Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Padmini    18/01/2017    2 recensioni
Uno sguardo, un legame silenzioso tra due anime.
Sherlock, studente brillante ma solitario.
Gregory, studente più grande, generoso e desideroso di riparare a tutti i torti.
Un gatto e un cane che si incontrano nel cortile di una scuola.
Cosa accadrà tra di loro? Possono due anime così diverse trovare un luogo in cui incontrarsi?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gelosia

 


 

 

La gelosia è un mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre.
(William Shakespeare)


 

 

 

Cosa era successo? Quando aveva iniziato nuovamente a provare dei sentimenti? Quando il mostro si era liberato dal suo petto, strisciando indisturbato nella notte e seminando zizzania tra i suoi pensieri? Quando tutto quello aveva avuto inizio?

Per anni era riuscito a restare indifferente, a ignorare i richiami del suo cuore, tenuto prigioniero in un luogo che lui stesso aveva dimenticato … poi all'improvviso qualcosa si era rotto, la crepa che lentamente si era allargata non aveva più retto e si era spezzata inesorabilmente, facendo fuoriuscire tutto ciò che fino a quel momento aveva custodito.

Cos'era stato? Cos'aveva scatenato tutto quello? Chi o cosa aveva dato il colpo di grazia alle sue certezze?

Suonava ormai da ore, incapace di concentrarsi su un singolo pensiero, circondato da ricordi, immagini sfuggenti di momenti ormai passati, pezzi di un puzzle che da tempo aveva iniziato a comporsi davanti ai suoi occhi senza che lui potesse ancora scorgerne il disegno.

La musica lo avvolgeva, cullandolo dolcemente nei suoi pensieri, tutto il mondo là fuori continuava a girare, ovattato, lento come i fiocchi di neve che cadevano leggeri in quella notte fredda.

Sentì una voce, lontana, l'eco di qualcosa che gli era estraneo, eppure tremendamente vicino. Cosa diceva? Non riusciva a sentirlo. Forse parlava con qualcuno. Chi erano? La signora Hudson e John?

John ...

John Watson.

Dottor John Watson.

Un medico e un militare.

Gli era piaciuto subito, fin dal loro primo incontro. Era stato breve ma decisivo. Si era sentito attratto da lui quasi all'istante, una sensazione che avrebbe riconosciuto, se non avesse consapevolmente deciso di dimenticare e isolare in un luogo remoto della sua memoria, almeno in quel momento.

Erano andati a convivere e tutto era stato più chiaro. Lentamente, aveva iniziato a indagare su di lui, su cosa lo attraesse tanto. Era coraggioso, aveva ucciso un uomo per salvargli la vita e lo conosceva a malapena da un paio di giorni. Lo guardava con rispetto e ammirazione, affascinato dalla sua intelligenza come poche persone con cui aveva avuto a che fare. Era bastato poco. Una pillola, una pallottola e una cena cinese, e la loro amicizia era stata sigillata per sempre.

Quanto tempo era passato da allora? Se qualcuno glielo avesse chiesto, non sarebbe stato in grado di rispondere. Giorni, mesi, anni? Non ne aveva idea. Ciò che contava era che la sua amicizia con John cresceva, cullata da un'intimità e da una sintonia che non aveva avuto con nessun altro prima … o sì? Non ricordava … non ricordava … non ricordava! Cos'era? Perché quando pensava a John si alzava una cortina di nebbia attorno alla sua mente?

Assassini, ladri, truffatori, gente strana, brutte faccende, erano ormai il loro pane quotidiano. I clienti abbondavano e spesso erano anche troppi, ma era quello che aveva sempre voluto fare, no? Indagare, scoprire ciò che gli altri non vedevano, risolvere enigmi e lo faceva, eccome se lo faceva! Ma … c'era qualcosa che mancava, una voce che lo chiamava da lontano, soffocata dalle grida di aiuto di chi, per curiosità o reale disperazione, andava da lui in cerca della soluzione ai suoi problemi. Lui non lo sapeva, non lo vedeva, ma infilzato tra i casi irrisolti, eppure invisibile a occhio umano, c'era un mistero che non era ancora riuscito a risolvere. Ne percepiva la presenza, come un disturbo di sottofondo, l'interferenza in una radio mal sintonizzata.

Poi.

