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Autore: Padmini    14/01/2017    2 recensioni
Uno sguardo, un legame silenzioso tra due anime.
Sherlock, studente brillante ma solitario.
Gregory, studente più grande, generoso e desideroso di riparare a tutti i torti.
Un gatto e un cane che si incontrano nel cortile di una scuola.
Cosa accadrà tra di loro? Possono due anime così diverse trovare un luogo in cui incontrarsi?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti!

Piccola premessa. In questo capitolo ci saranno dialoghi presi direttamente dalla serie e anche nei prossimi capitoli mi capiterà di citarli, ma mai più come in questo caso. Volevo descrivere l'incontro di Sherlock con John e soprattutto i suoi pensieri in questa occasione. Inoltre ho voluto approfondire alcune cose che nel telefilm non sono state trattate. Non preoccupatevi per ciò che leggerete, non ci sarà Johnlock. Assolutamente no.
Grazie per continuare a leggere questa storia!
Un abbraccio
Mini

 

 

John Watson

 

 

 

“Lei non conosce ancora Sherlock Holmes” mormorò. “Non so se le piacerebbe come compagnia duratura.”

Stamford, Uno studio in rosso

 

 

 

 

 

Il club Diogene era uno dei più bizzarri ritrovi di Londra. Di antica fondazione, annoverava tra i suoi soci i londinesi più asociali e timidi, che preferivano la discreta e silenziosa compagnia dei loro simili alla solitudine totale. Chiunque entrava all'interno dell'edificio non poteva emettere un singolo suono, pena un ammonimento. Al raggiungimento del terzo, si veniva ufficialmente banditi. Grazie a questa regola, il silenzio regnava sovrano in tutte le stanze, tranne che in una stanza apposita, insonorizzata, dove era consentito parlare.

Era lì che, quel mattino, Gregory si stava dirigendo.

Lo faceva da ormai quattro anni, una volta al mese, da quando Mycroft glielo aveva chiesto la prima volta.

Non che fosse entusiasta della cosa, all'inizio aveva accettato solamente perché si sentiva ricattato, ma con il tempo, seppure a malincuore, aveva dovuto convenire che quegli incontri erano per il bene di Sherlock, dal momento che il giovane detective, che stava pian piano conquistando la fiducia degli agenti di Scotland Yard e altrettante invidie. I casi che gli venivano sottoposti dai clienti erano tutto sommato banali, ma a quanto pareva riuscivano a mettere abbastanza alla prova le sue capacità e perfino lui si era ritrovato a chiedere la sua consulenza in più di un'occasione, come aveva promesso. Tra tutto quello però c'erano anche le operazioni di Mycroft, nelle quali spesso e volentieri Sherlock tentava di intrufolarsi senza permesso e Gregory, da buon cane da guardia, glielo impediva, come gli impediva di cacciarsi in qualsiasi altro guaio. Lo faceva nell'ombra, seguendo le istruzioni di “M”, come si firmava nei rari messaggi che inviava, dal momento che il più delle volte lo contattava con delle chiamate. Si sentiva usato e in effetti Mycroft lo usava come uno strumento per proteggere il suo fratellino da se stesso, ma questo non gli dispiaceva, non del tutto almeno. Se doveva sorvegliarlo, almeno poteva stargli vicino e, Signor Governo inglese o no, fare ciò che aveva giurato: proteggerlo, da tutto e da tutti.

 

Quattro anni prima

Aveva avuto quasi un mancamento quando aveva letto il biglietto. Se Mycroft aveva scoperto i piani di Sherlock, significava che erano entrambi nei guai. Lo avrebbero licenziato? Non ne era del tutto certo, ma non si sentiva affatto tranquillo.

Le ore quel giorno erano passate più lentamente del solito e ogni volta che guardava l'orologio sembrava passato solo qualche secondo. Arrivare a fine giornata era stato terribile e stancante ma, quando fu il momento di tornare a casa, nonostante la stanchezza, si sentiva agitato e nervoso all'idea di cosa lo stesse aspettando. Nessuno dei suoi superiori aveva accennato al caso e anche i suoi colleghi sembravano ormai essersene dimenticati, ognuno andava avanti con la sua vita, leggero, mentre lui sentiva un peso nello stomaco difficile da sopportare o da spiegare.

