trovò il tutto decisamente soddisfaciente.
 
La giornata dei suoi diciassette anni la trascorse normalmente, senza festeggiamenti di alcun tipo. Solo l’ultimo giorno di vacanze si diresse verso lo studio del Preside con un sorriso solare sul viso. L’aveva invitata per un the, probabilmente per festeggiare con lei quel giorno. Prima di svoltare l’ennesimo angolo la voce del Preside stesso la fece bloccare.
 
Silente si era rivolto a lei con molti toni. L’aveva spronata spesso, spingendola a dare il massimo di sé. Era stato comprensivo, saggio, fermo sulle sue decisioni. Tenendo conto del suo profondo senso di attaccamento nei suoi confronti era l’unica persona che un giorno, forse, avrebbe potuto chiamare padre.
 
Ma in quel momento, una fredda rabbia ad intaccargli la voce, Elisa pensò solo a rimanere immobile. Respirando silenziosamente si acquattò contro il muro, cercando di non farsi beccare.
 
«-inconcepibile. Temo che la sua presenza qui sia totalmente inopportuna» La ragazza deglutì. Sperò di non essere stata sentita. «Temo, Preside, che la mia presenza in questo luogo sia necessaria»
 
Il respiro della ragazza venne a mancare. Si accucciò, cercando di tenere a bada la nausea che le attanagliava lo stomaco. Se avesse avuto la certezza di non essere vista avrebbe vomitato volentieri.
 
«Ho bisogno-» «Mi dispiace, signor Asterion, la prego di allontanarsi»
 
Elisa si portò le mani al petto, dove il cuore pareva volerlo sfondare. Doveva stare calma e ragionare. Cosa voleva da lei suo padre? Vendetta? Probabile, a detta sua. Infangare un nome di un Purosangue non era una scelta intelligente. Le avrebbe fatto del male? Improbabile, anche se non impossibile. Non le avrebbe certo puntato la bacchetta contro alla presenza del mago più potente del secolo, ragionò. Avrebbe presumibilmente aspettato con calma, senza fretta, magari un momento di debolezza. Era lì per minacciarla? Con un rapido ragionamento, escludendo tutte le altre alternative, Elisa dedusse che sì, l’avrebbe minacciata. E lei non voleva. Inspirò a fondo, cercando di mantenere una calma apparente.
 
«Non è diritto di un povero vecchio poter parlare con la figlia che non vede da dieci lunghi anni giorni dopo il suo diciassettesimo compleanno?» La sua voce era così pretenziosa che nessuno gli avrebbe dato del povero vecchio. La mora pregò che il Preside avesse qualche asso nella manica.  «Temo non sia a scuola. È partita per le vacanze»
 
Elisa si arrischiò ad allungare uno sguardo al di là del muro. I due uomini si fronteggiavano l’uno davanti all’altro. Poteva vedere il profilo di entrambi.
 
Era invecchiato suo padre. I capelli biondi, che portava corti, si erano spenti, lasciando ben poco del suo antico fascino. Gli occhi, invece, terribilmente scuri, non avevano perso quella scintilla inquietante che lei tanto temeva. Vedere la figura slanciata che popolava i suoi incubi le provocò un brivido lungo la schiena.
 
Proprio in quell’istante Silente si voltò di poco nella sua direzione. Un lampo gli attraversò gli occhi. La Grifondoro si nascose di nuovo, non prima di aver intravisto un nuovo sorrisetto sul viso di Rodolphus.
 
«Temo» iniziò mellifullo l’uomo con voce gongolante «che invece la ragazza sia in questo castello» non impiegò molto a comprendere.
 
Lui sapeva che l’avrebbe trovata. Lui sapeva come ferirla. Ed entrambi sapevano che l’avrebbe fatto.
 