Poi era arrivata lei.

La rivelazione lo aveva turbato come un boato inaspettato. Era stata lei. La Donna. Solo lei. Era stata capace di fargli vedere ciò che fino a quel momento aveva tenuto nascosto, ignorato, dimenticato.

Chi era Irene Adler? Una donne eccezionalmente intelligente, furba, determinata, ma portatrice di un enigma a cui non era riuscito a venire a capo. Una donna che lo aveva battuto al suo stesso gioco.

Lei era una donna, non c'erano dubbi, ma era anche il suo riflesso perfetto, gli restituiva la sua stessa immagine. Ciò che non vedeva in lei, non vedeva in se stesso … e ora era morta. Avrebbe voluto scoprire qualcosa di più su di lei, sul mistero che si portava dentro … ma lei stessa aveva deciso diversamente.

 

Quando il silenzio tornò a imporsi nuovamente sulla sua anima, posò il violino e andò a recuperare il telefono che lei gli aveva inviato, il regalo d'addio di una donna che sapeva di andare incontro alla morte, spezzando così ogni possibilità di scoprire cosa si celasse in quel pozzo dove la luce non riusciva a entrare. Lo sfiorò con un dito. Per accedervi avrebbe dovuto indovinare la password, ma doveva procedere con saggezza, i tentativi erano limitati. La possibilità di scoprire il suo cuore era sfumata, ma il contenuto del cellulare era sempre a portata di mano, e l'avrebbe avuto.

 

 

 

 

La sua vita stava decisamente andando alla deriva. Qualcosa era cambiato, ma non sapeva identificare esattamente cosa. Lui lo aveva notato, Haley lo aveva notato. La tensione, accumulata durante quegli ultimi mesi, aveva leso gravemente il suo rapporto con la moglie. Non si parlavano più come prima, il lavoro aveva iniziato ad essere sempre più importante di qualsiasi cosa, cena programmata, vacanza, serata tranquilla in casa … e quando aveva tempo per queste cose, l'ombra del dovere, o comunque una latente tensione, erano sempre presenti.

La cosa più dolorosa era che, nonostante non capisse da che cosa derivasse di preciso, era convinto che tutto ciò dipendesse esclusivamente da Sherlock.

Da quando, qualche anno prima, lo aveva rivisto e avevano iniziato a collaborare, aveva notato in lui qualcosa di diverso, di cambiato, probabilmente collegato con il suo passato innamoramento nei suoi confronti. Poi c'era stato quel dannato caso, che lo aveva messo in cattiva luce con Mycroft, condannandolo a tempo indeterminato a fare da cane da guardia al minore degli Holmes. Non che gli dispiacesse, certo, lui stesso avrebbe spontaneamente fatto qualsiasi cosa pur di proteggerlo.

Era quello? No, forse no. Cos'era? Da quando era arrivato John tenere d'occhio Sherlock era diventato sempre più difficile. Perché? Forse da quando era arrivato quel medico militare Sherlock si era lasciato andare ancor di più, trovando un complice per le sue pazzie? Quei due erano diventati amici in fretta, si vedeva che tra di loro c'era una stretta sintonia.

Gelosia.

Quella parola era affiorata alla sua mente numerose volte, ma l'aveva sempre ricacciata indietro, gettandola tra le opzioni non contemplate. Lui non poteva essere geloso. Insomma, Sherlock non era mica di sua proprietà e aveva tutto il diritto di farsi altri amici, anzi, era ciò che aveva sempre sperato per lui, inoltre era andato a convivere con John per pura necessità, per condividere le spese di un appartamento che sarebbe stato altrimenti troppo costoso per entrambi. Sì, era così. Era questo e lui non era geloso. Era arrabbiato con Sherlock perché, come al solito, si metteva nei guai e lui doveva rimediare. Sì, ne era certo. Non la gelosia. Gregory Lestrade non poteva essere geloso. Assolutamente no. Perché, poi? Era felicemente sposato con la donna che aveva sempre amato, no? Felicemente … sposato … Felicemente …

Accartocciò il foglio sul quale stava scrivendo i turni per gli agenti e lo scagliò con violenza contro la parete.

Dannazione.

Dannazione.

Dannazione.

