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Autore: Robszeru    19/01/2017    0 recensioni
Il racconto di un viaggio che porterà il protagonista a camminare per un inferno dantesco moderno e rivisitato. Una storia che racchiude segreti e intrighi, e un'avvincente battaglia in forma fantasy contro il male. Il protagonista dopo essere stato derubato del suo amore da una creatura diabolica, si troverà nella selva oscura dove incontrerà proprio Dante. Il sommo poeta lo guiderà nell'inferno per volontà divina, ma la città dolente e l'ardua impresa metterà a dura prova i due viaggiatori. Dante verrà spesso messo alle strette dai suoi stessi segreti e dal vero motivo della missione.
Genere: Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dante Alighieri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 3. Caronte Memorie...
"Correva l'anno 2011, la mia vita era piuttosto strana in quel periodo ma avevo le mie soddisfazioni. La mia carriera musicale andava bene e il mio gruppo divenne la mia passione. Purtroppo però, la mia famiglia stava trascorrendo un periodo alquanto difficile, il mio amato zio malato di cancro, si avviava verso il suo ultimo respiro, tutti i miei parenti cominciarono a prepararsi al peggio. Certo, niente può preparati alla morte di un tuo caro, soprattutto quando questo è una figura importante all'interno della famiglia, e mio zio era più che importante, era un fedele marito, un ottimo padre, la guida di tante persone, era la mia fortuna, in lui riuscivo sempre a scorgere l'essenza della figura paterna, una figura che nel mio nucleo famigliare è sempre mancata.
Purtroppo però a volte la vita può riservarti sorprese agghiaccianti. E' una cosa che dicono tutti, ma quando capita a te, ne scopri il significato solo in quel momento. Ricordo bene il suo ultimo giorno tra noi, una giornata che vorrei dimenticare e contemporaneamente averla impressa nella testa, perchè quando capitano queste cose, l'ingiustizia è tanta che cerchi di trovare spiegazioni logiche proprio lì dove non esistono, e una volta che lo realizzi non puoi far altro che apprendere il meglio da chi ci ha lasciato."

Alla vista di quella curiosa scena, Dante esclamò "ci siamo quasi!", ed io chiesi lui "sommo, chi è quello?" e lui "ragazzo, quel cavaliere è la dannazione di chi non prova orgoglio per se stesso, coloro che soffrono ai margini della città dolente. L'indifferenza e il disprezzo nutriti nei loro confronti, gli ricorda di come l'inutilità sia stata la loro condanna". Così c'eravamo, dopo l'ardua e sconvolgente passeggiata nella selva arrivammo finalmente sul sentiero che ci avrebbe condotto alle porte dell'inferno. Durante i miei studi, non trovai nell'opera di Dante la descrizione precisa sull'ingresso della città dolente (apparte la scritta scalfita sopra), non so cosa mi sarei trovato davanti, se un arco, se una porta ricamata con simboli diabolici, se un'apertura in una caverna. Ora che ci riflettevo, molte cose vengono omesse, come la pena degli ignavi che sono costretti a seguire insignificanti bandiere. Bene, ora spaevo chi portava questi vessilli neutri, e cioè dei cavalieri di cui pareva che all'interno della loro armatura, non ci fosse nessuno, quasi un'illusione. Forse anche questo va ricollegato alla pena del contrappasso per gli ignavi, non solo rincorrere insulse bandiere, ma anche dei cavalieri senza volto o personalità. Vederlo lì mi sembrò curioso, così chiesi al poeta "sommo, non dovrebbe trovarsi nell'antinferno a fare il suo dovere?", e lui senza proferire parola salì in groppa a Pegaso e mi invitò a fare lo stesso.

Quell'atteggiamento che a sprazzi Dante assumeva cominciò ad insospettirmi, ma non mi azzardavo ad accendere una discussione dato che era l'unico a cui mi potevo affidare, nonostante i suoi strani comportamenti. Tuttavia, la vista di quel cavaliere fuori dall'inferno non fece che colmarmi di pensieri, così cominciai a maturare un brutto presentimento. La cosa però non mi preoccupava più di tanto in quel momento poichè ne avevo passate tante nella selva, e qualche altro spiacevole inconveniente mi spaventava meno. In più la grazia divina era dalla mia parte, e me lo dimostrò dandomi due preziosissimi doni, la spada e Pegaso.
