5. Last Hero
Hai creduto fermamente in qualcosa,
dal giorno in cui sei nato…
Ti sei battuto e hai sofferto anni e
anni per sostenere il tuo ideale…
Hai perso amici, compagni e fratelli
nell’attesa della risposta…
Anche nel momento di maggior sconforto hai mantenuta salda la tua fede…
Hai scoperto di aver…sbagliato…(1)
- Notizia
dell’ultima ora: la Nona Torre di Jirohu è stata
abbattuta proprio pochi minuti fa dalle forze armate del Keithat.
Delle Dieci Barriere che proteggevano il nucleo principale della città di Jirohu ne sono rimaste a malapena
due. Nelle prossime ore vi daremo notizie più aggiornate…- premendo un semplice
pulsante, il giovane barista fa tacere l’attrezzo luminoso che brilla alle sue
spalle, ponendo termine al suo continuo chiacchierare. La notizia che la bella
giornalista ha appena dato non sembra colpirlo molto, al contrario di me…ognuna
di quelle Barriere aveva un significato per me, e ora, man mano che vanno giù, che si sgretolano come castelli di sabbia, ogni
mia fede va perduta con esse, sbriciolandosi e facendomi rimanere senza nulla
in cui riporre il mio credo. No, non ci voglio pensare!
Batto il
bicchiere, stretto nella mia mano, sul bancone, indicando il mio desiderio di
bere ancora. Sarà il quattordicesimo o il quindicesimo che bevo sta sera? Beh, non m’importa…ormai più
nulla m’importa…
Nonostante
il mio capo sia chino, pesante sotto il peso dell’alcool, posso notare lo
sguardo rassegnato che il barista mi rivolge, prima di riempire, con un
profondo sospiro, il mio bicchiere fino all’orlo. Ormai non ha più la forza per
ribattere, per incitarmi ad andare avanti, come inizialmente era
solito fare. Ora la sente, la sente bene quell’aura
suicida che sempre mi accompagna, senza mai trovare la propria vittoria.
Non posso
accontentare, infatti, quella sensuale signorina chiamata Morte, la quale
continua a invocare il mio nome con voce suadente,
poiché io stesso non posso privarmi della mia vita.
Buffo,
vero? Dopotutto quando ci definiamo possessori di una cosa, pretendiamo che
essa sia completamente guidata dalle nostre mani, pretendiamo che essa non
abbia né la forza né la volontà di decidere per se stessa e questo nostro
sentimento è il medesimo, sia che la “cosa” sia un
oggetto inanimato o che essa sia un essere animato…a noi è indifferente.
- Sumei-san?! – mi chiama cautamente il ragazzo dietro il
bancone, mentre io lascio scivolare il bollente liquido giù per la mia gola. I
miei occhi, appannati dalla leggera sbronza, che ha iniziato a giocare nella
mia testa, si alzano pesantemente su di lui, dandogli cenno che lo sto ascoltando
- Non
credete sia troppo per sta sera? – mi chiede
gentilmente, fissandomi con quei suoi grossi occhi verdi. Abbozzò
un sorriso, intenerito per l’apprensione che mostra per me, un completo
sconosciuto…va beh, sconosciuto forse è dire troppo! In fin dei conti sono qui ogni sera…
E poi, in
un breve attimo, in un gioco tra luci e ombre, ecco che all’immagine del
ragazzo che mi sta dinanzi se ne sovrappone una molto simile…un fantasma, un
ricordo del mio passato: Elya…
Scuoto la
testa, ritrovandomi di nuovo di fronte al barista, che continua a guardarmi con
quei suoi occhi smeraldo, piegati in quel medesimo sguardo che lei mi dedicò al
nostro primo incontro. Il mio sorriso, allora, si tinge d’amaro: nonostante
tutto questo tempo, nulla si è cancellato dalla mia memoria, rimanendo vivido,
impresso a fuoco nella mia mente…
Stanco,
poggio il capo sulle mani, abbandonate mollemente sul bancone. Sono stanco di
vivere!
Non avrei
mai pensato di dirlo, ma lo sono…tanto stanco di
questa misera vita da ubriacone. L’immagine che ogni mattina vedo
nello specchio mi disgusta, mi da la nausea e in essa stento a riconoscere quel
giovane pieno di vita e ideali che ero tempo addietro. Già, gli ideali! Quegli
ideali che esaltavo come perfetti, e che sono stati la
causa della mia trasformazione in quest’abominevole
mostro gonfio d’alcool.
