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Autore: Berry Depp    20/01/2017    6 recensioni
Dal quinto capitolo:
-Non potrebbe...- tentò Judy, imbarazzata –Essere tuo figlio?
-Eh?- Nick sobbalzò –Sei impazzita?
-Beh, sai... magari tu hai...
-Io non "ho" un bel niente!
-Ne sei certo?
-Se ti dico che non è mio figlio, puoi stare certa che non è mio figlio- terminò Nick, al limite tra l’imbarazzo e l’incredulità.
-Okay, okay, rilassati- fece lei, sollevando le zampe in segno di resa.
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Un vecchio caso non risolto ed una novità piuttosto scomoda. Il passato di Nick, quello del capitano Bogo ed un'agghiacciante verità. Il mio tono serioso perché fa figo. Questo e molto altro in "Like father like son".
Genere: Azione, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Philosophy
Easter eggs n° 3               

Ogni girono che passava, da più di trent’anni Rocky si chiedeva perché lui e sua sorella avessero scelto di andare a vivere a Sahara Square. Erano cani adatti ad ambienti freddi, la loro pelliccia non era fatta per sopportare quel caldo che, quando si rompeva il condizionatore come in quel momento, non lasciava scampo a nessuno. Era sdraiato sul divano e sorseggiava una bottiglia di soda ghiacciata – Adrien era stata categorica, non gli avrebbe permesso di bere nemmeno una birra – quando qualcuno bussò alla porta.
                -Rocky, puoi aprire tu?- la voce di Adrien arrivò dalla sua stanza, forse stava mettendo in ordine: era molto disordinata, ma quando non aveva niente da fare per distrarsi si rimboccava le maniche e si dava alle pulizie.
                Il cane grugnì e si alzò con fatica, aprì la porta e inarcò le sopracciglia.
                -Oh, ciao, Alakay.
                -Ciao, Rocky. Posso entrare?- chiese il bufalo torcendosi gli zoccoli a disagio.
                -Se è per la sauna, dovrò cominciare a farmi pagare- lo fece entrare e chiamò sua sorella –Rie, ci sono ospiti!
                Lei sbucò distratta dalla sua camera con un paio di slip in pizzo rosa tra le zampe.
                -Sì, chi è?- quasi non terminò la domanda, trovandosi a pochi metri Alakay che sgranò gli occhi caduti su quell’insolito capo di biancheria. Lanciò gli slip in un punto indefinito della camera, chiuse la porta con un colpo secco e disse a Rocky di far accomodare Alakay mentre lei prendeva qualcosa da bere.
 
                -E l’hai lasciata sola a casa tua sperando che si schiarisca le idee su quello che le hai detto?- fece Butch spingendo il passeggino per cullare Ron Ron.
                -Beh, sì- rispose Nick tra una flessione e l’altra –Credi sia stata una cattiva mossa?
                -Credo che qui l’unico che deve schiarirsi le idee sia tu- disse il rinoceronte facendo una linguaccia al cucciolo attento a non farsi vedere dalla volpe più grande. Il sorriso del piccolo gli diede una enorme soddisfazione.
                Nick si alzò e si passò un asciugamano sul collo dirigendosi al sacco da boxe, dicendo: -Per questo sono venuto qui. Ma penso che sia meglio stare un po’ lontani, per ora. Sai, per non influenzare le decisioni.
                Butch roteò gli occhi.
                -Influenzare le decisioni? Rosso, sono anni che vi sbavate dietro a vicenda e siete gli unici che non se ne accorgono. Io ho già comprato il vestito per il vostro matrimonio e non sono l’unico.
                -Davvero?
                -Penso che sappiate già cosa volete, ma siete convinti di non saperlo- tagliò corto il più vecchio –Forse l’arrivo di questa caccola può aiutarvi a darvi una mossa. A proposito, non sei curioso di sapere di chi è figlio?
                Sentendo quelle parole Nick inciampò sulle sue stesse zampe e mancò un pugno sul sacco.
                -Sì, ma non mi sono mosso più di tanto per scoprirlo- rispose grattandosi la nuca –Insomma, non è facile scoprirlo, avendo solo suoi campioni di DNA. Servirebbero anche quelli di un genitore.
                Butch annuì distrattamente e riprese a giocherellare col cucciolo, Nick lo osservò per qualche secondo e pensò che forse potevano esserci campioni di DNA della madre di Ron Ron nella cesta: le coperte le aveva lavate. Strinse le fasce attorno alle zampe e riprese a colpire il sacco, decidendo che avrebbe portato la cesta alla scientifica.