La zona dove ora galoppavamo era una terra collinare, polverosa, senza un minimo di vegetazione, pareva un paesaggio vulcanico, e più andavamo avanti più il suolo si faceva irregolare. Riuscimmo a trovare di nuovo il cavaliere, così Dante decise di seguirlo sicuro che ci avrebbe portato nella giusta direzione. Quella landa desolata probabilmente fù resa tale proprio durante la creazione dell'inferno stesso, quando Lucifero venne scagliato verso la terra, e probabilmente l'avvenimento causò un incendio o la fuoriuscita di magma. Chiesi al poeta "sommo, cos'è questo posto?","siamo sul tetto della città dolente, vedi ragazzo, questa zona confluisce tutta nel suo centro, dove risiede l'occhio di Sirio" disse il poeta, ed io chiesi ancora "l'occhio di Sirio?","é la rampa che ci porterà nell'atrio della porta dell'inferno" rispose Dante.
Durante la corsa, il braccio ricominciò a farmi male e a pulsare, temevo che stesse andando in cancrena e che prima o poi sarei stato costretto ad amputarlo. Tolsi la manica che avvolgeva la ferita per darci un'occhiata e vidi qualcosa di sconcertante. Le ferite che avevano la forma dei denti della lince, erano bagnate dal mio sangue che si presentava di colore nero, come il petrolio. Quella visione fu un pugno nello stomaco, non sapevo dare una spiegazione, non capivo cosa mi stesse capitando. Diedi ancora un'altra occhiata e notai che la mia pelle era diversa, come se avesse dei segni regolari quasi impercettibili. Al momento pensai che fosse a causa della manica legata stretta, ma quando guardai il braccio sinistro notai che quei segni erano presenti anche lì. Cosa poteva significare, forse la visione avuta nella selva c'entrava qualcosa? Questo non lo sapevo ma tutto ciò mi spaventava, e il non sapere cosa mi stesse accadendo mi rese irritabile.
Più avanzavamo più la polvere aumentava tanto da formare un muro che ci limitò la visuale, abbastanza da perdere il cavaliere, così ci fermammo. "Dobbiamo aspettare" disse Dante,"aspettare cosa?" chiesi, e lui rispose sogghignando "lo vedrai". Nell'attesa Dante mi suggerì di estrarre la spada e di cominciare ad allenarmi", e senza perdere tempo, estraetti la lama e mi preparai ad assimilare gli insegnamenti del sommo. Il poeta iniziò a spiegarmi le basi della scherma, la postura, come tenere la spada, come agitarla e come muovermi. Mi illuminò su alcune tattiche e sul giusto metodo per affrontare psicologicamente vari tipi di avversari. Devo essere sincero, non ero proprio un campione o uno nato per praticare la scherma, ma Dante mi ripeteva spesso che non esistono esclusioni quando si tratta di vivere o morire. In particolari situazioni i nostri sensi involontariamente migliorano il loro operato, il nostro cervello trasmette azioni e comandi che pensavamo non fossimo in grado di compiere, e in questo gioco quasi sempre vince chi ha il sangue freddo. Non so se Dante mi diceva certe cose per incoraggiarmi o se le pensava sul serio, ma in entrambi i casi, riuscì comunque a rinvigorirmi. Il suo modo di brandire la spada era molto elegante, e i suoi movimenti erano chiaramente combinazioni tecniche apprese grazie all'esperienza. Potevo essere fiero di avere un maestro e una guida così eccelsa, ed io ero lusingato di essere un suo allievo. Cominciai ad affezionarmi al poeta.
