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Autore: AlenGarou    10/01/2017    2 recensioni
“La conquista dello spazio.
La scoperta di nuovi pianeti abitabili.
I progetti di terra-formazione.
Gli omini verdi che esibiscono il saluto vulcaniano.
Tutte cazzate!”
Così esordisce Callisto “Cay” Myah nel suo diario personale.
Dopo più di tre mesi di permanenza su Kelper-552 AE, ribattezzato “Viridis”, sa di essere arrivata a un punto morto.
Ad abbatterla non è la mancanza d’interazioni sociali, dato che con lei c’è la sua famiglia con tanto di amici di lunga data al seguito, ma l’opprimente noia che l’assale al pensiero che ogni giorno sarà lo stesso. Svegliarsi, fare il check-up, scendere a fare colazione e passare il resto della giornata a raccogliere campioni.
Cay vorrebbe un po' di autonomia, una finestra di libertà in un mondo governato da rigide regole e protocolli, finché, per puro caso, un pomeriggio non verrà accontentata.
E non per il meglio.
Quante possibilità c’erano di finire sullo stesso pianeta in cui è in missione il proprio ex?
II classificata al contest "Scegli un'abitazione e crea la storia" indetto da M.Namie sul forum di EFP e vincitrice del premio "Miglior mix d’avventura e commedia".
Genere: Avventura, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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T h R E E

 

 

 

Devo ammetterlo. Dopo qualche tentennamento, accettare l’invito di Gallen si rivelò una mossa azzeccata. Non tanto per la sua compagnia, sia chiaro, ma per il semplice motivo che non vedevo l’ora di scoprire come funzionasse la base Beta. E sì, anche per gli animali…

A dire il vero mi stupii della velocità con la quale i miei genitori acconsentirono a tale richiesta. Dopo tanti sermoni sulla sicurezza e sul fatto che non potevo mettere piede fuori dall’area di competenza del Gamma, ora mi stavano letteralmente gettando tra le braccia di Gallen. Forse perché avevo finalmente trovato qualcosa con cui tenermi occupata invece di lamentarmi per tutto il tempo, o forse perché pensavano…

Non scherziamo. Tra me e Gallen non c’era più nulla. Ma forse potevo sfruttare la gita fuori porta per indagare sul passato e lasciarmi questa storia alle spalle una volta per tutte.

Gallen venne a prendermi dopo colazione come pattuito ma, invece ci accompagnarmi direttamente al Beta, mi fece fare un giro nei dintorni della base, dove era stato allestito una specie di campo per la fauna del luogo.

Inutile dire che quello spettacolo mi lasciò senza fiato.

Gli animali erano liberi di muoversi a loro piacimento nelle varie aree dedite, mentre i volontari si occupavano di quelli feriti o ammalati in postazioni distinte. Gallen mi spiegò che la maggior parte degli ospiti erano solo di passaggio, ma che alcuni rimanevano comunque nei paraggi, spinti dalla curiosità verso la nostra specie e per gli spuntini gratis. Tutti gli esemplari che passavano dal campo venivano muniti di microchip, un’operazione che rendeva più semplice tenerli d’occhio e per studiare le loro abitudini.

Era totalmente diverso dal lavoro che stavamo facendo al Gamma, così tanto che quasi quasi avrei voluto chiedere un trasferimento. Pensiero che scacciai subito quando mi resi conto che una base così affollata non era il massimo per una ragazza.

Non essendo solo una base scientifica, ma anche militare, le donne scarseggiavano in proporzione al numero di soldati, per cui mi trovai parecchio a disagio quando facemmo un rapido giro degli ambienti. Gallen dovette aver capito quello che mi stava passando per la testa quando incrociammo l’ennesimo commilitone che mi fece l’occhiolino, perché mi condusse verso la zona più esterna, dedicata ai predatori.

In uno dei box ritrovai la veterinaria dai capelli rossi, Hygeia, alle prese con un Lycaon che conoscevo bene.

Zephyrus fu il primo ad accorgersi del nostro arrivo. Incominciò a guaire e a scodinzolare, mentre Hygeia stava finendo di controllare le sue condizioni sul suo datapad. Quando alzò gli occhi verso di noi, ci rivolse un leggero sorriso.

