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Autore: Kat Logan    04/01/2017    2 recensioni
Paradiso e Inferno; è ciò che si ritroveranno ad affrontare i protagonisti di Stockholm Syndrome in questa nuova avventura.
Hanno amato, realizzato i propri sogni, hanno accarezzato il paradiso nella pacifica Osaka ed ora devono ristabilire l'equilibrio; troppa gioia tutta in una volta è da pagare.
Per uno Yakuza la cosa più importante è l'onore, così, Akira e Haruka seguiranno le proprie tradizioni.
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"Ovunque andrò, sarai con me. E avrei voluto dirlo in modo diverso, in un’occasione differente…magari al lume di candela, su un tetto, sotto alla luna, al nostro terzo matrimonio. Ma sai, un momento giusto non c’è mai. Quello giusto è quando lo senti, ovunque tu sia..quindi…lo dico adesso, forte come non l’ho mai sentito prima d’ora. Ti amo e questo non cambierà, non è cambiato nemmeno nel momento in cui non mi sono più riconosciuta".
[Sequel di Stockholm Syndrome].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Capitolo 10
Hard life


 

 “Sometimes I hate
The life I made
Everything is wrong every time
Pushing on, I can’t escape
Everything that comes my way
Haunting me taking it’s sweet time
Holding on, I’m lost in a haze
Fighting life ’til the end of my days”
 
Narcissistic Cannibal – Korn
 
 
 
Akira correva col peso del cuore nello stomaco. Era scisso in due e una parte di lui lo stava prendendo a calci perché non era rimasto ad aspettare in sala d’attesa che Minako uscisse dalla sala operatoria. Non significava avesse scelto la sua migliore amica al posto dell’unica donna che aveva e avrebbe mai amato, semplicemente lui confidava in Minako. Sapeva che era più forte di quanto nessuno si sarebbe mai aspettato o non sarebbe mai riuscita a rimanere al suo fianco con la vita che lui e Haruka erano costretti a condurre. Lei se la sarebbe cavata, Ami glielo aveva promesso e adesso quella che aveva più bisogno del suo aiuto era certamente Haruka. Si era come dissolta nel nulla da quando aveva deciso di andare con due dei loro uomini dove Mimì era stata ricoverata, ma quel silenzio non era da lei. Per quanto fosse un lupo solitario era solita farsi sentire con una scusa qualsiasi, anche solo per infastidirlo. Era come se dovesse accertarsi che Akira sarebbe stato al suo fianco per sempre. E così sarebbe stato. Akira non l’avrebbe mai abbandonata. Loro due erano sempre stati una famiglia, a prescindere dalle leggi della ikka, perciò si sarebbero protetti a vicenda.
Il ragazzo era sempre stato uno di parola. Anche lui aveva fatto una promessa ad Ami e l’avrebbe mantenuta a tutti i costi, ma per farlo sapeva di aver bisogno di Haruka e il tempo era prezioso.
 
Akira non si curò di schivare le pozzanghere. Continuò imperterrito per la sua strada. Attraversò nel bel mezzo dell’ingorgo che aveva paralizzato Shibuya e poi scese i gradini della metropolitana il più velocemente possibile.
Salì infilandosi tra le porte automatiche incurante degli sguardi altezzosi dei colletti bianchi, ai quali era costretto a star appiccicato per il sovraffollamento del mezzo, che invano tentavano di creare un po’ di spazio tra i loro vestiti ben puliti e i suoi fradici e macchiati di rosso vermiglio.
Doveva sembrare un pazzo, ma uno yakuza non bada al parere altrui. Inspirò a fondo e non appena il trillo del mezzo segnalò l’arrivo alla fermata della stazione di polizia, Akira si fiondò oltre le porte automatiche.
Nell’uscire prese contro ad una signora indignata per lo strattone ricevuto alla propria borsa. Lui si scusò con solo un cenno della mano e risalì i numerosi scalini del tunnel fino a ritrovarsi nuovamente in superficie.
Una macchina inchiodò suonando convulsivamente il clacson per la sua comparsa improvvisa in mezzo alla carreggiata.
A due svolte da lì la centrale di polizia lo attendeva
 
