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Autore: Sandra Prensky    04/01/2017    2 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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XV.

 

During the Cold War there was a theory.

That one agent in the right place

at the right time…

with the right skills…

could be more effective than an army.

It was the Cold War, after all,

and that’s how it was fought.

In the shadows… behind enemy lines.

I should know, I lived through all of it.

And she lived through it all.

(The Winter Soldier – Bucky Barnes [comic books])

 

 

Lobnya, Russia

56°01’N 37°29E

Monday, 14th December 2015

12.34am

 

Natasha rabbrividì, mentre si calava dal foro nel pavimento verso il corridoio asettico che aveva cercato di dimenticare nelle ultime settimane. Non avrebbe mai voluto tornare in quella specie di laboratorio da film horror, ma credeva che Bucky dovesse vedere cosa celava quella casa abbandonata dietro la stazione dei treni di Lobnya. Tra tutte le cose che gli stava nascondendo, o almeno avrebbe voluto nascondergli, aveva bisogno di condividere parte di quell’orrore con qualcuno in grado di comprendere, o non ne sarebbe uscita integra. In più, erano a un punto morto, e considerando quanto velocemente aveva lasciato il posto l’ultima volta c’era la possibilità che avesse mancato qualche indizio importante. Udì il Soldato atterrare dietro di lei con un salto. Ovviamente, non aveva usato la corda.

-Esibizionista.- Mormorò con un sorrisetto, cercando di allentare la tensione che avvertiva.

-Sei solo gelosa.- Rispose lui a tono, i suoi occhi però incapaci di celare la preoccupazione che provava. Bucky sapeva bene che se qualcosa preoccupava la Vedova Nera, non poteva essere niente di buono. La rossa sostenne il suo sguardo per qualche attimo, come a farsi forza, poi con un sospiro scosse la testa e fece strada verso la stanza piena di cadaveri. Chiudendo gli occhi, spalancò la porta malferma sui cardini. L’odore di morte la assalì nuovamente. D’un tratto, l’aria le parve ancora più irrespirabile di quanto non fosse, i suoi polmoni non funzionavano correttamente. Si sentì investire da un’irrefrenabile voglia di uscire da quel posto e correre il più lontano possibile, lasciarsi tutto alle spalle. Avvertiva lo stomaco contrarsi, attanagliato da quello che non poteva essere altro che terrore. Fortunatamente, la sensazione cessò quando la mano di Bucky le si appoggiò sulla spalla, inducendola a rilassarsi sotto il suo tocco. Era sicura di non aver lasciato trasparire molto di ciò che stava succedendo dentro di lei, ma lui la conosceva troppo bene per pensare che fosse rimasta impalata sulla soglia per nessuna ragione. Incrociò il suo sguardo, e si scambiarono un cenno d’intesa. “Non sei sola”, “Grazie”. Non avevano bisogno di parole, i loro sguardi si dicevano già tutto. Lui fu il primo a distogliersi ed entrare nella stanza a esplorarla. Lei lo seguì a ruota. Doveva riuscire a controllarsi, come aveva sempre fatto. Non poteva lasciare che la paura avesse la meglio, non adesso, non in una missione così importante. Osservò l’orrore dilatarsi sul volto di Bucky, e sì che di mostruosità ne aveva viste. Lo vide avvicinarsi ai corpi di quelle ragazzine, non molto diverse da lei nei suoi primi anni alla Stanza, e attese pazientemente che superasse lo choc iniziale e vedesse la scritta sul muro. Quando, pochi minuti dopo, si girò nuovamente verso di lei, la sua espressione era mortalmente seria.

-Credi che qui possiamo trovare qualcosa?

Lei scrollò le spalle.

-Non ho indagato a lungo l’ultima volta e sto esaurendo le idee.

Lui annuì e si avviò verso le cassettiere, facendo ben attenzione a evitare le pozze di sangue per terra.

-Mettiamoci al lavoro. Voglio uscire da questo circo degli orrori il prima possibile.

