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Autore: Sospiri_amore    19/01/2017    1 recensioni
All'età di sedici anni Elena si trasferisce a New Heaven, USA, con il padre.
Qui vivono gli Husher, una famiglia con la quale sono grandi amici da sempre.
Elena frequenterà il Trinity Institute, una scuola esclusivissima, che la catapulterà in un realtà fatta di bugie, ambizione, menzogne e rivalità che la porterà a scontrarsi con parecchi studenti.
Un amico appena conosciuto le ruberà il cuore o qualcun altro riuscirà a farla innamorare?
Chi ha lasciato quello strano biglietto sul suo armadietto?
Chi ha scattato la foto scandalosa che gira per la scuola?
Elena riuscirà a non rivelare un grande segreto alla persona che ama?
© Tutti i diritti sono riservati
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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IERI:

Troppi pensieri




Cenare a casa Husher mi è sempre piaciuto, Hanna non è una cuoca eccelsa, ma la compagnia di tutti loro, serve sempre a tirarmi su di morale.

Quella sera però, le cose non andavano come sempre.
 
Ero triste.
 
Per tutta la mattina e il pomeriggio ero stata additata per i corridoi del Trinity, come quella che si era iscritta per prima al Club di Dibattito.
Se, per una parte dei ragazzi, ho messo a tacere Rebecca e la sua combriccola, per altri, sono risultata una prepotente, saltando la fila che altri studenti avevano fatto con ordine e metodo per ore. C'era chi mi diceva che ero stata coraggiosa, chi invece mi considerava una bulla della peggior razza. 
E poi c'era Jo.
Mi sorrideva, mi parlava come sempre, ma credo che abbia considerato il mio gesto come un affronto personale. Ho provato a spiegargli cosa era successo, ma non ha voluto ascoltarmi.
Sono morta dentro.
 
Un vago mal di testa, mi ronza per il cervello da ore.
Il polpettone di Hanna ha quel sapore rassicurante che dovrebbe avere, le verdure hanno un aspetto gustoso, la compagnia è piacevole, eppure non sto bene.
Kate non mi stacca gli occhi di dosso, non ha detto nulla, credo capisca quello che sto passando. Mio padre parla di lavoro con Hanna e Roger. 
Io vorrei solo rintanarmi in camera mia a dormire. Sempre che riesca.
 
"Ho dovuto consegnare il progetto in una settimana. Ti rendi conto? Fortuna che gli stagisti mi hanno aiutato", dice Roger a papà.
"Impazzirei a fare l'architetto. Lavorare con clienti isterici, sempre nervosi. Non fa per me", risponde mio padre.
"A me piace, è una scarica di adrenalina pazzesca. Una sfida. Non sai mai se un progetto andrà in porto o meno".
 
Hanna sta servendo delle patate arrosto, anche se alzo la mano perché non mi vanno, mi riempie lo stesso il piatto: "Devi crescere Elena, oggi ti vedo sciupata", mi dice.
Se potesse mi ingozzerebbe con un imbuto. 
"Tutto ok, sono solo stanca", rispondo mogia.
"Ci credo, iscriversi ai Club del terzo anno del Trinity, è una battaglia", dice Roger ridendo, "Mi ricordo il mio terzo anno, pioveva. Mio padre mi aveva portato un paio d'ore prima, metà degli studenti si prese un raffreddore".
Hanna e papà ridono.
"Sai Bruno, questa esperienza servirà ad Elena per costruire il suo futuro. È stata la prima ad iscriversi al Club di Dibattito", dice Elena con enfasi a mio padre, che non sembra particolarmente colpito dalla frase.
"È il Club più impegnativo della scuola. Un massacro. Io ho provato ad entrare il terzo anno, non ho passato neanche la selezione", dice Roger ridacchiando, "Un vero incubo".
 
Già, un incubo.
Dover sostenere un provino per una cosa che non mi interessa, non è certo il massimo.
Se poi lo faccio male, penseranno che non mi importi della scuola e delle tradizioni del Trinity.
 
"A proposito, Elena. Ho un favore da chiederti", Hanna mi allunga una fetta di polpettone, sopra a quella che ho ancora nel piatto. Ho talmente tanto cibo da poter sfamare un esercito.
"Dimmi pure", cerco di usare un tono gentile, anche se non ho la minima voglia di chiacchierare.
"Una mia cara amica ha bisogno di lezioni di italiano, o meglio, lo conosce già. È una ex cantante d'opera, sta preparandosi per uno spettacolo. Ha bisogno di ripassare la pronuncia. Visto che non lavori in gelateria, ho pensato che queste lezioni potessero farti comodo per mettere da parte un po' di soldi".
"Ho molti impegni. Tra i Club e la scuola. Non credo sia una buona idea", le rispondo mentre mangiucchio un fagiolino. Non ho la minima intenzione di passare ore a correggere la pronuncia di una sconosciuta qualsiasi.
"Hmm", fa Hanna.
"Perché Hmm?", chiedo io sospettosa.
"Le ho detto che vi incontrerete domenica pomeriggio per discutere sul compenso e tutto il resto".
"Ma, Hanna!", detesto quando fa così.
"Vedrai che ti divertirai. Poi aiuterai una persona in difficoltà", dice mio padre serafico.
 
