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Autore: rossella0806    31/12/2016    3 recensioni
Regno di Sardegna, gennaio 1849.
Costanza Granieri si è svegliata per l'ennesima volta spaesata e affranta: da quando si è trasferita in città, lontano dalle sue abitudini e dai suoi affetti, la notte non riesce a dormire.
L'unica cosa che desidera è ritornare alla vita di prima, nel paese di montagna che l'ha vista crescere: la sua sola consolazione risiede nella corrispondenza epistolare che intesse con la nonna materna, influente donna della comunità che ha dovuto abbandonare.
Sullo sfondo delle vicende della famiglia Granieri e dei Caccia Dominioni, in mezzo a personalità nobili e giovani rivoluzionari, va in scena la battaglia della Bicocca, combattuta nelle campagne novaresi il 23 marzo 1849, tra lo schieramento dei piemontesi e quello degli austriaci, nemici giurati di un intero popolo.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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"Chiunque sia sospettoso invita al tradimento."

(Voltaire, principalmente filosofo francese, 1694-1778)



L’intera giornata era trascorsa serenamente, ammantata da sentimenti di speranza e di gioia per il ricongiungimento con l’adorata nonna Maria.

Era stato lo stesso Nicolò a raccontarle le disavventure che gli erano capitate nell’ultimo mese e mezzo –e che lui stesso aveva ammesso di essersi cercato-, dalla fuga di notte da palazzo Granieri, all’arruolamento sotto mentite spoglie nell’Armata sarda, fino all’attraversata sul Ticino e le conseguenti battaglie campestri in terra lombarda e piemontese, con la rovinosa disfatta della Bicocca, proprio alle porte di Novara.
Il ragazzo narrava con lucidità e coinvolgimento emotivo ciò che aveva dovuto subìre in prima persona, senza mai permettere alla follia di un tempo o all’estremismo del passato di prendere il sopravvento sull’intelligenza riacquisita.
Il resto della famiglia –donna Luisa, don Armando e la piccola Costanza- subivano il medesimo fascino oscuro dei racconti di Nicolò, sentendoli per la prima volta anche loro: rinchiusi nel boudoir dopo un pranzo che non si sarebbe potuto definire abbondante a causa della penuria delle scorte che la servitù aveva dovuto racimolare in così breve tempo, sussultavano ed inorridivano assieme alla marchesa Mellerio nell’udire le gesta eroiche dei soldati sabaudi e della Brigata Piemonte, a cui il giovane aveva fieramente preso parte.
“E questo è tutto” concluse con un sorriso amaro il primogenito del notaio, allargando le mani in segno di resa.
Seduto su una delle poltroncine rosse della stanza, le tende spumose tirate a far entrare il caldo sole pomeridiano, Nicolò sembrava aver esaurito forze e voce, ma continuava ad apparire sereno.
“Non provo il desiderio di raccontarvi della mia convalescenza, nonna, ma sappiate che sono stato curato amorevolmente anche grazie alla mia cara sorella, un vero angelo che è venuta a trovarmi ogni singolo giorno delle oltre due settimane in cui sono stato rinchiuso lì dentro”
Gli occhi velati e lucidi per la commozione, il ragazzo cercò la mano di Costanza e la accarezzò dolcemente, stringendola con tenerezza e riconoscenza.
Lei si schernì timidamente, dicendo che aveva fatto semplicemente il proprio dovere di sorella devota, e che lo avrebbe rifatto altre mille volte se fosse servito a ridargli la fiducia in se stesso e la voglia di vivere che adesso vedeva splendere in lui.
“Sono orgogliosa di entrambi, figlioli. Siete dei nipoti forti e tenaci, i migliori nipoti che avessi mai potuto avere, credetemi”
Nonna Maria si alzò dallo scranno dorato che donna Luisa le aveva ceduto, e si avvicinò con slancio ai due giovani, abbracciandoli affettuosamente.
“Non volete andare a riposarvi per qualche ora?” suggerì la figlia della marchesa, asciugandosi distrattamente una lacrima con il fazzolettino di seta che aveva tirato fuori da una manica dell’abito verde da giorno.
“Il viaggio è stato lungo e tortuoso, lo avete ammesso anche voi. E tutte queste emozioni di certo vi avranno fiaccato nel corpo e nello spirito, madre. Cosa ne dite?”