 

An hour later

 

Avevano setacciato il posto da cima a fondo. Per quanto piccolo potesse sembrare, era semplicemente pieno di cassetti e scaffali. Esaminare il contenuto di tutti si era rivelato molto più lungo del previsto. Ad ogni modo, pur dopo tutto quel tempo e tutti quegli sforzi, si ritrovavano solo con i cocci di molteplici ampolle e fogli spiegazzati ormai illeggibili. Natasha si accasciò contro il muro lontano dai lettini, cercando di non dare troppo nell’occhio. La ferita si stava rimarginando, ma era abbastanza profonda da dolerle quando compiva sforzi superiori al quotidiano, ovvero praticamente sempre. Bucky, dal canto suo, sembrava frustrato, e totalmente a disagio. Aveva la fronte imperlata di sudore, abbastanza da fare in modo che i suoi lunghi capelli vi si appiccicassero e stava svuotando freneticamente l’ultima credenza a loro rimasta da prendere in esame. Si era tolto la giacca, rimanendo con una maglia nera a maniche corte e anche dalla distanza a cui si trovava, Natasha poteva distinguere chiaramente i contorni delle vene delle sue braccia, messe ancora più in risalto dallo sforzo e la tensione. Lo vide rialzarsi, quasi tremante. Quella stanza lo stava mettendo decisamente alla prova... Era raro vederlo così sotto pressione, a meno che ci fossero ricordi in ballo. Natasha non aveva idea di cosa avesse visto lui, negli anni con l’HYDRA, ma a giudicare dalla sua reazione in quel momento non doveva essere stato più piacevole del KGB. Il Soldato serrò i pugni, e scagliò l’ampolla vuota che teneva in mano verso il muro sul quale era impressa la scritta, con un urlo quasi disumano. Il vetro parve esplodere, i frammenti volarono ovunque in una pioggia di cristalli. La rossa era abbastanza lontana, ma dovette coprirsi comunque gli occhi per paura delle schegge. Attese qualche secondo e fece per avvicinarsi a lui, cauta, non volendo infliggere più danno di quello che era già stato fatto. Nell’avvicinarsi a lui, tuttavia, urtò per errore una parte del manico dell’ampolla frantumata, tirandole un calcio. Questa rotolò rumorosamente verso un angolo della parete dove era stata scagliata prima. Natasha e Bucky la seguirono con lo sguardo, fino a che questa scomparve. I due si scambiarono un’occhiata e si avvicinarono verso il punto dove era arrivato il frammento. Natasha si avvicinò, e appoggiò la mano sul muro. Seguì il profilo di questo fino a quando trovò una fessura, che a più attento esame si scoprì essere una porta scorrevole. Era nascosta abbastanza bene all’interno della parete, tanto che nessuno dei due l’avrebbe notata. La rossa spinse per aprirla, riuscendoci parzialmente dopo qualche secondo e solo con l’aiuto di Bucky. Era piuttosto pesante e probabilmente né i vecchi cardini né l’interno di quel muro, che dall’odore pareva essere costituito principalmente da carcasse di topi e chissà quali altri animali, aiutavano particolarmente. Lo spiraglio che erano riusciti ad aprire era abbastanza grande solo per far passare lei, che scambiò uno sguardo di intesa con Bucky e si infilò all’interno. La sua prima impressione fu quella di essere una mosca caduta in trappola. Le ragnatele erano talmente fitte da impedirle di vedere più in là del suo naso.

-Ew.- Si lasciò sfuggire mentre si faceva strada tra i filamenti che si stavano pian piano attaccando ai suoi vestiti e incastrando tra i suoi capelli. Udì Bucky chiamarla, allarmato dalla sua esclamazione.

-Tutto bene lì dentro?

-Sì, sono solamente sommersa di ragnatele.

Sentì Bucky lasciarsi sfuggire una risata nervosa.

-Devi almeno ammettere che c’è dell’ironia in tutto questo, Vedova.