Giuro che sto per esplodere.
Possibile che tutti debbano decidere della mia vita?
Ma chi si credono di essere?
Sono furiosa, mi alzo di scatto da tavola. Tutti mi guardano come fossi impazzita.
"Grazie per la cena, ora ho voglia di tornare a casa. Quindi io vado".
"Ma aspetta che almeno finisca di mangiare", mi dice papà con la bocca piena di patate.
"Io voglio andare, adesso", lascio la sala da pranzo, infilo il giubbotto ed esco senza salutare nessuno.
 
Non mi importa se dovessi metterci una, due o tre ore, per tornare a casa. Non ho paura di niente e nessuno, ho talmente tanta rabbia, che credo potrei distruggere qualsiasi cosa con le mani.
Ad ogni passo, l'astio monta sempre di più. Vorrei piangere per potermi sfogare, ma non lo faccio da anni, le lacrime le ho usate tutte quando è morta mia madre.
Detesto New Haven.
Detesto Hanna.
Detesto mio papà.
Detesto il Trinity.
Detesto quei dannatissimi Club.
 
"Vuoi farla veramente tutta a piedi?", Kate sta guidando l'auto di suo padre, "Mi hanno mandata in missione di recupero", mi dice ironica.
"Non salgo, ho voglia di aria fresca", rispondo io in malo modo.
"Calmati Elena. Io non c'entro nulla".
"Dillo a tua madre, forse lei potrebbe organizzarci anche come dobbiamo parlare, rispondere, pensare", le urlo dall'altro lato della strada.
Kate inchioda, scende dalla macchina e mi viene incontro con l'aria severa.
"Senti cara. Io vivo da diciassette anni con quella donna, so benissimo come è fatta. Quello che fa, lo fa per il tuo bene, solo che ha un modo un po' contorto per dimostrarlo".
"Kate, ti ricordo che Hanna non è mia madre. Non può permettersi di fare di testa sua...".
La mia amica, con un tono di voce più alto del solito, mi blocca: "Credi di essere l'unica a cui è stato strappato un pezzo di cuore quando è morta Margherita? Probabilmente non posso capire tutta la tua sofferenza, ma in parte sì. Tua madre non era una semplice conoscente, lo sai. L'ho amata come fosse parte della famiglia, come amo te e come amo tuo padre. Mia madre e mio padre, sono morti dentro quando Margherita è mancata. Erano amici per la pelle, gli amici perfetti. Ogni giorno mia mamma, ci ripeteva che doveva fare qualcosa per voi. Per te e Bruno. Si comporta così, perché tua madre vorrebbe che facesse in questo modo. Margherita ti vorrebbe impegnata nelle cose che ti piacciono, ti vorrebbe vedere serena con i tuoi amici. Ti vorrebbe con una famiglia al tuo fianco... che ti vada bene o meno, adesso, noi siamo la tua famiglia. Saremo strani, fissati, bizzarri, ma vi vogliamo bene", Kate ha il fiatone, credo di non averla mai sentita parlare così a lungo.
 
Mi sento piccola. Una piccola, capricciosa poppante.
 
"Scusa. Credo di aver incolpato Hanna di cose che non c'entrano nulla. Purtroppo ho tanti pensieri in testa e non riesco a mettere chiarezza", le rispondo mogia e abbracciandola stretta.
"Credo di sapere cosa devi fare. Ti fidi di me?", mi chiede Kate.
Fisso la mia amica con curiosità, non so se seguirla o meno: "S-Sì?", le dico titubante.
Kate mi trascina dentro la macchina. Mette in moto in un secondo, poi con una manovra ad U, degna di un pilota di formula uno, cambia corsia. Sulla strada lascia i segni degli pneumatici.
"Dove cavolo vuoi andare?", chiedo mentre mi schiaccio sul sedile, aggrappandomi alla maniglia interna dello sportello.
"Dall'unica persona che può liberarti dai tuoi pensieri".
 
Non mi importa dove Kate mi voglia portare, l'importante è che riesca a togliermi le mille cose che mi frullano in testa.
La strada è illuminata dai lampioni, la sera è arrivata presto. Anche se è Ottobre, non fa troppo freddo. Gli alberi pieni di foglie, gialle e rosse, del parco cittadino sfilano di fianco alla macchina, negozi e locali che conosco, sono chiusi a quell'ora. La gente per strada sta tornando a casa, oppure va al ristorante a cenare. Facce sconosciute, mondi infiniti.
Kate prende la statale, che porta nella zona industriale. Le strade, più buie, sono deserte. Grandi caseggiati anonimi, si susseguono. Non c'è lo sfarzo del centro, non ci sono boutique o librerie alla moda. Grigiore, sporcizia.
"Manca poco", mi dice Kate mentre segue la mappa sul telefonino.
Non le rispondo, resto con la testa girata a contemplare la città che passa veloce, fuori dal finestrino.
 
