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Autore: _Pulse_    25/05/2009    3 recensioni
Eva, una ragazza con genitori divorziati, insofferente verso il genere umano, ritrova sè stessa grazie a due piccoli gemelli, per i quali farà di tutto. Chi sono loro per farla addolcire in quel modo? Beh, lo scoprirete solo leggendo!
Genere: Commedia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: Grazie alla mia Socia, ovvero Scarabocchio_ , ti voglio tanto bene!! Quante recensioni mi hai lasciato, sono contenta sì! Eheh.. XD E poi Grazie di cuore anche a niky94 *Non te ne perdi mai una, eh?* Grazie!!
Grazie anche a tutti quelli che hanno semplicmente letto, mi fa piacere!! ^^ Un bacio, Ary

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2
I gemelli

 

Eva si svegliò accarezzata dal tessuto setoso e fresco del piumone, dolcemente, sentendo il profumo della mamma. Aprì gli occhi e non vide nessuno accanto a sé. Si mise seduta di scatto sul letto e si guardò intorno. Vide l’ora sulla sveglia digitale sul comodino. Chiuse gli occhi e appoggiò le mani sulle ginocchia, cercando di rilassarsi.

Cazzo, quanto si fa odiare a volte quella donna. Ma come si fa?! Perché non mi ha svegliata?!  

Si alzò, spostandosi le coperte di dosso, e corse in salotto. Forse una parte della gara riusciva a vederla.

Se è già finita la uccido!

Accese la tv. Senza staccare gli occhi dallo schermo, indietreggiò e si mise seduta in fondo al divano letto.

Non c’era stato nulla da fare. Ormai la gara di scherma era finita. Mancavano pochi secondi. Si alzò di nuovo e andò in cucina. Vide un biglietto attaccato al frigorifero, grazie alla sua calamita preferita: un teschietto che faceva la linguaccia.

“Buon giorno cucciolotta! Sta mattina dormivi così bene che non ti ho svegliata. Mi ha fatto piacere ieri parlare un po’ con te. Grazie. In frigo ci sono le lasagne già pronte, devi solo metterle nel microonde. Mi raccomando, fai la brava e occupati dei gemelli. Ti voglio bene, mamma.”

Eva si diede un ceffone in fronte, chiudendo gli occhi. Come poteva essersene dimenticata? I gemelli.

Ritornò in sala e li vide ancora addormentati sul divano letto, appiccicati.

Ma guarda un po’ te se mi tocca fare da babysitter a due ragazzini…

Prese il telecomando e scanalò un po’ alla tv, con un bicchiere di latte in mano.

 

***

 

Tom si svegliò sentendo il rumore della televisione. Si stropicciò gli occhi e si guardò intorno. Quella non era la sua camera. Si ricordò che erano da un’amica di loro madre.

Vide il fratello accanto a sé, rannicchiato come un gatto. Sorrise e poi buttò l’occhio verso l’orologio appeso alla parete. Le nove e mezza.

Così presto? Che amaro risveglio…

Lasciò che gli occhi si richiudessero, ma poi sentì la sigla dei Puffi alla tv, che gli ricordò subito suo fratello Bill. Era certo che quella fosse stata la prima canzone che aveva cantato in vita sua. Si alzò sui gomiti con il sorriso sulle labbra e quasi non rimase a bocca aperta.

Cosa dicevo? Che era un amaro risveglio? Beh, ritiro tutto! Questo è un dolce, dolcissimo risveglio!

Eva era in piedi, accanto al tavolo, che guardava che c’era in tele a quell’ora di mattina, ancora in “pigiama”. Addosso aveva semplicemente il reggiseno e le mutande, nulla di più e nulla di meno. I capelli biondo scuro che le arrivavano fino in fondo alla schiena, lisci e leggeri.

Tom scosse il fratello accanto a sé, con il sorriso sulle labbra. Bill si rigirò un po’ di volte prima di rispondere al gemello.

“Uhm?”, fu la risposta di Bill ai numerosi scossoni di Tom. “Cinque minuti, mamma.”

“Ma per favore! Bill, svegliati. C’è una cosa che devi vedere assolutamente.” 

“Che cosa?”

“Apri gli occhi e vedrai da te.”

Bill, curioso come un bambino, aprì gli occhi e guardò dove stava guardando Tom. Guardò Eva a bocca aperta, senza riuscire quasi a respirare, mentre il fratello, tranquillissimo, se la mangiava con gli occhi senza subire minimamente alcun effetto.

“Eva!”, disse Bill, riprendendo il controllo di sé, ma senza mandar via l’espressione facciale visibilmente sorpresa.

“Ciao Bill, che c’è? Perché mi guardate così?”, chiese Eva, notando che la guardavano dall’alto al basso. Tom che sorrideva e scendeva e saliva percorrendola tutta, Bill che più la guardava più arrossiva, più arrossiva più cercava di non guardare.

“Dovresti vestirti, sai?”, disse ancora Bill.

“Ma che dici?!” Tom tappò la bocca al fratello, facendolo risdraiare violentemente sul letto. Eva si guardò e si accorse che era praticamente mezza nuda davanti a due tredicenni.  

Perfetto, ci mancavano solo dei ragazzini in fase di pubertà!

Eva sbuffò contrariata a quello che aveva detto Bill.

“Scusa, ma questa è casa mia, perciò se mi va vado in giro anche nuda. Ok?”, rispose al minore dei due.

Tom si illuminò e balzò seduto sul letto, guardandola gioioso, quando ancora Bill si doveva rialzare dal letto.

“Per me non c’è nessun problema!”, disse Tom.

Eva lo guardò sollevando un sopraciglio, con un mezzo sorriso sulle labbra.

Capito il piccoletto? È così che girano le cose con te? Mmh, peccato che tu  abbia solo tredici anni.

Notò subito delle differenze nei due: Tom era quello più intraprendente in tutti i sensi, doveva essere un bel tipo pure con le ragazze; mentre Bill era quello dolce e timido.

Nonostante il carattere fermo e deciso di Tom le piacesse molto, il suo preferito era comunque Bill. Avrebbe tanto voluto innamorarsi di un ragazzo come lui, ma sapeva che non sarebbe mai potuto accadere.

“Ma sei scemo?!”, lo rimproverò ancora una volta Bill.

“Zitto, che è meglio. Una volta che puoi approfittarne… Guarda, quella è una ragazza. Poi vieni a me a chiedermi le cose…”, disse Tom sogghignando.