 
                Bogo era andato di persona a Sahara Square per informare gli investigatori Simo che la scientifica aveva scoperto di chi era il DNA trovato nel padiglione prima di quanto avrebbero pensato.
                -Che fortuna schifosa, Wilde- commentò, ma Adrien non sapeva se quella di Nick si trattasse di fortuna o solo di una serie di sfortunati eventi.
                Ad ogni modo, aveva pensato di portare i risultati a Rocky ed Adrien e non al diretto interessato perché aveva appurato che la scoperta lo avrebbe solo confuso più di quanto già non fosse. Passò la cartella ad Adrien che, una volta che l’ebbe aperta, rimase alquanto colpita.
                -Robin Wilde?
                -Il sangue è del padre di Nick?- fece Rocky –Ma...
                -Già- disse Alakay –Ha stupito un po’ tutti, ma non più di tanto. Si sarà ferito mentre si aggirava nel padiglione per sistemarlo.
                -Questo non ci porta da nessuna parte- mugugnò Adrien affondando il muso tra le zampe –Come faremo a dirlo a Nicholas?
                Glielo dissero per telefono e lui si mostrò piuttosto apatico. Probabilmente se lo aspettava o forse niente più lo stupiva, fatto sta che quando riattaccò nel salotto dei Simo calò il silenzio. Erano ad un vicolo cieco. Non c’erano altri testimoni, nessuna prova, niente.
                Rocky, che si mostrava sempre con qualche rotella fuori posto ma che in realtà sapeva il fatto suo, con la scusa di andare a fare la spesa lasciò soli Alakay e Adrien, con grosso disappunto di questa e imbarazzo dell’altro.
                -Allora...- cominciò il bufalo, seduto di fronte a lei –Ne hai tanti, di quelli?
                Lei inarcò un sopracciglio.
                -Li ho tutti così.
                -Oh, capisco- deglutì.
 
                Nick era tornato a casa da qualche minuto, quando arrivò la telefonata di Bogo che gli faceva sapere i risultati del test del DNA ritrovato nel padiglione.
                -Va bene, grazie. È stato molto gentile. Okay, sto zitto- riattaccò e si buttò sul divano, stremato.
                -Chi era?- chiese Judy alle sue spalle.
                -Bogo. Il sangue nel padiglione era di mio padre.
                -Oh.
                -Già- si voltò di scatto –Hai finito, in bagno? Ho bisogno di una doc...- Judy era lì, davanti a lui, avvolta in un asciugamano azzurro e con il pelo bagnato. Si chiese se Gatticelli si fosse lasciato scappare Venere dal suo dipinto e si accorse troppo tardi di essere rimasto con la bocca spalancata e gli occhi sgranati più di quanto avrebbe voluto.
                -Ehm, sì. Puoi fare la tua doccia. A Ron penso io.
                Una volta sotto l’acqua calda, Nick cercò di mettere ordine ai suoi pensieri, senza successo. Provò a girare la manopola e quando l’acqua ghiacciata lo colpì con un getto senza pietà trattenne il respiro, ma non si spostò.
                Doveva portare la cesta alla scientifica. Doveva scoprire chi lo stava facendo impazzire, lo stesso individuo che aveva ucciso suo padre. E doveva mettere le cose in chiaro con Judy. Gli girava la testa, ma doveva concedere a Judy che l’acqua fredda aiutava a pensare. Uscì dalla doccia dopo pochi minuti, fresco e pulito, per non rischiare che gli salisse la febbre e chiese a Judy di accompagnarlo in centrale.
                -L’identità di sua madre?- chiese Judy, colpita.
                -Sì, insomma... potrei scambiare qualche chiacchiera con lei, se riuscissi a trovarla, no? Capire se è sicura di lasciarmi Ron.
                -Pensavo ti fossi deciso a tenerlo.
                -È così, ma voglio sapere perché una madre debba decidere di abbandonare suo figlio. È importante.
                Judy abbassò lo sguardo e annuì. Era importante, lo sapeva. O almeno, lo era per Nick.
                Avevano pensato di lasciare il cucciolo ai Simo, ma nessuno rispondeva al telefono di casa e non avevano cellulari, così lo portarono con loro. Nick spingeva il passeggino, proprio come durante il loro primo incontro, ma ora Judy era accanto a lui e la cosa la faceva sentire a disagio, specialmente perché, fatto alquanto insolito, la volpe tacque per tutto il tragitto, quel sorrisino sornione stampato in volto.