Un poliziotto dalla folta chioma bionda si godeva una sigaretta sotto al porticato della stazione di polizia.
Per una strana associazione del suo cervello il tale gli ricordò Haruka e forse per quello si avvicinò a lui senza entrare come una furia nell’atrio principale del distretto.
“Cerco l’agente Hino” disse risoluto, concedendo ai piedi una brusca frenata e portandosi i palmi alle ginocchia per riprendere fiato.
“Non sono io, spiacente” rispose il biondo.
Akira si lasciò scappare una risatina.
“Oh lo so bene. Hino è più attraente se vogliamo dirla tutta”.
Anche l’altro si concesse un sorriso divertito e spense il mozzicone nell’apposito posacenere.
“Sono appena arrivato, ma temo non sia in centrale” lo informò. “Posso aiutarla io. Sono l’agente Jadeite. Il suo sguardo cadde sulla giacchetta sporca di Akira, ma un bravo poliziotto doveva anche notare i particolari senza dirlo troppo in giro.
Jadeite era sinceramente incuriosito da quel giovane trafelato comparso dal nulla.
“Se vuole aiutarmi dobbiamo rintracciarla”.
Chiunque avesse formulato la teoria dei gradi di separazione aveva ragione. Ogni persona è collegata ad un’altra attraverso una conoscenza o relazione con non più di cinque intermediari. Akira se voleva salvare Michiru avrebbe dovuto trovare Haruka e l’anello di collegamento con lei era Rei, ma per arrivarci doveva servirsi di questo Jadeite comparso dal nulla sulla sua strada.
Akira non seppe dirsi se era Tokyo o direttamente il mondo stesso a essere divenuto un posto veramente piccolo.
 