La notte calò, io stavo seduto con la schiena poggiato sulle gambe di Pegaso, e avevo sete, tanta sete. Dante stava in piedi che si guardava attorno, e per un attimo pensai che si fosse perso, anche perchè spesso guardava il cielo come a cercare l'orientamento attraverso le stelle. Guardava in alto e poi guardava di fronte a sè, e il sommo andò avanti così per un paio d'ore. Io intanto contemplavo il cielo, per cercare di tenere la mente lontana da brutti ricordi. L'atmosfera era magica, la landa desolata era debolmente illuminata solo dalla luce delle stelle, e nel buio pesto lontano dalle luci della città, io riuscivo a scorgere ogni genere di astro o costellazione. Mi persi completamente nella magnificenza dell'universo, nella strana casualità del cosmo. Mi riguardai da ciò in cui avevo sempre creduto sulla creazione, ora che avevo la prova dell'esistenza di un creatore, un'entità molto lontana da quella che ci indottrinano da ragazzi. Ora vedevo il creatore come un architetto dei destini, uno scrittore di una trama intricata, un burattinaio che conosce il futuro delle sue marionette, un essere superiore che agisce comunque per il bene del suo operato.
 Stavo quasi per chiudere gli occhi quando Dante esclamò "eccolo!", ed io spalancai gli occhi verso di lui, che stava indicando qualcosa, un fascio di luce che proveniva dal cielo verso un punto preciso in quel deserto. "Cos'è quella luce sommo?" chiesi a Dante, "è la nostra via" rispose lui, e continuò aiutandomi ad rimettermi in piedi "dobbiamo seguire quella luce". Cavalcammo velocemente verso quello splendido fascio, che si faceva sempre più splendente man mano che ci avvicinavamo. Improvvisamente uscimmo dal muro di polvere e Dante frenò Pegaso. Il poeta disarcionò e si avvicinò per vedere meglio il fascio, che si spostava lentamente, fino a che non illuminò un grosso cunicolo nella terra. "L'occhio di Sirio!" esclamò Dante. Io su Pegaso mi avvicinai a tentoni per osservare. La scena era mozzafiato, una magica luce che proveniva dal cielo illuminava uno squarcio nella terra, il quale sarebbe stato completamente celato se non fosse stato scorto dal fascio splendente. "Questa è la via che ci porterà alle porte dell'inferno, e solo grazie alla splendente luce di una stella noi siamo in grado di vedere l'occhio" disse Dante, ed io replicai "Sirio, la stella è Sirio, l'astro più brillante di tutti", e il poeta ancora "Andiamo ragazzo, non possiamo permetterci di perdere la luce".
Misi i piedi per terra e mi avvicinai lentamente al bordo del cunicolo che era perfettamente circolare, e notai che all'interno c'era una sorta di rampa che scendeva a chiocciola lungo tutto il foro, il quale poteva avere un diametro di quattro metri circa. La luce di Sirio ci permetteva di vedere la profondità dell'occhio, e senza perdere tempo cominciammo ad avanzare lungo la rampa. C'era un forte odore di umido e più si scendeva, più riuscivamo a udire dei rumore seguiti da lunghissimi echi. Mi accorsi che sulle mura fatte di pietra c'erano delle scritte, ma la poca luce non mi permetteva di leggerle con accuratezza, così utilizzai la lucentezza della mia spada per riuscire a decifarle. Erano delle frasi scritte in Latino, una lingua che capivo in parte.

Semita magnitudo non est inventus
in euis possessori, sed in sè. Volo quod vos non potestis quia in aeternum tenebrarum.