Guardò l'ora per l'ultima volta. Erano le sette e avrebbe potuto tornare a casa … ma il biglietto di Mycroft era parecchio esplicito. Doveva recarsi da lui, capire cosa voleva e soprattutto liberarsi dell'ansia che quelle poche righe gli avevano insinuato.

Chiamò Haley e le spiegò frettolosamente che avrebbe fatto tardi, poi scese in macchina e chiamò il primo taxi che vide. A bordo dettò l'indirizzo al conducente e sperò che tutto quello finisse rapidamente.

 

Il taxi si fermò di fronte ad un edificio elegante, imponente, simile a quelli che aveva ai lati, ma aveva qualcosa di diverso che incuteva timore nell'osservatore … o semplicemente Gregory si stava lasciando suggestionare da ciò che stava per succedergli. Aveva letto e riletto le istruzioni sul biglietto e si sentiva pronto per quella prova. Bussò, aspettò che qualcuno andasse ad aprire e, di fronte ad un uomo vestito con un completo nero, come gli aveva scritto Mycroft, si limitò a consegnare il biglietto da visita. L'uomo lo esaminò con attenzione e, eseguito lo stesso esame anche su Gregory, si decise a farlo passare. Prima che lui potesse anche solo pensare di parlare, cosa che comunque non avrebbe fatto, viste le raccomandazioni sul biglietto, gli intimò il silenzio posando il lungo e sottile indice sulle labbra, per poi fargli cenno di seguirlo lungo un ampio corridoio, sul quale si affacciavano numerose porte. Si fermò di fronte all'ultima, bussò piano un paio di volte ed aprì la porta, scostandosi per lasciarlo passare.

Gregory entrò riluttante nella stanza, ma una volta dentro rimase a bocca aperta per lo stupore. I mobili dovevano essere costosissimi e rilucevano sotto il maestoso lampadario a gocce. Anche le copertine dei libri che colmavano gli scaffali dell'imponente libreria brillavano e sembravano invogliare il visitatore a sfiorarli …

“Buonasera, Ispettore Lestrade.”

Le sue fantasie vennero bruscamente interrotte dalla voce suadente di Mycroft, seduto in una poltrona affacciata alla finestra.

“Buonasera, Mycroft” rispose lui “Dopo tutto questo tempo continui a darmi del lei? Ci conosciamo da anni, potresti darmi del tu e chiamarmi per nome!” disse, esasperato da quella ventata di gelo che lo faceva tremare ogni volta in cui si trovava a parlare con lui.

“Preferisco così … almeno per ora.” ripose Mycroft, con la solita calma “Vuole qualcosa di caldo?”

“No, grazie” ribatté lui “Vorrei sapere cosa mi aspetta. Se devo essere punito, preferirei che accadesse il prima possibile e in fretta, se non ti dispiace.” esclamò, sottolineando il “ti”.

“Bene, come preferisce.”

Mycroft tirò una cordicella che pendeva accanto alla tenda e rimase in attesa. Due minuti più tardi entrò un cameriere con un vassoio sul quale erano poggiate una teiera e un paio di tazze. Lo posò sul tavolino di fronte all'uomo e uscì silenziosamente come era entrato.

Gregory, nel frattempo, fremeva. Tutta quella calma, la lentezza ostentata, non facevano che accrescere l'ansia che già lo aveva fatto impazzire dal mattino.
“Quindi?” chiese infine, vedendo che Mycroft si era versato il tè “Cosa mi accadrà?”

Mycroft alzò lo sguardo dalla tazza e lo guadò, fingendosi sorpreso.
“A lei? Nulla!”

Greg aprì la bocca, stupefatto e offeso.

“Nulla?!” gridò, ma lo sgaurdo di Mycroft spense la sua rabbia.