 
***
 
 
“Fermo, il posto è questo”.
Sadao frenò all’avvertimento di Rei avvertendo alle gambe un formicolio di tensione.
“Cosa dobbiamo fare?” inquisì ingenuamente spegnendo i fari della macchina.
“Trovare risposte, ovviamente”.
Rei non attese oltre, scese dall’auto assicurandosi di aver la pistola carica e al proprio posto.
Attraversò il vialetto con fare circospetto e all’olfatto le arrivarono i profumi più disparati di diverse piante.
L’indirizzo che Haruka le aveva consegnato era quello di una serra poco fuori città, ma non pareva un vivaio aperto al pubblico. Probabilmente si trattava di un privato con il possedimento di un pezzo di terreno.
Sadao incespicò in un pietrino venendo fulminato prontamente dallo sguardo di Rei.
“C’è nessuno? Polizia” disse decisa entrando da una porta cigolante per poi ritrovarsi davanti un’intera coltura di piante dagli sgargianti fiori cremisi.
“Sembra non ci sia nessuno” asserì Sadao sentendosi quasi sollevato dalla mancanza di estranei.
Un rumore di cocci sul retro attirò la loro attenzione. Rei, a passo svelto e con una mano a sfiorare il calcio della pistola si diresse in direzione del suono.
Le lampade a ultravioletti emisero un farfallio sinistro al loro passaggio e per un momento, Rei credette che tra la luce e il buio del calo di tensione sarebbe riuscita a vedere Setsuna.
Respirò a fondo, mentre qualche goccia di sudore le carezzò la fronte.
Non era il momento di pensare ai fantasmi.
“Polizia”.
Ripeté impugnando l’arma e aprendo con una spallata una porta mal messa.
Di fronte a lei un uomo sulla sessantina era intento a raccogliere i pezzi di un vaso andato in frantumi.
“Non vi ho sentito entrare” disse in tono sorpreso per poi rimettersi in posizione eretta e spazzarsi le mani sui pantaloni da lavoro blu.
Rei sentì la tensione alle spalle allentarsi, abbassò l’arma e mostrò il distintivo all’uomo.
“Dobbiamo farle qualche domanda”.
“Sono tutt’orecchi”.
“Che piante sono quelle nella serra alle mie spalle?”.
“Sono Ricinus”.
Sadao fece un cenno col capo a Rei come a dire che avevano trovato ciò che stavano cercando.
“Ne vende molte?”.
L’uomo scosse il capo in cenno di diniego.
“Non vendo al pubblico”.
“Quindi le coltiva per uso personale” indagò Rei.
“Diciamo di sì”.
“Perché, diciamo?” domandò con tono ancor più indagatorio lei.
Setsuna glielo aveva detto in punto di morte. Haruka sarebbe stata una brava poliziotta se solo avesse scelto la strada giusta.
E più i minuti scorrevano in quel luogo, più Rei si convinceva di essere ad un punto di svolta grazie alla soffiata della bionda.
“Si, voglio dire, si”.
“Signor…?”
“Tadayoshi”.
“Le riporrò la domanda una seconda volta. E’ sicuro, che nessun’altra persona oltre a lei possa disporre di queste piante?”.
Il fragore di un tuono rimbombò nella stanza. Un blackout improvviso, dovuto all’imperversare della tempesta all’esterno, li lasciò completamente al buio.
Il suono del cellulare di Rei s’insinuò tra i loro respiri.
“Un momento”. Afferrò il telefono e rispose al numero sconosciuto con Sadao a guardarle le spalle.
Dove sei?
“Con chi parlo?”.
Lo domandò frettolosamente, poiché una certa ansia la pervase.
Jadeite”.
“Come hai avuto il mio numero?!”.
“Sono un detective, no?”
“Che vuoi?”.
Sapere dove sei”.
“Non ti riguarda”. I nervi a fior di pelle. Rei non staccò lo sguardo dalla sagoma dell’uomo dinnanzi a lei, illuminato fiocamente solo da una flebile luce proveniente da un vetro rettangolare e stretto.
“Sei in servizio quindi mi riguarda”.
Rei perse la pazienza e si sbottonò. Se avessero voluto congedarla pazienza, le interessava trovare i responsabili della morte di Setsuna e nulla più.
“Sto lavorando al caso, okay?”
“Okay”.
Rimase interdetta dal non ricevere una sorta di ammonizione o quanto meno di non avvertire una note scocciata nella voce del ragazzo per il suo intromettersi.
“Ora puoi rispondermi?”.
“Al vivaio Sakura”. Riuscì a dirlo con la voce morente in gola. Rei si ritrovò a boccheggiare e le sopracciglia formarono un arco che rivelava una smorfia tra l’allucinato e lo stupore.
L’uomo che aveva avuto fino ad un secondo prima davanti a sé era scomparso dalla stanza.
“Fai in fretta” aggiunse interrompendo la chiamata.
“Sadao…”
“S-si”.
“Dove diavolo è finito?!”
“N-non saprei”. Rei riuscì a scorgere sul volto dell’altro un’espressione di puro terrore.
“La pistola. Tirala fuori” gli ordinò perentoria, estraendo la sua e puntandola nel buio.
“Ma…”
“Sai sparare?” gli chiese titubante.
“Circa”.
“Cazzo, Sadao. COSA VUOL DIRE CIRCA!?”.
“Al, al poligono. Qual-che volta . Si, i-insomma”.
“Non balbettare. Dimmi solo che riesci a centrare i bersagli”.
Silenzio.
“Sadao?”
“S-si”.
“RISPONDIMI”.
“Si…” una breve pausa. “Circa”.
 
