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Autore: guimug    15/01/2017    0 recensioni
Quando serve protezione, quando il coraggio manca o quando la speranza sembra essere fuggita via fermiamoci un momento ad ascoltare... forse un frullo d'ali tradisce al presenza di un angelo custode che non chiede di meglio che prendersi cura di noi, non è detto debba trattarsi di un giovane con le ali ma potrebbe essere più concretamente qualcuno che ci tende una mano.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Candy saga'
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Carcere di Chicago – un giorno come un altro

 

I feel I’m fallin’ apart cause I know
I’ve lost my guardian angel


 

 
Grigio. Questo era il colore dominante della cella che Neal continuava a misurare nervosamente. Quattro passi per lato per un totale di dodici passi di perimetro, ripetuti ossessivamente per ore ed ore ogni giorno come una bestia che, allo zoo, ha perso il contatto con la realtà. Lui, ricco rampollo di una famiglia dell’alta società, era stato condannato a dieci anni di carcere solo per aver cercato di far valere i diritti che, a suo dire, gli dovevano essere riconosciuti per merito della sua posizione sociale.

Invece tutto gli si era ritorto contro, la piccola orfana era riuscita a metterlo alle corde e, cosa assai più grave, persino i membri della sua famiglia si erano rifiutati di appoggiarlo. Questa era la cosa che più lo aveva fatto soffrire: quando in compagnia di sua madre aveva lasciato la villa di Lakewood per far ritorno alla residenza dei Legan, dove sarebbe arrivata la polizia a prelevarlo, la donna si era chiusa in un ostinato silenzio che mal celava il disprezzo per il figlio che, con il suo agire sconsiderato, aveva minato l’onorabilità della famiglia.

“Mamma” aveva chiesto Neal mentre questa lo chiudeva nella sua stanza “Non crederai davvero a tutte quelle sciocchezze?”

La donna lo aveva gelato con un’occhiata carica di odio proferendo solo poche parole: “Taci! Da questo momento non sei più mio figlio!”

Eppure il piano che aveva ordito sembrava perfetto, Candy sarebbe stata rovinata e scacciata dalla famiglia Andrew e la sua vendetta per essere stato rifiutato sarebbe stata completa. Chissà perché la zia Elroy aveva invece voluto prendere le difese di quella trovatella?

Un’altra cosa che lo faceva soffrire era l’essere stato abbandonato anche dalla sorella Iriza, che era sempre stata la sua compagna di nefandezze, ordendo piani diabolici ai danni di Candy. Le aveva scritto dal carcere ma lei gli aveva risposto sprezzantemente intimandogli di non cercarla mai più, anzi di dimenticare completamente la loro parentela visto che una ragazza di buona famiglia non poteva permettersi di vedere il suo nome accostato a quello di un volgare galeotto.

Solo suo padre aveva dimostrato un certo interessamento alla sua misera sorte, se per affetto o semplicemente per dovere non era dato saperlo, ma di sicuro era stato l’unico ad assistere al suo processo e ad andare a trovarlo in carcere ma Neal, accecato da un rancore profondo che ormai nutriva per tutta la sua famiglia rea, a suo dire, di averlo abbandonato  non aveva mostrato di gradire questo atteggiamento del genitore ed in occasione della sua ultima visita aveva deciso di troncare anche questo ultimo legame.

“Padre!” aveva esclamato Neal calcando l’accento sulla formalità del tono “Desidero che non veniate più a visitarmi. Non ho bisogno del vostro falso interessamento!”

“Neal” aveva replicato suo padre “perché mi dici questo?”

“È colpa vostra se sono finito in questo stato miserevole! Vostra e delle vostre scelte! Siete stato voi a portare in casa nostra quella piccola orfana, ed è da allora che sono cominciati tutti i miei guai e, quando sono finito nel baratro a causa sua, non avete fatto nulla per aiutarmi, ma siete rimasto passivo ad assistere alla mia distruzione! Non so che farmene di un padre simile!”

Il signor Legan era rimasto profondamente addolorato dalle accuse mossegli dal figlio, sentiva di non meritarle ma capiva anche che, se solo fosse stato più presente nella vita familiare invece di viaggiare continuamente per il mondo, forse avrebbe potuto prevenire molti problemi. Era uscito dal carcere con questo peso sul cuore, mentre Neal era tornato nella sua cella con la consapevolezza di essere rimasto veramente solo.

Ormai era parecchio tempo che non aveva contatti col mondo esterno e le uniche occasioni per scambiare qualche parola si limitavano ad occasionali dialoghi con gli altri detenuti che però mostravano di non gradire molto la sua compagnia, non considerandolo appartenente al loro mondo. Del resto anche in carcere un Legan godeva di un trattamento che, se proprio non era di riguardo, di sicuro presentava dei vantaggi rispetto a quello dei comuni detenuti: cella singola, possibilità di ricevere posta e visite senza dover passare dalle rigide maglie della censura ed altre cose che lo facevano sembrare, agli occhi degli altri carcerati, un piccolo signore.

Non che lui ne approfittasse. Anzi, dopo il litigio col padre quella stanzetta era diventata tutto il suo mondo e non ne usciva che in rarissime occasioni, subendo anche lo scherno delle guardie carcerarie che non si lasciavano scappare l’occasione per accanirsi contro un simbolo di quell’alta borghesia a cui loro mai avrebbero potuto appartenere.