“So perfettamente da me com’è una ragazza! E non mi ricordo di essere mai venuto da te a chiederti come fossero!”, urlò Bill diventando rosso in viso. Eva, a quel rossore, si addolcì e la preferenza verso di lui continuava a salire.

Bill, puoi venire tranquillamente  a dormire nel mio letto tutte le volte che vuoi, capito?  

Eva si levò pensieri sconci dalla testa, nei quali centrava il piccolo Bill e cercò di distrarsi in qualche modo, andando in cucina a prendere i biscotti. Il suo cervello e la sua dignità si rifiutavano di pensare in quel malo modo, e non voleva nemmeno essere considerata una pedofila, perciò decise proprio di cancellarli dalla testa. Tornò in sala e si mise al tavolo, mentre sul canale dello sport, sul quale aveva girato Tom, che aveva il telecomando in mano, stavano mandando i replay dei colpi più belli della sfida di scherma che lei si era persa. Si piazzò nel posto da cui vedeva meglio e mentre mangiava guardava la tv.

“No, merda, quel colpo no! Come ha fatto a non accorgersene?”, disse stringendo il pugno sulla superficie in legno scuro del tavolo.

“Ti piace la scherma?”, chiese Bill, alzandosi dal letto e raggiungendola, sedendosi di fronte a lei. Eva si limitò ad annuire con la testa.

“Beh, potresti anche parlare…”

“Non te l’ha mai detto nessuno che non si parla con la bocca piena?”, disse Eva, dopo aver ingerito interamente il biscotto. “E prima avevo la bocca piena. Scusa se sono educata.”

“Ah ah Bill… incominci subito a farti riconoscere!”, disse Tom, sogghignando e riaccucciandosi sotto montagne di coperte.

“Non lo ascoltare”, si difese Bill, facendo un gesto con la mano. La guardò e sorrise, chiudendo gli occhi. Eva si sciolse sul tavolo: si tenne una mano con la testa e sorrise addolcita.

“Cosa vuoi per colazione, Bill?” gli chiese, ricomponendosi.

“Ahm… il latte.”

“Nel biberon. Ah, e non dimenticarti il bavaglino!”, disse Tom ridendo, da sotto le coperte.

Eva non lo sopportava. Provava un odio profondo verso le persone così, che offendevano come passatempo, anche se magari era solo per scherzare, le dava comunque sui nervi.

“La pianti? Finiscila di fare lo sbruffone.”

Tom uscì dalle coperte e la guardò stupito, sedendosi sul letto.

“Il latte caldo o freddo?”, chiese ancora a Bill, sorridendogli, ignorando il gemello.

Tom la guardò fare tutta la dolce con il fratello, mentre a lui lo aveva persino sgridato, in un certo senso.

Non si vede proprio che è il tuo preferito, pensò.

Era uno che solitamente non se la prendeva per queste cose, soprattutto se centrava Bill, ma non sopportava i favoritismi inspiegati. In fondo lui non le aveva fatto niente per meritarsi quel trattamento, come da eterno secondo.

“Caldo è meglio, grazie.”

“Va bene.” Dopo di ché lei si diresse in cucina a preparargli il latte.

“Dimmi una cosa, Bill”, incominciò Tom, alzandosi dal letto. Era a petto nudo, solo con dei pantaloni di una tuta addosso, che usava per dormire. “Come mai Eva si comporta così con te?”

“Così come?”, chiese, girandosi verso il fratello.

“Come se non si notasse che sei il suo preferito!”

“Il suo… preferito? Io non…”

Eva tornò in sala con due tazze in mano, interrompendo i gemelli, che la guardarono in silenzio. Appoggiò le tazze sul tavolo, una di fronte a Bill e una accanto a lui. Mise sul tavolo anche dei cereali e dei biscotti, poi si fermò e guardò Tom.

“Ehm… scusami per prima, non so che mi sia preso”, sussurrò, sembrava quasi vergognosa. Tom sorrise e annuì.

“Dimenticati quello che ti ho detto Bill. Fa niente Eva, non importa, capita quando ci si alza male.”

Si trattenne nel sputargli ancora addosso insulti e fece un mezzo sorriso mettendosi a posto la frangia sugli occhi.  

“Ritornando alla scherma…”, disse Bill, mentre il fratello si sedeva accanto a lui per fare colazione. “Come mai ti piace? C’è… è insolito.”

“Beh, mi piace forse perché la faccio da quando avevo sei anni.”

“Allora… giochi. Si dice giochi?”

“Mmh… duelli… che ne so, non ci ho mai pensato. Dovete andare in bagno?”, chiese, cambiando argomento. Bill e Tom si guardarono.

“Io no”, disse un po’ più timido il primo.

“Nemmeno io.”

“Sicuri? Perché quando entro nella vasca da bagno non ci esco per almeno due ore, vi avverto.”

“Semmai la faremo nei vasi dei fiori”, disse Tom, sorridendo mentre girava il suo latte.

Eva rise, quella battuta l’aveva fatta ridere sul serio. I gemelli la guardarono, contenti per averla sciolta un po’.

“Allora ridi pure tu!”, disse Tom, aggiungendosi a lei.

Quei due ragazzini stavano cambiando radicalmente la sua vita, il suo modo di vivere, e tutto con una semplicità senza paragoni. Erano legati da qualcosa, ma non sapevano cosa. Erano un po’ come fratelli, ma inconsapevolmente.

 

***

 

Eva era nella vasca da bagno, immersa in un mare di schiuma, nell’acqua calda, in pieno rilassamento. Chiuse gli occhi e fece delle bolle con la bocca, sott’acqua.

Si sentiva stranamente felice, leggera, libera da quel peso che di solito la attanagliava dentro. Grazie a quelle due pesti forse stava ritrovando la felicità, quella felicità che aveva perso quando si erano separati. Loro non si ricordavano nemmeno di lei, ma neanche lei ricordava molto di loro. Si ricordava solo che erano identici, piccoli e protetti in delle copertine celesti fra le braccia di Simone.

Anche la maggior parte dei ricordi di Simone si erano volatilizzati, ma Simone non si era dimenticata di lei, e glielo aveva dimostrato. Eva per lei era come una figlia, le voleva bene come una figlia, come voleva bene alla madre di Eva, la sua migliore amica.

Il telefono squillò. Squillò per una ventina di secondi, senza smettere. Nessuno che si degnasse di rispondere.

E come al solito, devo rispondere io.

Eva si avvolse dentro un asciugamano bianco, tenendolo sotto le ascelle, e veloce uscì dal bagno, scontrandosi con Tom, che stava passando di lì, forse per rispondere.