“Nulla. Esatto.” confermò lui “Non è qui perché deve subire una punizione. Potrei punirla per quello che ha fatto in effetti ...” mormorò, facendolo impallidire “Ma non lo farò. Il suo legame con mio fratello potrebbe rivelarsi prezioso.”

“Cosa vuoi dire?” chiese, mentre il panico continuava a salire.

“Non tutto ciò che va storto è un male. Mio fratello si è esposto a un pericolo più grande di lui, ma fortunatamente i danni non sono stati irreparabili. Ho sistemato la questione appena in tempo. Potrei farla licenziare per aver passato a un estraneo delle informazioni che dovevano restare segrete, ma non lo farò.”

“Come ...”

“Non starò qui a dirle i modi in cui sorveglio mio fratello, Ispettore. Sarebbe un'inutile perdita di tempo. Piuttosto, vorrei che lei entrasse a far parte di questi metodi.”

Gregory sollevò entrambe le sopracciglia.

“Come, prego?” chiese, incredulo.
“Ha capito benissimo. Lei mi fornirà informazioni su mio fratello.”

“Come? Non sarò il suo cane da guardia, questo è sicuro!”

Era indignato. Come poteva Mycroft pensare di poterlo trattare in quel modo?

“Lo sarà.” rispose lui “Ho la sua carriera tra le mie mani, le conviene obbedire.”

Era in trappola. A causa della sua fiducia in Sherlock, era finito nei guai. Strinse i pugni.

“No, non se la prenda con mio fratello. Per quanto lui possa essere incosciente, non ha fatto altro che seguire il suo istinto. La colpa della sua situazione è solamente sua, perché glielo ha permesso. Per rimediare, dovrà impedire che ciò che è accaduto si ripeta. Sono stato chiaro?”

Gregory fremeva per la rabbia, non tanto nei confronti di Sherlock, che in effetti non lo aveva obbligato a collaborare. Il suo odio era tutto per Mycroft, per il modo freddo e calcolatore con il quale stava sfruttando quella situazione.

“Allora?” ripeté lui, come un maestro che attende una risposta dal suo alunno più disobbediente.

“Sei stato chiaro.” rispose infine, a denti stretti, rifiutandosi per l'ennesima volta di usare il lei.

“Bene.” commentò lui infine, sorvolando sulla lieve mancanza di rispetto, almeno secondo lui “Verrà qui ogni mese, in un giorno prestabilito. Per ora può andare, verrà contattato per il prossimo incontro.”

Mycroft prese la tazza di tè e continuò a bere come se Gregory non fosse più presente, così l'ispettore uscì silenziosamente dalla stanza e poi dall'edificio, diretto a casa. Si sentiva sollevato, anche se non del tutto libero, un cane al guinzaglio di un uomo che aveva in pugno il suo futuro, una trappola nella quale si era ficcato per conto suo, solo per aiutare Sherlock …

Sbuffò, rabbrividendo. La sera era davvero fredda.

 

 

 

 

 

Il caso era stato molto divertente. Kevin Ward era morto, su questo non c'erano dubbi, ma le modalità lo lasciavano alquanto perplesso. Il suo cadavere, era stato ritrovato, cinque giorni dopo la denuncia della sua scomparsa, in un fosso asciutto accanto a una strada molto frequentata appena fuori Londra, in avanzato stato di decomposizione.

Era stato assunto per il caso dal fratello della vittima, Joshua Ward, che aveva insistito affinché esaminasse la scena del crimine. Kevin era vestito con una tuta, il che fece immaginare a Lestrade che, mentre faceva Jogging, doveva essere stato sorpreso da un pirata della strada che, spaventato dal suo gesto, era fuggito via subito dopo l'incidente. C'era qualcosa però che non tornava in ciò che Sherlock aveva visto nella vittima. Nonostante fosse sporco, ricoperto di sangue, polvere e sterco di uccelli, erano evidenti in lui i segni di un uomo destrorso. Il logoramento sulla manica destra, la macchia sulla camicia sulla parte destra, la riga in testa … tutto sembrava far supporre che l'uomo usasse appunto la mano destra. Allora perché diamine le scarpe erano allacciate al contrario? Sembrava che qualcuno lo avesse fatto al posto suo, ma perché qualcuno avrebbe dovuto farlo? Probabilmente perché la vittima non le indossava al momento dell'omicidio.