- Sumei-san, si sente poco bene? – mi chiede allarmato il mio giovane interlocutore
- Sono
stanco – mi limito a mormorare, in risposta
- Volete
che chiami qualcuno perché vi porti a casa? –
- No, non è
di quel tipo di stanchezza che parlo – spiego, alzando il volto su di lui e
permettendo al suo sguardo d’indugiare su di esso: i
miei tratti sono ancora giovani, eppure già così stremati…
- Sono
stanco di vivere – chiarisco, guardandolo fisso negli occhi, in modo che possa
capire quanto sono serio. E questa dev’essere
stata una bella botta per lui! I suoi occhi, infatti, si sono allargati
stupiti, insieme alla sua bocca…dio mio, è così simile a lei che mi fa male
guardarlo.
Per farlo
riprendere dallo shock, lo riscuoto con una domanda del tutto innocua
- Come ti
chiami, bouya(2)? -
- Hiro-Hiroyuki, signore -
- E mi faresti un favore, Hiroyuki?
-
I miei
occhi, neri come il mio animo perso chissà dove, lo osservano, penetranti, da
quelle misere fessure che riesco, faticosamente, a
tenere aperte. Il giovane che mi sta dinanzi sembra essere, comunque,
stato messo in soggezione dal mio sguardo, in cui sono impressi tutti quei
volti morenti di coloro che chiamavo fratelli.
- Sì,
signore. Di che si tratta? – mi chiede dubbioso, tentennando il capo bruno da
un lato.
Mi do un
veloce sguardo intorno, rilassandomi non appena noto che nel locale io e Hiroyuki siamo gli ultimi rimasti, in qualche modo i
sopravvissuti a quella lunga serata…
Scuoto
nuovamente la testa, cercando di scacciare quei pensieri. Possibile che ogni
cosa mi debba ricondurre con violenza al mio passato, che, per ironia della sorte, desidero tanto dimenticare?
Con un
secco rumore metallico, poggio la mia fidata katana
sul bancone, sotto lo sguardo preoccupato di quei
smeraldi.
Oh Elya, se tu fossi qui…di certo me
la tireresti in testa questa katana, urlandomi un tuo
sonoro – Sei forse ammattito? -, che tanto dicevo d’odiare.
Ora, pagherei tutto l’oro del mondo per sentirlo di nuovo, anche solo sottoforma di un sospiro…
- Su-Sumei-san?! -
- Uccidimi
– dico deciso, con la voce ridotta a un sussurro
- C-come? – balbetta incredulo Hiroyuki,
allargando maggiormente le iridi di giada.
- Uccidimi –
ripeto, con un tono leggermente più alto, così che il barista non creda di sentire male – Liberami da questa esistenza
insensata –
- Sumei-san, credo che lei abbia bevuto
troppo sta sera – dice scuotendo pazientemente il capo, e tentando di
andarsene, magari per chiamare qualcuno che mi riporti nella mia lurida casa.
Ma prima che possa farlo, la mia mano afferra il suo polso, obbligandolo a
restare qui, davanti a me
- Non è
l’alcool che mi fa parlare così. Io voglio davvero morire – lo trafiggo da
parte a parte con i miei occhi neri come pece, e lui indietreggia finché la mia
stretta glielo permette, quasi come intimorito dalla decisione del mio sguardo
- Lo
desidero davvero - ripeto, abbassando il capo, per impedirgli di leggere il
dolore che, so, è vivo nei miei occhi. La mia mente si ostenta a usare il solito atteggiamento da fiero guerriero,
nonostante quel tempo sia ormai finito
- E perché? – mi riscuote la sua domanda
Il mio
sguardo si alza su di lui – Mh?! – mi limito a fare,
sott’intendendo che desidero risentire la sua richiesta
- Perché vuole morire, Sumei-san? –
- Ah, se
dovessi raccontarti tutta la storia resteresti dietro
questo bancone per ore – gli rispondo, ridendo istericamente. E’ una risata che
stento a riconoscere come la mia, quella penetrante e schernitrice che ero
solito usare e che ora è un pallido particolare di quel tempo in cui potevo
definirmi vivo.