 
 
*** 
 
 
Haruka venne strattonata fuori dall’auto.
Subì uno spintone e poi un altro che la fece piegare in avanti sul cofano. Le mancò il respiro quando gravitò col bacino contro il pezzo del baule.
Cercò di divincolarsi ma ebbe poca convinzione nel farlo, poiché al dolore si unì l’affiorare dei ricordi dell’incidente.
Strinse i denti come aveva fatto per una vita e si ripeté che nessuno l’avrebbe abbattuta. E di certo non l’avrebbero fatto quei due individui come fossero due bracconieri e lei un animale.
Una mano la liberò del cappuccio che l’aveva resa cieca sino a quel momento. Haruka strinse gli occhi e li riaprì solo nel momento in cui al posto di un cazzotto le arrivò una carezza.
Cinque unghie lunghe e curate, di un rosso laccato le sfiorarono il viso.
“Non immaginavo avesse un viso così bello” disse quasi in estasi la giovane dai lunghi capelli cremisi.
“Se gliel’aveste rovinato, piccoli luridi lecca culo a quest’ora non stareste più respirando”.
Haruka non emise un fiato e subito il viso della donna andò a sovrapporsi a quello della giovane che le aveva sorriso dal tatuatore.
La regina rossa era dinnanzi a lei in tutta la sua splendente follia.
 
 
*** 
 

Ken era rimasto impassibile anche nel momento in cui aveva riconosciuto uno dei due corpi come quello di suo fratello.
L’altro, per esclusione, non poteva che appartenere all’ex oyabun del clan di Haruka, l’uomo che da un giorno all’altro pareva essersi dissolto nel nulla lasciando nel caos il suo impero criminale. E sebbene Ken Azuma non fosse un uomo di gran intelletto, era comunque riuscito a collegare la sparizione dei due ad Haruka. Ecco perché aveva preso l’iniziativa andandosi a prendere l’unica cosa che la ragazza aveva di più caro al mondo.
Alla regina rossa importava della bionda; a Ken delle vendetta.
Michiru cercò di rimanere composta alla vista dei due corpi senza vita, ma in cuor suo sapeva che quell’immagine l’avrebbe tormentata per lungo tempo.
“Hai visto di cos’è capace?”.
La voce del suo sequestratore fu come una secchiata d’acqua gelida.
Michiru sapeva benissimo a chi si riferiva l’uomo, così come sapeva che Haruka aveva fatto cose di cui non andava fiera.
Non sarebbe stata lei l’ago della bilancia. Non sarebbe stata Michiru a giudicarla per le sue scelte di vita. Ricordava benissimo l’accaduto, sapeva con chi avevano avuto a che fare e sebbene non giustificasse l’omicidio lei lo aveva accettato. Aveva preso coscienza e conviveva con scelte estreme per aver salva la vita. Quella di entrambe.
Era stata legittima difesa quella di Haruka e non l’aveva informata di come lei e Akira si fossero sbarazzati dei corpi seguendo la logica del: meno testimoni si hanno e più le malefatte rimangono al sicuro.
“So anche di cos’era capace Daisuke”. Michiru schioccò la lingua com’era solita fare la compagna. Il disprezzo le si era palesato nella voce, incurante del fatto che stesse parlando del fratello del suo interlocutore.
Ken non ostentò nessuna espressione leggibile in volto. Non amava che gli altri decifrassero i suoi stati d’animo o le sue intenzioni più pericolose. Dentro ribolliva ma lo sguardo era privo di qualsiasi emozione.
 