"
La via della grandezza non si cerca in chi la possiede, ma dentro se stessi. Chi desidera ciò che non si può desiserare, avrà eterna oscurità" mi tradusse Dante notando che stavo contemplando la frase, e poi continuò "Quando il creatore scacciò Lucifero dal Paradiso, utilizzò queste parole, quasi per maledirlo. Oggi queste parole sono scolpite qui come insegnamento". Rimasi per un attimo sconcertato, in un secondo momento quasi provai compassione per la sorte del maligno, l'eterna oscurità faceva più paura della morte stessa. D'altro canto ciò che spaventa di più l'uomo non è la morte in sè per sè, ma il non sapere cosa gli attende dopo, il dubbio sull'esistenza dell'oltretomba, la paura della dannazione e la speranza della beatificazione. Ma molti sono più preoccupati di risultare perfetti agli occhi delle altre persone, più che ai propri occhi, gli unici che ci conoscono sul serio, gli unici che ci possono guardare per come siamo veramente. "Il primo passo verso la grandezza è riconoscere sè stessi per sè stessi, e poi per gli altri" disse Dante, e io ripensando alle sue parole capì che spesso in vita avevo desiderato quasi essere un altro, soprattutto quando si trattava della mia carriera musicale. Cercavo la grandezza in una dimensione che il mio cervello aveva creato, un prototipo che secondo il mio ideale, sarebbe stato perfetto. Avevo realizzato un prodotto che non era dentro di me, un individuo che cercavo di imitare ma che nel profondo, sapevo di non poter essere. E come disse il sommo, il primo step verso la serenità, è riconoscere sè stessi.
Giungemmo a metà del cunicolo dove riuscivamo finalmente a scorgere la fine, quando senza alcuna spiegazione, Pegaso spiccò il volo e tornò in superficie, lasciando dietro di sè, la scia della sua luminescenza. Forse gli mancava l'aria o si era impaurito, fatto stà che ci abbandonò e fummo costretti a proseguire da soli. Dante mi disse "non ti preoccupare, Pegaso ha il potere di apparire in qualsiasi luogo nel momento del bisogno, lo rivedremo ancora, ne sono certo". Le parole del poeta mi confortarono, come sempre. Pegaso ci aveva salvato da situazioni delicate, e non potevo assolutamente pensare di proseguire il cammino senza di lui. Che creatura fantastica! Il poco tempo passato con lui mi sembrava una vita, e ovviamente mi ci affezionai.
La rampa a chiocciola giunse al termine, e noi finalmente mettemmo i piedi sul fondo del cunicolo, che proseguiva in uno stretto corridoio fatto di pietra, il quale culminava con un'arcata. Superata l'arcata, mi ritrovai spiazzato dal vasto atrio della porta dell'inferno, che pareva l'interno di una cattedrale in stile gotico. L'atmosfera all'interno era mistica e i colori che rivestivano il pavimento di marmo, erano in continuo cambiamento, ma mantenevano sempre colori freddi sfumando dal nero al verde scuro, a seconda del tuo punto di vista. Il tetto era paricolarmente alto e fatto di pietra, attaccato ad esso c'erano tre grandi candelabri uno equidistante dall'altro, e al centro c'era un affresco che ritraeva la struttura del paradiso, come se fosse una prima afflizione ai dannati che passavano da lì, un'occhiata a ciò che non avrebbero mai vissuto. L'atrio era diviso in tre parti; c'era il corridoio centrale che portava all'ingresso dell'inferno, delimitato sui fianchi da dieci possenti pilastri circolari con la base cubica, tutti dello stesso colore del pavimento, cinque sulla destra e cinque sulla sinistra. Mentre agli estremi dei corridoi esterni ergevano delle mura dove c'erano le rappresentazioni di otto cerchi infernali, con tutte le pene inflitte ai dannati, dal secondo al quinto sul muro di sinistra, e dal sesto al nono su quello di destra. Chiesi a Dante "sommo per quale motivo non è ritratto il vestibolo", e lui rispose "la dannazione è più onorevole del destino degli ignavi. Loro soffrono senza essere ricordati". La porta dell'inferno era un maestoso arco gotico che si presentava di colore rosso carminio, avente otto piccole spalle semicircolari divise in entrambi i lati, che confluivano tutte nella sua chiave d'arco a punta. Sul rifianco, seguendo l'arco, c'era la famigerata frase di ben venuto, scalfita nel marmo.

"Per me si va ne la città dolente, per me si va nell'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina podestate, la somma sapienza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create, se non etterne e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate"

Leggere quei versi al cospetto dell'arco infernale mi terrorizzava i sensi, ed io ero ancora vivo. Non potevo immaginare cosa potesse provare un'anima dannata al cospetto di parole che ti demoliscono ogni forma di speranza. Parole che ti fanno desiderare una seconda morte non appena finisci di leggerle. Il modo più crudele che il creatore ha ideato per forzare le anime a inchinarsi al suo cospetto, anche se ormai queste sanno di essere già perdute, ma alle quali non resta altro da fare.
