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Autore: PawsOfFire    12/01/2017    5 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Stavamo per tornare operativi quando, a quel genio di Martin, venne un’idea. 
Lo capii troppo tardi, a mie spese Era una stronzata talmente grande che andava soppressa ancora prima di nascere ma, evidentemente, il suo mononeurone aveva deciso per una volta di funzionare, rendendo il piano arguto e di difficile intuizione. 
Appiattiti come blatte, ci godevamo il flebile sole che finalmente era iniziato a spirare sotto la coltre di spesse nubi grigi, ammorbidendo i nostri muscoli rigidi e sfiancati dal gelido inverno. 
L’ho mai detto? La steppa russa è una noia mortale. Avevamo lasciato i delicati boschi di pini per addentrarci in questa landa tragicamente piatta. Un flebile rivolo d’acqua scorreva vicino a noi, placido nelle sue acque verdastre. Lentamente mi ero avvicinato per specchiare la mia meravigliosa figura, lavandomi il volto stremato dalle lunghe fatiche quotidiane. 
Constatavo, massaggiandomi delicatamente le guance sfibrate dal freddo, che mi erano comparse delle strazianti rughe che distruggevano il mio volto altrimenti perfetto e fiero come quello di una locandina di propaganda. 
Se le occhiaie esaltavano l’arianissimo colore dei miei occhi, questi segni mi facevano sembrare un vecchio e stanco soldato di fronte. Ciò che ero, nonostante tutto. Stavo dunque contemplando la disperazione riflessa quando quell’enorme inetto di Martin si presentò da me, avanzando l’assurda richiesta di uno scambio merci. 
“Capitano” Nella sua voce vi era una trillante nota euforica. Enorme e codardo, quell’uomo conosceva ogni strategia efficace di ritirata. Non parlava molto, per questo mi insospettii. 
“So che lei non fuma per rispettare la sua mirabile forma. È vero che conserva più di cinquecento sigarette accumulate nel corso delle razioni?” 
“Certamente” 
Sfoggiò un orribile sorriso privo di un dente ed iniziò a frugare in un grosso sacco che si era portato appresso. Nemmeno ci avevo fatto caso. Estrasse due bottiglie e me le porse. 
“Vodka. Vodka vera! È la sua occasione, Capitano!” 
Ero sospettoso. Accigliai un sopracciglio e presi una bottiglia in mano. Roba di qualità, quella. Nel posto giusto col medico giusto potevi farti ricoverare per febbricola per qualche giorno. Valevano almeno duecento sigarette l’una, mezzo coniglio o una lattina di frutta secca. 
“Cinquecento sigarette? Per entrambe?” le studiavo come un improvvisato sommelier, preparandomi ad una sbornia talmente colossale da farmi svegliare sotto tre metri di terra. 
“E’ un affarone, glielo assicuro!” 
È fatta, vado a prendere le sigarette” Stavo per sgattaiolare nella mia tenda quando Martin mi fermò, implorando un: “La assaggi, prima! Sentirà la qualità!” 
Cedetti. Stappai in malo modo la bottiglia e chiamai in raccolta i miei uomini. 
“Soldati” Annunciai, ritrovando la forza che poco tempo prima mi aveva abbandonato. 
“Ho appena acquistato queste bottiglie. Un affarone. Mi piacerebbe condividerle con voi. Ci sveglieremo all’inferno con questa roba!” Porsi loro la bottiglia ma quelli, inaspettatamente timidi, si ritrassero con un cenno di testa. 
“E’ la sua fiasca, beva prima lei” dissero, rifiutando l’assaggio. Santo cielo, si è rammollito l’equipaggio. Facendo spallucce pensai che, tutto sommato, l’unico che davvero meritava quelle bottiglie era il sottoscritto. Portai la canna alla bocca, pronto a bere. 
Qualcosa non quadrava. Questa roba non puzzava di alcool. Ciononostante, decisi lo stesso di tentare l’assaggio.
 