Inoltre c'erano i lividi. Alcuni erano evidenti, Kevin era andato a sbattere contro alcuni detriti che si trovavano sul fondo del fosso e, se era vera l'ipotesi dell'incidente stradale, l'impatto avrebbe dovuto lasciargli molti ematomi. Era riuscito a vedere il cadavere, nudo dopo l'autopsia, e ad osservare le ferite. Avrebbero dovuto essere tutte uguali, eppure c'era qualcosa che non lo convinceva.

Nonostante le perplessità di Gregory che, istigato anche dalla sua acida e fastidiosa collaboratrice, Sally Donovan, era propenso a chiudere il caso per dedicarsi alla serie di suicidi che si erano verificati a Londra nelle ultime ore, era riuscito a farsi consegnare le chiavi di casa di Kevin, un bel villino nella periferia della città, non molto distante dal luogo dove era stato ritrovato il cadavere

Lì, dopo un'accurata ispezione, aveva scoperto due cose. Prima di tutto aveva confermato, osservando diversi oggetti, che era destrorso. Aveva notato poi che, nonostante l'ipotesi della corsa serale, tutto nel salotto lasciava presupporre che si stesse preparando per una serata davanti alla televisione. In cucina c'era una ciotola di pop corn e una tazza dove la bustina di tè galleggiava nel liquido scuro e freddo.

Aveva ispezionato il giardino e notato delle impronte provenienti dal retro. Qualcuno aveva camminato attraverso il giardino, aveva appoggiato una scala alla parete ed era entrato nello studio dell'uomo, che si trovava dalla parte opposta della casa rispetto alla cucina, dove Kevin si stava preparando tè e pop corn.

Cos'era successo? Il ladro, pensando di trovare la casa vuota o sperando di non farsi sentire, aveva scassinato la finestra ed era entrato, ma il proprietario di casa lo aveva sentito e questi, sentendosi scoperto, lo aveva ucciso a sangue freddo.

Sherlock, rientrato in casa, aveva esaminato la stanza della finestra sotto la quale aveva trovato i segni della scala. Nella stanza, che era rimasta chiusa per molto tempo, c'era un residuo di odore di candeggina, che svanì quasi immediatamente. Sul davanzale c'erano dei solchi ben precisi, sui quali erano rimaste incastrate delle scaglie di vernice verde, come se qualcuno vi avesse appoggiato una scala di metallo dipinta di verde. Al centro della stanza, accanto al tappeto sul quale erano visibili delle macchie chiare, il pavimento era leggermente più lucido. L'assassino era entrato, era stato scoperto e, dopo aver ucciso Kevin, lo aveva messo in un sacco e aveva pulito il pavimento con la candeggina, per eliminare ogni traccia di sangue, lasciando però cadere per errore qualche goccia anche sul tappeto. Quindi, anche se tutti gli indizi portavano lontano, l'omicidio era stato commesso lì. Continuò a osservare e vide cosa cercava. Vicino alla finestra c'era una pianta d'appartamento. Sulla terra, secca e chiara per la mancanza d'acqua, c'era una zolla più scura. Ne prelevò un campione e uscì, diretto al Barts. L'assassino aveva pulito tutto il sangue, ma quella probabilmente era una goccia sfuggita alla sua pulizia.

Non era molto, ma almeno aveva una base da cui partire, almeno sarebbe stato certo che si era trattato di un omicidio e che si era svolto in casa. Il problema era chi poteva averlo ucciso. Aveva immediatamente sospettato del fratello. Kevin era un uomo agiato, viveva in una casa lussuosa e l'arredamento stesso testimoniava che poteva permettersi uno stile di vita elevato. Joshua invece portava i segni di un lento e costante decadimento. I suoi abiti erano firmati, ma erano anche logori e riparati in più punti. Un tempo poteva permettersi di pagare abiti costosi e ora no, ma doveva comunque mantenere una facciata, fingendo che nulla fosse cambiato. Un problema di debiti avrebbe potuto giustificare un tentato furto con omicidio accidentale o addirittura un omicidio premeditato.