«Ma guarda, non riesce mai a stare fermo» sentenziò Gallen, avvicinandosi per accarezzare il cucciolo, che ricambiò quelle attenzioni con delle generose leccate alle sue dita.

«Forse è per questo che è stato fortunato. La ferita si è rivelata superficiale e non ha intaccato i nervi e il muscolo. Qualche giorno di riposo e sarà come nuovo.»

«Riposo? Non credo che questo termine sia presente nel suo vocabolario» ridacchiò lui, prima che Zephyrus lo caricasse facendolo finire al tappeto. Mi scappò una risatina.

«Sembrano molto uniti» commentai, avvicinandomi alla donna mentre sterilizzava gli strumenti posati sul tavolo chirurgico.

«Diciamo che è così» mi spiegò. «In genere i Lycaon sono animali schivi e territoriali, ma quando Eos è entrata in travaglio ci sono state delle complicazioni. Dovevamo scegliere: rimanere a monitorare la situazione senza far nulla o intervenire. Puoi immaginare su cosa sia ricaduta la scelta. Una squadra ha dovuto tenere occupato Astreo e, fidati, non è stato un lavoro piacevole, mentre l’altra ha portato Eos qui, dove Zephyrus e Borea sono nati. Sani come pesci. Sono diventati le nostre mascotte, in poche parole. Anche se Astreo e Eos preferiscono girarci alla larga, sanno che non siamo ostili nei loro confronti e ci permettono di girare nel loro territorio come ospiti.»

«Credi che si sentano in debito con voi?» chiesi, incuriosita dal loro strano rapporto.

«Certo. Sono creature molto intelligenti. Tutto l’opposto dei Ferusus» commentò con un sospiro, guardando oltre le mie spalle.

Mi voltai e mi accorsi di un gruppo di quattro Ferusus che si rotolavano nel fango, emettendo potenti grugniti dalle loro grandi narici. Assomigliavano a dei comuni cinghiali, nonostante avessero un lungo e ispido manto verde e le zanne molto più grosse e ricurve. All’improvviso, uno di loro si fermò, puntando uno stormo di Padavo Gallus che beccava con zelo il terreno lì accanto. Inutile accennare al disastro che avvenne subito dopo, con gli animali che s’inseguivano nel cortile spandendo fango e penne ovunque.

«Dei, a volte mi domando se siamo una base di ricerca o una fattoria» sospirò Hygeia, ritornando alle sue occupazioni e ignorando i soldati di turno che tentavano inutilmente di riportare l’ordine.

«Beh, almeno non dovrete preoccuparvi per la cena» sentenziai. In fondo avevo già provato la carne di Padavo ed era quasi come quella di un pollo normale, solo più saporita e dal colore verdognolo.  Stavo per aggiungere altro quando Zephyrus mi venne incontro, abbandonando sopra ai miei piedi un pollo di gomma tutto masticato.

«Ora tocca a te badare a lui» sentenziò Gallen con il fiatone. «Devo un attimo discutere con Hya e poi possiamo proseguire il nostro giro.»

«D’accordo.» Annuii, prendendo in mano il giocattolo con una smorfia di disgusto a causa di tutta la saliva di cui era impregnato.

Mi spostai ai margini della radura, indecisa se lanciare o meno il giocattolo a Zephyrus per paura di aggravare la ferita sulla sua zampa, ma quando alzai la testa, mi accorsi che gli altri due avevano cambiato atteggiamento. Gallen sembrava teso, mentre Hygeia gli mostrava le lastre che aveva fatto alla lesione del Lycaon, spiegandogli qualcosa che non riuscivo a sentire. Si concentrarono sulla linea della ferita e Gallen sembrò accigliarsi.

Un guaito mi richiamò dai miei pensieri. Zephyrus mi diede un colpetto con il muso e io gli accarezzai le piume.

«Sembra che il tuo incidente abbia sollevato parecchie preoccupazioni» esclamai, grattandogli un orecchio. «Certo che vedersela da solo con un Loricasauro… Che cosa ti è saltato in mente?»

Mi rabbuiai. Perché la scusa di Gallen improvvisamente mi sembrava priva di senso?

«Eccomi!»

Ma perché doveva sempre cogliermi alla sprovvista? Sussultai e il pollo mi scivolò dalle mani, per grande gioia di Zephyrus, che partì all’inseguimento della preda.