“Se, ormai…”, Eva lo superò, gocciolando per terra, e andò a rispondere. I capelli erano ancora fradici e gocciolava davvero dappertutto.

“Pronto?”, rispose.

“Ciao Eva, sono Simone! Come stai? Tutto bene lì? Bill e Tom?”

“Ciao Simone! Io sto bene, grazie. Tu?”

“Bene, bene.”

“Sono contenta. Anche Bill e Tom stanno bene. Tutto ok.”

“Menomale. Forse è il momento che cominci a fidarmi un po’ di più di loro”, ridacchiò. “La mamma?”

“Adesso è al lavoro.”

“Mmh. Capito. Ascoltami… Ieri, quando ti ho vista, non ho capito più niente, non ti ho nemmeno detto che sei diventata così grande… così bella… Anche da bambina eri stupenda, sai?”

“Grazie, nemmeno tu sei cambiata.”

“Ti ricordavi di me?”

‘Vagamente, ma sì.”

“Oh, questo mi commuove.”

“Dai Simone, non ti commuovere inutilmente. C’è qui Tom, te lo passo.”

Prima che inondi casa… Sto grondando!

“Ok, va bene. Mi ha fatto piacere rivederti.”

“Anche a me. Allora ciao.”

“Ciao, baci.”

Eva passò il telefono a Tom, lì di fianco che la stava guardando avidamente da un po’.

La ragazza andò di nuovo in bagno, ad asciugarsi un po’, poi passò in camera sua, per cambiarsi. Dentro trovò Bill, che stava curiosando tra i suoi cd.

“Ehi, che stai facendo?”, gli chiese.

“Niente, guardavo i tuoi cd.”

Beh, in verità lo sapevo già.

“Mmh. Adesso, invece di interessarti dei miei gusti musicali, potresti uscire? Mi devo cambiare.”

Da quando Eva era entrata in camera, Bill non l’aveva guardata una volta, perciò quando la vide solo con un asciugamano addosso, rimase un po’ sbigottito.

“Sì, subito.”

Bill scappò via da camera sua. Andò in salotto, dove vide il gemello poggiare giù la cornetta.

“Ah, Bill, eccoti qua. Mamma ti saluta.”

“Mamma? Ha chiamato?”

“Sì, se ti ho detto che ti saluta, evidentemente…”

“E perché non mi ha parlato?”

“Perché adesso doveva tornare al lavoro. Ha detto che richiama stasera, e il primo a parlarci sarai tu, contento?”

“Ok. Ma perché qui è tutto bagnato?”, chiese, guardando a terra.

“Perché c’è passata Eva.”

“Ah sì, l’ho vista pure io.”

“Mamma cara, che figa pazzesca!”

“Tom! È di là, ti sente!”, urlò a bassa voce Bill.

“E allora? Che senta se vuol sentire. Così sa ciò che penso di lei. E ti assicuro, ci penso molto bene!”

“Ti prego, Tom… Ha sedici anni, tu solo tredici, non hai speranze.”

“Ah Bill, Bill, Bill…”, Tom gli prese la spalla, chiudendo gli occhi. Lo portò seduto accanto a sé sul divano. “Devi sapere che l’età non conta. Quello che conta è…”

“Cosa conta?”, intervenì Eva, parlando con un elastico tra i denti, entrando in stanza. Si fece una coda mentre andava in cucina.

“Ma niente, Eva!”, disse Bill arrossendo.

È sempre colpa tua, Tom!  

“Ma non avete nemmeno… Lasciate perdere.”

Eva prese le due tazze sul tavolo e le portò in cucina, nel lavandino. Mentre lei era a farsi il bagno, quei due non avevano praticamente fatto niente.

Per questa volta passo, ma non intendo assolutamente diventare la vostra schiavetta, sia chiaro.

“Ehi Eva, che si mangia a pranzo?”, chiese Tom, girovagando per il salotto, guardandosi in giro.

Che cosa? Hai finito adesso di fare colazione! Mah… Non sono abituata a dividere casa con due maschi.

Passare da una casa tutta femminile, abitata solo da lei e sua madre, ad abitare con due maschietti era traumatico. Ma, in fondo, ci era anche abituata a fare un po’ da schiava, certo, non a casa sua.

Tom entrò in cucina, volendo una risposta alla domanda, seguito poi dal fratello. Eva si era chinata proprio in quel momento per raccogliere un foglio da terra e sia Bill che Tom notarono un tatuaggio, in fondo alla schiena: era uno di quei tatuaggi tribali, orizzontali, con una il fiore della rosa in mezzo, di colore rosso scuro. Insomma, Eva era la tipica dark-punk, tatuaggi e piercing.

“Che avete da guardare?”, chiese ai gemelli, che era da un po’ la guardavano in silenzio.

Bill scosse la testa e si avvicinò a lei. Le alzò la maglietta sulla schiena e le sfiorò il tatuaggio con le dita.

“Non sapevo avessi un tatuaggio! Va bè, il piercing si vede, però questo non lo avevo notato.”

Eva si girò verso di lui e sorrise.

“Beh, non mi conoscete da una vita.”

Quella frase la fece morire dentro. Come poteva aver detto una cosa del genere? Loro si conoscevano da una vita per quanto la riguardava, ma per loro la frase era la verità. Non si ricordavano affatto di lei, erano piccolissimi quando l’avevano vista per la prima volta, non potevano ricordare.

Perché… perché mi sento così? Sto male, ma non so perché.

“Sai, anch’io vorrei farmi il piercing lì, però sulla parte sinistra”, disse Tom.

“E perché non te lo fai, scusa? Te l’ho detto mille volte!”, si avvicinò Bill.

“Perché ancora non lo so…”

Non ci credo, il ragazzino tanto presuntuoso e pieno di sé ha paura di farsi un piercing?

A Eva venne da ridere, ma bloccò la risata ad un sorriso divertito. Anche Bill sorrideva, ma addolcito. Si avvicinò al fratello e gli mise una mano sulla spalla.

“Se te lo fai tu, lo faccio anch’io, però sulla lingua, ok?”

“Mmh, ci penserò più seriamente allora”, sorrise al gemello.

Quegli occhi identici, profondi uguali, quelle labbra e quel sorriso sincero uguale. In quel momento Eva era riuscita a cogliere le somiglianze spaventose tra i gemelli, erano l’uno la copia dell’altro. Riuscivano a parlarsi anche solo con gli occhi.