- Come vede non sono impegnato - ribatté lui, indicando vagamente
lo spazio intorno a noi – Mi racconti la sua storia, Sumei-san
–
Nel
pronunciare il mio nome, i suoi occhi tornano sul mio volto permettendomi di
vedere quanta onestà e decisione e racchiusa in essi.
Soprafatto da uno sguardo del genere mi rassegno ad
assecondare quella richiesta e, con un profondo sospiro, mollo la presa
sull’esile braccio di Hiroyuki, tornando a sedermi
sullo sgabello che ho occupato per tutta la sera. Non ci vuole molto prima che
il ragazzo scivoli sul bancone, per poi sedersi sullo sgabello posto al mio
fianco, puntando le sue gemme verdi su di me. Lo sento così bene il suo
sguardo…così bene…
Le mie dita
prendono a giocherellare sul bordo del bicchiere che mi sta dinanzi e la mia
pelle si bagna delle ultime gocce di quell’elisir che
ho ingurgitato per tutta la sera. Questo futile gesto sembra smorzare un po’ la
tensione che mi avvolge, dandomi la forza d’iniziare
- Sai cosa
sono le Dieci Torri di Jirohu, bouya?
– esordisco, continuando a tenere i miei occhi fissi sul bicchiere vuoto
- Sono le
Dieci Barriere che proteggono il nucleo centrale della città di Jirohu…- sembra un po’ incerto sulla risposta, così mi
costringo ad annuire per dargli la conferma che ciò che ha appena detto è
esatto
- E sai cosa c’è nel nucleo di Jirohu?
–
- Mia madre
una volta mi disse che vi erano imprigionate le fonti vitali di tutto il
pianeta, in modo che solo Hamatazi ne
avesse il domino, ma anche che esse andarono perdute con l’inizio della
guerra -
- Andarono
perdute a causa della guerra. Ma non
tutte fecero quella fine…- lo correggo con un mormorio
confuso, prima di porgli un’altra domanda, su un argomento del tutto differente
– Sai cos’è l’Esercito dei Horyu? -
Al nome che
ho appena nominato, vedo la sua mano, abbandonata sul bancone, stringersi in un
pugno e iniziare a tremare, mentre a fatica, quasi gli costasse un enorme
sforzo, mi da la risposta che ho chiesto
- E’ il
gruppo armato messo a difesa delle Dieci Barriere…- risponde e non posso fare a
meno di notare una nota furiosa che gli piega la voce, prima così cordiale e
gentile
- Non solo
– lo correggo nuovamente, ignorando volutamente il suo tono di voce, mentre le
mie dita smettono di danzare sul bordo del bicchiere – Era… – uso più che
volutamente il passato, visto che prevedo già da tempo
la disfatta di questo temuto Esercito - un gruppo che creò lo stesso Hamatazi, inculcandogli degli ideali tanto splendidi quanto
fasulli: la pace, la prosperità, una vita serena per tutti…- la mia voce si è
velata di un profondo rancore, che mi trascino dietro dal mio passato.
- Consoli
al loro nome(3), portavano fiamme e distruzione a
chiunque li sfidava, ma non perché questo li divertisse. No, non si divertivano
affatto…- le mie parole vengono interrotte bruscamente
dal mio ascoltatore
- Si sono
divertiti molto ad ammazzare mia sorella, però – dice, con un fremito di rabbia
che gli fa tremare la voce, non ancora completamente matura a causa della
giovane età.
Sospiro pesantemente – Mi dispiace per tua sorella. Ma gli Horyu non si sono mai divertiti ad ammazzare la gente, Hiroyuki -
- A no?! –
ribatte, ancora impigliato nella rete della furia – E lei come fa a dirlo? -
- Perché io ero uno di loro – sussurro pacamente,
non degnandomi nemmeno di sfidare quegli splendidi occhi verdi, che, so già, si
sono allargati all’inverosimile per la sorpresa. Incurante di ciò che il
ragazzo possa aver pensato, continuo imperterrito la
mia presentazione – Ero il Generale messo a capo delle truppe a difesa della
Terza Torre di Jirohu -
- Co..cosa?! – è l’unica parola che
riesce a balbettare quella bocca dalle linee lievemente femminee
- Lasciami
spiegare tutto dall’inizio.