«Scusa, ti ho spaventata?» il sorriso impertinente di Gallen mi fece venire voglia di tirargli una sberla.

«Per nulla» bofonchiai. «Allora, qual è la prossima tappa?»

Il luccichio che comparve nei suoi occhi non presagiva nulla di buono.

«Io pensavo a un picnic…»

«Vuoi dire un sopralluogo dell’area per vedere se ci sono nuovi problemi, non è così?»

Gallen si azzittì. La nota scherzosa del suo sguardo si spense, lasciando posto alla serietà che avevo intravisto poco prima. Incrociò le braccia al petto.

«Io starò al tuo gioco, se tu starai al mio.» Era una frase che usavamo spesso in passato, quando ci mettevamo nei guai e avevamo bisogno di un aiuto per non farci beccare dai rispettivi genitori.

«Non sarò un’esperta, ma non credo che un Loricasauro riesca a infierire una simile ferita. Al massimo ti calpesta e ti frantuma le ossa. Inoltre, i bordi del taglio di Zephyrus erano netti e leggermente cauterizzati, quindi direi che si è trattata di una pisto…» Gallen mi mise una mano sulla bocca, guardandosi attorno nervosamente.

«Zitta! Non saltiamo subito a conclusioni affrettate!»

«Del genere che uno dei tuoi ha il grilletto facile o ci sono dei contrabbandieri?»

Gallen mi fulminò con lo sguardo. Si allontanò da me passandosi nervosamente una mano nei capelli. Quando alla fine tornò a guardarmi, il suo viso era teso e ombroso. «Secondo te perché le squadre di catalogazione faunistica sono sempre affiancate da un reparto militare? Ogni volta che viene scoperto un nuovo pianeta abitabile, c’è il rischio che gente priva di scrupoli voglia ampliare il proprio monopolio al mercato nero. Ed è solo questione di tempo prima che succeda anche qui. È una questione seria, Cay. In questi due anni abbiamo già intercettato tre gruppi di noti contrabbandieri, ma non siamo onniscienti. Ho spiegato a Malon i miei dubbi sulla situazione attuale, specialmente riguardo agli insoliti spostamenti degli animali nell’ultimo periodo, ma senza nessuna prova non possiamo fare nulla.» Sospirò, per un attimo mi resi conto di quanto fosse stanco. «Ma come l’hai capito?»

«Sono figlia di due scienziati, ricordi? So fare due più due» sentenziai, per poi sorridergli comprensiva. «Comunque, ti darò volentieri una mano.»

«Non credo che ci siamo capiti.» Si chinò verso di me, osservandomi scettico. «Non ti ho portata qui per andare a caccia della feccia dell’universo.»

«E allora perché… oh…»

Oh, merda.

Il silenzio che cadde tra noi si fece pesante.

Gallen fu il primo a ricomporsi, lo sguardo ancora a disagio. «Ad ogni modo, niente colpi di testa. Faremo un semplice giro, darò un’occhiata a Eos e a Borea e poi ti riaccompagnerò al Gamma, intesi?»

«Sì, signor Rovinadivertimento.»

«Oh, fidati… so ancora come divertirmi.»

 

 

 

E in effetti aveva ragione.

Il buon vecchio Gallen non aveva perso del tutto il suo smalto all’Accademia.

L’area di competenza del Beta era enorme, forse addirittura il doppio di quella del Gamma, per cui fummo costretti a usare gli hoverboard per spostarci. E ne adorai ogni singolo momento.

Nonostante il mio fosse di una versione meno aggiornata rispetto a di quello di Gallen, riuscii a stare al suo passo e mentre sfrecciavamo tra la vegetazione non pensai a nulla. La sensazione del vento tra i capelli, l’adrenalina causata dalla velocità, i sensi pronti e scattanti… Volare risultò così liberatorio che mi ritrovai a ridere sul serio per la prima volta da quando ero approdata su Viridis.