Era arrivato al Barts, fermamente convinto a confermare le sue teorie. Lì aveva trovato Molly Hooper, l'anatomopatologa che si era innamorata da sempre. Avevano frequentato insieme qualche corso all'università e lei, da quel momento, si era invaghita totalmente di lui. Non era mai stata tipo da dichiarare apertamente i suoi sentimenti, ma questi erano ben evidenti anche per uno che, come lui, aveva deciso di rinchiuderli per sempre nel più recondito angolo del suo cuore.

Molly, in sua presenza, diventava come un cagnolino e se avesse avuto una coda probabilmente l'avrebbe agitata furiosamente solo vedendolo. Questo Sherlock lo sapeva e, ovviamente, lo utilizzava a suo vantaggio, chiedendole ogni tipo di favore. Era stato grazie a lei se era riuscita a vedere il cadavere di Ward.

Arrivato in obitorio, la salutò con un sorriso finto, che lei accolse con la solita, stupida felicità.

Ho bisogno di un cadavere.” disse, come se le stesse chiedendo un fazzoletto per il naso.

C-cosa?” domandò lei, incerta.
“Un cadavere. Mi serve. Un esperimento.”

Ah … capisco … ti serve … come ti serve?” chiese lei, incerta su come aiutarlo.

Il più fresco che hai.”

Ah … be' …”

La donna sembrò pensarci un po', poi si illuminò e andò a recuperare il cadavere, che portò di fronte a Sherlock pochi minuti dopo. Il consulente detective aprì la zip.

Quanto è fresco?” chiese, annusando l'odore emanato dal corpo e osservandolo per sincerarsi che facesse al caso suo.

È appena arrivato. Sessantasette anni, morte naturale. Lavorava qui. Lo conoscevo. Una brava persona.” aggiunse alla fine, sorridendo, mentre Sherlock chiudeva la zip del sacco dove era contenuto.

Bene.” disse infine, tornando a guardarla “Cominciamo con il frustino.”

 

Trascorse i successivi venti minuti picchiando selvaggiamente il cadavere. Per quanto quell'esperimento gli servisse per determinare la natura degli ematomi sul corpo di Kevin Ward, dovette ammettere quell'esercizio lo aveva aiutato a sfogare un po' di rabbia repressa.

Aveva appena preso fiato, quando sentì entrare Molly.

Allora … giornataccia, eh?” chiese lei, con l'evidente quanto disturbante intenzione di chiacchierare con lui.

Devo sapere che tipo di ematomi si formano nei primi venti minuti dal momento della morte.” rispose lui, appuntandosi la forma e il colore dei vari lividi.

Senti … mi stavo chiedendo … magari più tardi … quando avrai finito ...”

Hai messo il rossetto?” la interruppe lui, notando qualcosa di diverso in lei “Non avevi il rossetto, prima.”

Mi sono ...” mormorò lei, spiazzata per quell'affermazione improvvisa “Mi sono rifatta il trucco.” rispose, imbarazzata ma anche felice che lui lo avesse notato.

Lui sembrò dubbioso per un istante.

Scusa, stavi dicendo?” chiese, continuando a prendere appunti.

Mi chiedevo se ti andasse una tazza di caffè.”

Non esitò. Il fatto che si fosse truccata e il tono della sua voce non promettevano niente di buono, almeno per lui. Evitò facilmente il problema.

Nero, con due zollette, grazie. Vado di sopra.”

Non aveva tempo per caffè e chiacchiere, doveva scoprire se in quella zolla di terra c'era del sangue. Non si accorse, andandosene, che Molly aveva sussurrato un timido “Certo!”

 

Un quarto d'ora più tardi si trovava nel laboratorio, intento a terminare l'analisi sul campione di terra, quando sentì le voci di due uomini avvicinarsi alla stanza dove si trovava. Uno era Stamford, l'altro non lo conosceva. Uno di loro bussò e i due uomini entrarono. Lo sconosciuto si guardò attorno con un'espressione nostalgica in viso. Non gli fu difficile inquadrarlo immediatamente. Ormai era abituato a questo genere di cose, dedurre la vita delle persone semplicemente osservandole, cogliendo ogni sfumatura sugli abiti, la postura, la scelta delle parole e i segni visibili sul corpo.