Come saprai
già, Hamatazi é colui che
fece costruire le Dieci Barriere per proteggere il nucleo di Jirohu e per proteggere, soprattutto, le preziosissime
fonti vitali. Il suo scopo, come ti avranno già detto, era sfruttarle a suo piacimento,
guadagnando mucchi di quattrini nel venderle a coloro che si trovavano al di
fuori delle Dieci Torri. Persino l’acqua fu venduta a prezzi esorbitanti, a cui
molte persone spesso non potevano accedere…-
un’espressione disgustata mi storpia il volto, prima che esso torni alla
normalità – Il fatto è che, a coloro che vivevano all’interno del nucleo di Jirohu, la storia raccontata era del tutto differente: Hamatazi era un eroe -
Il giovane brunetto scatta in piedi furioso,
urlando – Come si può definire eroe una bestia del genere?! -
Finalmente i mie occhi si osano ad alzarsi sul suo volto, che è coperto
da una maschera rabbiosa e infuocata. I miei frammenti di carbone indugiano su
di lui per lungo tempo e sembrano, stranamente, avere il potere di calmarlo.
Mitemente, infatti, torna a prendere posto, mormorando delle scuse imbarazzate
- Non
preoccuparti. E ‘ normale reagire così - lo
tranquillizzo, prima di ritornare alla mia storia – Hamatazi,
ci raccontavano, aveva costruito quelle Torri per salvare almeno una porzione
della popolazione dalla devastante guerra che stava corrodendo tutto il nostro
pianeta. Neanche nei nostri sogni più lontani avevamo immaginato quanta
crudeltà e perversione, in realtà, ci fossero nelle
sue azioni.
Puoi
immaginare che, con tali idee per la testa, non era
difficile trovare reclute, sia maschili che femminili, per l’Esercito dei Horyu. Tra questi c’eravamo anch’io, i miei futuri compagni
e una giovane ragazza, che si faceva chiamare Elya,
ovvero colei che sarebbe stata la mia compagna di unità…
Tutti noi
eravamo pronti a lottare per mantenere la pace al di qua
delle Torri, per difendere il nostro mondo dal resto del pianeta…questi
erano i nostri ideali…-
Un sorriso
amareggiato sfiora le mie labbra, ancora imbrattate dal acre
odore dell’alcool, al ricordo della ragazzina piena di vita che aveva iniziato
a infastidirmi fin dal primo giorno d’addestramento
- Non
capisco – ammette piano Hiroyuki, distogliendo la mia
mente dalla figura femminea dei miei ricordi –Non vi siete mai chiesti perché
quegli uomini volevano conquistare il nucleo di Jirohu?
-
- Certo che
ce l’eravamo chiesto! – esclamo, abbozzando una mezza
risata, per niente gioiosa – La risposta fu che essi volevano le nostre fonti
vitali e che se fossero riusciti a ottenerle il nostro
pacifico mondo sarebbe crollato come un castello di carte – vedo il ragazzo
tentare di ribattere qualcosa, ma prima che possa riuscirci lo blocco con una
repentina spiegazione – Ricorda che noi non avevamo mai visto il mondo esterno
– lo ammonisco dolcemente – Non potevamo
vederlo, perché se l’avessimo fatto avremmo compreso la realtà delle cose e
questo sarebbe stato un danno per Hamatazi.
La verità è
che noi abbiamo vissuto in un teatrino per anni, senza mai accorgercene…-. In
un assurdo teatrino di cui noi eravamo semplici marionette, vorrei aggiungere,
ma mi limito a respirare profondamente prima di riprendere – Fatto sta che
diventai uno dei Horyu, con
forti ideali che mi motivavano a battermi contro gli uomini della guerra. Così venivano chiamate le persone che vivevano al di fuori delle
Dieci Torri.