“Sì, donna Maria, Luisa ha ragione. Manca ancora qualche ora alla cena, approfittate per riposare e recuperare le forze, di modo che potrete raccontarci nel dettaglio gli ultimi avvenimenti accaduti a Santa Maria Maggiore. La nostra Costanza non ci ha mai parlato delle lettere che eravate solite scambiarvi, sapete?” s’intromise don Armando, indirizzando uno sguardo eloquente alla secondogenita.
“E va bene, mi avete convinto” si arrese la nobildonna, fingendosi irritata.
“Ma a patto che venga anche Costanza: lei ed io dobbiamo discutere di certe faccende…femminili”
La ragazza la guardò non capendo a cosa si stesse riferendo, ma fu ben lieta di rincantucciarsi per qualche ora tra le braccia dell’adorata nonna, come era solita fare quando era più piccola.
Salutarono i presenti, mentre donna Mellerio accarezzava affettuosamente ancora una volta il bel volto di Nicolò, quindi salirono a braccetto la scalinata di marmo che conduceva al primo piano.
Percorsero il lungo corridoio e si fermarono davanti ad una porta bianca sulla destra, appena dopo quella della camera da letto di Costanza.
Entrarono e si accomodarono sul baldacchino dai tendaggi zaffiro e lo scendiletto persiano che ricopriva il caldo parquet illuminato dai raggi solari.
Si tolsero gli stivaletti e si buttarono sul letto, sorridendo soddisfatte.
“Ah nipotina mia, quanto mi sei mancata!” esordì la donna anziana, abbracciando e baciando la giovane, che ne approfittò per accomodarsi sul suo petto.
Il profumo di talco, di sapone e di mandarino inebriarono le narici di Costanza, che all’istante si risentì a casa, nelle sue adorate valli.
“Anche voi, nonna, mi siete mancata immensamente. Pensate che stamane era mia intenzione scrivervi per invitarvi a trascorrere un po’ di tempo in nostra compagnia, invece ci avete fatto una bellissima sorpresa, anticipandoci sui tempi!”
Donna Maria accarezzò la testa riccioluta della nipote, baciandola con gioia.
“Mi sentivo sola, bambina mia, mi sentivo tanto sola, e appena la neve si è sciolta e la pioggia ha smesso di molestarci, ho preso questa decisione: e poi, ad essere del tutto sincera, le notizie della disfatta del nostro Esercito sono giunte fino a Santa Maria, sebbene fossero notizie confuse e spesso contraddittorie. Il tuo lungo silenzio e l’interruzione dei collegamenti, anche a causa dell’arruolamento più o meno forzato di molti giovani, non hanno certo giovato sul morale e sullo stato d’animo di una povera vecchia come me, tesoro, e sentivo che era mio dovere venire a sincerarmi di persona come stessi tu, l’irruento Nicolò, e perfino tua madre e tuo padre”
Costanza alzò lo sguardo, ritrovando la limpidezza e l’ingenuità degli occhi cerulei dell’adorata nonna: quanto le era mancato quello sguardo intelligente e sincero, quanto aveva desiderato baciare quelle guance magre e morbide, prive di rughe, e sentirsi avvolgere dal calore di un abbraccio autentico e disinteressato qual era sempre stato quello della marchesa.
Le sorrise e le accarezzò la chioma bianca, che a tratti veniva attraversata dai riflessi dorati della luce non ancora prossima al tramonto.
Quasi pianse di contentezza nel realizzare che la nonna era lì con lei, ridacchiando mentalmente per quel naso a patata che la nobildonna tanto detestava, e per quella bocca sottile che, invece, racchiudeva un sorriso caldo e gentile per chiunque.
Affondò di nuovo il volto sulla sua spalla, reprimendo tutti i sentimenti che le avevano oppresso il cuore in quell’ultimo estenuante mese e mezzo, riconoscente al Destino.
“Di cosa volevate parlarmi?” continuò la ragazza, stringendole la mano.
Solo allora si accorse che era la stessa mano di sempre, un po’ fredda sul dorso, dalle dita affusolate e la carnagione leggermente scura, con le vene ben in rilievo e le unghie squadrate, una mano che aveva saputo consolarla ed accarezzarla con amorevolezza perpetua.
“Di niente, piccola Costanza, era solo un modo per poter stare da sole, tu ed io, senza temere che tua madre venisse a disturbarci!” sorrise innocentemente la nobildonna, ammiccando con aria cospiratrice.
La nipote sorrise soddisfatta e cominciò a farle il solletico, uno dei loro giochi di quando era bambina: continuarono così per qualche secondo, quindi decisero per una tregua.
Sprimacciarono per bene i cuscini e, dopo essersi scambiate l’ennesimo sorriso, si addormentarono l’una vicino all’altra.