Natasha abbozzò un sorriso senza curarsi di rispondere e procedette a tentoni tra le ragnatele e l’oscurità. Doveva aver percorso meno di due metri quando le sue mani incontrarono qualcosa di solido, probabilmente un armadio. Tastò all’interno delle sue tasche, fino a quando trovò il suo cellulare. Era sprovvisto di torcia, ma almeno la luminosità dello schermo l’avrebbe aiutata a vedere qualcosa. L’armadio era piuttosto piccolo, c’erano solo tre ante. Le prime due erano totalmente vuote, fatta eccezione per due ampolle rotte e un considerevole numero di ragni. Nella terza, coperto di polvere, c’era un fascicolo. Lei lo afferrò in fretta, ansiosa di uscire al più presto da quella stanza, che verificò essere appena un cubo che non conteneva altro che quell’armadio. Attraversò lo spiraglio della porta in fretta, uscendone coperta di ragnatele da capo a piedi. Bucky la guardò con aria quasi divertita, ma non si arrischiò a commentare.

-Andiamocene da qui.- Mormorò Natasha. Non sarebbe riuscita a sopportare quel luogo molto più a lungo. Bucky si limitò ad assentire e a seguirla.

 

Toržok, Russia

57°02’N 34°58’E

Tuesday, 15th December 2015

5.02pm

 

Nikita Vinogradov accelerò il passo, nervoso. Non che avesse particolari possibilità di fuggire da loro, pensò Natasha. Lei e Bucky avevano cercato di rintracciarlo per un paio di giorni, violando diversi server dello SHIELD e una manciata di leggi federali, come da protocollo. Il contenuto del fascicolo che Natasha aveva trovato, infatti, non era altro che un mucchio di foto e un certificato medico. Le foto raffiguravano diversi medici, ma l’unico, che compariva in ogni scatto, al quale viso fossero riusciti a collegare un nome era lui, Nikita. La sua firma era quella che compariva anche al fondo del certificato medico, dal quale però il nome del soggetto a cui era stato rilasciato era stato bruciato. I due non avevano allora avuto altra scelta se non andare alla ricerca di quell’uomo, l’unico indizio che avessero. Erano entrambi perfettamente coscienti del fatto che non poteva essere un caso che fossero riusciti a trovare un solo nome, non vista tutta la precisione con cui altri indizi e i nomi degli altri medici erano stati occultati. Tuttavia, sebbene avessero ogni ragione di credere che fosse una trappola, decisero di far finta di abboccare. La rossa seguiva l’uomo in lontananza, con passo tranquillo, aspettando che commettesse un errore. Era sicura sarebbe successo: la fretta e l’agitazione erano i peggiori nemici di chiunque cercasse di seminare qualcuno, e lui era visibilmente sia spaventato sia agitato. Continuava a lanciare occhiate dietro di sé, girandosi di scatto. Non aveva notato Natasha dall’altra parte della strada, ma aveva comunque la sensazione di essere pedinato. Lo vide stringersi nel suo pastrano e girare in un vicoletto semi nascosto. Lei sorrise sotto la sciarpa che le copriva metà viso. Finalmente l’errore che stava aspettando, come aveva previsto.

-Ti stanchi mai di avere ragione, Romanoff?- Mormorò leggermente gracchiante la voce del Soldato d’Inverno dall’auricolare che teneva nell’orecchio. Al momento era posizionato sulla scala antincendio di un edificio che dava sulla strada, ma l’aveva seguita da un tetto all’altro per l’intero tragitto, guardandole le spalle dall’alto. Avevano scommesso se il loro obiettivo avrebbe effettivamente commesso un errore per paura come sosteneva Natasha o se fosse stato addestrato meglio di così.

-Raramente.- Replicò tranquillamente mentre attraversava la strada per seguire Vinogradov nel vicoletto. -Mi devi cinque dollari.

Come aveva immaginato, il vicoletto era stretto e quasi completamente cieco. Vi era un’unica via d’uscita, una stradina ancora più angusta al fondo, stretta tra due case sulla destra. Quando l’uomo di accorse di aver sbagliato mossa, girò per tornare sulla strada principale. Si ritrovò però davanti a Natasha, coperta dall’impermeabile e il cappello beige, la sciarpa nera tirata fino al naso, a sbarrargli la strada. Con un’espressione terrorizzata, si girò e prese a correre verso l’unica via d’uscita. Natasha non mosse un passo, e si sfilò tranquillamente la sciarpa mentre osservava Vinogradov interrompere la sua fuga davanti al Soldato d’Inverno, sbucato dal vicoletto stesso, piazzato a sbarragli la strada, il fucile saldo nella mano di metallo.