Gli mancava Sherlock. Gli mancava da morire. Lo vedeva spesso, si incontravano durante i casi, si inviavano SMS … ma gli mancava. Gli mancava il rapporto che avevano avuto per tanto tempo … ma era stato davvero tanto? Qualche anno, ma sembrava una vita intera. Quanto era passato? Quanto aveva aspettato? Quanto Sherlock lo aveva fatto penare con la finestra aperta? Quando il suo gatto sarebbe entrato silenziosamente nella notte per fargli compagnia? Mai più. Sembrava quella la risposta. Non sarebbe più tornato. I tempi in cui erano amici e complici sembravano irrimediabilmente finiti. Sherlock lo aveva lasciato indietro e aveva trovato un altro con cui condividere i suoi sorrisi.

Si irrigidì. I suoi … i suoi sorrisi? Perché pensava al sorriso di Sherlock? Quando era stata l'ultima volta in cui lo aveva visto sorridere di cuore? Non era passato molto tempo … ma … quel sorriso … non era di certo rivolto a lui.

Ormai non poteva farci nulla. Doveva ammetterlo, prima di tutto con se stesso. Non poteva continuare a negare che, nonostante si sforzasse di rifiutarlo, la verità era che semplicemente … era geloso.

 

 

 

 

Aveva ripreso in mano il violino. Una musica era entrata nella sua mente e aveva iniziato a chiamarlo per rivelarsi. Le idee si muovevano nella sua mente, collegandosi tra di loro, in un processo che ormai era diventato per lui automatico. Era facile, bastava pensare ai dati in suo possesso e collegarli gli uni con gli altri fino a creare una catena solida, anello dopo anello. Tutto ciò era molto comodo per il suo lavoro, ma spesso lo portava ad isolarsi dal resto del mondo. Per esempio, non si era accorto che la signora Hudson aveva portato un piatto con del cibo e lo aveva fatto raffreddare sul tavolo, continuando a suonare fino a che, tra le note e le idee, non avevano risuonato i passi rassicuranti di John. Doveva parlargli, doveva dirgli le conclusioni a cui era giunto. Se non lo avesse fatto, avrebbero continuato a girare nella sua testa fino a farlo impazzire. Prese il lapis e tracciò la musica sullo spartito ciò che la sua mente aveva partorito in quelle ore.

Che deliziosa melodia, Sherlock!” esclamò la signora Hudson, portando via il piatto “Non l'avevo mai sentita prima.”

John era a disagio, non sapeva come muoversi, come affrontare il suo lutto, ma lui non se ne accorse. Ormai era andato oltre, aveva imparato a chiudere i suoi sentimenti in un luogo ben protetto e a dare la priorità a cose più … importanti? Lo sentì schiarirsi la voce.

Stai componendo?”

Posò il lapis. Sì, quel passaggio andava bene.

Mi aiuta a pensare.”

Riprese il violino e tornò a suonare, lasciando che i pensieri e le idee seguissero le note, come una danza, scandita da un ritmo ben preciso.

A cosa stai pensando?”

Si fermò di colpo. Aspettava quella domanda, lo stimolo giusto per farlo parlare, per dargli la possibilità di esprimere ad alta voce ciò che fino a quel momento era stato solo nella sua mente.

Posò il violino e si voltò verso il portatile di John, puntandogli contro il dito, quasi fosse il computer stesso il coplevole dei suoi drammi.

Il contatore del blog è ancora fermo a milleottocentonovantacinque.”

Ah … sì … è difettoso. Non lo aggiustano.”

Difettoso … o è un hacker che manda un messaggio!”

Prese il cellulare e digitò quelle cifre. 1895.

Un rumore sgradevole accompagnò la scritta “Tentativi rimasti: 3”.

Aveva fallito. Una delle tante ipotesi era sfumata davanti ai suoi occhi. Non espresse totalmente la frustrazione che provò in quel momento.

È difettoso.” si limitò a dire, per poi mettere di nuovo via il cellulare.

D'accordo. Bene. Io mi assento per un po'.”

Sentì a malapena queste parole, impegnato com'era nella composizione di quel brano che consapevolmente stava dedicando alla defunta Irene Adler ma che, in realtà, era per la sua anima, ormai destinata a restare per sempre chiusa in quel forziere arrugginito.