                -Ti va di parlare?- la coniglietta dovette mettere insieme tutto il suo coraggio, per pronunciare quelle poche parole.
                -A te va?- replicò lui, senza staccare lo sguardo dal punto indefinito che fissava da un quarto d’ora.
                -Beh, no, ma...
                -E allora non parlare.
                -Sì. Sì, mi va di parlare- esclamò lei trattenendosi dal puntare le zampe per terra. Diamine, quanto era odioso! Perché teneva tanto a parlarci, se lui non si sforzava nemmeno di intrattenere una conversazione seria?
                -Okay- Nick si fermò e si girò per guardarla –Quale argomento ti preme tanto discutere, Carotina?
                -E me lo chiedi? È da stamattina che ti comporti in maniera... ambigua!
                -Ambigua? Credevo ci fossi abituata.
                -E lo sono, ma fino ad un certo punto. Oggi hai detto una cosa che mi ha lasciato parecchio perplessa.
                -Il bagno ha funzionato, allora. Non ringraziarmi- detto questo, Nick si rimise in cammino e Judy lo seguì imperterrita.
                -Nick, ascoltami!- dovette trattenersi dal gridarlo per strada –Qual è il tuo problema? Perché non vuoi ascoltarmi?
                Di nuovo, Nick si fermò, si abbassò puntando le zampe sulle ginocchia e sfiorò il nasino di lei col suo tartufo, poi mormorò: -Ma io voglio ascoltarti, Carotina. Solo, non è questo il momento di parlare di ciò che è successo stamattina. Ero spaventato e mi sono lasciato prendere la mano, ma ora ho la mente lucida. E le priorità sono altre. Con tutto il rispetto.
                Detto questo si rimise dritto ed entrò dalla porta principale della centrale; Judy non si era accorta che erano arrivati. Lo seguì, meno convinta di prima e sentendo la rabbia che le faceva ribollire il sangue: Le priorità sono altre. L’aveva messa da parte. Per la prima volta, da quando erano diventati amici, Nick Wilde aveva messo da parte Judy Hopps, oltre suo padre e oltre suo figlio. Appurato ciò si sentì uno schifo: ovvio che lei venisse dopo quelle due figure, per Nick erano importanti tanto quanto lei, se non di più. E allora perché la cosa la offendeva tanto? Non teneva forse anche lei così tanto ai suoi genitori? Se fosse successo loro qualcosa e avesse dovuto scegliere tra salvarli e mantenere l’amicizia con Nick, non avrebbe optato per la prima opzione? Era naturale. O forse no, forse era normale, non naturale. Normale che qualcuno scegliesse la sua famiglia prima di tutto. Naturale che un animale scegliesse... scegliesse cosa? Il partner? Mandare all’aria millenni di evoluzione per tornare veri e propri animali e seguire non più il cuore, ma l’istinto.
                -È Aristotele, vedi?- Nick la guardò attraverso i piccoli occhiali da lettura che lei trovava tanto buffi e la invitò ad avvicinarsi. Lei si sedette sulla poltrona con lui e lesse le pagine di quel libro che a quanto pare trattava di filosofia.
                -Sosteneva la teoria dell’anima tripartita- continuò la volpe -Ciascuno di noi è dotato di un’anima vegetale, che è quella che ci permette di vivere, come delle piante; un’anima animale, quella dell’istinto, che permane in noi nonostante ci siamo evoluti; e quella razionale, dell’intelletto e della ragione che ci distingue dai nostri antenati, dotati solo delle prime due anime. Non è affascinante?
                -Credo di sì- rispose lei, che non capiva molto bene tutte quelle chiacchiere filosofiche.
                -Secoli fa un gruppo di poeti si basò su quest’idea dell’anima tripartita, per arrivare alla conclusione, con le loro poesie d’amore, che se ti innamori l’anima animale prende il sopravvento su quella razionale che viene annientata e non riesci più a pensare razionalmente, puoi solo seguire l’istinto.
                -L’istinto... che è quindi spinto dall’amore che provi?
                -Esattamente!- Nick era euforico, amava tutte quelle parole che a Judy facevano solo girare la testa. Di colpo, il suo sorriso entusiasta divenne mesto.
                -Già... che cavolata, eh?- disse, chiudendo il libro e posando gli occhiali.