 
***
 
 
Se c’è una cosa importante nell’impugnare un’arma è una buona mano ferma e Sadao sembrava esserne tutt’altro che dotato. Era un ragazzo timido, dalla mente brillante ma non quello che si può definire un uomo d’azione su tutta la linea. A lui piaceva il lavoro d’ufficio dove i pericoli maggiori corrispondevano al ferirsi con un foglio di carta, schiacciarsi la mano nella fotocopiatrice o ustionarsi col caffè bollente.
Rei poteva sentirlo respirare pesantemente alle sue spalle e il leggero tremolio che aveva notato nelle sue mani non la rendeva particolarmente tranquilla.
Se avessero dovuto aprire il fuoco lui sarebbe stato in grado di coprirla senza farle un buco nella schiena? Ma quello di cui entrambi non erano a conoscenza era che a Sadao la vita aveva donato una buona dose di coraggio, ma lo aveva nascosto ben bene nel suo cuore. Sottochiave.
Il giovane era alla stregua di un leoncino che viene costretto a crescere al di fuori di un branco e in assenza dei genitori: nessuno gli aveva insegnato a ruggire benché ne fosse capace.
“Per l’amor del cielo non metterti a battere i denti” ringhiò a tono basso la mora tentando di capire come fosse stato possibile che il loro sospettato si fosse fatto di nebbia.
Rei, un piede dietro all’altro e dito sul grilletto avanzò in direzione del punto dove era rimasto in piedi l’uomo. Si chinò, poggiò una mano sul pavimento e ne sondò la superfice sporca di terriccio.
“Niente…” constatò con disappunto.
“Cosa sta cercando?” domandò titubante Sadao mandando giù il groppone che aveva in gola.
“Una botola, qualcosa. NON PUO’ ESSERE SVANITO NEL NULLA”.
Nel dirlo sperò ardentemente che Setsuna potesse mandarle un segno anche se conscia delle scarne possibilità.
Sadao avanzò a tentoni, rimase in silenzio con i tratti del viso induriti per la concentrazione e finì a ridosso del muro.
Uno scricchiolio attirò la sua attenzione. Un rumore tanto flebile da apparire come l’ingranaggio di una cassaforte.
“Ci siamo…” sibilò interrompendo la ricerca a vuoto di Rei che si voltò in sua direzione.
“Sono sicuro che…” le sue dita incontrarono un ostacolo. Una frattura sottile nel muro invisibile per il buio calato nella stanza.
“Di cosa sei sicuro?” domandò lei incuriosita.
“Che sia…q-qui”.
Rei non dovette aspettare oltre per il segno che aveva richiesto, poiché anche Sadao sbilanciandosi in avanti ed emettendo un verso di sorpresa scomparve al di là della parete.
 
 
***
 
 
Haruka si ritrovò costretta sulle ginocchia al cospetto della regina rossa. Due uomini con la barba incolta e qualche cicatrice di troppo le puntavano un paio di lucenti canne alle tempie.
La donna dai lunghi capelli rossi come il sangue sedeva su un trono simile a quello del proprio locale nella caotica e lussuriosa Kabukichō. Sullo schienale erano intarsiate lunghe lingue fiammeggianti e gli occhi cobalto di Haruka sembravano non volersi scollare da quelle linee sinuose.
Sinuose come i capelli cerulei della donna che amava.
Michiru. Il pensiero nuovamente rivolto a lei.
A volte Haruka odiava la vita che conduceva e ancor di più odiava averci trascinato Michiru, eppure non poteva far a meno di lei. Il solo pensiero le faceva dolere il cuore; lo stesso che perse un battito nel vederla entrare nella stanza seguita da Ken Azuma.
 