Gallen era un pilota provetto, ma non era abbastanza agile. Lo distaccai in un tratto intricato di liane, serpeggiando tra le piante con un’abilità frutto di anni di pratica. Lui però mi ribeccò subito dopo in una radura, facendomi la linguaccia. Ci divertimmo così, a superarci l’un l’altro e a mettere alla prova le nostre capacità per buona parte del tempo. Nel giro di un’ora raggiungemmo l’alveo al di sotto delle cascate Crenee. Era uno dei più grandi spazi aperti della vallata grazie all’erosione costante dell’acqua ed era uno spettacolo mozzafiato.

Innumerevoli arcobaleni scintillavano nell’aria e il fiume brillava di mille colori diversi grazie alle pietre policrome sul fondale, sbattendo sulle rocce con schizzi vaporosi. Dozzine di specie si abbeveravano in vari punti di secca, vivendo in armonia tra loro. Passammo in mezzo a un branco di Stegodon Viris che faceva il bagno tra i flutti. Erano creature colossali, tanto che non ci notarono nemmeno quando zigzagammo tra loro. Eccetto un giovane esemplare che, infastidito dal rumore delle nostre tavole, spruzzò dalla proboscide un potente getto d’acqua contro Gallen, colpendolo di striscio. Con mio sommo divertimento, si ritrovò metà corpo bagnato fradicio.

Mi lanciò un’occhiataccia quando scoppiai a ridere in modo incontrollabile.

Dopo esserci divertiti abbastanza con il volo libero, cambiammo rotta per ritornare sui nostri passi. L’atmosfera allegra che ci aveva accompagnati per tutto il percorso sembrava essersi spenta e a malincuore mi accorsi che Gallen aveva ripreso a scrutare i dintorni con occhi vigili e diffidenti.

Non mi ero accorta di quanto mi mancasse il vecchio lui fino a quel momento.

Eravamo quasi a cinque chilometri dal Beta quando Gallen virò e incominciò a scendere. Lo seguii in silenzio, attenta a non perderlo di vista.

Atterrammo in mezzo al rigoglioso sottobosco e disattivammo gli hoverboard, dato che erano pressoché inutili in quel luogo. Gallen aprì la strada e procedemmo per qualche momento finché in mezzo agli alberi non comparve una formazione rocciosa dotata di grotte. La tana di Astreo.

«Stai dietro di me» mormorò lui, prendendo il fischietto dalla tasca della divisa. «Loro non conoscono ancora il tuo odore e potrebbero considerarti un’intrusa.»

«Va bene, me ne starò qui buona.» Per quanto possibile, aggiunsi mentalmente.

Gallen mi rivolse un sorriso sghembo, per poi suonare una serie di fischi in rapida successione. Attendemmo qualche momento, ma non accadde nulla.

Accigliato, Gallen riprovò, venendo corrisposto solo dal silenzio.

«Forse sono uscite» dissi, anche se nemmeno io suonavo molto convincente.

«I Lycaon sono in grado di percepire i suoni da grandi distanze. Dovrebbero rispondere se fossero nell’area.»

Il suo tono preoccupato mi afflisse. Non sapevo come aiutarlo e purtroppo sapevo che un Gallen angosciato equivaleva a un Gallen fuori controllo.

«Riprova, magari con un altro segnale» proposi.

Lui annuì senza guardarmi. Si mise in bocca il fischietto, ma s’interruppe a metà del richiamo.

All’inizio sembrò un semplice abbaglio, eppure avvertimmo qualcosa sfrecciare nella vegetazione, puntando dritto nella nostra direzione; qualcosa d’incredibilmente veloce e forse potenzialmente letale.

Gallen si mise subito davanti a me, la mano pronta ad estrarre la pistola ad impulsi. Dopo qualche secondo di pura tensione, da un cespuglio comparve un cucciolo di Lycaon simile a Zephyrus, ma dal piumaggio meno vivace e le orecchie più corte. Borea.

«Borea!» esclamò Gallen, ma il Lycaon sembrava troppo spaventato per fare caso a lui. Continuava a raspare il terreno e a guaire, la lunga coda arruffata che si scuoteva come una frusta nell’aria.

«Calma, calma bella!» Gallen si accucciò verso di lei e gemette quando il Lycaon lo colpì per sbaglio con la propria estremità. Dopo qualche tentativo e molte imprecazioni, riuscì a prenderla in braccio. Negli occhi dell’animale riuscii a vedere la paura, il suo petto si alzava ed abbassava a un ritmo preoccupante.