 
Un paio di ore più tardi, intorno alle sei e mezza, il campanello e il batacchio del portone d’ingresso risvegliarono prepotentemente
gli abitanti del palazzo dalla gioiosa apatia in cui erano piombati.
Il maggiordomo era andato ad aprire con la solita compostezza che lo contraddistingueva, e aveva annunciato a donna Luisa l’arrivo di due ospiti che avevano urgente necessità di parlare con la signorina Costanza.
Nina, la giovane cameriera della ragazza, corse per le scale ad avvisare la padroncina, ancora sdraiata sul letto in compagnia di nonna Maria.
La secondogenita del notaio si mise a sedere con uno scatto, per una frazione di secondo non ricordandosi di dove si trovasse.
Si passò una mano tra i capelli, accorgendosi dallo specchio ovale e dalla cornice dorata all’altro capo del muro, vicino alla toeletta in legno di ciliegio, di avere una parvenza decisamente poco presentabile, a causa dei folti ricci scuri che le si erano sciolti ed aggrovigliati sulle tempie.
“Che sta succedendo, mia cara?” volle sapere la marchesa, anch’essa messasi a sedere.
“Non lo so, nonna. C’è qualcuno dabbasso che desidera vedermi”
Subito il pensiero corse a Pietro, l’adorato e coraggioso cugino di cui ancora non aveva avuto modo di parlare a donna Maria.
Domandò a Nina di aiutarla a pettinarsi, dal momento che le dita della servetta erano abili e veloci, e finalmente fu pronta.
Tutte e tre le donne scesero al piano terra, Costanza incuriosita e dandosi della sciocca per non aver domandato chi fossero gli improvvisi ospiti che tanto urgentemente la stavano attendendo.
Quando si ritrovò davanti il maestro Rossini e Maffucci, un groppo alla gola la assalì, forse anche a causa dei volti preoccupati che non lasciavano presagire nulla di positivo.
“Buonasera a voi, Costanza. Dove possiamo parlare in tutta tranquillità?” non perse tempo l’insegnante di musica, avvicinandosi e dimenticandosi di inchinarsi secondo le norme del galateo.
“Così la allarmerete soltanto, Paolo” s’intromise l’avvocato dai baffetti.
La giovane non stava capendo nulla di quel dialogo, ma non riuscì a non stupirsi all’udire il nome di battesimo di Rossini: Paolo era un bel nome, si ritrovò a pensare, un nome che tuttavia non avrebbe mai immaginato appartenesse a quell’uomo, che lei all’inizio della loro conoscenza aveva puerilmente soprannominato il becchino o a cui si era sempre rivolta con la dedizione che comportava l'accezione di maestro.
“Fermatevi un istante, signori!” li zittì, ritrovando la calma e la lucidità.
Donna Luisa e nonna Maria erano in piedi dietro di loro, mentre la piccola Nina si era già dileguata per raggiungere il resto della servitù al piano inferiore.
Costanza guardò madre e figlia e sorrise, dunque si scusò e indirizzò i nuovi venuti verso il boudoir alla loro destra.
Una volta fatti accomodare gli ospiti, richiuse dietro di sé la porta decorata ad acquerello, quindi congiunse le mani e trasse un profondo respiro.
“Bene, adesso che siamo da soli, abbiate la compiacenza di spiegarmi singolarmente che cosa sta accadendo di così importante da venire fino a qui a quest’ora e, soprattutto, toglietevi dalla faccia quell’espressione cupa!”
Maffucci e Rossini si lanciarono un’occhiata reciproca, aprendo la bocca per ribattere.
Eugenio, un biglietto stropicciato e con la ceralacca ormai a brandelli tra le mani, attese il cenno d’assenso dell’insegnante di musica, e finalmente iniziò a raccontare.
“Poco più di un’ora fa ho ricevuto questo da parte di Pietro. E’ indirizzato a me e a Paolo, ma siamo dell’idea che sia importante che conosciate anche voi il suo contenuto, cara Costanza…”
La giovane, fino ad allora in piedi davanti a loro, capì che la situazione stava prendendo una piega assai amara, e che forse sarebbe stato meglio sedersi per evitare di incorrere in spiacevoli sorprese.
“Continuo a non capire, signori. Abbiate la benevolenza di parlare in modo chiaro e diretto, senza ulteriori preamboli”
L’avvocato trentenne annuì, mentre Rossini si soffiò il naso, forse un po’ troppo rumorosamente per l'occasione.
“Ecco, tenete…” si arrese Maffucci, consegnandole il foglio che aveva tra le dita.
Lei lo prese e cominciò a leggerlo, il cuore che le martellava nel petto e le tempie che le pulsavano in modo incredibilmente fastidioso.