 
Si rivelò acqua. Dannatissima acqua. 
“Acqua infetta di Tifo” Mi corresse il dottor Biermann, mentre mi contorcevo come un verme in un lettino d’ospedale, vomitando qualsiasi cosa che il mio corpo riuscisse a produrre, anche il più piccolo grumo di bile schiumosa. 
Quei bastardi volevano uccidermi! Il Karma però li colpì con la furia di un plotone d’esecuzione. 
Mentre io lottavo tra la vita e la morte, i miei uomini passarono temporaneamente sotto un nuovo capocarro, un certo Von Braun, un malinconico e sanguinosissimo uomo d’armi. 
Von Braun aveva due passatempi. Uccidere ed uccidere i russi. La guerra gli aveva strappato moglie e figli durante un bombardamento così, nei brevi momenti di lucidità, quando non ululava tragicamente al vento, trasformava il suo carro d’occasione in una torcia ambulante, passando al lanciafiamme tutto ciò che si contrapponeva tra lui e l’obbiettivo. 
Li portò fuori per settimane. Passarono a fil di spada interi villaggi, facendo eruttare dal cannone fiamme e pece nera, schiacciando uomini e trasformandosi letteralmente in macchine di morte più di quanto avessero mai fatto con la Furia.
In ospedale ritrovai il mio incubo, Hilbert Lagenberg. Con le sue gambe ingessate e sospese a penzoloni, il sedicente cecchino leggeva un giornale, commentandolo ad alta voce col vicino di cuccetta inesistente.
“Chi si rivede! Capitano Faust!” mi salutò cordialmente, sistemandosi gli spessi occhiali. 
“La vedo in ottima forma” commentò ironicamente mentre un’infermiera mi bagnava la fronte con un panno freddo e mi iniettava un potente liquido che mi fece perdere i sensi. Ebbi il tempo di maledirlo a denti stretti prima che la mia vista si offuscasse e piombassi in un sonno tormentato. 
Non so esattamente quanti giorni passai in quell’assurdo stato di dormiveglia. Quando mi svegliai, però, Lagenberg era sparito. Avevo ancora la febbre alta e la testa mi scoppiava come una bomba. 
Ero in isolamento. O meglio, ero insieme ad altri nelle mie stesse condizioni. Forse per questo non vidi nemmeno una volta il dottor Biermann. Scoprì solo successivamente che la falsa vodka era stata rimessa in circolo da un individuo sconosciuto e bevuta da molti, provocando un effetto domino. Non era raro che i soldati cercassero di ammalarsi o ferirsi da soli ma, questa volta, agli occhi del Generale, parve un vero e proprio attentato. 
Setacciò tutte le bottiglie di Vodka presenti nel campo e le sottopose al giudizio di alcuni volenterosi prigionieri di guerra russi. A loro parve quasi un sogno. Buttammo via circa venti bottiglie alla ricerca della famigerata acqua contaminata, con grazia di quella manciata di comunisti. Il risultato fu poco soddisfacente: le cavie si presero una sbronza colossale e la bottiglia falsa non venne rintracciata. In cuor mio sapevo la verità ma tutto quel dolore aveva soppresso la ragione, lasciandomi vuoto come un calzino. 
Quando, dopo tre settimane di vomiti e tremori la febbre iniziò a scendere, riacquistai un po’ di forza. Il fatto che la mia fine non venisse scritta in un lettino d’ospedale mi fece dormire sonni più tranquilli. Non ho mai sognato la morte gloriosa in battaglia. Beh, se proprio deve accadere, voglio che sia gloriosa.
 

 
Quando mi sbatterono fuori con una settimana di anticipo e rividi i miei uomini, li trovai scioccati e frastornati come un vaso pieno di api. 
Von Braun si era mostrato un leader atroce ed inarrestabile. Si erano spinti molto lontano, viaggiando di notte e lasciandosi guidare dal ruggito del lanciafiamme che distruggeva qualsiasi forma di vita. Bruciarono ed abbatterono chiunque ostruisse il loro cammino. 
La loro folle corsa omicida venne fermata da una mina anticarro al confine col territorio ucraino. Riuscirono a scappare in tempo. Von Braun venne preso come prigioniero e lottò come un leone fino alla fine, strappando un orecchio ad un russo e cavando un occhio ad un secondo, ma alla fine venne sedato con una pallottola tra capo e collo. 
Non so come riuscirono a far ritorno, ma rieccoli, tutti e quattro, pallidi ed emaciati come stracci vecchi. Maik invece sembrava essere tornato da una appagante gita in montagna. Esaltato mi descrisse, nei dettagli più truci, ogni singolo particolare dei corpi nemici che prendevano fuoco. 
Quando arrivò a paragonare l’impercepibile scricchiolare della pelle arsa dei nemici alla cotenna del maialetto arrosto inscenai una ricaduta e vomitai a stomaco vuoto tutto ciò che non avevo. D’altronde ero tornato in servizio ma la febbre non era ancora passata del tutto. 
Non ho mai detto di provare piacere in tutto questo. Sono entrato nell’esercito come volontario, ingenuamente ammaliato dalle belle storie, le lucide mostrine e dal fatto che le donne apprezzassero la vista di un bell’uomo in divisa. 
Ciò non significa che abbia rinunciato al mio sogno. Diventerò davvero il miglior carrista di questa lunga guerra. I libri parleranno di me!
“Soldati, questo è solo l’inizio. La Guerra sarà finita entro Natale, per cui avete ancora pochi mesi per ricoprirmi di eterna ed intramontabile gloria” Passeggiavo davanti a loro per incutere quell’arcana paura che ti coglie di fronte ad un soldato dal grado superiore. 
“Sono sopravvissuto alla malattia e di certo non morirò adesso. Obiezioni?” 
Non obiettarono. Rimasero immobili, i loro capi abbassati in un reale segno di timore e rispetto riverenziale. Sorrisi. Bastian Faust, il superuomo intramontabile. Anche il cane era in riga però, a loro differenza, sembrava felice di vedermi. Era cresciuto molto negli ultimi tempi, apprestandosi a diventare un fiero lupetto. Nella sua piccola divisa-pettorina munita di tasche ora poteva trasportare la bellezza di quattro bottiglie d’alcool. Sfortunatamente dopo l’accaduto decisi di smettere di bere per un po’. Avrei vissuto a pane e pastiglie e non avrei avuto nulla per buttarle giù...pazienza.
 