 

In seguito si sarebbe chiesto un paio di volte cosa sarebbe successo se non avesse guardato fuori dalla finestra per osservare John che si allontanava. Non avrebbe visto quella donna vestita di nero avvicinarsi a lui invitarlo a salire su un'auto dello stesso colore. Era Mycroft? No, non sembrava nel suo stile, non lo avrebbe mai prelevato di fronte a Baker Street, rischiando di farsi vedere da lui. Se non era Mycroft quindi … chi era? Lasciò il violino e si vestì rapidamente, colto da quella frenesia che lo faceva agire nel momento del bisogno. Scese rapidamente le scale e, scorto un taxi che si stava avvicinando, lo fermò e ordinò all'autista di seguire l'auto nera senza dare troppo nell'occhio. Non fu difficile, la preda sembrava voler essere seguita, quasi desiderasse che Sherlock vedesse dove John stava per essere portato. Era la conferma definitiva. Non era Mycroft, ma allora chi …?

Si fece lasciare poco distante da una grande fabbrica abbandonata, luogo dove aveva visto recarsi l'auto. Non poteva rischiare di farsi vedere, avrebbe dovuto procedere a piedi, anche se sospettava che, chiunque fosse lì, desiderasse farsi scoprire.

Raggiunse la struttura e dal basso vide la donna che aveva portato via John parlare al cellulare. Rapidamente salì le scale per arrivare al piano dove c'era lei, senza farsi vedere. Anche da lì sentì, grazie all'eco, la voce di John che, sbagliando, credeva di parlare con Mycroft. Evidentemente il suo ospite non era ancora arrivato.

Sta componendo musica triste. Non mangia. A malapena parla. Solo per correggere la TV. Direi che ha il cuore spezzato ma … be' … è Sherlock! Lui fa sempre così ...”

L'ultima cosa che sentì prima di perdersi in un turbinio confuso di pensieri fu il suo nome, pronunciato da John in tono scherzoso, poi … la vide. La vide e fu un ronzio, un insopportabile ronzio che gli impedì di ragionare, di pensare coerentemente.

Era viva.

Irene Adler era viva.

Era viva e si era rivelata proprio a lui, a John.

Perché? Perché fingersi morta? Certo, voleva metterlo alla prova facendogli avere il suo cellulare ma allo stesso tempo aveva trovato il modo di proteggersi da quelli che la volevano uccidere. Geniale. Fingere la propria morte era qualcosa a cui non aveva mai pensato … ancora. La Donna si era rivelata una valida avversaria.

Non seppe e non avrebbe saputo mai cosa si fossero detti quei due né quanto tempo fosse passato da quando l'aveva vista a quando aveva ricevuto il messaggio. Fu quello, quella suoneria particolare, a risvegliarlo.

 

Non sono morta. Vogliamo cenare insieme?

 

Il ronzio cessò, lui tornò in possesso di parte della sua lucidità. Si rese conto che dovevano averlo sentito. Si infilò il cellulare in tasca e corse via. Non voleva vedere John, non voleva che lo fermasse e soprattutto non voleva vedere Irene Adler. Non in quel momento. Era troppo presto.

Non seppe come riuscì a tornare a casa, la sua mente era persa in altri sogni, in altre spiagge, mentre le sue gambe lentamente lo portavano al 221B di Baker Street. Fu solo quando vide i numeri sulla porta che si rese conto di essere arrivato a casa. Stava per prendere la chiave, quando vide qualcosa che lo bloccò. Segni di un'intrusione. Entrò con cautela all'interno dell'edificio, guardandosi attorno senza far rumore. Ovunque era evidente che qualcuno si era introdotto con la forza e altrettanto brutalmente aveva aggredito la signora Hudson.

Una rabbia incontenibile, cieca, lo travolse, eliminando ogni altro pensiero. Se lei era in pericolo, nient'altro sarebbe stato importante, nemmeno se stesso.

 

 

 

 

Non vedeva Sherlock da Natale, da quando si era reso conto e aveva dovuto ammettere con se stesso di essere irrimediabilmente geloso di lui e di chiunque gli fosse accanto. La signora Hudson, sempre materna e scherzosa. John, onnipresente, il suo migliore amico, paziente e leale, probabilmente il suo sostituto nella vita di Sherlock e anche se pensare ciò era cattivo non poteva farne a meno. Perfino Molly Hooper, quella ragazza che aveva frequentato l'università con lui, per l'occasione si era vestita con cura. Davvero era passato così tanto tempo? Aveva sempre pensato che il loro legame fosse più forte del tempo e della distanza, ma la freddezza degli occhi che Sherlock posava su di lui gli avevano chiarito che sì, si era spezzato.