Poco dopo, l'automobile si ferma.
 
"Eccoci, vai", mi dice la mia amica.
"Dove? Dove devo andare?".
Kate mi guarda, stringe le labbra, un dolcissimo sorriso si stampa sul suo volto: "Lo sai. Sei così giù di morale, perché credi di averlo deluso".
 
La mia bocca è un deserto, il mio cuore un tamburo.
 
"Io non so dove abita", le dico a capo chino.
"È quel palazzo. Terzo piano. Cerca tra i campanelli".
La sbircio con aria interrogativa.
"Mi ha detto dove abita, l'altra giorno, quando siamo venuti in gelateria", mi spiega Kate.
 
Non so come, con che coraggio, scendo dalla macchina. 
Le guance si tingono di rosso, il cuore pompa il sangue velocemente, non ho idea di cosa succederà.
Cerco Kurtz sul citofono.
Suono.
Una voce gracchiante esce dallapparecchio: "Chi è?".
"Cerco Jonathan, sono Elena, una sua compagna di scuola".
Passano diversi secondi di silenzio.
"Arrivo", dice la voce. Quello era Jo.
 
Non passa molto prima di vederlo sbucare dal portone d'ingresso. Indossa una maglietta bianca, una camicia a scacchi e un paio di jeans. I capelli scuri spettinati, gli donano moltissimo.
"Che succede?", mi chiede mettendo le mani in tasca ai pantaloni.
Io sono paralizzata, la bocca è così asciutta che non esce un suono.
"Tutto ok?", Jo stringe la mano intorno al mio braccio. 
"Io... Io volevo chiederti scusa. Oggi con i Club ho fatto un casino".
Jo pare stupito dalla mia franchezza: "Non ti preoccupare, andrai benissimo a Dibattito".
"Ma non lo voglio fare, è stato un malinteso", dico tutto d'un fiato.
"Elena, non hai più cinque anni. Le cose non capitano per caso, se hai dato il tuo nome era perché volevi iscriverti a quel Club".
"No, ti sbagli. Non saprei neanche da parte iniziare... Non ha senso che partecipi", replico.
Jo mi guarda, è tenero e duro, allo stesso tempo: "Io scelgo il Club di Dibattito. Scelgo il Trinity Institute. Scelgo di fare quaranta minuti di Bus tutte le mattine. Scelgo di realizzare i miei sogni. Questo viene prima di tutto".
"Ma io... Ma noi...", ho il magone.
 
Jo appoggia la sua fronte alla mia, sento i suoi capelli sfiorarmi le guance. Siamo una di fronte all'altro, con le mani intrecciate. Il suo profumo mi fa sentire bene. 
"Noi siamo amici. Niente di più, anche se forse lo vorrei. Sto bene con te, troppo bene. Se io provassi a baciarti credo che... Che... Potrei perdermi tra i tuoi baci, Elena. Io non posso perdermi, ho un obbiettivo, non posso rinunciare adesso", mi sussurra in un orecchio. 
Sento il suo corpo fremere, come il mio. 
"Il Club non può separarci, come può succedere?", dico spingendo il mio volto sul collo di Jo.
"Sei ingenua Elena...", Jonathan di allontana da me, sfiora con le dita il mio mento, sembra ipnotizzato, "... Sei una dolce, pazza, ingenua. Non hai idea di cosa succederà al Trinity quando cominceranno i Club del terzo anno, faranno di tutto per affossarti. Farò di tutto anch'io".
"Cosa?", non posso credere a quello che mi ha appena detto.
"Non posso rinunciare a diventare il migliore, lo capisci? Guarda dove abito, guarda lo schifo di vita che faccio. Mia madre si spacca la schiena per pochi dollari. Non posso tollerarlo. Non posso farmi distrarre da nulla".
"Distrazione? Quindi sono solo quello per te?".
Jo ha la mascella tesa, indietreggia qualche passo: "Sì, solo quello".
 
Vorrei sprofondare nella terra, essere sommersa dal mare, vorrei sparire.
Le parole di Jo mi risuonano nelle orecchie. Nessuno mi aveva mai definita una Distrazione.
"Quindi, da ora in poi saremo in guerra?", la mia voce è dura, sono arrabbiata.
"Mi dispiace Elena, ma siamo sempre stati in guerra. Al Trinity Institute, tutti sono contro tutti".
 
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Spazio autrice:
 
Sono successe molte cose, Elena è esasperata da Hanna, ma si rende ben presto conto che i suoi pensieri sono occupati da altre preoccupazioni.
Kate la porta da Jo.
La discussione tra i due è dolce e amara, allo stesso tempo.
Alla fine prevarranno i sentimenti o la ragione?
   
 
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