 
Fummo rispediti al fronte con un calcio al culo. Partimmo in piena notte assieme ad altri quattro carri in formazione due-due più uno, noi in testa.
“Non si vede nulla, Capitano” piagnucolò Tom, spostando con un’indicibile lentezza il nostro carro.
“Potremmo lanciare un razzo” Ipotizzai. 
“I russi sapranno subito la nostra posizione, così!” Ovviamente fu Klaus ad avanzare questa assurda ipotesi. 
Non aveva torto. O almeno, non aveva completamente ragione. A motori spenti potevi sentire i mosconi dell’aviazione russa ronzare sopra le nostre teste, pronti a scaricarci tutte le loro bombe in testa. Mi era impossibile dar ragione al mio sottoposto così, meditando una risposta sensata, decisi di agire. 
“Signori” ero propenso ad un buon lavoro di gruppo, così contattai via radio gli altri quattro carri per farli agire secondo i miei capricci. 
“Capitano Faust” Era la voce di Becker. Quel dannato uomo-donnola mi stava rubando la scena. 
Dopo il fattaccio nella fabbrica aveva vinto una bella medaglia al valore, una settimana di licenza ed una promozione per il coraggio mostrato sul campo. 
“Anche lei fatica a vedere? Noi stiamo usando una lampada ad olio. Guardi alla sua destra” 
Facendo capolino era possibile osservare una piccola lucina ondeggiare, sospesa nel nulla. 
Scrollai la testa e ripresi la comunicazione. 
“Non mi sembra una grande idea. Preferisco affidarmi alla mia vista da falco” 
Dopo quella che parve una lunga ed interminabile marcia la nostra corsa finimmo dentro un fosso. 
Al diavolo la sua vista da falco, Capitano!” Sbottò Tom il pilota, scendendo dal carro per dare un’occhiata al problema. 
Infossati in un angolo di trenta gradi, la Furia sembrava non volersi muovere da lì. Forse aveva deciso di perire così, integra e fiera, in quella buca e diventare un pezzo da museo. 
Gli altri carri decisero di abbandonarci. Ci definirono un peso per la formazione e ci lasciarono in pasto al terriccio, con gli aerei russi che ronzavano sulle nostre teste come avvoltoi. 
“Dobbiamo scavare” ipotizzai. Feci scendere Fiete, la recluta canina addestrata al primo soccorso ed insieme iniziammo scavare a mani nude per tentare disperatamente di far ripartire il mezzo. 
Gli altri non ci aiutarono. Si allontanarono a fumare alcune sigarette, lasciandoci al nostro sporco lavoro. Solo successivamente Tom riprese i comandi, cercando di levare il Tiger dal pantano. 
Ci riuscì. Ovviamente fu grazie al nostro intervento. Riprendemmo la marcia mentre il cielo lentamente albeggiava sul paesaggio boschivo, dove fitti alberi di betulle bianche e grigie intervallavano il nostro cammino.
“È impossibile che i russi scoprano la nostra strada. Vero, Capitano?” mi chiese Klaus, guardandosi le spalle. Flebili raggi di sole filtravano tra gli alberi, illuminando il nostro cammino.
 “Impossibile” lo rassicurai, scivolando dentro il carro. Dietro di noi una lunga fila di arbusti era stata abbattuta, lasciando spazio ad una pista di terra liscia ma si, tutto sommato, non sarebbe stato comunque facile per loro seguire le nostre orme.
 

 
Solo dopo mezzogiorno, quando ci fermammo a riempire il serbatoio e fare un po’ di manutenzione al carro, riuscimmo a rintracciare gli altri. Dopo pochi chilometri dal nostro abbandono uno dei panzer aveva riscontrato un brutto problema ai cingoli e gli altri tre si erano fermati ad aiutarli, dimostrando un senso di cameratismo familiare che a noi avevano negato. Avevano perso molto tempo, giusto il necessario affinché noi li raggiungessimo per poterli sbeffeggiare. 
“Ah, Faust! Se solo ci fosse stato lei a darci una mano...” Un soldatino mi guardò con i suoi occhietti disperati, quasi imploranti. 
“Avevamo bisogno di tutti gli uomini disponibili, le assicuro che era un problema davvero grave, c’era anche il motore che faceva fumo...abbiamo lanciato anche un razzo sperando che ci raggiungesse il prima possibile...” 
“Un razzo” Ripetei le sue parole, cercando di fare chiarezza nella mia mente. 
“Si, uno di quei razzi segnalatori. Avevamo bisogno di un soccorso urgente!”
Anche io volevo lanciare un razzo, prima. Nella mia mente era, e rimaneva, un’ottima idea. Nelle mani altrui invece sembrava una cazzata immane. 
E lo constatammo sulla nostra pelle quando, tra i massi e le rocce di quella spianata d’erba al limitare dei boschi, scorgemmo lo scafo nascosto di un T34 russo pronto a fare fuoco verso di noi.

 

   
 
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