“Ritornando al pranzo, che si mangia?”, chiese ancora Tom, prendendo un dito di Eva e stringendolo nella sua mano, facendola andare da una parte all’altra, sorridendo.

-Papà, guada! Tom mi ta tenendo il dito!-

-Ho visto piccolina! Fa così perché sente qualcuno accanto a sé.-

Quello spezzone di dialogo, quelle parole, invasero la mente di Eva, riportandola nel passato, a quel ricordo lontano, troppo lontano. Nonostante fosse lontano, le aveva riaperto una ferita nel cuore, e bruciava maledettamente. Il ricordo della voce del padre l’aveva fatta soffrire, di nuovo.

La stretta di Tom, quella presa… era certa che quella stretta fosse la stessa di quella manina in quel ricordo. Era la manina del piccolo Tom.

Sentì gli occhi inumidirsi, la voglia di piangere, e questa volta non poteva resistere all’istinto, non poteva trattenersi a quella voglia incontrollabile. Ok, la parte debole del suo cervello dominava sul resto, ma non poteva assolutamente lasciarsi andare davanti ai gemelli, ne andava del suo orgoglio.

Si liberò dalla stretta di Tom, con un movimento brusco e senza guardare nessuno, tenendo la testa bassa, scappò in camera sua, sbattendosi la porta dietro di sé.

“Ma che ho fatto?”, chiese Tom al fratello, guardandolo interrogativo.

 

***

 

Eva si tuffò sul suo letto e nascose la faccia nel cuscino fresco, lasciando andare le lacrime.

Era vero, quei gemelli le stavano cambiando la vita, forse in meglio, ma avevano portato con loro ricordi che facevano male in Eva, anche se quella era la prima volta. Non aveva mai sofferto per il suo passato, ma in quel momento stava da schifo, e non riusciva a capirne il motivo. Era colpa, se si poteva definire così, dei gemelli. Loro e del loro arrivo improvviso nella sua vita.

Si asciugò le lacrime passandosi le mani sulle guance, in fretta, sentendo la porta bussare.

“Eva, sono Tom, posso entrare?”

Non aveva nemmeno atteso una sua risposta: era entrato e ora la stava guardando, stando vicino alla porta, con un mano ancora sulla maniglia.

“Di solito qui si aspetta la risposta prima di entrare!”, sbraitò Eva, cerando di nascondere i rimasugli di pianto nella sua voce.

Tom sorrise e uscì dalla porta. Eva non capiva. Poco dopo sentì di nuovo bussare alla porta.

“Eva, sono Tom, posso entrare?”, chiese ancora il biondo. Solo allora Eva capì, sorrise e scosse piano la testa.

“Sì, entra.”

Tom entrò, non più con quel suo sorriso, ma con un’espressione seria, che sorprese molto la ragazza. Non credeva che potesse diventare così serio un bambino come lui.

“Che ti è successo? Sei scappata via… ho fatto qualcosa che non va?”

Tom salì a quattro zampe sul suo letto, raggiungendola. Si mise sdraiato accanto a lei, guardando la stoffa scura sopra di lui, con le mani dietro la testa.

“No, tu non hai fatto niente.”

Sì, hai fatto qualcosa, ma non capiresti.

“E allora che ti è preso? E poi… hai pianto”, notò, accarezzandole la guancia con un segno lasciato da una lacrima, una riga leggera. Eva guardò quegli occhi nocciola, magnetici, e dopo essersi lasciata andare, si spostò da lui, dal suo tocco, come se avesse paura di bruciarsi.

Tom non capiva. Che avesse paura di lui? No, di che cosa avrebbe dovuto aver paura? Impossibile. Si rimise a guardare il soffitto, con una mano sullo stomaco.

“Alla fine, non mi hai mica risposto…”

“A che cosa?”, chiese lei, guardando i lineamenti dolci del suo viso mentre sulle sue labbra compariva un sorriso.

“Che cosa si mangia?” Tom girò la faccia verso quella di Eva e la guardò. Lei sorrise e sbuffò.

“Come sei stressante! Si mangia quello che c’è in frigo! No, a parte gli scherzi… lasagne, quelle da mettere in microonde.”

“Eh, e ci voleva tanto a rispondere?!”

“No, però…”

“Però cosa?”

Si ritrovarono a pochi centimetri di distanza l’uno dalle labbra dell’altro. Si guardarono intensamente negli occhi, poi Eva gli regalò un sorriso. Tom si avvicinò di più e lei si mise seduta di colpo sul letto, guardandolo inarcando le sopraciglia.

Stava tentando di baciarmi? Dimmi che non è vero.

Si alzò dal letto, spostando una tenda e uscì fuori dalla stanza.

Tom sorrise. La desiderava più di prima, desiderava provare delle emozioni forti con una come lei, più grande. E la sfida che lo attendeva lo rendeva ancora più desideroso. Non sarebbe stato facile strapparle un bacio, ma la cosa lo divertiva parecchio. Non si tirava mai davanti ad una sfida, visto il testardo che era.

 

***

 

“Eva! Ho fame!”

“Sì, adesso mangiamo, sempre se tuo fratello si da una mossa.”

“Tom! Muoviti! Sto morendo di fame! Non vorrai mica avermi sulla coscienza, vero?”

“No, fratellino. Arrivo!”

Tom corse in cucina e guardò il fratello intento a prendere i piatti dalla credenza. Guardò anche Eva, con un sorrisetto. Lei era girata, ma sentiva gli occhi di Tom addosso.

Ragazzino, non hai speranze…

Eva tirò fuori dal frigo la bottiglia dell’acqua e la mise sul tavolo, fregandosene proprio di Tom, non guardandolo neppure.

“Sai, Bill, con il sempre se tuo fratello si da una mossa intendevo che doveva aiutarci, non che doveva venire qui e aspettare di essere servito. Chiaro? Diglielo, sembra che da solo non lo capisca.”

“Oh, ma Tom è sempre così. Devo fargli da traduttore, è come parlare un’altra lingua con lui.” Eva e Bill risero. “Allora Tom, dacci una mano.”

Tom sbuffò e si avvicinò alla credenza, per tirare fuori i bicchieri, mentre Bill era occupato con le posate.

“Non credevo di venir qui a sgobbare.”

“Sgobbare? Questo per te è sgobbare? Ah, caro mio… Tu non immagini nemmeno che vuol dire sgobbare”, disse Eva, scuotendo il capo.

“Scommetto che tu sì, vero? E poi quando ti stanchi troppo ti metti a piangere, ne?”