Era al lavoro, a Scotland Yard. Non doveva pensare a lui. Non in quel modo. Stava riponendo alcuni documenti nel suo archivio, quando sentì il telefono, la suoneria che aveva appositamente scelto per lui. Rispose subito, come un bambino impaziente di scartare i regali per il suo compleanno. Un momento … cosa stava pensando? La voce di Sherlock, chiara e forte, lo distrasse da quei pensieri.

“Lestrade? C'è stata un'irruzione a Baker Street. Mandi i suoi agenti meno irritanti e un'ambulanza.”

Si irrigidì. Lui era in pericolo? La signora Hudson? In quel momento si sentì in pensiero perfino per John.

“S-state bene? C'è qualche ferito? Perché ti serve l'ambulanza?”

“Oh, no-no, noi stiamo bene.” rispose Sherlock, tranquillamente, fin troppo per i suoi gusti “No, è per il ladro. Si è ferito piuttosto gravemente. Costole rotte, cranio fratturato, possibile perforazione del polmone. È caduto dalla finestra.”

 

Non ci mise molto a organizzare l'uscita. Nel giro di una ventina di minuti tutto era finito. I paramedici stavano caricando sull'ambulanza l'americano che aveva fatto irruzione e a lui non restava altro da fare che parlare con Sherlock. Non sapeva esattamente cosa avrebbe detto, si sarebbe dovuto comportare in modo professionale, in fin dei conti era lì come Ispettore di Scotland Yard, non come … amico. Sospirò e gli si avvicinò. Sembrava tranquillo e la cosa gli parve subito strana, ma quando gli fu vicino vide che teneva i pugni chiusi dietro la schiena. Che fosse ancora scosso? Si voltò un istante mentre la barella passava davanti a loro e vie in che condizioni era il “poverino”. Sinceramente non si sarebbe aspettato che fosse conciato così male per una semplice caduta. Guardò Sherlock, che a sua volta osservava l'uomo. I suoi occhi traboccavano sentimenti simili alla rabbia e alla felicità, o almeno così gli sembrò, non ci avrebbe di certo messo la mano sul fuoco, ma pensò che probabilmente non era caduto da solo e non un a sola volta. Cosa era successo?

“Sherlock?” lo chiamò, sperando di attirare la sua attenzione.

“La signora Hudson adesso sta bene.” rispose lui, come intuendo la domanda che lui gli avrebbe fatto.

Gregory annuì. Era chiaro. Quell'uomo aveva fatto del male, fisico e psicologico, alla cara signora Hudson. Aveva sempre pensato che, in quegli anni, la donna fosse diventata per Sherlock una sorta di seconda mamma e ne aveva avuto la prova quella sera. Era arrabbiato perché le avevano fatto del male ma era anche soddisfatto per averla vendicata. Anche lui, in qualche modo, si sentì sollevato. L'americano non era in pericolo di vita e, per legittima difesa, si era preso ciò che si meritava.

“ … e di preciso quante volte è caduto dalla finestra?” chiese, sperando di coinvolgerlo in un dialogo scherzoso e amichevole.

“I miei ricordi sono confusi, ispettore. Ho perso il conto.”

Ispettore … lo aveva chiamato … Ispettore … Il suo tono non sembrava quello di un vecchio amico, non sembrava intenzionato a buttarla sullo scherzo … oppure sì? Era lui che esagerava o davvero Sherlock aveva eretto un muro di ghiaccio tra di loro?

Sospirò. Non aveva voglia di affrontare quell'argomento. Era tardi e lui era stanco. Non rispose, nemmeno Sherlock sembrava più presente, perso tra chissà quali pensieri. Lui guardò la strada e attraversò. Prima di aprire la portiera dell'auto si voltò un'ultima volta e lo vide rientrare in casa con passo deciso. Era felice lì, con John e la signora Hudson … e lui? Lui sarebbe tornato a casa, da sua moglie, dalla sua felicità.

Forse.

   
 
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