Dante guardandosi intorno, mi spiegò "ragazzo, da qui non si torna più indietro. Poggi i piedi sul pavimento della cappella di Mefistofele. Qui, proprio l'angelo caduto Mefistofele, aveva il compito obbligato di accompagnare le anime dall'occhio di Sirio fino all'arcata infernale, con l'aiuto dei rimorchiatori", ed io gli chiesi "i rimorchiatori?","creature infernali che utilizzano delle fruste per guidare i dannati verso l'atrio", mi rispose il poeta. Fui impietrito dalla scena che mi immaginai all'ultima frase di Dante, in quanto realizzai che le anime dannate cominciano a soffrire non appena abbandonano la loro case fatta di carne ed ossa. Chi potrebbe mai reggere una sorte simile!?
A un certo punto, mentre ammiravo la cappella, qualcosa attirò la mia attenzione, un particolare alquanto curioso. Notai che la porta dell'arcata infernale, era semiaperta da un'anta, ma in quel momento non c'era nessuno che doveva entrare, se non io e il poeta. Mi pareva troppo semplice aver trovato già la porta aperta per facilitare il nostro passaggio. Non potevo credere che nessuno avrebbe opposto resistenza al passaggio di un vivente in un regno dell'oltretomba. La cosa non mi convinceva più di tanto.
Cominciai a ragionarci su quando udiì una voce che chiamava "Dante!", e il poeta si girò dando le spalle all'arcata nella direzione da cui proveniva la voce, e disse "Minosse, eccoci! Siamo giunti". Io sconcertato mi intromisi nel discorso chiedendo al poeta "Minosse? Intendi quel Minosse? Il giudice delle anime dannate?", e l'uomo che richiamò l'attenzione del poeta, rispose "sono proprio io, il giudice dei dannati, ragazzo!". Lo guardai bene, aveva l'aspetto di un cinquantenne magro, con pochi capelli brizzolati, un'espressione misteriosa ma allo stesso tempo rassicurante, e il suo viso si presentava completamente liscio senza un pelo di barba, portava un vestito tutto nero con giacca camicia e pantaolni, sul fianco destro presentava una spada e sul sinstro un grosso coltello ricurvo, e alle sue spalle potetti intravedere la celebre coda. "Sommo, ma Minosse.. qui? Lui non dovrebbe essere qui! Cosa.. cosa sta succedendo?" chiesi totalmente confuso al poeta, ma prima che egli potè aprire bocca, Minosse parlò con una certa delusione "ooh Dante! non glielo hai ancora detto vero?","non volevo spaventarlo, l'ho trovato nella selva che giaceva al suolo, non potevo rischiare che scappasse!" disse il poeta. Ancora una volta mi intromisi, e dissi "Cosa? Di cosa state parlando? Cosa dovrei sapere?", così Minosse lentamente si avvicinò verso di me buttando un'occhiataccia al poeta con i suoi occhi rosso scuro da demone, e poi cominciò a parlare "ragazzo, ciò che ti sto per rivelare non sarà di tuo gradimento, d'altronde è una verità che non piace a nessuno, ma come ha detto Dante, da qui non si torna più indietro. Circa cinquecento anni fà, quando gli uomini cominciarono a superare le colonne d'Ercole, Catone l'uticense compì un atto che causò una tragedia, la quale è conosciuta oggi come cataclisma diabolico!! Il guardiano del secondo regno dell'oltretomba, distrusse il purgatorio condannando tutti i pentinenti alla dannazione eterna, compreso Dante stesso. Ma il peggio è stato in seguito all'evento, quando l'equilibrio naturale che esisteva tra gli inferi e il purgatorio si ruppe. In seguito alla distruzione del monte dei pentinenti, il lago ghiacciato di Cocito si sgretolò, provocando inevitabilmente la liberazione di Lucifero dalla sua dannazione.