«Dobbiamo portarla al Beta» dichiarai, mentre Borea continuava a guaire.

«Hai ragione. Tu l’accompagnerai al Beta. Io andrò in avanscoperta. Di’ a Cain e a Hector di radunare gli uomini non attivi e di locali…»

«No! Non se ne parla!» sbottai ad alta voce. Borea mi ringhiò contro per autodifesa, ma non la badai. «Non ti lascerò andare da solo!»

«E dimmi, che aiuto potresti mai darmi? Non sei qualificata per questo, Cay.»

Strinsi i pugni, non riuscendo a ribattere. Aveva ragione, ma dimenticava che non ero una che mollava al primo impedimento.

«Potrei registrare gli eventi e fornire a tuo padre e al Comitato di Preservazione Naturale abbastanza prove da incastrare chi c’è dietro a tutto questo. Ti prometto che al minimo accenno di pericolo me ne andrò, ma devi farmi venire con te. Altrimenti dirò a tuo padre che hai violato uno dei regolamenti.»

«Che cosa intendi?» chiese lui accigliato.

«Sono piuttosto sicura che in questi casi il regolamento preveda di contattare la base in attesa dei rinforzi, di non saltare subito nella tana del lupo.»

Gallen mi lanciò un’occhiataccia, ma alla fine si arrese.

Osservò Borea, che nel suo abbraccio aveva iniziato a respirare normalmente e sospirò.

«Va bene. Non farmene pentire Cay o giuro…»

«Cosa? Mi denuncerai al tribunale militare?» chiesi, allargando le braccia.

«Dio, con te non si può proprio discutere.»

 

 

 

Li trovammo a circa una ventina di chilometri dal Beta.

L’aeronave era stata ridipinta per essere difficilmente visibile nella vegetazione e, a giudicare dalle dimensioni, doveva trattarsi di un cargo pesante. Lì accanto si ergeva un prefabbricato abbastanza grande da ospitare comodamente cinque o sei persone, anche se ne contammo almeno una dozzina, divise tra la navetta e l’abitazione. Indossavano dei semplici abiti camo e imbracciavano fucili ad impulsi provenienti dal mercato nero. Tipico pacchetto del contrabbandiere perfetto. Uno di loro uscì dal prefabbricato parlando in una ricetrasmittente. Aveva un forte accento ispanico, per cui non riuscii a decifrare quello che diceva, ma non prometteva nulla di buono, dato che ordinò agli altri di spostare le gabbie all’interno della navetta.

Qualcuno aveva fretta di andarsene.

Tuttavia, quello che veramente ci colpì furono proprio le innumerevoli gabbie che contenevano diverse specie di animali. Eos era accasciata in una di quelle più in fondo, ancora fuorigioco a causa dei tranquillanti che aveva in corpo. Di fianco a lei si trovavano diversi esemplari di Ferusus, Orycoto, Paradisea, e persino delle Iguanee. In una voliera, diversi Psittali dormivano a testa in giù, probabilmente narcotizzati a causa del loro acuto verso.

Di fianco a me, avvertii Gallen digrignare i denti, gli occhi offuscati per la furia omicida che provava in quel momento. Gli posai una mano sul braccio, cercando di calmarlo.

«Non preoccuparti, li tireremo fuori» sussurrai, afferrando il mio datapad.

Lui annuì, digitando qualcosa sul suo computer da polso. Non persi altro tempo. Mi tolsi il sudore dagli occhi con il dorso della mano e incominciai a riprendere, facendo attenzione a rimanere nascosta. Feci un primo piano della base, per poi soffermarmi sui volti dei contrabbandieri che passavano davanti a noi.

Ma c’era qualcosa che non quadrava. Sembravano troppo tranquilli, nonostante si trovassero circondati da basi scientifiche monitorate costantemente. Una volta ripreso l’insieme, mi concentrai sui dettagli, cercando di capire il motivo per cui non erano ancora stati localizzati. La navetta era facile da eclissare, ma un’intera base no. Eppure sembrava persino poco equipaggiata rispetto agli standard. Sul tetto era fissata una rudimentale antenna parabolica, il che voleva dire che erano collegati a un qualche satellite per le comunicazioni, eppure…

Osservai la piccola scatola fissata alla base dell’antenna. Che fosse…

In quel preciso momento, il mio datapad iniziò a squillare, facendo prendere un colpo sia a me che a Gallen. Sullo schermo comparve un nome che conoscevo bene.