-Fossi in te mi fermerei.- Consigliò Bucky pacatamente, come se gli stesse indicando quale linea della metro prendere. Solo allora Natasha si incamminò verso di loro, ostentando una calma esagerata. Era una vecchia tecnica: potevano permettersi di comportarsi tranquillamente, posati, i gesti calmi e controllati. In qualche modo quel tipo di comportamento, unito alla fama che li precedeva, incuteva talvolta ancora più timore che puntare un coltello alla gola. Nessuno dei due smise di camminare finché Vinogradov non si ritrovò stretto, le spalle al muro.

-Vi prego- Squittì allora con voce stridula -Non mi uccidete.

A Natasha venne quasi da ridere. Si limitò invece a osservare l’uomo. Piccoletto, magrolino, un paio di baffi sottili alla francese, il viso smunto e scheletrico. Gli occhietti piccoli e acquosi continuavano a schizzare nervosamente da lei a lui. Doveva per forza averli riconosciuti, a giudicare dalle prime parole che erano uscite dalla sua bocca.

-Non ne abbiamo bisogno.- Rispose Bucky con mezzo sorriso stampato sulle labbra.

-Se ci dici ciò che vogliamo, ovviamente.- Puntualizzò Natasha. Alle sue parole, Vinogradov venne scosso da un tremito.

-Io... Io non so niente. Avete preso l’uomo sbagliato.- Esclamò con voce stridula.

-Vedi, purtroppo il problema è che fatichiamo a crederti.- Replicò la rossa con un finto tono dispiaciuto. Alzò gli occhi e rivolse un cenno a Bucky, che annuì ed estrasse da una tasca interna del proprio giaccone il fascicolo che avevano trovato. Lanciò le foto che conteneva per terra, nella neve, davanti a Vinogradov. Questi impallidì, se possibile, ancora di più.

-Dunque,- proseguì Natasha -Puoi collaborare e tornare a casa sano e salvo, oppure rifiutarti e non aver più bisogno di preparare la cena per stasera, o qualsiasi altra sera.

-Collaboro, collaboro!- Guaì l’uomo terrorizzato.

-Ottima scelta. Potresti iniziare col dirci dove si trova la nuova Stanza Rossa.

-Non... Non ne ho idea- Non fece in tempo a finire di farfugliare la risposta che Bucky lo colpì sul petto con l’impugnatura del fucile, spedendolo a terra. L’uomo non osò alzarsi e si coprì il capo con le braccia, come se aspettasse un altro colpo. Il Soldato d’Inverno sarebbe stato più che propenso ad accontentarlo, se Natasha non gli avesse bloccato il braccio. Fece cenno di no con la testa e si accucciò, vicina a Vinogradov. Con un falso sorriso lo spinse ad abbassare le braccia, con gesti gentili, rassicurandolo. Lui la guardò perso e poi si arrischiò a ricambiare il sorriso. Fu allora che lei, senza perdere il sorriso, lo afferrò per il bavero della giacca e lo schiacciò contro il muro. Lui, preso alla sprovvista, non ebbe tempo di reagire e rimase senza fiato.

-Ripeterò la domanda un’altra volta. Dove si trova la nuova Stanza Rossa?- Natasha non perse né il sorriso né il tono pacato.

-Te lo giuro, non lo so, non lo so! Non ho mai visto quelle foto, non so chi siano quelle persone, non so quando siano state scattate, non so niente!- Perseverò lui, ormai sull’orlo delle lacrime. La rossa lo guardò a lungo negli occhi. Iniziava ad avere un tremendo sospetto. Tuttavia, decise di continuare con quella farsa. Scosse la testa.

-Nikita, Nikita, così non va proprio bene...- Disse con finto tono dispiaciuto, mentre estraeva un coltello dallo stivale. Lui diventò talmente bianco che per un secondo Natasha credette sarebbe svenuto.