Il maligno ormai libero, radunò sotto la sua ombra tutte le creature infernali, demoni, guardiani e anche i dannati più cattivi. Lucifero liberò anche i giganti e con la sua armata, cominciò a risalire la voragine infernale per arrivare sino alla via d'uscita, dal momento che la natural burella era ostruita dalle macerie. Il creatore ovviamente, spedì in maniera tempestiva gli angeli e le milizie celesti per fronteggiare l'armata di Lucifero, che si barricò dietro la città di Dite, e ancora oggi lì combatte contro gli angeli del creatore, in una guerra che dura da più di cinquecento anni. L'angelo oscuro non molla e non mollerà neanche un centimetro, finchè non riverserà l'inferno sulla terra, e l'apocalisse avrà inizio". Io fui completamente impietrito dalle parole agghiaccianti di Minosse, potevo vedere il terrore nei suoi occhi mentre mi parlava. Volsi il mio sguardo verso Dante che aveva un'espressione addolorata, e poi chiesi al giudice dei dannati "Non posso crederci! Tutto ciò è davvero incredibile. Ed io... io cosa centro in tutto questo?" e lui mi rispose "Tu sei stato ingannato da un'artifizio Diabolico, tu hai perso il tuo amore. Lo vedo sai, il tuo sangue.. è nero giusto? Solo le anime che vivono senza amore hanno il colore del sangue nero, e solo delle creaure nascono così, i demoni. Si può dire che adesso tu sia quasi un demone, con la differenza che sei ancora un mortale, un particolare da non sottovalutare. Così il creatore decise com..","combatteremo il fuoco con il fuoco!" lo interruppi io continuando la sua frase.
Cominciai a capire i silenzi misteriosi di Dante, la vista del cavalliere con l'insulsa bandiera fuori dall'inferno, la porta della città dolente semiaperta e le sentinelle nella selva oscura. Ora avevo la situazione chiara ma ciò mi intimoriva il doppio di quello che già ero. Però ancora non capivo qualcosa, così chiesi un'altra volta a Minosse "Perchè mai Catone ha compiuto un tale gesto? Proprio lui che aveva il compito di vegliare sul purgatorio" e lui rispose "Non è ancora chiaro il motivo della sua scelta, ma a mio parere, sperava di accelerare i tempi fino al giorno del giudizio, dove sarebbe finalmente salito in cielo. Ovviamente non sapeva che avrebbe causato tutto questo","E ora dov'é lui.. Catone?" chiesi al giudice, e lui mi illuminò "dopo il cataclisma fù spedito dagli angeli direttamente negli inferi, tra i traditori dei benefattori. Egli non ebbe il tempo neanche di proferire parola".
Mi girai verso l'arcata infernale contemplandola, poi mi guardai il braccio ferito, e provai quasi un desiderio di voler un'altra sorte, un altro destino, e dissi "dunque è deciso. Il creatore mi ha scelto per vincere la guerra... sono il suo prescelto". Realizzai che dentro di me avevo creato involontariamente un mostro, un essere che non è capace di provare amore, una sorte ancor peggiore della dannazione. Fortunatamente però, come disse Minosse ero ancora un mortale, e che la mia maledizione non sarebbe stata eterna, quindi non ero un dannato.
Dante mi poggiò la mano sulla spalla, e disse "ragazzo, il creatore non ti ha solo scelto per vincere la guerra, ma anche perchè la tua vita passata e la tua avventura futura, simboleggiano la seconda possibilità che il creatore dà agli uomini. Un atto che purificherà il tuo destino, e quello dell'umanità!". Come sempre le parole del poeta riuscirono a confortarmi e a darmi coraggio, anche dopo aver appreso la dura verità.
Mi girai ancora verso Minosse e gli chiesi "Perchè tu ora sei dalla parte del creatore?" e lui accennando un sorriso, mi rispose "è stato il creatore a onorarmi con il mio incarico di giudice. Non devo assolutamente niente a Lucifero. E poi il mio ruolo nell'inferno, è tutto ciò che ho!"