Venni
messo in coppia con una ragazza, il cui nickname era Elya…- torno a guardarlo e un sospiro sfugge,
involontariamente, alle mie labbra – Sai, tu le somigli proprio…la stessa
vitalità, lo stesso sorriso, gli stessi occhi verdi…- dico, tirando un sorriso
incerto sulle labbra, che ha il potere di fare adombrare le sue gote imberbi di
rosso. Mi riscuoto da quel momentaneo attimo di debolezza, continuando a
raccontare quell’orribile passato da cui vorrei tanto fuggire ma…non posso…
- Presto, a
soli vent’anni, diventai Generale delle truppe che
difendevano la Terza Torre. Non immagini neanche la gioia che mi esplose nel
cuore quando me lo annunciarono: ero diventato Generale, una delle più alte
cariche in rango, e per questo dovevo ringraziare solo me stesso, i miei sforzi
e…i miei ideali…- esito un attimo, mentre un sorriso privo di felicità si
scioglie sulle mie labbra – Ero solo un ragazzo…- mormoro come se quella fosse
stata una mia colpa – E come tale ero curioso,
desideravo conoscere ogni cosa, soprattutto quelle a cui era stato imposto il
veto della conoscenza…
Così un
giorno, stimolati da tutta questa curiosità, io, accompagnato da un gruppo
ristretto di compagni, tra cui Elya, uscimmo dal
nucleo di Jirohu per andare a visitare il resto della
città, decaduta sotto le mani della guerra. Ci andammo in incognito ovviamente,
ma…ecco, lì…vedemmo e sentimmo cose che distrussero completamente i nostri ego:
la nostra forza, la nostra fede, i nostri ideali…tutto ciò su cui avevamo basato le nostre vite…- m’interrompo di botto,
incapace di continuare. Le parole si rifiutano di uscire a causa del forte
dolore che esse stesse mi provocano. Serro le palpebra,
tentando di nascondere quanto i miei occhi siano pericolosamente sull’orlo del
pianto, ma esse si riaprono incredule, quando sento la calda e morbida mano del
mio ascoltatore stringere la mia.
- Cosa vi raccontarono? – chiede, timidamente, Hiroyuki, spronandomi ad andare avanti
Perché?
Perché continua a essere così gentile con me anche
dopo che ha scoperto che ero un compagno di coloro che hanno ucciso sua
sorella? Perché si ostina ad ascoltare questa storia,
pur sapendo che uccidendomi la farebbe finita? Non riesco a rispondere a
nessuna di queste domande e mi rassegno ad assecondare il suo incomprensibile,
per me, volere
- Ci
dissero come stavano realmente i fatti: che Hamatazi
non era altro che un uomo dedito ai soldi, un uomo a cui importava più una
moneta d’oro che la vita di cento uomini, un uomo che dava un prezzo
esorbitante persino all’acqua, la fonte primaria della vita…Il nostro eroe non
era altro che un ributtante essere assetato di ricchezza, un essere privo di
cuore…
Ma la cosa
che più traumatizzò le nostre menti non furono quelle
parole, ma bensì la vista di una scena…sai, la ricordo ancora così bene! C’era
una donna: aveva lunghi capelli biondi, imbrattati di sangue, occhi rossi e
gonfi di lacrime, che continuavano a scivolare sulle sue guance, un’espressione
disperata sul volto, ancora nel fiore più bello dell’età. Era chinata su un
corpo, un corpo completamente immerso nel sangue, fuoriuscito dal taglio che
l’attraversava dalla spalla sinistra al fianco destro…era il corpo di un uomo e
su questo…stava un bambino… – mi fermo un secondo, cercando di riprendere il
fiato che sento mancarmi - Avrà avuto due anni al
massimo e con la sua vocina sottile chiamava l’uomo < Papà, papà >
continuava a ripetere, mentre la madre piangeva in preda dalla disperazione,
maledicendo un nome tra i singhiozzi. Non capivamo quel nome, ma lo realizzammo
quando notammo che l’uomo stringeva in una mano un ciondolo rubino…il segno
caratteristico di coloro che appartenevano agli Horyu…-
- Era stato
ucciso da uno del vostro Esercito -
- Come
credi che ci sentimmo? – ribatto alla sua calma
osservazione – Cosa credi che pensammo? Noi…noi che ci eravamo
auto-nominati difensori della pace, stavamo distruggendo mille vite umane!!! Le
stavamo sgretolando e con loro anche quelle delle persone a loro vicine!
Eravamo dei mostri…delle bestie della guerra!!! Noi eravamo gli uomini della guerra –
urlo, prendendomi la testa tra le mani e in esse scoppia il mio pianto, ormai
da troppo tempo respinto. Piccole lacrime scendono sulla barba, che ho lasciato
incolta da un paio di giorni, mentre tento d’immergermi il più possibile nella
protezione dei miei stessi arti, per non farmi vedere in questo stato dal
giovane che mi sta accanto, il quale, dal canto suo, non sa cosa dire o fare,
preso totalmente alla sprovvista dal mio sfogo.
Rimaniamo
in silenzio, finché le mie lacrime non si placano, lasciandomi libero di
proseguire con la mia storia, di cui Hiroyuki sta
ancora attendendo il finale.