Eva alzò la testa e lo guardò, seria.

“Che cosa?”

Si guardarono con aria di sfida. Bill guardò i due, quasi preoccupato.

“Ehm… Eva… Tom… Mangiamo? Davvero, ho fame.”

“Sì, forse è meglio”, disse Tom, sedendosi al tavolo.

Eva lo guardò, seria. Aveva cercato di fare il dolce, non aveva avuto ciò che si aspettava e ora si comportava così, sfruttando l’occasione e rinfacciandole un suo momento di debolezza.

Arrogante. Il mio preferito è indiscutibilmente Bill.

“Allora… una settimana…”, disse Bill, visto che si era creato uno strano silenzio nella cucina.

Erano tutti intorno al tavolo, che mangiavano, Bill e Tom con di fronte Eva. Lei rimase in silenzio e mosse il capo su e giù, annuendo.

Sì, così sembra…

Un sospiro scappò dalle labbra di Bill, che riprese a mangiare in silenzio.

“Beh, vediamo il lato positivo. Siamo in città, sempre meglio che la campagna.”

“Perché il lato positivo? C’è qualcosa che non va?”, chiese Bill, guardando Tom. Lui alzò le spalle e rispose con sufficienza.

“No, ma… non avrei immaginato di stare a casa con una ragazza.”

Come se la cosa ti dispiacesse, pensò Bill.

 

***

 

“Mamma!”

Dio come mi sei mancata!

Eva strinse la madre tra le braccia, sulla soglia di casa, visibilmente felice di vederla. La donna invece rimase sorpresa dalla reazione esagerata della figlia.

“Ciao tesoro. Tutto bene?”

“Sì, tutto bene.”

Entrarono in casa e la mamma appoggiò subito il cappotto all’appendino e la borsa sul divano.

“Bill e Tom?”, chiese.

“Sono di là, che suonano.”

Bill, voce, Tom, chitarra, erano abbastanza bravi. E se lo pensava lei allora erano bravi sul serio. Le avevano detto che suonavano da tempo, assieme a due loro amici, due certi Gustav, alla batteria, e Georg, al basso. E, per quanto pazzesco potesse essere, avevano pure un nome: Devilish. Suonavano in giro per Magdeburg, ma fin’ora non avevano riscosso tutto quel gran successo che speravano ogni giorno.         

“Com’è andata la giornata?”

A parte i problemini con Tom?

“Nulla di che. Tutto normale.”

“Mmh. Vi trovate?”

Sì, Tom ha cercato di baciarmi, credo che mi trovi...

“Ehm… è ancora presto per dirlo.”

“Tu, invece? Sei pronta?”

“Un attimo, prendo la borsa e vado.”

“Vuoi che ti accompagni?”

“Dovresti scomodare i gemelli… Lascia stare, vado da sola.”

Eva entrò in camera sua, dove trovò i gemelli, intenti a suonare e a cantare. Subito, appena aveva sentito Bill cantare, aveva pensato che avesse una bellissima voce, ed era così, ce l’aveva bellissima davvero. Anche Tom doveva dire che con la chitarra andava forte. Un duetto vincente. Già loro due da soli potevano fare strada, pensare anche ad una batteria e ad un basso, potevano davvero fare un successo planetario. Così la pensava lei. Però, ancora doveva capire perché proprio la sua camera era stata scelta come loro studio per provare, era ancora da definire.

“Me ne vado subito.”

Ma che dico?! Questa è camera mia!

Prese la borsa e stava per varcare la soglia della stanza, quando la voce di Bill la fermò. 

“Dove vai?”

“Gli affari tuoi?”

“E dai… me lo dici?” Bill le zompò davanti, con gli occhioni da cucciolo, supplicandola.

Curioso il tipino…

“Vado ad allenarmi.”

Tom era rimasto indifferente, era ancora seduto a terra, schiena contro il muro, con la chitarra classica tra le braccia.

“Ah, scherma?”

“Sì, esatto.”

“Mi farai vedere il fioretto?”

“Può darsi…”

“Ok, allora ciao.”

“Ciao.” Eva stava per uscire, quando ancora la mano di Bill la fermò, prendendo la sua.

“Ma non mi saluti?”, le chiese con un sorriso.

“Ti ho salutato adesso…”

Bill scosse piano la testa e le porse la guancia. Eva sorrise e pizzicò con due dita quella guancia invitante.

“Ahi!”, si lamentò Bill, massaggiandosela e guardando Eva sorridendo. Anche sulle labbra di Tom era apparso un sorriso, ma non li guardava.

Eva sorrise ancora e prese il mento di Bill con una mano, gli girò il viso con delicatezza e gli stampò un bacio sulla guancia.

“Contento ora?”

“Si!” Bill sorrise e tornò accanto al fratello. “Ciao!”

“Ciao, peste.”

“Ehi!”

 

***

 

Il rumore dei ferri che si scontrano è adorabile, un suono stupendo. Peccato che io stia facendo schifo.

“Eva, Eva, Eva, basta! Rilassati, è finita. La prossima andrà meglio.”

“La prossima. Intanto, questa è andata di merda.”

“Capita. C’è qualcosa che non va? Magari…”

“No, non c’è proprio nulla che non va.” Eva si tolse il casco dal viso e lo tenne sotto al braccio, mentre con l’altro si asciugava la fronte. “Ho fatto semplicemente schifo, ecco cosa c’è che non va.”

Prese la sua borsa e filò negli spogliatoi. Dopo una bella doccia fredda, per schiarire le idee, si cambiò e tornò a casa, dove l’attendeva sua madre, ma soprattutto… i gemelli. Solo al pensiero di riaverli tra i piedi rabbrividì.

Entrò in casa, facendo un giro di chiave, e si trovò Bill addosso, appeso al suo collo. Eva non potè non guardare in alto e sospirare.

Dio, perché ce l’hai con me? Perché? Perché tutte a me? Uffa!    

“Ciao Eva!”, la salutò la voce acuta di Bill.

“Ciao piccoletto.”

“Da quando mi chiami piccoletto?”

“Da adesso.”

“E perché?”

“Perché mi gira. E adesso scollati da me, potrei picchiarti. Non sto scherzando.”

Bill sorrise e si staccò da lei, ma le rimase di fronte, ora con un ghigno più che un sorriso.

“Che cosa vuoi?”, sbuffò Eva, capendo che il piccolo voleva per forza qualcosa se si comportava in quel modo.

“Mi fai vedere il fioretto?”