Minosse stava per aprirmi la via verso l'ingresso infernale, quando un rumore agghiacciante che proveniva dall'arco dell'occhio di Sirio, attirò la nostra attenzione. Preoccupati ci girammo verso l'arco di pietra e Minosse subito estraette la spada che diede a Dante, mentre lui si armò del coltello ricurvo. Anche io estratti la spada ma subito Dante mi suggerì di nascondermi. Non lo ascoltai perchè volevo lottare dal momento che avevo realizzato che ci saremmo trovati più volte in queste situazioni, quindi avevo bisogno di trovare il mio coraggio, così ignorai il poeta e rimasi lì. In un batter d'occhio dall'arco di pietra sbucarono degli esseri che purtroppo avevo già incontrato nella selva, le sentinelle. Le ombre spettrali armate di spade, si lanciarono a gran velocità verso di noi, e subito il poeta e Minosse cominciarono a duellare. Il giudice pur parendo un uomo segnato dall'età, era molto abile con il suo coltello, veloce, tattico, in poche mosse riusciva a liberarsi dei suoi avversari. La sua tecnica era sopraffina e il coltello che brandiva era perfetto per il stile di combattimento. Dante duellava con ogni sentinella che provava ad avvicinarsi a me, mentre io rimanevo in posizione di guardia alle spalle del poeta impaurito. Improvvisamente una sentinella riuscì a raggiungermi e a sferrarmi un colpo, che però a fortuna riuscì a parare, solo che la potenza della mazzata ricevuta mi fece precipitare al suolo. La sentinella si avvicinò verso di me per darmi il colpo di grazia, ma venne tempestivamente colpito alle spalle dal coltello di Minosse, lanciato con abilità proprio da quest'ultimo.
Io terrorizzato strisciai dietro una colonna per proteggermi, perchè sapevo di non essere ancora pronto ad una cosa simile, non lo ero decisamente. La battaglia avanzava quando io cominciai a sentire delle fitte lancinanti al mio braccio ferito. Mi stavo sentendo improvvisamente debole, la stessa sensazione che avevo provato nella selva. Sporsi la testa per osservare la battaglia ma il dolore non mi permetteva di essere lucido, in più cominciai a vedere ombrato e a respirare a fatica, fino a quando mi ritrovai in un altro posto.
Ero sotto un'impalcatura, probabilmente nella piazza della città in cui vivevo. Mi stavo proteggendo dalla forte pioggia e per strada non c'era nessuno. Le gocce di pioggia avevano un sorprendente colore rosso amaranto, e le carreggiate erano quasi allagate. Sotto quell'impalcatura al mio fianco c'era lei, Giorgia, la ragazza dai capelli rosso splendenti. Ciò che stavo vedendo era un ricordo, ovvero il primo bacio che io e Giorgia ci scambiammo. Un'appuntamento sotto la pioggia, una cosa troppo romantica per essere autentica. Tutte le circostanze mi portarono a credere che Giorgia potesse essere la ragazza giusta, e ogni pensiero di questo genere non lasciò scampo al mio cuore, ormai perso. Ricordo che quella sera, Giorgia mi raccontò dei suoi problemi di autostima, della sua orribile esprienza d'amore precedente, di come il suo ex ragazzo la picchiava e di come lei si provocava dolore fisico per metabolizzare le sofferenze morali. Ricordo che mi disse che aveva il timore che il suo passato potesse condizionare il nostro rapporto, ma io la tranquilizzai subito dicendole che in realtà, dopo quello che mi aveva raccontato sulla sua vita, io mi sentivo ancora più vicino a lei.
Poi improvvisamente si mise a piovere e fummo costretti a ripararci sotto un'impalcatura. La situazione era perfetta e non persi neanche un secondo per approfittarne, così le presi le mani, e la baciai. Nella visione che stavo avendo, l'atmosfera che c'era intorno a noi era praticamente lo specchio delle sensazioni che provai non appena le mie labbra toccarono le sue, e lei brillava, brillava di potere, e più il nostro bacio si intensificava più l'odore di rose che c'era nell'aria aumentava. Ancora una volta dimenticai che in realtà mi trovavo al cospetto dell'arcata infernale con Dante, poichè il mio unico desiderio era quella di concedermi completamente a quel ricordo, sperando che si potesse rivelare veritiero. Con la mia mano dietro la sua schiena, potevo sentire il suo respiro pesante, come quello di qualcuno a cui gli batte forte il cuore a causa della troppa euforia che sta provando, tutte cose a cui io sono vulnerabile. La sua caratteristica di mostrare fisicamente ciò che aveva dentro era una cosa che amavo particolarmente. Era come se io avessi il potere di percepire le sue sensazioni, le sue emozioni, i suoi piaceri.