- Tornammo al nucleo di Jirohu con l’anima
ormai distrutta – dico, con ancora il volto nascosto tra le mani. La mia
voce si fa improvvisamente più roca e malinconica, come il suono di un vecchio
carillon rotto
-
Lentamente tutti i ragazzi che erano usciti con me in quella scappatella al di
fuori delle Dieci Torri si auto-distrussero…uno ad
uno: Ichino, il più sensibile tra noi, s’impiccò
nella sua stanza due notti dopo la nostra uscita, ormai completamente morto sul
piano psicologico; Satoru e Nakono
caddero in ginocchio durante una battaglia, facendosi uccidere volontariamente
dai nostri nemici; Rin diventò pazza e fu chiusa in
un ospedale psichiatrico; Mito si fece cadere dal ventunesimo piano di un
grattacielo…ogni piano equivaleva a ogni vittima che aveva mietuto sul campo; Katanabe chiese al proprio padre di decapitarlo ed egli…lo
fece…; Azuki si chiuse nella propria stanza e da lì
non volle più uscire. Gli ultimi rimasti fummo io e Elya…i sopravvissuti che assistettero impotenti alla morte
di tutti i loro amici…i nostri fratelli…- mi fermo ancora una volta. Nella mia
mente le immagini di tutti i loro volti, ancora illuminati da vivi sorrisi,
scorrono come in un filmato di cui non riesco a trovare la fine.
Sento lo
sguardo del ragazzo che ancora indugia su di me, impotente, incapace di tirarmi
fuori da quel baratro nero in cui ancora una volta sto
cadendo…chissà se sta volta sarà per sempre…
- E…Elya…-balbetta, dopo breve
tempo, il mio ascoltatore. La sua voce esce a fatica, quasi come se avesse
improvvisamente la gola secca – Cosa successe a Elya? -
- Lei…lei fu giustiziata – rispondo atono
- Come…perché
fu giustiziata? -
- Secondo
il Tribunale Supremo era una spia. Ricercarono su di lei per anni a alla fine trovarono abbastanza prove per incriminarla. Fu
processata in un solo giorno, senza…senza alcuna possibilità di ricorrere in
appello…- un nodo mi lega la gola, ma imperterrito continuo a parlare – Era una
limpida mattina estiva quanto fu giustiziata. Il sole era caldo nel cielo
azzurro e i passerotti cantavano gioiosamente. Nell’aria l’odore delle pesche
mature si faceva strada…Una mattina così bella chiazzata del sangue di un fiore
di altrettanta bellezza…
Io fui
l’ultimo a parlarle…ammise di essere una spia, ammise di essere stata mandata
nel nucleo di Jirohu dal Keithat
e ammise che aveva vissuto tutti quegli anni passando
informazioni al Keithat. Ma il suo amore…il suo amore
per me e i miei compagni non era fasullo…come l’amore
che nutriva per la sua famiglia, in fin di vita fuori dalle Dieci Barriere.
Mi disse di
continuare a vivere, di vivere una vita vera e non all’ombra di
ideali artificiali, costruiti per mascherare la perversione di Hamatazi. E infine mi fece fare
una promessa: mi fece promettere che le mie mani non si sarebbero più macchiate
di sangue, nemmeno del mio medesimo…e io glielo giurai.
E’ per
quella promessa che continuo a rimanere in vita…solo per quella promessa…
L’ultima
immagine che ho di lei è…la sua condanna: aveva le mani legate dietro la
schiena ed era stata costretta a inginocchiarsi per
terra; i suoi abiti erano laceri, la sua pelle sporca in più punti eppure lei rimaneva
a testa alta, fiera e mai pentita di ciò che aveva fatto. Chiuse gli occhi e
alzò il volto verso il sole, lasciando che i suoi raggi la baciassero per
l’ultima volta, e poi…i suoi occhi, verdi come non mai, si puntarono su di me.
Un sorriso, bello, luminoso, splendente, le illuminò il volto per l’ultima
volta, prima che la spada del boia le troncasse via la testa…- il mio respiro
si è fatto nuovamente roco e irregolare, segno che le lacrime vogliono ancora
uscire dai miei occhi, già lucidi – Ero l’ultimo rimasto…il sopravvissuto…
Dopo aver
visto l’ultimo dei miei compagni morire uscì dal nucleo di Jirohu
e non ci rimisi più piede, neanche quando le forze armate del Keithat riuscirono ad abbattere la prima delle Dieci
Barriere: la Terza Torre, la Torre a cui io ero incaricato…-
Pesantemente
il mio sguardo si alza sull’orologio, appeso al muro di fronte a me, dandomi la
possibilità di identificare l’ora: le lancette segnano le tre meno dieci.