Kley.

Mi pentii immediatamente di averle scritto la sera prima.

Mi protrassi a chiedere la chiamata, quando all’improvviso il segnale scomparì. Non ci feci subito caso, dato che in quel momento avevo altre priorità. Eravamo stati scoperti.

«Ehi! Ehi!»

I contrabbandieri spararono una raffica con i loro mitra nella nostra direzione, facendo esplodere in una miriade di schegge la nostra copertura... Gallen mi gettò a terra un’istante prima che finissi sulla traiettoria di un proiettile, che andò a conficcarsi nel tronco dietro di me.

«Gal…»

«Riesi a volare?» mi urlò, mentre rispondeva al fuoco.

«Certo!»

«Bene, tieniti pronta!»

Aspettò il momento della ricarica delle munizioni per fare la sua mossa. Mentre i contrabbandieri erano impegnati, Gallen estrasse un ordigno fumogeno dalla divisa e lo lanciò nella piazza che ci divideva. Tre secondi e scoppiò il caos. La deflagrazione fu assordante e in pochi istanti l’aria si riempì di una spessa nube di fumo. I contrabbandieri imprecarono sonoramente, iniziando a sparare alla cieca mentre gli animali ancora svegli si agitavano nelle loro gabbie.

«Ora!» mi urlò Gallen.

Azionai il mio hoverboard e mi gettai nella boscaglia. I proiettili ci volavano attorno, scalfendo la corteccia degli alberi e riempiendo l’aria di schegge. Più volte rischiai di cadere dalla tavola per proteggermi il viso con le mani, ma riuscii a mantenere una buona velocità.

Dopo qualche minuto di fuga alla cieca, mi accorsi di essere rimasta sola.

Il panico mi assalì.

«Gallen!» urlai.

Mi guardai attorno, ma udii solo la mia voce echeggiare tra gli alberi.

Mi sentii mancare. In genere ero una persona razionale che sapeva controllare le proprie emozioni nel momento del bisogno, ma all’idea che Gallen fosse ferito o peggio mi s’ingarbugliarono le budella.

«Gallen!» riprovai.

Dopo qualche momento di silenzio, dalla boscaglia uscì una sagoma famigliare.

«Oh, santa Hack! Non farmi mai più…»

«Zitta e seguimi!» mi liquidò con un tono che mi lasciò senza parole. Era… era come quella volta sulla Terra.

Feci come mi aveva ordinato e lo seguì in silenzio per qualche chilometro, ma mi fu subito chiaro che qualcosa non andava. La sua postura era sbagliata, sbilanciata da un lato, come se...

Quando scivolò dall’hoverboard dovetti fare una manovra improvvisa per riuscire a frenare la sua caduta. Grugnii di dolore, mentre i muscoli delle mie braccia gridavano nel trattenere il suo peso. L’hoverboard si schiantò a qualche metro da noi, ma non m’importò. Mi abbassai di quel tanto che bastava e lo lasciai.

Fui subito al suo fianco.

«Gallen! Gallen!»

«Questa proprio non ci voleva» grugnì. Allontanò la mano dal fianco e mi accorsi che l’avevano colpito. «La tua amica ha scelto proprio un bel momento per spettegolare.»

I miei occhi si riempirono di lacrime. «Oddio, io…»

«Dopo» mi ordinò. «Dobbiamo metterci al riparo. Sanno che li abbiamo visti e ci daranno la caccia.» Osservò rapidamente il paesaggio attorno a noi. «Qui siamo scoperti. Aiutami ad alzarmi, conosco un posto che potrebbe tornarci comodo.»

Cercai di aiutarlo per quanto mi consentiva la mia statura e arrancammo per qualche centinaia di metri nella boscaglia, fino a raggiungere un’insenatura scavata nel terreno.

«Sei certo che sia sicura?» chiesi titubante.

«Sì, è una vecchia tana. Non ci vive più nessuno se è quello che ti preoccupa» ansimò, crollando contro la parete argillosa. Provò ad allungare il braccio per estrarre qualcosa da una tasca, ma con un gemito si bloccò.