«Mi auguro» la voce fredda di Silente tagliò l’aria come un coltello «che la ragazza, come dite voi, sia abbastanza lontana da non poter essere raggiunta»
 
Una scarica di adenalina le percorse la spina dorsale. Quelle parole, così apparentemente semplici ed innoque, parevano una condanna a morte. Ed una nuova consapevolezza la raggiunse.
 
Lui non l’avrebbe più potuta aiutare.
 
Poteva evitare che la ferisse, che l’attaccasse. E questo lo sapeva anche Rodolphus Asterion. Ma proprio per questo lui avrebbe colpito lì dove non poteva essere difesa. Poteva ferirla in maniere molto più creative: psicologicamente, ad esempio. Farle pressioni, spaventarla, instillarle terrore giorno dopo giorno finchè la sua mente avrebbe ceduto. Era un piano ambizioso ma non impossibile. A quelpensiero si sentì completamente nuda.
 
Elisa si alzò più velocemente possibile. Lanciò un incantesimo non verbale verso le scarpe, rendendole silenziose, e poi, con uno scatto, si gettò dall’altra parte del corridoio.
 
Doveva andarsene.
 
Scese le scale incespicando. Ogni qualvolta si fermava per riprendere fiato le parole appena udite le perforavano la mente.
 
Abbastanza lontana.
 
Quanto era abbastanza lontana? Un chilomentro, due, tre? Elisa si catapultò fuori dal castello con un ultimo scatto. Solo allora si bloccò, momentaneamente persa. Avrebbe potuto nascondersi nella Foresta Proibita, anche se dubitava di poter sopravvivere per più di qualche minuto a quel freddo. Non si era nemmeno portata un mantello. Solo allora si maledisse per la sua felpa striminzita. Rimanere a quella temperatura era fuori discussione.
 
Si passò nervosamente le mani lungo il busto, per poi fermarle definitivamente sotto le ascelle. Sentì il naso ghiacciare con lentezza.
 
Rimanere al castello era impossibile. Uscire era impensabile.
 
La consapevolezza della pazzia a cui stava andando incontro le diede la forza per muovere il primo passo nella neve. Le sue misere scarpe da ginnastica affondarono completamente nel manto bianco. Sentì le calze inzupparsi all’istante.
 
La sua corsa divenne quasi una lotta per la sopravvivenza. Ogni passo sembrava costarle tutta la forza di volontà di cui fosse capace. Dopo l’ennesima falcata sprofondò nella neve fino al ginocchio. Osservò sconfitta i suoi jeans completamente fradici. Continuò la sua corsa, iniziando lentamente a costeggiare la foresta proibita.
 
La luce del sole era completamente scomparsa. Una radice le fece perdere l’equilibrio. Prima di cadere completamente nella neve la figura umana lasciò posto a quella felina. Non appena la pelliccia entrò in contatto con la neve Elisa seppe che il tempo che aveva a disposizione era praticamente dimezzato. Sarebbe morta di ipotermia se non si fosse sbrigata. La tigre sfrecciò nella neve, lasciando una nuova traccia nel manto candido.
 
Quando finalmente arrivò a destinazione Elisa tornò umana. Il punto di Materializzazione mostrava un solo paio di impronte che, dedusse, erano dell’uomo da cui stava scappando. Si voltò più volte, studiando lo spazio che la circondava. E poi si concentrò. Non aveva molte possibilità. Cercò di riportare alla mente le nozioni acquisite.
 
Si concentrò e pregò, sperando che qualcuno la aiutasse. Un rumore alle sue spalle la fece voltare. La figura di Hagrid comparve tra i tronchi degli alberi più vicini. «Ehi cosa diamine-» Prima che potesse anche solo finire la frase, due occhi rossi preannunciarono il sonoro CRAC che spezzò l’aria e che portò la ragazza lontano dal passato.
 
 
 
 
Angolo autrice
Salve! Spero il capitolo vi sia piaciuto. Vi auguro un nuovo felice anno e un dolce riposo
Alla prossima
Eli
   
 
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