Sospiro profondamente, e le mie dita tornano a giocherellare sul bordo del
bicchiere, ora appiccicaticcio.
- Il crollo
di quella Barriera ha segnato la fine di una battaglia, per voi…ma per me…per
me ha segnato la fine di tutto ciò in cui avevo
creduto.
L’uomo non
è nulla se non crede in qualcosa…da quel giorno io mi trasformai nel nulla…- concludo,
lasciando che il silenzio ci avvolga entrambi. Passano lunghi attimi, e io non
alzo ancora lo sguardo sul mio interlocutore…non voglio vedere l’espressione
che ha sul volto…
Che sia
paura? Davvero ho paura del giudizio di questo ragazzo? Io, che ho perso la mia
dignità, che ho perso ogni cosa con la quale mi potevo definire uomo, ora…ora
ho paura del giudizio di un bouya che fino a cinque
minuti fa continuava a servirmi dell’alcool…Perché?
- L’uomo è
nulla se non crede in qualcosa…- ripete pensieroso. Vedo il suo volto
abbassarsi, e appoggiarsi sulle sue braccia, incrociate sul bancone. I suoi
occhi verdi si puntano sui miei, ancora piantati sul bicchiere con cui sto giocando
- L’uomo è
nulla se non crede in qualcosa…chi gliel’ha detto, Sumei-san?
– mi chiede, con un tono dolce e caldo
- Ce lo dicevano durante l’addestramento. Bene o male, quelle
idee si sono piantate nella mia testa…-
- Gli
ideali, la fede…non sono altro che sicurezze che l’uomo crea attorno a se,
offuscando i propri occhi e privandoli della vista della realtà…- quelle parole
mi spronano a cercare il suo sguardo e non appena lo incontro,
nuovamente la sua voce calda si libra nell’aria – Lo diceva spesso mia
sorella…- un sorriso malinconico gli colora le labbra scarlatte – L’unica cosa
che rende un uomo degno di tale titolo sono le emozioni: l’amore, la
compassione, il dolore, il pentimento, l’affetto. Questo rende un uomo tale…non
gli ideali…Anche questo lo diceva spesso mia
sorella…Seguendo questo ragionamento lei, Sumei-san,
è un uomo a tutti gli effetti: ama, e ha amato, i suoi compagni; ama, e ha
amato, Elya. Ha provato compassione. Ha sofferto
quando ha visto quella donna e quando ha visto la morte dei suoi fratelli…Lei è
un uomo, Sumei-san…un uomo completo…-
Il suo
sorriso malinconico si trasforma in un sorriso gioioso, che rende il suo volto
ancora più bello di quanto già sia, e per un attimo mi riscalda il cuore, che
inizia a battere di una nuova speranza…
- Credi a
queste parole, Hiroyuki? Ci credi? – gli chiedo.
Un’espressione corrucciata incrina la sua fronte, come se stesse pensando a una risposta davvero complicata. Poi il suo sorriso
gioioso torna a illuminargli il viso, e nuovamente il
mio cuore si scioglie nel caldo tepore che questo ragazzo mi sta fornendo
- Certo che
ci credo! – esclama, felicemente – E lei, Sumei-san?
–
Sono
spiazzato. Questo ragazzino mi ha spiazzato del tutto: con le sue parole, con i
suoi gesti, con i suoi sorrisi, con i suoi occhi…
Cosa
s’aspetta che risponda? Pretende davvero che io mi senta un uomo dopo tutto quello che ho fatto, dopo quello che sono diventato?
- Allora,
ci crede Sumei-san? – mi chiede nuovamente, con il
tono più dolce che conosca
- Beh,
forse posso provare a crederci…- borbotto, abbozzando un sorriso sincero.