«Faccio io» mugugnai. Dopo qualche tentativo, riuscii a trovare un piccolo kit medico. Con mosse rapide lo aiutai a togliersi la giacca e gli sollevai la maglietta. Grazie al cielo quegli uomini avevano una pessima mira e non l’avevano colpito di netto, ma l’abrasione causata dal colpo mi apparve improvvisamente oltre le mie capacità. Incominciai a tremare, ma Gallen mi mise una mano sopra le mie.

«Respira» mi disse, come se fossi io quella ferita.

Annuii e montai la siringa, iniettandogli un mix di antidolorifici e antibiotici vicino al taglio. Dopodiché lo bendai come meglio potevo con l’utilizzo della piccola garza in dotazione.

«Andrà tutto bene» provai a farmi coraggio, mentre lui sospirava chiudendo gli occhi.

Aspettai qualche momento, poi mi alzai e andai a recuperare gli hoverboard prima che qualcuno li vedesse. Ci misi un po' a ritrovare quello di Gallen. Era rimasto incastrato nei cespugli, le eliche interne che ruotavano a vuoto sollevando una miriade di foglie. Dopo qualche imprecazione, riuscii ad estrarlo e a spegnerlo. Esaminandolo accuratamente fui sollevata dalla conferma che fosse ancora integro.

Ritornai alla tana e mi accorsi che Gallen mi stava fissando.

«Ho recuperato le tavole» dissi, quasi come se dovessi giustificarmi.

«Ben fatto. Hai ancora il tuo datapad?»

Annuii e mi lasciai cadere accanto a lui.

Recuperai l’oggetto e feci partire una chiamata alla base Beta, ma sullo schermo mi comparve l’avviso della mancanza di campo.

«Ma cosa?»

Esterrefatta, riprovai. Cercai di mandare un messaggio a Hako, ma niente; sembrava essere in una zona morta.

«Non è possibile. Eppure prima Kley è riuscita a chiamarmi…»

Stavo per avere un attacco isterico, quando Gallen mi afferrò il viso e mi costrinse a guardarlo. «Calmati Cay. Respira.»

«Calmarmi? Tu sei ferito, non possiamo chiamare i rinforzi, là fuori ci sono uomini armati che non esiterebbero un attimo a spararci e tu mi dici di stare calma?»

Gallen mi lanciò un’occhiata eloquente alla quale non servivano parole. Per poco non gli ringhiai contro, ma chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi.

«Meglio?» mi chiese, quando recuperai il controllo di me.

«Sì, credo di sì.»

«Molto bene. Ora, fai il punto della situazione.»

Sgrana gli occhi. «Io? Sei tu il militare!»

«Ma tu sei la scienziata. Dimmi cosa possiamo fare.»

Oh, la faceva facile. Gli avrei dato un pugno, ma mi avevano insegnato che non era molto nobile picchiare gli invalidi, per cui cercai di concentrarmi, nonostante il carico emotivo fosse un impiccio.

«Ragioniamo. In qualche modo sono riusciti ad eliminare il segnale dall’area, ma se fosse successo in tutta la vallata quelli dell’Epsilon se ne sarebbero accorti e sarebbe partito in automatico un segnale di emergenza. Quindi, deve essere solo una zona circoscritta, abbastanza grande da permettergli di spostarsi. A causa del satellite è molto probabile che aspetteranno le tenebre per andarsene senza essere localizzati, però… C’è qualcosa che non mi torna.»

«Cosa intendi?» domandò Gallen.

Mi massaggiai il mento. «Sul tetto del prefabbricato c’era un’antenna parabolica, quindi dovrebbero essere in collegamento con un satellite per le comunicazioni. Ma l’unico attualmente in orbita è…»

«Del governo» finì lui per me.

«Esatto. Quindi devono essere entrati nel sistema, operando in sordina.»

«È possibile?»

«Sì. Se usate con parsimonia le comunicazioni non autorizzate potrebbero apparire per semplici interferenze a causa dell’orbita. Però di per sé è un bene.»

Gallen mi lanciò un’occhiataccia. «Come può essere un bene?»