L’uomo s’inchinò davanti a quella che considerava la sua padrona.
La regina rossa sorrise sorniona, era compiaciuta da tutta quel rispetto che le veniva mostrato.
“Haru…” il suo nome uscì flebile dalle labbra di Michiru.
“Stai bene?” domandò subito l’altra di rimando.
La chioma azzurra rispose con un cenno di assenso alla domanda, ma il loro parlottare sommesso venne prontamente interrotto dalla voce di Eudial.
“Ben tornato Ken. Ora che ci siamo tutti possiamo cominciare il nostro incontro”.
“Bastava un invito scritto se volevamo trovarci per spettegolare tutte assieme”.
Eudial non fu offesa dal sarcasmo di Haruka. Stiracchiò le gambe, poggiò un gomito ad un bracciolo e il mento al dorso della propria mano.
Le piaceva guardare Haruka. Trovava che i suoi lineamenti androgini fossero magnetici.
“Mi piace fare a modo mio”.
“E a me piace sbrigare in fretta certe faccende”.
“Oooh mettete giù quella armi”. Eudial fece un cenno ai suoi uomini di ubbidire. Schioccò le dita, si fece portare un calice di vino e dopo una lunga sorsata si decise a riprendere la conversazione.
“Mettiamola in questo modo. Il tuo clan m’intralcia”.
La fronte di Haruka si aggrottò leggermente.
“Osaka mi era diventata stretta e adoro cambiare aria. I miei affari, qui, vanno a gonfie vele non fraintendere. Ma credo dovremmo raggiungere un accordo…”
“Sei tu l’ultima arrivata. Invadi le zone altrui, cosa pretendi? È già molto che nessuno ti abbia tagliato la gola”.
Un lampo rubino attraversò lo sguardo della giovane Yakuza.
“Nessuno mi minaccia di morte”.
“Non sono io a farlo, ma mi pare che tu non abbia molto ben chiare le regole di questo mondo”.
Ad Haruka non importava un bel niente dei possedimenti del suo clan. Per quel che valeva, Eudial poteva prendersi tutte le attività illecite che voleva e fare andare tutti in banca rotta, ma le regole dell’ikka non permettevano di mollare facilmente. E che Haruka lo volesse o no, c’erano intere famiglie sulle sue spalle. Donne e bambini che non avevano colpa di ciò che i loro padri erano costretti a fare. Di certo c’era gentaglia che meritava più della galera fra loro, ma non tutti erano così. Alcuni si erano macchiati la coscienza perché la vita non aveva dato loro altra alternativa.
Ancora una volta il suo onore si ritrovò a tremare. Haruka voleva distruggerli tutti. Voleva consegnare più malviventi possibili alle forze dell’ordine per guadagnarsi la sua libertà, eppure una parte di lei era ancora lì, attaccata a loro. Così simile da confondersi con ognuna di quelle brutte facce e senza la capacità di riconoscere sé stessa.
“Perché li hai uccisi?” chiese a denti stretti.
“Era un avvertimento”.
“E il messaggio sarebbe stato…?”
“Che mi sarei presa tutto. Persino le loro vite”.
Eudial si stiracchiò con movenze feline. Scese dal proprio trono e ancheggiando si diresse verso di loro.
Michiru non emise un fiato. Le mani dietro la schiena carezzarono il taglia carte che aveva celato sino a quel momento.
“Ho una proposta…”.
La rossa si chinò verso Haruka sollevandole il mento. Avvicinò il proprio viso al suo e inarcò le labbra rosse in un sorriso tutt’altro che rassicurante.
“Diventa il mio dragone”.
“Cosa?”.
“Potremmo unire i nostri clan. Ti sto proponendo un matrimonio pacificatore”. Eudial spostò la sua attenzione su Michiru.
“Tu lo hai già comprato il vestito, non è vero? Scommetto mi starà d’incanto”.
Haruka deglutì. Stava per dirlo davanti alle persone meno indicate. Stava per confessare che aveva mentito al proprio clan su tutta la linea e le conseguenze delle sue azioni sarebbero state tutt’altro che rosee.
“Spiacente. Sono una donna”. L’espressione trionfante che le si era palesata in volto fu stroncata sul nascere.
“E il problema quale sarebbe? Lo sono anche io”.
“Non lo farò mai”. Il suo cuore era di Michiru. Ogni singola cellula era sua e piuttosto che mettere in piedi un matrimonio fittizio con una psicopatica sarebbe morta.
“Se il problema è lei…possiamo risolverlo”.
Eudial cercò assenso nel suo sottoposto.
“Potremmo ucciderla, vero Ken?”.
Michiru decise di non poter aspettare oltre, di far suo il destino senza attendere che fosse lui a decidere per lei. Fu in un frangente di secondo che scelse di combattere.

***
 
 
Sadao sondò a carponi il terreno che i palmi delle mani avevano incontrato nella caduta.
La pistola era scivolata a qualche metro da lui; riusciva ad intravederla perché illuminata da un debole luce fioca.
Poi di nuovo lo scricchiolio d’ingranaggi e Rei fu subito dietro di lui. Mantenne un equilibrio precario ma non si lasciò sorprendere da una caduta come quella del ragazzo che l’aveva preceduta.
“Che razza di posto è questo?” sibilò guardandosi attorno un po’ intontita per poi scuotere la testa e cercare di rimettere in ordine sensi e idee.
“Credevo che i passaggi segreti esistessero solo in letteratura o nei film” borbottò il giovane per poi chinarsi e agguantare la propria arma. Rimase però ricurvo con la mano a mezz’aria sollevata sopra al ferro e i suoi occhi scuri puntate su un paio di scarpe dinnanzi a lui.
“NON muoverti” scandì Rei alle sue spalle a braccia ben tese e indice ancorato al grilletto.
 