Uffa, che palle, Ci mancava solo questa. Che ci trovi di così interessante in un fioretto?!

Eva spostò Bill di peso e si mise seduta sul divano, affondandoci dentro.

“Ciao tesoro! Com’è andata?”, le chiese la madre, spuntando dalla cucina. Eva aprì gli occhi e la guardò esausta, ma ciò nonostante scontenta.

“Ho capito, non è andata bene.”

“Hai fatto punto, cosa che io non ho fatto manco una volta.”

“Allora hai fatto proprio schifo!”, disse Bill, accucciandosi accanto a lei, tirando le gambe vicine. Lei lo guardò con la faccia ancora stanca e piuttosto demoralizzata.

“Grazie Bill, ma non avevo bisogno di sentirmelo dire pure da un moccioso. Lo so perfettamente. Direi che quando vuoi riesci davvero a tirare su di morale.”

“Ma dai! Stavo scherzando! Allora me lo fai vedere il fioretto o no?”

Eva sbuffò ancora e si mise la borsa da palestra blu sulle gambe, Bill che aspettava emozionato. Tirò fuori la spada e gliela fece vedere, tenendola in mano sua. Lei non era molto gelosa, ma guai a chi le toccava il suo fioretto.  

“Wow! Che bello! Posso?” Bill stese la mano verso di lei, chiedendo la spada.

“Non ci penso nemmeno!”, disse lei, allontanandogliela.

“Ma io… Perché no? Guarda che non te lo rovino.”

Non poteva resistere allo sguardo dolce di quel ragazzino, ti scioglieva con una facilità assurda, e lei non era una che si scioglieva con così poco.

“E va bene. Ma ti avverto: un passo falso e ti sbatto per terra, ok?”

“Va bene!”

Eva gli passò delicatamente nelle mani la spada, come se fosse di vetro, e lo guardò attenta per tutto il tempo che l’aveva tra le mani, contento. Riusciva ad emanare le sue emozioni solo con lo sguardo. Era davvero un ragazzino speciale quello, Eva lo aveva sempre saputo.

Bill le ripassò il fioretto, soddisfatto e felice. Una felicità pura, vera, semplice, che Eva non riusciva bene a comprendere.

“Grazie”, le disse, regalandole uno dei suoi sorrisi magnifici, per poi stamparle un bacio sulla guancia.

Eva, per la prima volta in vita sua, arrossì. Era una sensazione del tutto nuova per lei, perciò la allarmò, in un certo senso. Sentirsi la faccia bruciare e un improvviso calore in tutto il corpo non era il massimo, ma si sentiva serena nell’animo. La dolcezza di un bambino, di quel bambino, quante gioie le portava, immense.

Eva si alzò dal divano e si rimise la borsa sulla spalla, fioretto in mano, e salutò Bill sorridendo. Andò in camera sua, dove si sarebbe sparata i Green Day almeno fino all’ora di cena, come era d’abitudine, ma non fu proprio così. Appena entrata, vide Tom, Il gemello cattivo, che frugava tra le sue cose, nella libreria. Tutto poteva sopportare, tranne che fosse invasa la sua privacy in quel modo.

Impugnò meglio il fioretto e appoggiò delicatamente la punta della spada sotto il mento di Tom, che non si era minimamente accorto della sua presenza, concentrato com’era nel suo intento: trovare qualcosa che l’avrebbe aiutato a scoprire di più su di lei e a capire come prenderla senza fare passi falsi. Purtroppo per lui non ci era riuscito. Non era riuscito a trovare niente, il nulla. Eva doveva essere davvero una tipa riservata, se nemmeno lui aveva scoperto qualcosa.

“Fuori”, disse decisa Eva, indicando piano la porta con la testa, mentre gli occhi di Tom erano spavaldi dentro quelli di lei.

Sorrideva tranquillo, sapendo che comunque non gli avrebbe fatto nulla, se non una sonora ramanzina, di cui lui non avrebbe ascoltato comunque il contenuto.

“Se no che fai?”, la provocò, sogghignando.

Lei fece un sorrisetto strafottente, guardando per un attimo verso la libreria, controllando che tutto fosse in ordine e che non mancasse niente.

“Fuori. E non ci provare mai più”, disse ancora più decisa di prima, ritrovando la serietà.

Tom si spostò con una mano il ferro dal mento e, sogghignando, uscì dalla stanza, in silenzio.

Dopo lo scontro tra lei e Tom, non aveva nemmeno più voglia di ascoltare la musica. Girovagò per la stanza cercando un ispirazione, ma non le venne in mente niente.

“Eva! Che cosa stai facendo?!”, urlò sua madre dalla cucina.

“Niente mamma!”

“E allora, invece di fare niente, perché non metti un po’ a posto il ripostiglio?! Sono mesi che ti dico di farlo!”

Il ripostiglio, eh? Sempre i luoghi più sporchi toccano a me… E va bene, sollevò le spalle con fare distratto e con quella mancata voglia nel viso, visto che non ho proprio nulla di meglio da fare…

“Prima della sfida con il ripostiglio posso andare in bagno?”, chiese Eva sorridendo alla madre.

“Ahm… è entrato ora Bill”, disse Tom, seduto comodamente sul divano.

“A fare?”

“Chiediglielo, magari ti risponde.”

Eva gli fece una linguaccia e bussò in bagno, da cui si vedeva la luce accesa sotto la porta.

“Bill? Qui è Eva, ci sei?”

“Sì, entra, tanto…”

Tom inarcò le sopracciglia e guardò sbalordito verso il bagno.

“Ah! Ti stavi solo struccando…”, disse Eva sorridendo, entrando nel bagno. “Ma come sei carino senza l’ombretto!”, gli pizzicò la guancia, guardandolo sullo specchio. “Così somigli ancora di più a Tom, sai?”

“Certo che lo so!”

“Ok, non ti scaldare.”

Eva aprì il getto dell’acqua del rubinetto e ci ficcò sotto la faccia. Rimase in quella posizione per una decina di secondi, sotto l’acqua gelata, che la aiutò a far passare l’arrabbiatura verso il gemello cattivo. Si asciugò il viso con un asciugamano e si guardò allo specchio. Era da un po’ che non si truccava di nero, stando sempre in casa. Guardò Bill e la miriade di prodotti che già c’erano sulla mensolina di fianco a lui. Trucchi e cose per capelli.

Così piccolo e già si cura in questo modo, davvero ammirevole.

“Che marca usi?”, gli chiese appoggiandosi al lavandino e prendendo la scatoletta dell’ombretto nero.