Cari amici, se entro le ore 19 di quest’oggi, lunedì 30 aprile, anno del Signore 1849, non mi vedrete ritornare in città e, più precisamente tu, fedele Eugenio, non udirai il campanello della tua porta suonare per mano mia, venite a recuperare il mio corpo in località cascina Valstrona, a una dozzina di chilometri dal circondario novarese. Insieme a me, che Dio non voglia, potreste trovare anche i marchesini Tornielli, Guido e Andrea. Ricordate che la nostra causa è stata per me fonte di orgoglio e di assoluta dedizione, e che tutto questo, se accadrà, accadrà per volontà di taluni stolti che, accecati dal denaro o dal potere, hanno ammorbato la mente di colui che è stato sangue del mio sangue. Eugenio caro, Paolo caro, vi saluto e vi ringrazio per l’amicizia che mi avete donato. Portate i miei omaggi alla dolce e forte Costanza, e alla famiglia tutta. In fede, conte Pietro Alberto Ermanno Caccia, lì Novara, 30 aprile 1849

Costanza deglutì e socchiuse la bocca carnosa, lasciando scivolare sulle ginocchia l’epistola che, amaramente, appariva come le ultime volontà dell’adorato cugino.
Strizzò con rabbia il bracciolo della poltrona, mentre avvertiva un senso di nausea e di impotenza cingerle la vita.
“Si riferisce a Federico, non è così?” riuscì a dire, evitando di fissare negli occhi i due ospiti.
“Sì, crediamo di sì” annuì con un filo di voce Eugenio, le dita intrecciate davanti a sé.
“Ma l’ora designata non è ancora scoccata, mia cara!” cercò di tranquillizzarla Rossini, protendendosi verso di lei.
Abbozzò un sorriso assai mesto, quindi sospirò a sua volta.
“Non dobbiamo disperare, amici, è questo che sto cercando di dirvi” continuò l’insegnante di musica, ritrovando l’aria battagliera e vagamente ironica che lo aveva da sempre contraddistinto.
“Nessuno ha intenzione di farlo” ribatté a sua volta la ragazza, sollevando il mento, gli occhi verdi infuocati.
“Che ore sono?” domandò, mentre con lo sguardo cercava la pendola appesa in un angolo vicino alla porta.
Erano le sei e quarantacinque: in effetti, con un briciolo di fortuna e con una buona carrozza, avrebbero potuto raggiungere la cascina in poco tempo.
“Qualcuno di voi conosce il luogo nominato da Pietro?” proseguì imperterrita Costanza, alzandosi.
“Sì, non è lontana. Nel giro di venti minuti, non di più, dovremmo riuscire a raggiungerla, ma dobbiamo fare in fretta, dobbiamo subito metterci in marcia” spiegò Maffucci, abbandonando a sua volta il posto, seguito da Rossini.
“Molto bene. Con quale vettura siete venuti? Con una di cortesia?”
“Con la mia nuova e fiammeggiante Landau, è ovvio” la corresse orgoglioso l’avvocato.
“Era quello che volevo sentirmi dire, così non perderemo tempo a far preparare la nostra vecchia ed umile carrozza” calcò con una punta di sarcasmo e di insofferenza, per poi concludere:
“Forza, muoviamoci, signori”
I tre uscirono dal boudoir e, l’ingresso deserto, uscirono sul vialetto, dove incontrarono donna Luisa e nonna Maria.
“Tornerò per cena, madre” la rassicurò, quindi salutò con la mano la marchesa e corsero verso la loro destinazione, pregando che Pietro fosse ancora in vita. 
   



NOTA DELL'AUTRICE

Buon fine anno a tutti e buon principio 2017!
Ho dovuto dividere il capitolo perché troppo lungo, quindi alla fine del racconto mancano altri cinque capitoli (epilogo incluso).
A presto e grazie ad ognuno di voi che continua a seguire la storia :)

   
 
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