Molto diverso dai miei tempi!” esclamò con un sospiro appena accennato.
“Oh, non immagini quanto!” rispose Stamford, ridacchiando.

Lui però non aveva tempo per quelle cose, doveva scrivere a Lestrade. Sì, c'era sangue sulla terra della pianta in casa di Kevin Ward e sì, l'assassino era il fratello. Mancava solo un punto da chiarire, ma non poteva farlo da solo … ma aveva riscontrato un un piccolo contrattempo che non aveva previsto.

Mike? Mi presti il telefono? Il mio non ha segnale.”

Scusa, perché non usi il fisso?”

Preferisco gli SMS.” rispose Sherlock,seccato.

Scusa ...” mormorò lui “È nel cappotto.”

Sherlock represse un'imprecazione. Stava per alzarsi, quando sentì la voce dell'amico di Mike.

Oh … ecco ...” mormorò lo sconosciuto “Usi il mio.”

Oh … grazie.”

Era sinceramente sorpreso. Nessuno era mai così gentile con lui, non in quel modo spontaneo e disinteressato. Mike sembrò notare l'interesse di Sherlock per il nuovo arrivato e si affrettò a presentarlo.

Un mio vecchio amico, John Watson.” disse, indicandolo.

Sherlock nel frattempo si era avvicinato a lui. Prese il cellulare e compose il messaggio e il numero di Gregory a memoria. Lo aveva salvato nella rubrica del suo telefono. Perché lo sapeva a memoria? Non diede ascolto a quella domanda che gli era salita spontaneamente e si concentrò su ciò che stava facendo.

 

Se il fratello ha una scala verde, arresta il fratello.

SH

 

Scrivendo, si voltò verso John. Voleva stuzzicarlo e aveva i mezzi per poterlo fare.

Afghanistan o Iraq?” chiese.

L'atmosfera nella stanza si gelò e, anche senza vederli, intuì che John doveva aver lanciato uno sguardo stupito a Stamford.

Come, scusi?” chiese, sbigottito.

Dove è successo, in Afghanistan o in Iraq?”

In Afghanistan … ma come fa a saperlo?”

John era senza fiato per lo stupore, era evidente. Stava per dargli il colpo di grazia, quando vide arrivare Molly.

Ah! Molly! Il caffè, grazie!”

Quel silenzio, la finta indifferenza, come se avesse appena fatto una cosa normalissima, avrebbero avuto più effetto di qualsiasi nuova affermazione eclatante. Restituì il cellulare a John e guardò Molly mentre prendeva la tazza dalle sue mani. Niente più traccia di rossetto. Che fine aveva fatto? Perché lo aveva tolto?

Che fine ha fatto il rossetto?” chiese, stupito.

Ah … non mi stava bene.”

Davvero?” chiese “Invece stavi meglio. Hai la bocca troppo … piccola, ora.” disse, liquidandola con un gesto della mano. Bevve un sorso di caffè. Troppo amaro. Avrebbe dovuto specificare due cucchiai belli pieni. Ignorò il suo “Ok” e tornò a concentrarsi su John.

A lei piace il violino?” chiese, senza guardarlo.

Ancora silenzio. Quella domanda dovette sembrargli assurda e intuì che stava guardando ancora Stamford, in cerca di aiuto.

Come, scusi?”

Ancora una volta, lo aveva lasciato spiazzato. Ottimo. Si stava divertendo.

Io suono il violino quando penso e a volte non parlo per giorni interi … Due potenziali coinquilini dovrebbero conoscere i difetti reciproci.”

Altro silenzio. Altri dubbi. Gli parve di poter sentire le domande ronzare nel suo cervello.

Gli hai parlato di me?” chiese infine a Mike, che sembrava divertirsi quanto Sherlock, ma per un motivo diverso, in quanto, per una volta, il detective non stava rivolgendo a lui quel genere di deduzioni.