Sadao non emise un respiro, rimase in apnea paralizzato mentre le sinapsi facevano i conti con il dubbio che il messaggio della ragazza non fosse indirizzato a lui ma all’altro uomo nella stanza.
“Abbassa la pistola, ragazza”.
Il tono intimidatorio e una pallottola pronta a colpire la nuca del giovane poliziotto.
“Prima dimmi chi sei e cosa fai con quei fiori”. Rei risoluta e testarda non amava lasciare la presa prima del dovuto, anche se in quel momento stava giocando col fuoco.
“Credo tu lo sappia già o non saresti qui”.
Sarebbe bastata come confessione quella? Rei ormai era certa che il tizio in questione fosse il fornitore di quello che era stato usato come un veleno mortale dalla regina rossa di Osaka.
Quello che aveva davanti era indirettamente responsabile anche dell’omicidio di Setsuna poiché era anche a causa sua se quel caso esisteva.
Rei sentiva di odiarlo. Poteva percepire la rabbia bruciante nelle vene istigarla a far ruotare il tamburo della pistola e a strappare così una vita dal mondo terreno. Un mondo che ormai aveva perso il suo colore con l’addio alla sua amata.
S’impose di respirare, così come stava facendo Sadao che probabilmente ripensava velocemente a tutto il suo giovane vissuto.
“Abbassa…l’arma”.
Nessun movimento.
“Abbassa l’arma e ti lascio andare”.
Ma Rei non poté mantenere quella promessa perché uno sparo rimbombò sordo nella stanza.
 
 

Jadeite e Akira avevano trovato un piccola porta sul retro. Trovando la via principale spalancata e priva di presenza umana optarono per la porta seminascosta ritrovandosi a percorrere un lungo corridoio.
Spuntarono alle spalle di un uomo armato intento a minacciare la vita di un giovane agente e Jadeite non ci dovette pensare un istante in più. Guidato dall’istinto sparò alla gamba dell’uomo e lo guardò perdere l’equilibrio finendo a terra.
I riflessi porpora nelle iridi scure di Rei guizzarono verso di lui.
Sadao si rialzò puntando la pistola alla figura a terra che imprecava e tentava di fermare l’emorragia all’arto ferito.
“Giusto in tempo” sorrise sghembo il biondo senza riuscire a togliersi di dosso la sensazione dei suoi occhi cupi e allo stesso tempo grati.
“Ce ne hai messo…”.
Rei non accennò a dargli soddisfazione ma Jadeite non parve offeso per il suo essere restia a mostrare gratitudine.
“Sono arrivato per un’entrata d’effetto. E al momento giusto, oserei dire”.
Rei sentì grattare in gola una risatina ma dissimulò con un colpo di tosse per poi distogliere lo sguardo dal collega e posarlo su Akira.
“Non è qui…” sibilò il moro riferendosi ad Haruka.
Poi una risposta.
Un bip indicò sul display del suo cellulare una posizione geografica poco distante da lì.
 
“Cosa ne direste di accompagnarmi e arrestare un bel po’ di Yakuza?”.




Note dell'autrice:
Se siete arrivati sin qui vi siete sciroppati dodici pagine di delirio, complimenti dunque! Avete una pazienza infinita.
Ormai siamo giunti alla fine perché questo è il penultimo capitolo di Kissing The Dragon. 
Grazie a chi non ha mollato nonostante gli aggiornamenti alle volte epocali e a chi è sempre disposto a lasciarmi qualche parola a fine capitolo.
Spero sia stato tutto abbastanza comprensibile e non vi abbia annoiato.
Un abbraccio.
Kat
 

 
 
 
 
   
 
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