Nuovamente la sua mano si muove a cercare la mia, e non appena la trova la
stringe teneramente, quasi fosse di delicata
porcellana
- Vuole
ancora morire? – mi domanda, guardandomi serio – Vuole morire, nonostante non
abbia ancora una risposta certa alla mia domanda? –
Non
rispondo. Il mio sguardo scivola sulla mia katana,
ancora poggiata sul bancone. La prendo, la mano mi trema e l’arma con lei, e
lentamente me l’allaccio alla mia cintura. Titubante, rialzo
il mio viso su quello del mio interlocutore, per notare che un’espressione
realmente felice ha iniziato a tingerglielo. Poi, un lieve rossore
prende a sciogliersi sulle sue gote, mentre timidamente tenta di dire qualcosa
- Mi…mi
permetterà di starle accanto finché non troverà la risposta, Sumei-san? -
Spalanco
gli occhi, stupito da una richiesta tanto genuina…nonostante tutto questo
ragazzino vuole restarmi vicino? Nonostante tutto?
- Dov’è la tua casa, Hiroyuki? – gli
chiedo, mostrandogli un largo e ampio sorriso. Il primo dopo
tanto tempo…troppo tempo…
Lui
ricambia, e una soffusa risata si libera dalla sua bocca, mentre scende dallo
sgabello trascinandomi con se, senza alcuna parola…
Chissà se
insieme a questo bouya riuscirò a trovare una
risposta…chissà…
Le due
ultime sagome presenti nel locale uscirono, accompagnati unicamente dal dolce
suono della risata del più giovane. Non appena la porta si chiuse alle loro
spalle, il locale sprofondò nel buio e nella solitudine. L’unico rumore che si
poteva udire era il lento ticchettare dell’orologio appeso al muro. Sul bancone
ancora sostava il bicchiere dell’ultimo cliente. Proprio questo fu afferrato
con cautela da una mano, spuntata dal vuoto tenebroso di quel luogo. La mano
apparteneva a una giovane ragazza: gli abiti erano di
colori vivaci, il viso ancora velato di giovinezza, i lunghi capelli bruni
sparati in tutte le direzioni, gli occhi verdi piegati in un’espressione
intenerita…Essi erano l’unica cosa che risaltava nettamente dal resto del
corpo, i cui colori sembravano vecchi e appassiti, quasi essa provenisse da un
vecchio film degli anni ’40.
Avvicinò il
bicchiere al suo volto, scrutantolo attentamente con
le sue due gemme, quasi fosforescenti al buio
-
Finalmente hai trovato qualcuno, Shin…- mormorò,
ancora concentrata sulla sagoma di vetro – Chissà se Hiroyuki
ti farà felice…o forse…- le sue dite, lunghe e affusolate lasciarono la persa
sul minuto oggetto, il quale cadde a terra
frantumandosi in mille pezzi che attraversarono incuranti la sagoma della
giovane –…o forse vorrà vendicarmi, il mio fratellino? – chiese al vuoto,
mentre le sue dita accarezzavano sinuose un tatuaggio che le colorava la spalla sinistre. Esso raffigurava una scritta, tinta di
un vivace color blu, contornato da strisce di rosso rubino. Le lettere,
composte da deliziosi ed eleganti ghirigori,
componevano un nome: Elya…
Note
(1) Queste
bellissime parole non sono mie (sono troppo belle per esserlo
NdWhite). Le ho copiate spudoratamente dalla
presentazione di Andrea BariKordi
fatta al fumetto “KamiKaze”
(2) Bouya = ragazzino
(3) Horyu è un nome di mia invenzione, nato dall’unione delle parole Ho (fuoco) e Ryu (drago). In conclusione il
nome finale dovrebbe significare Draghi di Fuoco
Free Talk
Salve a
tutti, sono nuovamente qui tra voi a raccontarvi un’altra delle mie favole ^^ Spero
che anche questa sia stato di vostro gradimento
nonostante la sua brevità (raramente riesco a portare a termine delle storie a
più capitoli. Sono troppo Lunatica ^^ - Ma nessuno te lo ha chiesto -.- NdWhite).
Volevo
ringraziare sandy90 sperando di aver
accontentato la tua richiesta e lella80,
novella viaggiatrice in queste lande. Non posso fare a meno di sentirmi onorata
dei vostri gentilissimi commenti (la gente è davvero troppo buona NdWhite).
Ah, un ultima cosa: visto che alcune mi sembrano confuse sul mio
sesso, chiarisco una volta per tutte di essere una fanciulla (una mocciosa,
vorrai dire NdWhite – Quello che è >_< NdBlack).
Arrivederci
alla prossima favola