“Ah… questa… Non è la migliore, però… Io uso questa invece, se vuoi provalo, noti la differenza.” Eva gli diede una sua scatoletta di ombretto e guardò la sua espressione.

“Beh… grazie…”

“Prego Bill, e non fare quella faccia, regalami un sorriso.”

Bill sorrise timidamente.

“Che bello che sei!”, Eva sorrise e gli stampò più volte dei baci sulla guancia, tenendogli il viso tra le mani.

Tutto quell’affetto non era proprio da lei. Si staccò immediatamente e lo guardò imbarazzata, mentre lui sorrideva. Scosse la testa e uscì dal bagno, per rifugiarsi nel ripostiglio impolverato.

C’era, c’era sempre stata e ci sarà, sempre un mucchio di roba lì dentro. Era un piccolo corridoio, corto e stretto, con ai tre lati scaffali di metallo con sopra milioni e milioni di scatole, per non parlare poi dei soprammobili inutilizzati, che comparivano un po’ dappertutto. Fece qualche passo lì in mezzo, tossendo per l’immensa quantità di polvere. Tolse delle scatole da degli scaffali, curiosandoci dentro.

Nulla di interessante, come tutto ciò che c’è in questo buco, d’altronde.

Prese altre scatole dal mucchio e in fondo allo scaffale, nascosta nell’ombra, c’era una scatola più piccola delle altre. La prese incuriosita e ci guardò dentro: filmini. Li trovò subito noiosi, ma già che c’era lesse alcuni titoli scritti a penna sui margini: Natale, Pasqua, Dai nonni, Compleanno di Eva: tre anni!.

Che cosa?

Rilesse più volte l’ultimo titolo, quello che l’aveva lasciata senza parole. Lo prese e lo guardò: avanti, dietro, ai lati, quella cassettina non doveva avere segreti per lei. La scrutò per almeno un minuto, poi si alzò da terra, rimise in ordine tutto, tranne quel filmino, che si infilò nella tasca della felpa.

Uscì seria dal ripostiglio, tenendo la mano in tasca, con in pugno quella cassetta.

“Trovato qualcosa di interessante?”, le chiese Tom con un ghigno, ma lei non lo sentì nemmeno.

Camminò veloce verso la sua camera e si chiuse dentro a chiave. Si mise sul letto e guardò ancora il filmino tra le mani.

Che fare? Lo guardo, anche se so che farà male, oppure non lo guardo?

Eva si alzò dal letto e decise di guardarlo comunque, anche se le avrebbe riportato amari ricordi.

Il filmato partì con la vocina della piccola Eva, saltellante per il salotto, con un vestitino rosa e i capelli raccolti in due codini. Il suo abbigliamento di allora era molto diverso da quello di adesso, radicalmente.

-Tre anni, eh?-, chiese la voce di Simone, che poi venne inquadrata. Accanto aveva una culla, con dentro i gemelli.

-Sì, sì… tre-, disse la piccola Eva, sorridendo e sporgendosi nella culla, cercando di vedere. Simone sorrise e la mise seduta accanto a sé sul divano, poi prese uno dei gemelli in braccio.

Ecco, quella era la scena del suo ricordo.

-Queto chi è?-, chiese Eva, indicando lo scricciolo avvolto nella copertina azzurra.

-Questo è Tom, cara. Dai, metti il dito nella manina, guarda che lo stringe-, l’aveva invitata Simone. Eva sorrise e mise il ditino nella minuscola mano del gemello. La mamma di Eva si avvicinò alla figlia e la abbracciò da dietro, mettendole dolcemente le braccia intorno al collo, sorridendo.

-Papà, guada! Tom mi ta tenendo il dito!-

-Ho visto piccolina! Fa così perché sente qualcuno accanto a sé.-  

Ecco, ancora la frase che aveva sentito nel suo ricordo. Una fitta al cuore le fece chiudere per un attimo gli occhi. Quando li riaprì, vide il padre abbracciare la madre e lei. Si costrinse a non piangere, a guardare come andava a finire, ma il filmato si interruppe e lo schermo del televisore si annerì e poi si fecero tutte le linee grigie e bianche. Nella stanza echeggiava un silenzio malinconico.

Eva guardò la custodia della cassettina che aveva in mano, la strinse con tutta la sua forza, abbassando la testa e stringendo gli occhi. Alcune gocce, alcune lacrime, bagnarono i suoi jeans scuri, lasciando dei piccoli cerchi umidi. Non era riuscita a trattenersi come credeva di poter fare. Si lasciò cadere all’indietro e continuò a piangere, in silenzio, da sola. Lei e il suo dolore.

 

***

 

Era lì da ore, sdraiata sul letto, a guardare in alto, ascoltando a palla la sua musica. Non aveva nemmeno cenato. Non voleva farsi vedere in quello stato.

Si mise meglio le grandi cuffie sulle orecchie e guardò verso il comodino. Vide la cassetta, la prese e se la rigirò all’infinito tra le dita.

Non ho mai sofferto… Perché solo ora? Non capisco.

Tolse lo sguardo dalla cassetta e per caso vide la maniglia della porta muoversi su e giù, come se qualcuno volesse aprire la porta. Ma era chiusa a chiave, non poteva entrare nessuno. Si tolse le cuffie e se le mise al collo. Ascoltò per un attimo, non sentendo comunque niente. Stava per rimettersi le cuffie, quando la voce di Bill e i pugni sulla porta la raggiunsero.

“Eva! Ti prego… uffa… perché non mi rispondi?”

Eva si alzò dal letto, togliendosi le cuffie, che lanciò sul letto, e aprì la porta.

“Semplicemente perché non ti sentivo, avevo le cuffie”, disse a Bill, aprendo giusto quello che serviva per farci uscire la testa. “Beh? Che vuoi?”, gli chiese ancora, visto che lui non accennava a dire nulla.

Lo guardò meglio: aveva addosso una specie di pigiama, lungo e grigio, molto più grande di lui, le maniche gli coprivano le mani senza che lui facesse niente.

Ma che ore sono?

Aveva completamente perso la cognizione del tempo, non credeva fosse già ora di andare a dormire, anche se lei non doveva farlo.

“Ehm… Tom si è addormentato… e… io non riesco a dormire… perciò…”

“Dai, entra.”