Quando le nostre labbra si staccarono la guardai intensamente negli occhi lucidi. Ci guardavamo sorridenti senza dire una parola, e insime pregammo perchè la pioggia non fosse mai cessata. Ad un certo punto però dal cielo cominciarono a cadere fiamme che si sostituirono alle gocce d'acqua, sempre più frequentemente, le quali non appena toccavano terra, si tramutavano in figure umane prive di vesti e mal ridotte, come quelle dei dannati all'inferno. La strada si riempì di queste figure che pian piano, alzandosi a fatica da terra e gridando di dolore, avanzarono verso di noi. Spaventato strinsi Giorgia a me per proteggerla, ma notai che il suo corpo aveva qualcosa che di strano. Poco alla volta si stava trasformando in una sostanza che pareva pece bollente, il quale si stava riversando su di me bruciandomi le braccia. Il dolore era davvero lancinante che cominciai a gridare e a correre fuori dall'impalcatura per strada, esponendomi alla pioggia di fuoco. Avevo le braccia e il petto completamente sciolti e il fuoco dal cielo cadeva su di me provocandomi una forte agonia. La mandria di dannati che si riversava nelle strade ore mi circondava, e con cattiveria e terrore cominciarono ad ammassarsi su di me non lasciandomi via di scampo o modo per respirare. Nel panico totale e nell'agonia, mi risvegliai improvvisamente nella cappella di Mefistofele, con una strana sensazione di bruciore alla gola, come se avessi respirato del fumo da un incendio. Forse quelle visioni non erano poi tanto solo delle proiezioni celebrali. Cosa poteva mai significare, che cosa mi stava accadendo?
Stavo cercando di rialzarmi quando Dante venne verso di me e mi chiese "tutto bene ragazzo?", ed io "sono un pò sconvolto. Ma dove sono le sentinelle?", e lui "sono riuscito ad opporre resistenza e le ho mandate via, ma torneranno quindi dobbiamo muoverci". Guardai casualmete verso il centro dell'atrio, e vidi Minosse che giaceva al suolo, privo di vita, così chiesi al poeta "sommo... Minosse!! Cos'è successo?","ho cercato di salvarlo, ma prima che riuscissi a estrarre la tua rosa per spaventare le sentinelle, loro lo avevano già accerchiato. Non ho potuto fare niente". Mi avvicinai al corpo di Minosse lacerato dai colpi inflitti. Lo ringraziai per avermi difeso con la vita, per avermi mostrato la giusta via e per essere stato schietto con me al momento opportuno. "Sono onorato di essere stato prezioso per un individuo di alto rango come il giudice dei dannati. Possa il creatore accoglierti per essergli stato fedele, sempre" dissi inginocchiato davanti al corpo del giudice dei dannati. Chiusi gli occhi di Minosse e mi girai verso Dante, che aveva ancora la mia rosa tra le mani, e gli chiesi "perchè le sentinelle sono scappate quando hai estratto la mia rosa?" e lui "la rosa contiene il tuo amore maligno, un forma d'amore molto potente che ha effetto sugli umani come su altri esseri. Le sentinelle o le creature infernali, nate senza amore, hanno il terrore del sentimento stesso poichè è opera del creatore, e tutto ciò che egli tocca inquieta il male".
Vedere Minosse morto mi provocò una sensazione di ingiustizia. Non desideravo che altri dessero la vita per me, non volevo che la mia incapacità di difendermi da solo potesse essere la causa di morte di coloro che avrebbero deciso di guardarmi le spalle. Non sarei più riuscito a vivere sereno, se fossi mai uscito vivo dall'inferno.
   
 
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