«Se sono riusciti a collegarsi, possiamo farlo anche noi con loro. Il sistema non è mai a senso unico.» La mia mente stava già partendo in quarta. «Senza comunicazioni, le squadre del Beta non arriveranno mai in tempo, ma possiamo usare la loro parabola contro di loro. Il problema è che dovremmo arrivare all’Epsilon per lanciare un segnare abbastanza potente da creare delle interferenze, però…»

Mi azzittii, osservando Gallen che nel frattempo si era fatto pensieroso. L’Epsilon era situato tra i monti Ida, e non era uno dei luoghi più facili da raggiungere, o nemmeno uno dei più ospitali. Arrivarci con un ferito a carico era pressoché infattibile, figuriamoci a bordo di hoverboard.

Gemetti, massaggiandomi le tempie. Come al solito avevo creato un gran casino.

«So a cosa stai pensando.» Il tono della voce di Gallen mi costrinse a guardarlo negli occhi, ma quando alzai il capo e lo vidi sorridere mi mancò il fiato.

«E sai già qual è la risposta. Andrai tu all’Epsilon.»

Ansimai. «Ma non posso lasciarti qui solo e ferito! E se…»

Gallen si sporse con il lato buono del corpo e mi mise una mano sulla bocca, per poi posare la fronte sulla mia con un sospiro. Mi si riempirono gli occhi di lacrime.

«Ascolta, so che ne abbiamo passate tante ed è stata solo colpa mia, ma devi fidarti di me. Va bene? Ho un piano, anche se non mi piace per nulla, in cui ho bisogno che tu vada all’Epsilon. Hai ragione sul fatto che il Beta non riuscirà mai a raggiungere in tempo l’accampamento, per cui dobbiamo creare un diversivo… Con questo.»

Trafficò un attimo con la giacca, dopo di che mi mise in mano il suo fischietto.

«Cosa…»

«Dall’Epsilon potrai collegarti al loro sistema di comunicazione e trasmettere un messaggio. Gli animali della zona risponderanno in massa al giusto richiamo, facendo penare quei figli di buona stella.»

«Ma io non so come…» Mi girava la testa. Era tutto assurdo.

«Ti faccio vedere. Non sarà difficile per te memorizzare dei segnali base, per cui…»

«Aspetta!» lo bloccai, chiudendogli la mano che ancora teneva il fischietto. «Gallen, io non posso farcela. Devi essere tu a farlo.»

Lo sguardo che mi rivolse mi sciolse letteralmente il cuore. «No, CayCay. Sei tu quella che ce l’ha sempre fatta, non io. Ogni volta che le cose si facevano complicate mi davo alla fuga, esattamente come tre anni fa con il divorzio dei miei genitori. Ma tu non ti sei arresa, non è nella tua natura. Lo so.»

«Quindi era per quello che te ne sei andato?» mormorai.

«Sì, e mi dispiace di averti ferita a causa della mia incompetenza. Per cui mi assicurerò che non succeda mai più. Sei pronta, CayCay?» mi chiese alla fine, lo sguardo apprensivo.

Cercai di mandare giù il groppo che mi era salito alla gola e annuii.

Lui mi sorrise di nuovo, dopo di che mi fece ascoltare una serie di fischi ben precisi, che ripetei fino a memorizzarli sotto il suo sguardo fiero e soddisfatto.

«Direi che sei pronta» mormorò, accarezzandomi i capelli dopo l’ennesima ripetizione.

Annuii senza guardarlo, stringendo il fischietto tra le mani fino a conficcarmelo nella pelle.

«Cay, c’è un’ultima cosa…»

«Che altro c’è?» gemetti, sul punto di scoppiare.

«Non raggiungerai l’Epsilon con quel rottame del tuo hoverboard» disse, in tono scherzoso. Mi mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e avvertii una piccola pressione, come se mi avesse messo un orecchino a clip o… Il suo casco.

Sgranai gli occhi. «Non ci credo» sussurrai, mentre mi offriva il suo hoverboard.

«Perché no? Hai sempre voluto farci un giro, non è così?»

 

 

 

Eccoci qui con un nuovo capitolo :3

Scusate il ritardo, ma sono leggermente appestata XD

Come sempre ringrazio Sagas per le recensioni e tutti quelli che hanno messo la storia nelle loro liste.

Ci rivediamo con l’ultimo capitolo :)

 

  
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