Tutto questo aveva minato l’umore del giovane che, pian piano, aveva cominciato a scendere negli abissi della depressione ed ora era lì, a girare come un folle per i quattro metri per quattro della sua cella in compagnia dei suoi fantasmi. Di colpo si fermò e lo sguardo gli cadde sulla piccola branda. Sotto il materasso c’era lo strumento che gli avrebbe permesso di essere finalmente libero! Per mesi ad ogni cambio di lenzuola aveva conservato una piccola striscia di tessuto, non troppo grossa in modo che non si notasse subito ma sufficiente, unendola ad altre ed altre, per intrecciare una robusta corda.

No, non aveva intenzione di evadere! Del resto la corda era lunga due metri soltanto e la sua cella era al quarto piano, sarebbe fuggito da ben altra prigione, da quella galera che era diventata la sua mente e quella notte sarebbe stata finalmente quella giusta. Dall’esterno giunse un suono di campane, le chiese si stavano preparando a celebrare ancora una volta il miracolo della nascita del Salvatore. Nemmeno si era accorto che era la vigilia di Natale. Neal pensò all’ironia del togliersi la vita proprio la notte precedente la ricorrenza che più di tutte la esalta, ma forse era proprio la scelta giusta ed il suo gesto avrebbe avuto ancor più significato.

Infilò la mano sotto il materasso e carezzò il canapo. Stava per estrarlo quando una guardia batté violentemente con il manganello sulla porta della cella abbaiando:

“Legan! Mettiti in ordine, hai una visita!”

“Non voglio vedere nessuno!” rispose Neal “Mandali via, chiunque siano!”

“Stammi a sentire, damerino” continuò la guardia “questa signora che vuole vederti è venuta in compagnia di un bambino, ed ha allungato a noi guardie una discreta mancia per poterti vedere. Il minimo che possiamo fare è portarti giù da lei, poi sarai tu, se vorrai, a dirle di andarsene, ti è chiaro? Ora muoviti, altrimenti vengo io a prenderti; non vorrai farti vedere dalla tua bella con un occhio nero, vero?” E ridendo aprì la pesante porta di ferro.

Una donna con un bambino? Chi mai poteva essere? Iriza figli non ne aveva e non conosceva nessuno… a meno che? Ma non era possibile. Comunque la curiosità era troppo forte e Neal si accodò alla guardia che, in compagnia di un collega, lo scortò nella stanza del parlatorio.

Lo stanzone, diviso da un grande banco dove i detenuti potevano sedersi ed incontrare i propri familiari, era deserto eccettuata la presenza di una giovane donna bionda con un bambino di circa dieci anni. Neal prese posto sul sedile di fronte a lei.

“Marie! Che cosa ci fai qui?”

“Ciao Neal, come stai?” rispose la ragazza con una voce dall’accento francese “Sono solo venuta ad augurarti buon Natale, se si può farlo in un posto come questo.”

“Beh, hai sprecato il tuo tempo. Io non voglio vedere nessuno, tantomeno te!”

Il piccolo alzò la testa e guardando Neal negli occhi esclamò “Buon Natale, papà!”

“Come papà? Lui sa… Tu gli hai detto?”

“Si Neal, ho pensato che fosse giusto che lui sapesse chi è suo padre, anche se si trova in carcere.”

“Certo, così potrà vergognarsi meglio del proprio genitore, vero?”

“Io non mi vergogno di te!” disse il piccolo Auguste guardando Neal “Tu sei il mio papà e la mamma mi ha detto che quando uscirai da questo posto potremo stare tutti assieme. A me non importa quello che hai fatto, mi basta sapere che io un papà ce l’ho… E che posso aspettarlo.”

Neal guardò il piccolo Auguste, da due anni prima era cresciuto parecchio ed in alcuni tratti si vedeva la parentela: il taglio degli occhi o un particolare modo di inclinare la testa… Sì, era suo figlio.

“Ma lo sai che io devo stare chiuso qui dentro per tanti anni? Cosa ti importa di aspettarmi? Quando uscirò tu sarai grande, cosa te ne farai di un padre avanzo di galera?

“Non so cosa voglia dire avanzo di galera” continuò Auguste “so solo che sei il mio papà e se devi restare qui dentro io posso venire a trovarti, poi quando uscirai ed io sarò grande… Sarò io a badare a te invece del contrario. La mamma mi ha detto che sarà il mio compito”

Qualcosa si ruppe dentro Neal, lui sempre freddo e insensibile si sentì salire le lacrime agli occhi. Voleva abbracciare quel piccolo che veniva forse a restituirgli una speranza, ma il bancone non glie lo permetteva, allungò una mano e carezzò quella testina e poi rivolse uno sguardo a Marie.

“Ci vediamo presto.” le disse con una voce che voleva essere dura ma tradiva la commozione, quindi girò sui tacchi velocemente e si allontanò per non mostrare le lacrime.

“Andiamo Auguste, torneremo ancora”, e prendendo il figlio per mano Marie uscì dalla stanza.

Di nuovo nella sua cella Neal poté finalmente dar sfogo al pianto, un pianto liberatorio che lavava via la disperazione. Non era rimasto solo, là fuori qualcuno ancora teneva a lui e forse gli dava una nuova occasione. Le campane suonarono di nuovo per annunciare l’imminente arrivo del Salvatore ed a Neal parvero le voci degli angeli che venivano a ricondurlo alla vita. In fretta infilò la mano sotto il materasso, prese quella corda maledetta e cominciò a disfarla, non gli serviva più! Da ora in poi sarebbero state altre le corde che l’avrebbero tenuto legato, forse finalmente sarebbero state quelle dell’amore.

 

  
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