-No! Ferma! Io non mi chiamo Nikita! Non sono chi state cercando e non so assolutamente niente!- Natasha inarcò un sopracciglio, al che lui si agitò ancora di più. -Sentite, mi chiamo Oleg Rybakov, potete controllare!- Tastò freneticamente nelle sue tasche, fino a quando estrasse un passaporto russo e lo tese alla rossa con mani tremanti. Lei gli lasciò andare il bavero e si rialzò in piedi, facendo un cenno a Bucky perché tenesse il fucile puntato in modo che l’uomo non facesse scherzi. Esaminò il passaporto con cura, osservando anche le pagine in controluce. Era autentico.

-Dimmi, Oleg, dove ti trovavi il 24 settembre 2013? - Chiese lei, ricordandosi della data che aveva letto sul certificato.

-Non... Non saprei... Era tanto tempo fa...

-Credo che ti convenga sforzarti, allora.- Intervenne Bucky, gelido.

-Era... Il compleanno di mia figlia Aida.- Chiuse gli occhi nel tentativo di ricordare -Mi svegliai presto per andare a casa della mia ex moglie... Ma lei non mi lasciò entrare, arrivò quasi a chiamare la polizia. Urlava che ero solo un ubriacone buono a nulla. Sono rimasto tutto il giorno in un pub.- Gli occhi gli si velarono di tristezza. Natasha si girò dall’altra parte, per fare in modo che l’uomo non la sentisse parlare con Bucky.

-Non sta mentendo.

-Come fai ad esserne sicura?- Rispose lui tra i denti, senza abbassare il fucile.

-So riconoscere un bugiardo. Non otterremo niente da lui.

Si girò nuovamente e lo prese un’altra volta per il bavero, in modo da farlo alzare in piedi. Gli sorrise.

-Avverti qualcuno di questa chiacchierata o rivela la nostra posizione a un’anima e mi assicurerò che non ritrovino nemmeno le tue ossa.- Sussurrò sorridente, tirandogli una pacca amichevole sulla spalla. Lui annuì, incapace di parlare, e rischiando di scivolare corse via a perdifiato. Bucky guardò la ragazza con aria di disapprovazione. Lei incrociò le braccia.

-Non sei d’accordo con me.- Lo conosceva abbastanza da poterlo affermare con certezza.

-Non credo a una sola parola di quello che ha detto.

-Oh, se è per questo nemmeno io.- Replicò Natasha, rimettendosi la sciarpa e iniziando a incamminarsi verso la strada. -Ma sono sicura che non stesse mentendo.

Bucky la guardò accigliato.

-Credi che...

-Credo che gli abbiano modificato la memoria. Non credo sia una coincidenza che la data sul certificato sia la stessa di un evento francamente piuttosto difficile da dimenticare per lui. Credo che la Stanza Rossa ci abbia permesso di trovarlo solo per farci vedere che è sempre un passo avanti a noi.

-E se invece fosse solo una coincidenza? Se fosse tutta una farsa, e ci avessero fatto seguire una pista falsa?

-Ha detto di chiamarsi Oleg Rybakov. Nell’estate del ‘65, ero tornata in Russia e avevo lavorato per un gruppo del KGB. Andavo spesso sotto copertura, e durante più di una missione mi sono fatta chiamare Olga Rybakova. Pensi ancora che sia una coincidenza?- Bucky storse il naso.

-Continuo però a pensare che averlo lasciato andare non sia stata una buona idea. Abbiamo impiegato un po’ a trovarlo...

-Lo so. Per questo adesso ha addosso un segnalatore di posizione. Sapremo dove si trova in qualsiasi momento vogliamo.- Replicò Natasha con un sorrisetto. Bucky fece per risponderle, quando dietro di loro, per la strada, si sentì lo strillo di una donna. I due si girarono di scatto, e si mossero velocemente verso la provenienza dell’urlo. Si fecero strada tra la folla di gente che si era già formata, per ritrovarsi davanti al corpo in preda alle convulsioni di Nikita Vinogradov, o Oleg Rybakov, che giaceva a terra con un pugnale piantato nello sterno. 

   
 
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