Niente affatto.” negò questi, scuotendo la testa.

Allora chi ha parlato di coinquilini?” chiese, irritato, probabilmente per il modo in cui lo aveva decifrato senza fatica.

Io.” rispose Sherlock, indossando il cappotto “Stamattina Mike mi ha detto che sarà difficile per me trovare un coinquilino … e dopo pranzo si presenta con un vecchio amico chiaramente appena rientrato da una missione militare in Afghanistan.” si voltò indossando la sciarpa. Il suo sguardo era quello di chi sta spiegando che due più due fa quattro “Non è stato difficile.”

Il silenzio che i sera aspettato non arrivò. John era ormai troppo arrabbiato o seccato per porre altro tempo di fronte alle sue domande.

Come sapeva dell'Afghanistan?”

Non rispose, per le spiegazioni ci sarebbe stato tempo. In quel momento voleva andare da Gregory e spiegargli perché doveva arrestare Joshua Ward e accusarlo di omicidio. Non c'erano prove evidenti, ma sotto un buon interrogatorio avrebbe confessato. Inoltre, certo di aver trovato in John un coinquilino, avrebbe iniziato il trasloco. Non sapeva cosa fosse, ma c'era qualcosa nello sguardo di quell'ex soldato che gli dava fiducia. La sua voce decisa e il suo sguardo fiero gli ricordavano in qualche modo … qualcuno … in un passato ormai dimenticato … era … era … chi era? Lo sguardo deciso e fiero di un soldato senza macchia e senza paura, che affronta il pericolo a testa alta. Sì, aveva bisogno di un uomo così, al suo fianco. O almeno questo la sua mente gli suggerì in quel momento. Non si era accorto che, nel profondo, si stava muovendo qualcosa.

Ho adocchiato un piccolo appartamento al centro di Londra. Insieme potremmo permettercelo. Ci vediamo domani sera alle sette. Scusate, devo scappare, ho lasciato il mio frustino all'obitorio.”

Non aveva tempo per spiegazioni inutili, aveva altre cose da fare. La sua mente, in continuo fermento, era già altrove.

Tutto qui?” chiese John, frustrato.

La sua voce lo fece fermare. Era incuriosito da quel modo di fare, del suo non accontentarsi di una spiegazione ad effetto.

Tutto qui … cosa?” chiese, tornando indietro.

Vuole condividere un appartamento con me.”

Non era una domanda, ma gli occhi di John chiedevano spiegazioni. Quali? Cosa c'era da capire in ciò che aveva detto?

Problemi?” chiese, con sguardo innocente.

John sembrò divertito da quell'uomo che, seppure in grado di intuire il suo passato, non sembrava capace di comprendere una situazione come quella.

Noi due non ci conosciamo affatto, non conosco questo posto e nemmeno il suo nome.”

Era arrivato dunque il momento, poteva stupirlo, gettargli addosso tutto ciò che aveva visto.

Io so che lei è un medico militare, che è stato ferito in Afghanistan. So che ha un fratello che si preoccupa per lei ma non gli chiederà aiuto perché non lo approva, probabilmente perché è un alcolista o, meglio, perché di recente ha lasciato la moglie. E so che la sua analista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico, diagnosi corretta, temo.” una pausa ad effetto, giusto il tempo per fargli digerire tutte quelle informazioni “È sufficiente per frequentarci, non crede?” chiese infine, tornando verso la porta, lasciandolo ammutolito dallo stupore. Aprì la porta, ma si fermò.

Il mio nome è Sherlock Holmes e l'indirizzo è il 221B di Baker Street.” un rapido occhiolino per concludere “Buonasera.”

Non sentì ciò che Mike disse probabilmente a John per giustificare il suo comportamento. Si sentiva alla grande. Aveva risolto un omicidio e lasciato senza parole il suo potenziale, anzi certo coinquilino … John … John Watson.

John Watson.

Medico militare.

Leale.

Forte.

Deciso.

Le cose non avrebbero potuto andare meglio.

   
 
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