                -No!- concluse Judy a voce alta, facendo prendere un colpo a Clawhauser.
                -Judy, tutto bene?- si preoccupò il grosso leopardo, mentre cercava di recuperare una ciambella caduta sotto la scrivania dopo che la coniglietta l’aveva fatto saltare in aria.
                -Sì. Cioè, no. Dov’è Nick?
                -L’ho visto andare verso l’ascensore- rispose lui indicandole la strada –Aveva un passeggino, cosa succede?
                -Okay, grazie!- corse verso l’ascensore ignorando quella domanda e lasciando Benjamin solo, ignaro di tutto e confuso, in compagnia solo della sua ciambella impolverata.
                Si infilò in tempo nel vano ascensore prima che le porte si chiudessero e tacque accanto a Nick.
                -Che fine avevi fatto?- le chiese.
                -Non mi hai aspettata.
                -Avevo fretta.
                Ancora una volta calò il silenzio e Judy ripensò a quel ricordo che le era tornato in mente. Risaliva a pochi mesi prima e non aveva dato molto peso alle parole di Nick o Aristotele o chiunque le avesse dette. Ma ora aveva capito e sperava che, una volta finito tutto, capisse anche Nick.
                Mai l’ascensore era stato tanto lento e mai Judy aveva desiderato che arrivasse al piano come nel momento in cui Nick cominciò a canticchiare.
                -Love in an elevator…
                -Nick.
-Livin’ it up when I’m going down!
-Nick, taci.
-Love in an elevator!
-Nick!
La volpe ridacchiò e uscì spingendo il passeggino e trasportando la cesta fino ad un tavolo di acciaio. A pochi metri, su uno sgabello girevole, stava seduto un giovane opossum dal pelo grigio-bianco scompigliato che indossava un camice troppo grande per lui e leggeva un fumetto. Nick richiamò la sua attenzione con un leggero colpo di tosse, l’opossum si riscosse, chiuse il fumetto con un colpo secco e si rese disponibile, scusandosi.
                -Carotina, ti presento Matthew Parker, polizia scientifica, il migliore del suo corso in accademia, nonché il più giovane- disse Nick –Sognava di diventare fisico astronomico ed è finito quaggiù a studiare cadaveri, non è ingiusta, la vita?
                Matthew gli fece cenno di tacere e si rivolse a Judy: -Lo lasci perdere, a me piace il mio lavoro. Come posso aiutarvi, agenti?
                La volpe lasciò a Matthew la cesta spiegandogli cosa gli servisse e chiedendogli di chiamarlo quando avesse scoperto qualcosa, poi i due si rimisero sulla strada di casa. Una volta giunti davanti il pianerottolo, qualcosa per terra davanti la porta richiamò la loro attenzione. Nick sperò che non fosse il cucciolo di un qualche mammifero molto piccolo e tirò un sospiro di sollievo quando scoprì che era solo un sigaro. Che ci faceva un sigaro davanti la sua porta?
                -Qualcuno deve averlo buttato e sarà finito in cima alle scale- ipotizzò Judy prendendo in braccio Ron Ron.
                -Perché gettare un sigaro nuovo?- Nick lo prese e lo osservò, aggrottando le sopracciglia -E come c’è finito, qui, se la strada è a tre metri dalla mia porta? Se proprio qualcuno l’ha lanciato, di certo l’ha fatto intenzionalmente.
                Judy non sembrava stupita da quel ritrovamento, ma forse lo sarebbe stata, se Nick avesse detto a voce alta quello che aveva notato: era un Montecristo Cubano.

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Cabina del Capitano:
Un bufalo, un cane di sesso femminile e delle mutande in pizzo. Furry. Sono fuori di testa.
Chiedo scusa per il ritardo, soliti fattacci. Che ve ne pare? Troppo palloso? Magari la parte di Aristotele e di Judy che fa quel ragionamento no sarà di vostro piacimento, ma siccome devo fare la classicista acculturata, assuppatevela ("assupparsi", tipico termine siciliano che sta a significare "accontentarsi", "farsi piacere qualcosa" e non lamentarsene).
Ci stiamo avvicinando alla soluzione dell'enigma, oltre agli EE provate ad arrivare a delle ipotesi, sono curiosa di sapere cosa pensate della situazione.
Sono telegrafica lol.
Aspetto vostre recensioni, ipotesi e EE indovinati, questi tre sono proooooprio facili. Non deludetemi, piccoli cacta.
Ci si legge!
BD
  
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