Lei gli aprì di più la porta e lo fece entrare. Lui le sorrise ed entrò silenzioso, mettendosi a braccia incrociate, stringendosi le spalle. Aspettò che lei chiudesse la porta e si sistemò sul letto. Eva lo guardò e sorrise, batté due colpi sul letto, accanto a sé. Bill sorrise ancora e salì a gattoni sul suo letto, si accucciò accanto a lei. Lei gli mise un braccio intorno alle spalle, e lo fece appoggiare alla sua spalla.

Era proprio un cucciolo innocente, timoroso, dolce. Che si lasciava coccolare molto volentieri.

“Più ti guardo… più… mi ricordi qualcuno. Ci siamo già visti da qualche parte prima che venissimo qui?”, chiese Bill, guardando il viso di lei. Eva chiuse gli occhi e si fece forza, affrontando quel dolore che sentiva nel petto.

“No, non ci siamo mai visti prima.”

“Eppure… Tu mi ricordi qualcuno, possibile?”

“Mi confondi con qualcun altro allora.”

“Eva, guardami.” Bill le prese il mento tra le dita e le fece guardare i suoi occhi profondi. “Tu stai dicendo un sacco di bugie. Non sono mica scemo, sai? Tu ci conosci, ci conoscevi già. Se no perché mamma ti ha abbracciato così quella volta? Perché tu hai abbracciato lei in quel modo? Lei ti conosceva già, e pure tu conoscevi lei, perciò… parla, ti prego. Chi sei? So di averti già vista, ma non ricordo.”

“Non puoi ricordare. Eri piccolo, e pure io lo ero, non ricordo molto neppure io. Adesso basta, se no puoi anche andartene.”

“Ok, come vuoi.” Bill sospirò e chiuse gli occhi, abbracciandola, mettendole un braccio intorno alla vita.

“Come mai non riesci a dormire?”, chiese dolcemente Eva, accarezzandogli i capelli sulla nuca.

“Pensavo a papà. Ogni tanto capita. I miei si sono separati quando io e Tom avevamo sei anni. Qualche volta ci penso e… ancora mi fa male.”

Separati? Non sapevo che…

Eva non era al corrente che i suoi fossero separati, e non ne sarebbe stata se Bill in persona non glielo avesse detto. Guardò gli occhi tristi del moro, la loro tristezza sincera.

“Oh Bill… mi dispiace… Ma, almeno tu l’hai conosciuto tuo papà.”

Perché? Perché l’ho fatto? Perché gliel’ho detto?

Perché stava parlando del suo doloroso passato con un ragazzino? Con Bill le cose uscivano da sole, però era come una liberazione. Man mano che parlava si sentiva più leggera, come se si fosse levata via un peso.

“Che vuoi dire?”

“Che… io non me lo ricordo neppure. Anche i miei sono divorziati. Avevo tre anni. Per questo… non ricordo molto.”

Eva invece ricordava molto bene il giorno in cui si erano ritrovate in due, lei e sua madre. Era una mattina invernale, in casa i suoi genitori non facevano che litigare, ma quella mattina si svegliarono e si accorsero che suo padre non c’era più, sparito con tutte le sue cose. Non un biglietto, non una chiamata, niente. Era come scomparso nel nulla. Ricordava bene anche le lacrime della madre, nascosta in camera, per non farsi vedere dalla figlia. Poche settimane dopo, la partenza per l’Inghilterra, l’addio a Simone, ai gemelli.

“Allora basta mentire. Visto che ci sono, ti racconterò tutto.”

Bill si mise meglio ad ascoltarla.

“Come sai, tua mamma e mia mamma sono amiche. Un tempo erano anche migliori amiche, adesso non lo so. Tua madre per me era come una seconda mamma, stavamo sempre assieme. Poi siete nati voi, poco prima che i miei si separassero. Due gemelli identici. Eravate come… dei fratelli per me… Poi, ci siamo trasferite in Inghilterra… lasciandovi… Non ci siamo visti per ben tredici anni, fino a quando sono tornata qui. Per questo io…”

Parlava con la voce che tremava e, come se non bastasse, aveva le lacrime agli occhi. Ne lasciò scivolare una sulla guancia, piano, in silenzio. Si tirò su a sedere, lasciando Bill, e si asciugò la guancia, impendendosi mentalmente di piangere ancora, e soprattutto in sua presenza. Bill la guardò, le si avvicinò e la abbracciò, tenendola forte a sé.

Oh Bill…

Eva ricambiò la stretta, tenendo quel cucciolo tra le sue braccia, sentendo una sensazione paradisiaca dentro di sé.

“Mi dispiace tanto Eva… Io non credevo…”

“Non importa Bill, non centri nulla tu. Tu non hai fatto nulla di sbagliato… sono gli altri che sbagliano. E gli errori ricadono inevitabilmente sui figli, questa è la vita.”

Dopo quella confessione liberatoria, Eva si sentiva meglio, libera da quelle catene che la attanagliavano ogni giorno da quando c’erano i gemelli.

Bill si era addormentato fra le sue braccia, dove era anche in quel momento, che riposava al sicuro, protetto.

La ragazza guardò la sveglia accanto a sé, sul comodino. Era tardi, e lei doveva andare. Si alzò e prese Bill in braccio, attenta a non fargli male alla testa. Non si era mai resa conto di quanto pesasse in realtà! Era tanto magro, ma trasportarlo non era una passeggiata.

Lo portò in salotto, sul divano letto dove c’era il gemello che se la dormiva alla grande. Lo appoggiò delicatamente e lo coprì con il piumone. Tornò in camera a prendere la borsa e quando tornò diede un’ultima occhiata ai gemelli. Dormivano, vicini, Tom completamente scoperto, con una mano sul petto e l’altra sul cuscino. Muovendosi, aveva scoperto anche il povero Bill.

Eva sorrise e scosse piano la testa, avvicinandosi di nuovo al letto. Li coprì di nuovo, rimboccandoli bene, vedendo un piccolo sorriso sulle labbra di Bill. Gli accarezzò i capelli scuri, spostandoli, e lo baciò leggera sulla fronte. Fece il giro del letto e fece lo stesso con Tom, accarezzandogli però la guancia. Si allontanò e quando aprì la porta, la voce ancora addormentata del maggiore, Tom, la fece girare.

“Dove vai?”, le chiese, alzando di poco la testa dal cuscino. Eva si avvicinò di nuovo e si sporse su Tom, sorridendo addolcita.

“Tom, dormi, è tardi”, gli sussurrò, chiudendogli poi gli occhi con la mano, regalandogli un altro bacio sulla guancia.

Tom si lasciò andare e tornò nel mondo dei sogni, allora Eva uscì di casa.

   
 
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